CAPORETTO 24 OTTOBRE 1917

I socialisti italiani, contrari all’entrata in guerra dell’Italia nella I guerra mondiale con lo slogan “Né aderire, né sabotare”, prendono atto del cambiamento della natura del conflitto da guerra di conquista a guerra di difesa del territorio nazionale. Sono i leaders riformisti Filippo Turati e Claudio Treves, con parole che arrivano anche nelle trincee, a chiamare i lavoratori ed il popolo alla solidarietà nazionale.

– “Quando la patria è oppressa, quando il fiotto invasore minaccia di chiudersi su di essa, le stesse ire contro gli uomini e gli eventi che la ridussero a tale sembrano passare in seconda linea, per lasciare campeggiare nell’anima soltanto l’atroce dolore per il danno e il lutto, e la ferma volontà di combattere e di resistere fino all’estremo”.

Filippo Turati e Claudio Treves, “Proletariato e resistenza”, Critica Sociale del 1-15 novembre 1917

– “Voi avete detto, onorevole Orlando: ‘Grappa è la nostra patria!’ Orbene, ciò è per tutti noi, per tutta l’Assemblea! … le ore difficili le attraversiamo anche noi, le ore dell’angoscia le viviamo anche noi … noi non crediamo che la guerra possa condurre a quei fini che voi credete … Grappa è la nostra patria, ma la patria si serve da ciascuno secondo i propri ideali e la propria coscienza”.

Filippo Turati, Discorso alla Camera dei Deputati del 23 febbraio 1918 (battaglia del Grappa)

– Nel giugno 1918, nel momento della battaglia del Piave, Filippo Turati dichiarava che non avrebbe votato la fiducia al governo, ma esprimeva la solidarietà anche dei socialisti “con l’esercito che in questo momento combatte per la difesa del Paese”. “Noi ci sentiamo tutti rappresentanti della nazione in armi”, e i socialisti si sentono “anche più di altri”, i rappresentanti di “questo popolo che oggi soffre, combatte e muore”. Per Turati quella non era “l’ora delle discussioni teoriche, delle recriminazioni e delle polemiche”, perché “non è l’ora delle parole, mentre lassù si combatte, si resiste, si muore, per così vasto e profondo arco di confine italiano, e le nostre anime sono tutte egualmente protese nella angoscia, nella speranza, nello scongiuro, nell’augurio”.

Era il momento in cui “quando parlano i fatti, quando il sangue cola a fiotti dalle vene aperte di una nazione, di una stirpe, quando tutte le responsabilità più formidabili si addensano su uomini, su partiti, su classi, su istituzioni, bisognava capire che “grondante di sangue e di lacrime, onusta di fato, si affaccia e passa la Storia”. Turati ricordava che la Camera dei Deputati, “di cui tutti sappiamo le umane deficienze” è “la sola espressione legittima, la più vera, la più sincera, la sola espressione possibile oggi del Paese e del popolo”. E ammoniva il Governo: “non perda mai, ma invochi, ma pretenda, il contatto con la Camera, che è la sua legittimità, la sua forza, la sua ragione”. Con il voto “noi diciamo arrivederci, arrivederci presto, arrivederci tutti quanti – ai colleghi e al Governo. E il saluto questa volta non è vacuo cerimoniale di galateo. E’ anche – dei socialisti italiani – l’arrivederci augurale all’Italia “

Discorso alla Camera dei Deputati del 12 giugno 1918 (battaglia del Piave).