Il 23 ottobre 1956 il popolo ungherese insorge. Una rivolta per conquistare libertà e indipendenza. I fedelissimi del regime stalinista vengono sbaragliati facilmente dagli ungheresi in armi che però non avevano fatto i conti con gli equilibri internazionali. L’Ungheria, piccolo paese uscito con le ossa rotte dal secondo conflitto mondiale, si ritrova a combattere contro una superpotenza militare, l’Unione Sovietica. Davide contro Golia, ma in questo caso la storia è stata drammaticamente sfavorevole a Davide. L’invasione sovietica stronca l’animo rivoluzionario dei giovani ungheresi che muoiono sotto i colpi dei carri armati. L’Ungheria viene “normalizzata” e dei giovani del 1956 non se ne parlerà più, se non clandestinamente, fino al 1989.
Una rivoluzione epocale, che ha un posto importante nella storia europea e che è ancora oggi fonte di dibattito tra storici e politici sul ruolo che ha avuto e sugli obiettivi che i rivoluzionari si proponevano. Il 1956 ungherese è stato senza ombra di dubbio un avvenimento europeo che ha racchiuso al suo interno le contraddizioni di un continente uscito da due guerre mondiali ed appena immerso in una lotta ideologica che non lasciava scampo. Anche per questo la Rivoluzione è stata interpretata come movimento nazionale per l’indipendenza, come rivolta operaia e operaista, come insurrezione anti-comunista o come movimento per un socialismo democratico. Tante diverse interpretazioni che partono dal presupposto di una violenta ribellione del popolo ungherese contro il totalitarismo degli anni ’50.
L’Ungheria stalinista
Dopo la seconda guerra mondiale l’Ungheria vive una breve parentesi democratica dal 1945 al 1948. Nel dopoguerra la costruzione del socialismo ungherese procede difficilmente tanto è vero che alle elezioni del 1945 il Partito Comunista è appena terzo, uno dei partiti più deboli dell’Europa orientale. Il leader stalinista Rákosi inizia così un tenace lavoro di conquista del potere ed in meno di 3 anni, grazie alla tattica del salame da lui inventata, riesce a neutralizzare le opposizioni e a creare un regime totalitario. Gli anni del regime Rákosi sono contrassegnati dal culto della personalità, dal regime poliziesco, dalle requisizioni nelle campagne e da una profonda crisi economica. Rákosi si vanta di essere più stalinista di Stalin, un biglietto da visita non molto digeribile per il popolo ungherese. E proprio la morte di Stalin apre nuovi scenari a livello internazionale ma anche in Ungheria dove l’ala riformista del partito comunista trova nuove energie grazie alla nuova leadership di Mosca. Imre Nagy, capo di quest’area diventa primo ministro (1953) e apre una fase nuova contrassegnata da: rallentamento delle misure contro i contadini, rilascio dei prigionieri politici, stabilizzazione della situazione economica. Questo nuovo corso dura però poco, perchè nel 1955 gli stalinisti in Ungheria riprendono forza e potere marginalizzando Nagy. Il ritorno al potere della cricca di Rákosi (in primis Ernő Gerő) è mal digerito dalla popolazione ungherese.
L’ottobre ungherese
Le rivoluzioni si sa iniziano da intellettuali e studenti, ma possono trionfare solo con gli operai. E nella rivoluzione ungherese ci sono tutti e tre questi protagonisti. Sono gli intellettuali del Circolo Petőfi che nei mesi precedenti l’ottobre si riuniscono per criticare il potere. Sono gli studenti, prima a Szeged e poi a Budapest, che si riuniscono in associazioni e indicono la manifestazione del 23 ottobre. Corteo al quale si uniscono nel pomeriggio gli operai che terminavano il loro turno di lavoro. Il 23 ottobre così il popolo ungherese si trova di fronte al parlamento e scandisce con forza il nome di Imre Nagy.
Giovani Rivoluzionari Ungheresi
La stessa sera iniziano anche i primi scontri armati nelle vicinanze della Radio. Da lì si susseguono giorni frenetici. Imre Nagy diventa primo ministro; un po’ ovunque sorgono Consigli Operai e Gruppi rivoluzionari; l’esercito ungherese appoggia la rivoluzione. E tra giorni di festa per la riconquistata libertà e di lutto per le stragi compiute dalla polizia stalinista (“giovedì di sangue”, il 25 ottobre, muoiono centinaia di persone), la rivoluzione trionfa. L’AVH (polizia politica) viene sciolta, le truppe sovietiche si ritirano e nasce un governo di coalizione guidato da “zio Imre“.
La storia ungherese però non lascia spazio a rivoluzioni vittoriose, le tragedie sono sempre dietro l’angolo. E questa volta dall’angolo spunta l’esercito di una superpotenza contro la quale si può fare ben poco. La rivoluzione viene abbattuta con l’invasione del 4 novembre. 3.000 carri armati, 100.000 fanti contro una città difesa soprattutto da giovani e operai mal armati. Grande è ancora il dibattito storico sul secondo intervento sovietico, sulla situazione internazionale (la crisi di Suez), sul ruolo di Kádár (il grande traditore) e sugli obiettivi socio-politici che avevano i rivoluzionari. Il fatto indiscutibile è però che l’Ungheria viene schiacciata.
La repressione
Gli scontri terminano poco prima di Natale e lasciano sulle strade di una Budapest distrutta 3.000 morti. Mentre a comandare la città tornano i tanto odiati sovietici. Negli anni successivi la mano del governo Kádár non sarà affatto morbida. Migliaia gli ungheresi incarcerati, centinaia quelli che vengono giustiziati tra cui l’appena diciottenne Péter Mansfeld. Duecentomila lasciano il paese. La nuova Ungheria kadariana fonderà il suo potere su una grande bugia: “il 1956 è stata una contro-rivoluzione“.
Fonte: ungherianews.com
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