«La sinistra è un fiore di campo. Prima o poi possa qualcuno e la prende. È un’idea ineliminabile di comune dignità, come è ineliminabile l’idea di destra, basata sulla gerarchia. Bisogna solo stare attenti che quel fiore vada nel mazzo giusto».
La sinistra è un fiore di campo. Prima o poi possa qualcuno e la prende. È un’idea ineliminabile di comune dignità, come è ineliminabile l’idea di destra, basata sulla gerarchia. Bisogna solo stare attenti che quel fiore vada nel mazzo giusto
Chi ha detto queste parole non è un politico neo-georgico, ma un maturo leader, veterano dei partiti e delle istituzioni. È Pier Luigi Bersani che così ha chiuso una lunga intervista rilasciata a “L’Espresso” (n. 23, 4 giugno 2017). Diciamo subito che non si può, sulla frase in sé, che concordare; tuttavia l’ammonimento fa un po’ sorridere, per non dire di peggio, se si pensa da quale storia viene Bersani: quella di prima e quella più recente; da una storia che ha liquidato l’idea stessa di sinistra per dar vita al Partito democratico che, a essa, è geneticamente allergico.
L’uscita – un po’ strascicata in vero – che il gruppo di cui egli è il capofila ha ritenuto di farla finita con la formazione di Matteo Renzi. Il porre la questione in aura poetica nulla toglie a tutta la cattiva prosa di un’esperienza che di sinistra non ha mai avuto niente e di cui i comunisti, che ne ha hanno scritto una buona parte, sono responsabili e non assolvibili. Sulle ragioni e la dinamica che hanno portato al Pd si è scritto molto: esso è stato l’approdo finale della linea togliattiana che, qualunque sia stato il nome che via via venivano assumendo, i comunisti hanno pervicacemente perseguito dalla fine del loro vecchio partito. Sempre la stessa linea, sempre la stessa innata convinzione della propria diversità accompagnata dal senso naturale che a loro spettasse l’esercizio di una inscalfibile egemonia che si sarebbe perpetrata nel nuovo soggetto dell’incontro con una pezzo di democrazia cristiana. Rimanendo alla bucolica metafora di Bersani non si può non osservare che, se la sinistra è un fiore di campo, quel fiore sono stati loro per primi a reciderlo.
I fiori di campo – lo sanno tutti – nascono spontanei, ma per la sinistra non è così. Essa è il frutto storico delle lotte del lavoro per un mondo migliore, più libero, più giusto, più democratico. È il frutto di una scelta consapevole di milioni di uomini per liberarsi dallo sfruttamento, dal disconoscimento della loro dignità, per avere, in quanto uomini, il diritto riconosciuto a istruirsi, curarsi, esprimersi, non essere socialmente ricattati, improntare la vita sociale sulla pace e sui principi della solidarietà. La sinistra, politicamente, ha rappresentato l’umanesimo forte che ha attraversato due secoli travagliati e difficili alla conquista di quei doveri che oggi talora sono minacciati quando non addirittura misconosciuti.
Altro che fiore di campo!. È stata, concretamente, un campo largo della storia dell’uomo: socialisti, comunisti, radicali, liberali, democratici aperti e avanzati al di là delle rispettive culture, forme organizzative, fedi religiose, ora in accordo, talora in disaccordo, ma sempre schierati sul versante fermo della democrazia e della sua nozione sociale. Un grande movimento che ha permesso alle società libere di costruire futuro dopo futuro anche a prezzi altissimi; quel futuro che oggi non sta nemmeno sull’orizzonte ampio del mondo globalizzato. Quanto suona beffarda e vera, a fronte di tutto ciò, la definizione stessa di orizzonte quale linea che si allontana quanto più credi di avvicinartici.
Chissà se a Bersani, che oggi teme che l’idea di sinistra non finisca nel mazzo giusto, è mai capitato di pensare quanto sarebbe stata diversa la vicenda italiana se, non potendo più esistere il partito comunista italiano, la sua forza si fosse incamminata verso i lidi del socialismo. Erano in tanti a sperarlo e quella speranza, considerato il presente, presentiva il giusto e la verità. Si riteneva quale evoluzione naturale, dato anche il suicidio del partito socialista – non dei socialisti, intendiamoci – che l’unica forza storica della sinistra rimasta in piedi non ammainasse la bandiera, ma ne alzasse una nuova per riprendere il cammino delle conquiste democratiche. Il campo, ricordiamocelo, nel 1994 lo aveva costituito l’insieme dei progressisti. Le elezioni furono perse, ma il risultato, ben consistente, dava egualmente forza al disegno evolutivo dell’intesa elettorale. Solo che il disegno non c’era ed è proprio il caso di dire che il bambino fu buttato via con l’acqua sporca. Quella coalizione aveva tutte le caratteristiche, anche pluralistiche, per divenire un soggetto politico. Tutto fu invece gettato alle ortiche e di quanto era successo con le elezioni del 1994 mai si è avuta un’analisi e un’interpretazione da chi aveva il dovere di darle. La sinistra, contravvenendo alle sue tradizioni, non aprì nemmeno il dibattito. I comunisti su cui gravava la responsabilità della situazione aprirono un sanguinoso fronte interno; fecero tra loro quei conti che fino ad allora non avevano potuto fare e continuarono da postcomunisti a muoversi secondo il canone di sempre. Ma invertendo l’ordine dei fattori il prodotto non cambia. Così, il nuovo che avevano sempre perseguito, ha finito per scomporli, triturarli, annientare pure il senso della loro cultura storica; subalterni – quelli rimasti – nel Pd aperti alla poesia bonaria quelli usciti. Non c’è che dire: il fallimento non avrebbe potuto essere più completo.
In tanti, crediamo, vorrebbero riunirsi intorno a quel fiore di campo, ma esso, per essere colto o meglio fatto crescere come di deve, dovrebbe essere in un campo socialista che non c’è e chissà ancora per quanto tempo non ci sarà. Per onestà dobbiamo riconoscere che quel fiore sembra essere stato raccolto dal Papa se si pensa alle chiare prese di posizione assunte da Francesco sullo sfruttamento prodotto dal liberismo finanziario, a difesa della dignità dell’uomo, alla condanna di ogni tipo di sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Recentemente il Papato si è mosso, e con quale autorevolezza, sul problema della corruzione.
Per ora quel fiore è lì. Il Papato, però, non è un partito e la lotta politica per la democrazia non si fa da San Pietro. Chissà se Bersani farà una passeggiata lungo via della Conciliazione?
Paolo Bagnoli
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Paolo Bagnoli
E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete.