L’Avvenire del Lavoratore ha tagliato il traguardo dei 120 anni

120 anni dalla parte dei lavoratori, dei migranti e dei diritti dell’uomo: una vecchia bandiera rossa che continua a sventolare sfidando il tempo e l’arroganza del potere.
Questa testata nasce a fine Ottocento, in seguito ai vari “pogrom” anti-italiani che stavano avvenendo in quegli tempi nelle varie città europee e che si ripeterono, da ultimo, a Zurigo nel 1896.

«Il 26.7.1896 nel quartiere operaio di Aussersihl a Zurigo scoppiarono dei tumulti, protrattisi per diversi giorni, a seguito di una rissa in cui un Alsaziano era morto accoltellato da un muratore. Come già avvenuto durante la rivolta del Käfigturm a Berna nel 1893, la collera popolare si scatenò dapprima contro gli Italiani per poi rivolgersi, dopo l’intervento della polizia e dell’esercito, anche contro le autorità», così si legge nel Dizionario storico della Svizzera.
«La sommossa fu una protesta spontanea delle classi popolari, priva di rivendicazioni concrete, e può essere considerata l’espressione di una crisi legata alla modernizzazione», prosegue il Dizionario, concludendo che: «Gli immigrati italiani, perlopiù lavoratori stagionali impiegati nell’edilizia, divennero il capro espiatorio del profondo disagio causato dai rivolgimenti economici e sociali dell’epoca.»

Nelle analisi politiche dei nostri antichi predecessori, però, la ragione di quei pogrom anti-italiani risiedeva “materialisticamente” nella concorrenza salariale dei nostri migranti verso i lavoratori autoctoni. Da ciò conseguiva, per il PSI in Svizzera e in modo particolare per Giacinto Menotti Serrati allora alla guida del partito in emigrazione, la necessità di rafforzare massimamente il sindacato locale, anche tra i connazionali.

E fu così che il PSI in Svizzera – insieme all’Unione sindacale e alla Federazione Muraria – fondò questo giornale come organo di stampa comune, che iniziò le pubblicazioni nel settembre del 1897, un anno e un mese dopo i “Tumulti antiitaliani” di Zurigo.
Nel corso del tempo questa testata ha cambiato dicitura due volte. All’atto di nascita si chiamava “Il Socialista”, come ricorda Claude Cantini nel suo Quaderno sulla stampa italiana in Svizzera. Con il 1° luglio 1899 muterà in “L’Avvenire del lavoratore” (al singolare) per poi essere lievemente ritoccata al plurale in “L’Avvenire dei lavoratori” da Ignazio Silone nel 1944.

Dopo la “prima fase”, dedicata alla fondazione del sindacato in lingua italiana, la linea editoriale dell’ADL si sposta verso tematiche sempre più politiche. Con lo scoppio della prima guerra mondiale, viene abbracciata decisamente la causa pacifista, sotto la direzione di Angelica Balabanoff, segretaria generale del movimento di Zimmerwald.

In questa “seconda fase”, l’originario entusiasmo per la rivoluzione russa si raffredda gradualmente, fino a spegnersi e a invertire la rotta in senso anti-sovietico dopo la rivolta di Kronstadt e il rientro della Balabanoff in Occidente nel 1922. Nel biennio 1921-1922, dalla Scissione di Livorno alla Marcia su Roma, lo stato liberale italiano subisce intanto un vero e proprio collasso.

Inizia la “terza fase” dell’attività editoriale dell’ADL, che deve assumere su di sé i compiti legati al proprio nuovo status: l’essere rimasta l’unica testata libera della politica italiana. Gli altri giornali di partito vengono soppressi con l’avvento del fascismo-regime, don Luigi Sturzo viene esiliato a Londra con avvallo papale, la stampa collegata al Pci è assoggettata alle tiranniche direttive staliniane.

Nella seconda metà degli anni Venti viene stampato a Zurigo l’Avanti! parigino in coedizione con l’ADL e con il determinante sostegno economico del movimento cooperativo italiano in Svizzera. Ma nell’estate del 1940 le armate hitleriane occupano Parigi e il “Centro estero” socialista deve riparare nella Francia sud-occidentale, a Tolosa. Di lì, nel 1941, il “Centro Estero” è trasferito in Svizzera, a Zurigo, sotto la guida di Ignazio Silone.
In questa “quarta fase” Silone avvia un importante tentativo di rinnovamento del socialismo italiano – di concerto con Eugenio Colorni che da Roma conduce le attività del “Centro Interno” e dirige l’Avanti! clandestino. Come scrive Ariane Landuyt, questo tentativo s’impernia sull’idea degli “Stati Uniti d’Europa” in prospettiva strategica filo-occidentale e antisovietica. Colorni però cade in uno scontro a fuoco con le milizie fasciste e, all’indomani della Liberazione, la linea siloniana verrà sconfitta dal neo-frontismo di Nenni e Togliatti, ma quel tentativo di rinnovamento riemerge oggi, attualissimo, nella sua straordinaria capacità anticipatrice.

Dopo il rientro in Italia dei fuoriusciti, la “quinta fase” – quella del secondo Dopoguerra – è caratterizzata da personalità del mondo po­litico e giornalistico svizzero che, come Ezio Canonica e Dario Rob­biani, si impegnarono fortemente a contrastare la xenofobia anti-stra­nieri esplosa in questo Paese con grande virulenza a partire dalla lunga ondata migratoria proveniente soprattutto dal Mezzogiorno d’Italia.

La “sesta fase”, quella in cui ci troviamo, è stata inaugurata dalla caduta del Muro di Berlino, dal crollo dell’Urss, dalla fine della “guerra fredda” e dalla crisi della “Prima Repubblica”, che ha portato anche alla fine del PSI in Italia (ma non del “Centro Estero”).

Noi non disconosciamo il desiderio di mora­liz­zazione che aveva mosso l’opinione pubblica all’epoca di “Mani pulite”, ma giudichiamo altamente pericolose per la democrazia nel nostro Paese le spinte demagogiche sviluppatesi insieme al cosiddetto “circolo mediatico-giudiziario” fin dal 1992.

Purtroppo, venticinque anni di cosiddetto “nuovo che avanza” mostrano risultati ormai evidenti a tutti. La lunghissima crisi economica ha provocato nuovi apici di disoccupazione giovanile e nuovi flussi migratori. È nato e si è diffuso un sentimento xenofobo, antipolitico e anti-europeo che si assomma azzardosamente alla crisi degli stati nazionali e allo scarso senso civico degli Italiani. La confusione, l’improvvisazione e l’approssimazione con cui pezzi d’establishment della “seconda Repubblica” hanno tentato revisioni costituzionali e riforme elettorali a proprio uso, stanno mettendo ulteriormente alla prova la tenuta delle istituzioni.

A fronte dei problemi sul tappeto e delle sfide future, le nostre forze sono quasi del tutto trascurabili. Ma – non mollare! diceva Carlo Rosselli – resteremo impegnati, in controtendenza rispetto all’eclissi della politica italiana, nella salvaguardia attiva di un patrimonio ideale di sinistra, che appartiene a tutti e che rimane ineludibile rispetto a qualunque tentativo serio che l’Italia vorrà intraprendere per uscire dall’attuale “costellazione weimariana”.