Autore: Mario Fuà, Gherush92 Committee for Human Rights
Un libro sulle vicende del Bund, il potente partito operaio ebraico e del suo ruolo nella rivoluzione, potrebbe sembrare appannaggio di pochi appassionati. La sua lettura rivela, invece, una storia ricca di spunti di sorprendente attualità, un testo intenso che offre una nuova linfa vitale a una sinistra ormai da troppi anni in crisi.
Nello sposare le tesi del Bund, l’interessante saggio di Massimo Pieri con la prefazione di Valentina Sereni, Gherush92, si pone quasi come un manifesto politico. Nello scritto si evidenzia ciò che i rivoluzionari del Bund furono in grado di capire dal contatto con il proletariato ebraico, allora recluso nella Zona di residenza, soggetto a leggi speciali antisemite, sfiancato da usuranti orari di lavoro e salari irrisori, e senza dignità: la lotta di classe non può e non deve prescindere dalla specificità cultural nazionale ebraica e non può ignorare la particolarità di ciascuna componente nazionale di quel crogiolo di lingue e culture che formano l’Impero Russo.
Intuendo che la lotta di liberazione passa inevitabilmente per la libera espressione della lingua e delle tradizioni di un popolo, i bundisti fanno della questione nazional culturale un punto cardine della loro lotta, rivendicando in quanto nazione una certa autonomia di governo.
La richiesta di autogoverno in seno al Partito Operaio Socialdemocratico Russo è percepita come una minaccia all’unità e alla forza rivoluzionaria della classe operaia. Le rivendicazioni di tipo federalista dei bundisti portano allo scontro frontale, con il Bund suo malgrado costretto a lasciare il Partito che pochi anni prima ha contribuito a fondare. Lenin sceglie un modello di controllo centralizzato in cui le diversità culturali e nazionali devono annullarsi in nome della lotta della classe operaia oppressa dai padroni e dal capitalismo. Il centralismo bolscevico propone, di fatto, l’annullamento o l’assimilazione delle specificità nazionali, e di quella ebraica in particolare, non considerata una vera nazione perché priva di territorio.
Il Bund si contrappone anche alla stessa borghesia ebraica che nulla fa per riscattare la collettività ebraica, praticando invece una politica della mediazione che non la pone apertamente in conflitto con la temuta autorità. Il Bund è invece determinato a rovesciare quel mondo e così riconquistare la dignità degli ebrei: quanto più questi terranno la bocca chiusa, quanto più chineranno la testa, tanto maggiore sarà l’oppressione che graverà su di loro. Solo dalle classi oppresse di un popolo oppresso, ritiene il Bund, può nascere la forza del riscatto. I rivoluzionari perseguono con tenacia i loro obiettivi, anche con la lotta armata contro l’autarchia e i pogrom che colpiscono le comunità ebraiche, e portano avanti con coraggio, nell’incomprensione delle grandi correnti di pensiero del tempo, la loro battaglia esistenziale.
Se in Russia il Bund è assorbito dalla corrente dei bolscevichi che rimangono, nonostante le posizioni divergenti, unici difensori degli ebrei nei pogrom e contro l’antisemitismo, in Polonia il Bund, divenuto assai radicato e importante, è annientato nella Shoah.
Oggi che il mondo multiculturale ci pone di fronte a sfide simili, dove nazioni diverse si trovano a stretto contatto e si fanno portatrici, ciascuna a suo modo, di istanze sindacali, di classe e di caratteri culturali e nazionali, le risposte del Bund meritano di essere studiate e comprese e il libro di Massimo Pieri è un valido strumento per farlo.
Le identità che, oggi come ieri, si confrontano, infatti, sono intrinsecamente non assimilabili, per ciascuna vale il grido rivoluzionario di battaglia del Bund: Doikeyt, noi siamo qui ora, non fuggiremo, non ci assimilerete, non ci annienterete, dovrete fare i conti con noi e con quello che siamo, qui e adesso.
Fonte: Gherush92 – Comitato per i Diritti Umani
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