E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete.
Dopo il Che, come e più del Che: Thomas Sankara vive!
di Carlo Felici
Non si è ancora spenta l’eco delle commemorazioni del cinquantenario della morte del Che, che dovrebbe iniziare la celebrazione di un altro straordinario Comandante-Presidente che fu, in tutto e per tutto, allievo del Che in Africa. Eppure, stentiamo a vedere manifesti o altro che lo riguardi.
Perciò, per quanto ci è possibile, cerchiamo di colmare questo vuoto, forse dovuto al fatto che questo altro grandissimo personaggio del XX secolo è andato ancora più avanti, nel suo progetto di contestazione globale dell’imperialismo e del capitalismo, rispetto al Che, in una realtà più vicina a quella nostra contemporanea, e pertanto risulta ancora più “scomodo”.
Thomas Sankara fu assassinato 30 anni fa, dopo avere cambiato radicalmente il volto e persino il nome del Paese di cui fu Presidente, dal 1983 al 1987. Fu inzialmente Primo Ministro di un governo che lo epurò e lo mise in prigione per le sue idee alquanto controcorrente, dopo soli quattro mesi dal suo insediamento. Ma, in seguito a tumultuose rivolte popolari, dopo essere stato liberato a furor di popolo, si prese la rivincita impadronendosi del potere con una rivoluzione armata.
Si insediò in uno dei più poveri paesi africani, con un progetto ambiziosissimo che entrò nella nuova Costituzione: rendere felice il suo popolo. Innanzitutto cambiò nome a quello che allora si chiamava Alto Volta, una vecchia colonia francese sottomessa in tutto e per tutto a nuove forme di neocolonialismo che l’avevano resa completamente dipendente dalle importazioni, e con un debito crescente di proporzioni catastrofiche.
Chiamò quel paese Burkina Faso, la “terra degli uomini liberi e integri”, con lo scopo di risollevare le sorti del suo popolo, sottraendolo non solo al colonialismo economico, ma anche a quello culturale. Diceva infatti Sankara: “Per l’imperialismo è più importante dominarci culturalmente che militarmente. La dominazione culturale è la più flessibile, la più efficace, la meno costosa. Il nostro compito consiste nel decolonizzare la nostra mentalità”.
Così, dopo un vasto programma per sottrarre terra alla desertificazione ed incrementare la produzione agricola, sviluppò la produzione per l’industria tessile locale, favorendo l’acquisto ed il consumo interno di manufatti prodotti nel suo paese.
Come il Che, era convinto che solo l’esempio potesse trascinare il popolo e spingerlo ad una mobilitazione generale, di conseguenza ridusse il suo stipendio e tutto quello della classe dirigente del suo paese, azzerando l’uso delle auto blu ed utilizzando solo una utilitaria, con i risparmi promosse una campagna di vaccinazione di massa, contro il morbillo, la meningite e la febbre gialla, furono costruiti nuovi ospedali e dispensari di medicine nei vari villaggi. Venne varato un vasto programma di scolarizzazione con la costruzione di nuove scuole ed una lotta capillare all’analfabetismo, che tolse dalla strada quasi tutti i bambini del Burkina Faso.
Sankara capì che i programmi del FMI, varati per sostenere il cosiddetto sviluppo del suo paese, non erano altro che forme subdole per incrementare il debito, privatizzare le risorse e rendere servi i suoi concittadini, rifiutò pertanto gli aiuti, mise in atto un piano di autosufficienza alimentare basato sullo sviluppo delle campagne e delle risorse locali per produrre e diffondere beni di prima necessità, a partire dal pane per il quale non fu più utilizzato il mais che doveva essere importato, ma la farina di miglio prodotta in loco.
Tutto ciò potè garantire a tutti almeno due pasti al giorno e circa 5 litri d’acqua quotidiani pro capite, un vero e proprio miracolo di autopromozione mai realizzato prima in Africa, e dovuto in gran parte al grandissimo entusiasmo ed alla partecipazione di tutta la popolazione a tale sforzo di crescita, in particolare delle donne.
Le donne, infatti, ricevettero da Sankara una grandissima attenzione nel loro processo di emancipazione, un evento straordinario per un continente in cui per millenni erano state condannate ad una condizione di sudditanza, e tuttora un esempio di grandissima rilevanza, considerando l’estendersi di un radicalismo islamico che continua a relegarle ad un ruolo subordinato alle esigenze maschili.
Sankara fu un ecosocialista, un grandissimo innovatore: 1) sul piano ecologico, perché comprese che valorizzare le risorse ambientali avrebbe contribuito enormemente ad incrementare le risorse sociali, 2) sul piano umano, perché capì che una mobilitazione di massa non può prescindere dal coinvolgimento delle donne come protagoniste contemporaneamente della loro emancipazione e di quella del loro paese, 3) e sul piano economico perché fu pianamente consapevole che la servitù dei paesi poveri è incrementata dal loro debito e che tale catena non va allentata a poco a poco, ma spezzata definitivamente.
