Siamo nel maggio del 1921: è questo il momento più triste per l’avvocato Giuseppe Barbarossa e la sua famiglia; l’avvocato Barbarossa, nato a Canosa nel 1868, socialista, antifascista, già consigliere comunale e assessore alla pubblica istruzione del Comune di Canosa, è costretto a lasciare la città natale per sempre per mettere in salvo la propria vita.
Appena qualche giorno prima, infatti, è stata fatta esplodere una carica di dinamite dietro la porta di casa; per fortuna non ci sono state vittime, ma le minacce subite da parte dei fascisti canosini si sono aggravate e sono ormai diventate realtà. L’avvocato Barbarossa lascia Canosa per trasferirsi definitivamente a Napoli.
Giuseppe Barbarossa si laurea a Napoli in giurisprudenza e nelle città campana matura le proprie idee politiche aderendo al Partito socialista.
Tornato a Canosa, dove esercita la professione di avvocato, si getta nella battaglia politica divenendo consigliere comunale nel 1892 e assessore alla pubblica istruzione nel 1910: a Giuseppe Barbarossa si deve l’istituzione di una scuola tecnica secondaria che sarà intitolata a Giovanni Bovio.
I 30 anni dell’attività politica del Barbarossa sono gli anni in cui in Puglia e a Canosa si ha un forte radicamento dell’anarchismo e del sindacalismo rivoluzionario e l’emergere di una figura carismatica che sarà punto di riferimento per tutta l’Italia: Giuseppe Di Vittorio. Giuseppe Barbarossa sarà anche una delle poche figure di intellettuali della nostra città; fonda ben due giornali: “Cronache Ofantine” e “La Gogna”.
Gli anni del “biennio rosso” e l’avvento del fascismo a Canosa
La parte più interessante del libro, dal punto di vista storico della nostra città, è certamente il biennio 1920-1922; sono gli anni, a livello italiano, del cosiddetto “biennio rosso”, gli anni cioè in cui i partiti di sinistra ed in particolar modo il Partito Socialista, si affermano alle elezioni, conquistando moltissime amministrazioni comunali. E sono gli stessi anni in cui il Partito Fascista fa sentire, anche fisicamente, la sua presenza.
Sono due anni tremendi perché la lotta tra socialisti e fascisti a livello nazionale non sarà solo politica ma anche piena di violenze e di durissimi scontri con centinaia di vittime da entrambe le parti: la violenza della Prima Guerra Mondiale che si trascina negli anni a seguire della vita politica italiana.
Anche a Canosa nelle elezioni dell’ottobre 1920 per la prima volta vince il Partito Socialista; per la prima volta nella storia della città ad amministrarla non saranno più le famiglie rappresentanti l’aristocrazia terriera, ma saranno gli strati operai della città: amministratori e assessori sono fabbri, falegnami, calzolai; il sindaco è un fotografo, Saverio Violante.
Ma l’amministrazione canosina del Partito socialista dura pochi mesi: gli scontri con i fascisti saranno violentissimi; quando dopo scontri violenti i socialisti bruciano le masserie dei fascisti la rappresaglia sarà durissima: il 4 aprile 1921, i fascisti nel corso della notte danno l’assalto alla Camera del Lavoro, della Lega dei contadini e soprattutto assalgono il Municipio.
Saverio Violante, il sindaco, sarà costretto a rassegnare le dimissioni anche perché, come in tutta Italia la forza pubblica non reagisce; il suo posto sarà assegnato a un commissario prefettizio, Gabriele De Santis.
Questi passaggi, accennati nel libro, e certamente meritevoli di ulteriori approfondimenti storiografici, hanno il pregio di raccontare una parte della storia di Canosa che fa giustizia di una verità sottaciuta e di una versione edulcorata della storia: anche a Canosa gli scontri fisici tra socialisti e fascisti furono molto violenti.
Ma l’assalto al municipio non deve essere considerato una mera causalità dovuta agli scontri dei giorni precedenti tra socialisti e fascisti, ma come la concreta attuazione di una precisa strategia politica decisa a livello nazionale.
Scrive infatti Giulia Albanese nel suo libro “La marcia su Roma” (Laterza 2005, pag. 22): “Tra il 1920 e il 1921 la lotta fascista per la conquista del potere si configurò principalmente come una contesa per la conquista dell’egemonia locale, a spese soprattutto dei socialisti, e da questa lotta lo squadrismo trasse legittimazione presso le forze moderate. L’obiettivo principale delle squadre fasciste fu, nel caso delle amministrazioni governate dai socialisti, l’occupazione dei palazzi municipali”. Anche la sostituzione del sindaco Violante con la nomina di un commissario prefettizio rientra nella casistica nazionale dell’appoggio dato dalla vecchia classe dirigente allo squadrismo in funzione antisocialista. Scrive ancora la Albanese che il successo della strategia fascista era dovuto anche “grazie al sostanziale appoggio del ministero dell’Interno, che invece di tutelare lo svolgimento di libere elezioni o di salvaguardare le giunte legalmente elette, commissariava i comuni oggetto di attacchi fascisti”.
Davvero illuminante allora il libro di Cecilia Valentino che dimostra come non via sia soluzione di continuità tra la microstoria delle realtà locali, come Canosa, e la storia nazionale. Gli avvenimenti canosini rientrano perfettamente nella strategia e nel disegno politico nazionale. Ma la stessa microstoria consente di comprendere più da vicino, toccare quasi con mano la portata degli eventi storici: in una nazione come l’Italia che non ha avuto la Rivoluzione Francese ma ha avuto il Bonapartismo, il “biennio rosso” ha davvero una portata ed un significato rivoluzionario: in una città come Canosa, gli artigiani e i contadini arrivano a conquistare il potere di una città esautorando per la prima volta l’aristocrazia terriera che per secoli ha amministrato la città; è una piccola autentica forma di “rivoluzione”, quasi una “Comune di Parigi”. Perciò si comprendono meglio i motivi per i quali la vecchia classe dirigente italiana, aristocratica e liberale (Giolitti per esemplificare), insieme alle forze dell’ordine e alla Monarchia, sostanzialmente appoggino il movimento fascista, quale partito d’ordine necessario per ristabilire lo “status quo”.
In quest’ottica allora leggere l’allontanamento del Barbarossa da Canosa; impedire che i movimenti di popolo socialisti potessero avere l’appoggio della classe intellettuale anche nelle piccole realtà locali. Staccare le teste pensanti dal resto della popolazione. Nel 1929, ad acque ormai chetate, il notaio Gaetano Maddalena, amico fraterno, scriverà una lettera al Barbarossa dicendogli che tutto è pronto per il suo ritorno a Canosa, purché scriva una lettera al consiglio fascista provinciale di Bari. Barbarossa comprende che scrivere la lettera significa fare un atto di sottomissione e di accettazione dello status quo. Non la scriverà e non tornerà più a Canosa.
A cura di Francesco Morra
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