Sankara fu ucciso perché ebbe l’ardire di contestare il suo partner principale: la Francia, paese che lo aveva colonizzato, rimproverando persino senza mezzi termini ad un presidente socialista come Mitterand di fare affari con un paese razzista come il Sudafrica, e perché ambiva a creare un esempio da diffondere in tutto il continente su come fosse possibile e necessario sfuggire alla schiavitù neocoloniale. La stessa che spinge gli abitanti del continente più ricco al mondo di materie prime ad essere i più poveri del globo, e a fuggire altrove, affollando le rotte migratorie verso l’Europa per nuove forme di schiavitù salariale.
Se l’Africa fosse diventata come Sankara la voleva, non avremmo mai avuto masse così imponenti di migranti affacciarsi alle nostre coste, né miliardi affluire nelle tasche dei più loschi e crudeli trafficanti di ogni genere, in combutta con le peggiori mafie.
Sankara pronunciò un discorso epocale contro il debito che tuttora è un capolavoro di denuncia e consapevolezza contro un mondo in cui la globalizzazione a senso unico neoliberista produce al contempo disastri sociali ed ambientali di proporzioni apocalittiche.
Ne citiamo alcuni passaggi emblematici anche per la lotta contro certi inconcludenti integralismi religiosi alimentati ad arte proprio per contestare tali forme autentiche di socialismo quali quelle messe in atto dallo stesso Sankara a prezzo della sua vita:
“La Bibbia, il Corano, non possono servire nello stesso modo chi sfrutta il popolo e chi è sfruttato. C’è bisogno che ci siano due edizioni della Bibbia e due edizioni del Corano. Non possiamo accettare che ci parlino di dignità. Non possiamo accettare che ci parlino di merito per quelli che pagano e perdita di fiducia per quelli che non dovessero pagare. Noi dobbiamo dire al contrario che oggi è normale si preferisca riconoscere come i più grandi ladri siano i più ricchi. Un povero, quando ruba, non commette che un peccatucolo per sopravvivere e per necessità. I ricchi, sono quelli che rubano al fisco, alle dogane. Sono quelli che sfruttano il popolo. Signor presidente, non è quindi provocazione o spettacolo. Dico solo ciò che ognuno di noi pensa e vorrebbe. Chi non vorrebbe qui che il debito fosse semplicemente cancellato ? Quelli che non lo vogliono possono subito uscire, prendere il loro aereo e andare dritti alla Banca Mondiale a pagare ! Non vorrei poi che si prendesse la proposta del Burkina Faso come fatta da «giovani», senza maturità e esperienza. Non vorrei neanche che si pensasse che solo i rivoluzionari parlano in questo modo. Vorrei semplicemente che si ammettesse che è una cosa oggettiva, un fatto dovuto.”
Sankara era un uomo di pace, anche se dovette difendersi da chi cercò lo stesso di scalzarlo, disse chiaramente che un militare senza educazione politica e sociale rischia di essere solo un criminale e si impegnò a fondo per il disarmo. Ad Addis Abeba propose ai paesi africani di smettere di comprare armi e di porre finalmente fine alle lotte tribali incentivate da paesi interessati al commercio di armamenti, solo per ragioni di potere e di profitto, utilizzando le risorse economiche per l’occupazione, la tutela dell’ambiente, il miglioramento delle condizioni sanitarie e soprattutto della pace tra i popoli africani.
Ebbe il coraggio di gridare: “Ci sentiamo una persona sola con il malato che ansiosamente scruta l’orizzonte di una scienza monopolizzata dai mercanti di armi. […] Quanto l’umanità spreca in spese per gli armamenti a scapito della pace!”
Era pienamente consapevole che sfuggire alla tirannia del debito era una questione di sopravvivenza prima ancora che una ragione di giustizia e di libertà e, oggi, profeticamente diremmo lo stesso non solo per i paesi africani, ma anche per quelli europei strozzati da una Europa monetaria che ha nel debito la sua forma più subdola e feroce di autoritarismo. Ricordiamo le parole di Sankara:
“Il debito nella sua forma attuale è una riconquista coloniale organizzata con perizia. […] Se noi non paghiamo, i prestatori di capitali non moriranno, ne siamo sicuri; se invece paghiamo, saremo noi a morire, possiamo esserne altrettanto certi”
Purtroppo ovunque nel mondo tra classi politiche corrotte e corruttrici al potere, e istituti preposti a consolidare e incrementare i rapporti di dipendenza tra paesi ricchi e paesi poveri, vi è uno scellerato patto di ferro. Mentre i politici corrotti blindano il loro potere e la loro oligarchia servile anche con riforme costituzionali e leggi elettorali che impediscono ogni radicale ricambio di potere, essi stessi incrementano quel debito che rende i loro popoli sempre più poveri ed esposti alla precarietà e allo sfruttamento, divaricando così la forbice sociale fino all’inverosimile, ed ottenendo in cambio privilegi crescenti e forme inaudite e sproporzionate di potere anche sotto la forma ipocrita e grottesca di una democrazia ridotta a farsa autocelebrante.
Ai tempi di Sankara tutto ciò accadeva prevalentemente nei paesi di altri continenti, come l’Africa, il Sudamerica o l’Asia, oggi ciò sta avvenendo in tutto il mondo, rivelandosi un fenomeno globale. E per impedire sul nascere che si sviluppi un movimento globale di contestazione e di rottura con tali assetti, da una parte si reprimono le grandi manifestazioni durante i summit dei paesi magnati dell’economia, anche a costo di macellerie come quella svoltasi alla Diaz di Genova, e dall’altra si fomentano fenomeni integralisti per convogliare il dissenso verso forme di fanatismo e terrorismo che spingano la gente a stringersi intorno all’unico potere considerato ed imposto come possibile e necessario.
Sankara aveva capito, con 30 anni di anticipo, cosa sarebbe accaduto a quell’Europa monetaria che consolida la sua tirannia del debito, con effetti devastanti su paesi come la Grecia. Disse a chiare lettere: “E’ solo così che potremo dire oggi che rifiutando di pagare non abbiamo intenzioni bellicose ma al contrario intenzioni fraterne. Del resto le masse popolari in Europa non sono contro le masse popolari in Africa. Ma quelli che vogliono sfruttare l’Africa sono gli stessi che sfruttano l’Europa.”
Le classi corrotte europee non sono diverse da quelle africane e le conseguenze del loro potere autoreferenziale, si traducono nello stesso autoritarismo, anche se manifestato in maniera più lenta e progressiva ma egualmente endemica.
La conseguenza è che ovunque i ricchi diventano più ricchi e i poveri più poveri, così di fronte a tutto ciò, sbandierare ancora parole come democrazia sa solo di beffa, a dimostrarlo c’è sempre più gente che non vota più.
Il Che e Sankara erano accomunati indissolubilmente dalla loro inflessibile integrità e dal buon esempio che seppero dare, ambedue accusati di autoritarismo, furono in grado di rovesciare il vero autoritarismo che opprimeva i loro popoli, anche con gesti simbolici e significativi, come, ad esempio il lavoro volontario o quello di fare entrare le piante in ogni ufficio oppure quello di assegnare ad ogni Ministero un campo da coltivare, una iniziativa ben più avanti dei cosiddetti campi di rieducazione cubani, volta a promuovere la cultura del lavoro nei campi come prospettiva ecologica, produttiva e soprattutto popolare.
Sankara fu accusato di comunismo e di voler propendere per il blocco dei paesi dell’Est, in un’epoca in cui la guerra fredda era ancora in atto, ma lui, al contrario, dette impulso anche all’iniziativa privata ed al commercio internazionale a patto che non si imponessero sulla gestione sovrana dell’economia locale, fu aperto ad investitori stranieri, persino svizzeri, per la collaborazione sulla conservazione e l’inscatolamento degli alimenti, così come per altri progetti che erano in fieri quando egli fu assassinato.
Venne liquidato perché non si prestò ad aiutare chi voleva operare per rovesciare altri governi ed imporre nuove forme di colonialismo, perché rappresentava un pessimo esempio per altri paesi africani, e diremmo oggi anche per altri in altre parti del mondo. Fu ucciso da coloro che considerava suoi collaboratori e che, come spesso avviene, in realtà non sono altro che personaggi assetati di potere indifferenti alla corruzione e alla povertà del loro popolo. Chi lo sostituì, come presidente, e che fu uno degli artefici della sua fine, per fortuna, anche se dopo molti anni, è stato di recente, a furor di popolo, costretto a fuggire ed è inseguito oggi da un mandato di cattura internazionale. A dimostrare che non si sfugge mai definitivamente al tribunale della storia.
Sankara oggi, come se non più del Che, va lasciato in eredità specialmente a quei giovani che sono costretti, ad esempio, ad una infame ed ipocrita alternanza di studio-lavoro, solo per incrementare il precariato e quei profitti che derivano dalla riduzione del lavoro a schiavitù salariale, per essere educati da adolescenti a lavorare gratis non per la loro comunità o per dare un esempio, ma esclusivamente per soddisfare un padrone e uno stato di padroni che ambisce ad avere la padronanza non solo delle loro menti, ma anche del loro corpo.
Questo esempio di Sankara resta per loro, affinché armino soprattutto la loro coscienza, perché con una coscienza bene armata, anche a mani nude, tutto è ancora possibile, ad ogni età, in ogni tempo ed in ogni luogo, perché è quella che ti aiuta ad aiutarti, sempre e comunque.
«L’aiuto di cui abbiamo bisogno è quello che ci aiuti a fare a meno degli aiuti»
Thomas Sankara
Questo video racconta la storia di Thomas Sankara nei dettagli, ne raccomandiamo vivamente la visione anche nelle scuole.