Soares: la memoria e l’esempio di un socialista

di Pietro Moroni

Mário Soares è morto il 7 gennaio di quest’anno. Principale fautore della risoluzione democratica della Rivoluzione dei Garofani, il Portogallo lo ha tributato di esequie pubbliche e del saluto di tutte le principali forze politiche del Paese e dei reduci dei movimenti di liberazione anticoloniali delle vecchie colonie portoghesi. A seguito della sua morte, è giusto ed utile ricordare i contributi dell’uomo e le sue convinzioni senza incorrere in facili mitizzazioni. La sua lotta contro il regime dell’Estado Novo, contro i fascismi e il colonialismo e, in seguito, contro la prospettiva di un regime militare populista o di una dittatura del proletariato in stile orientale, non danno solo la misura di un irriducibile combattente per il socialismo e la democrazia ma possono essere da esempio anche oggi.

Gli inizi di Soares

Le circostanze della sua vita furono le stesse di altri milioni di giovani portoghesi cresciuti sotto il governo di Salazar. Mário Soares nacque il 7 Dicembre 1924 e cominciò la sua formazione politica in università, dove entrò a contatto con l’opposizione comunista al regime e contribuì a fondare e guidare la giovanile comunista. Avrebbe poi lasciato il Partito Comunista Portoghese (PCP) nel 1951. Divenne membro del Movimento di Unità Democratica, organizzazione-ombrello dell’opposizione para-legale a Salazar ma con fortissima influenza comunista, sostenne le campagne di vari candidati presidenziali alternativi a quelli di Salazar, prima Norton de Matos e poi il generale Humberto Delgado. Venne arrestato più volte dalla PIDE, la formidabile polizia politica portoghese. Fu infatti mentre era in prigione, nel 1949, che Soares sposò Maria Barroso, già attrice e compagna universitaria di Soares, e con lui fra i futuri fondatori del Partito Socialista. Soares mise poi i suoi uffici di avvocato al servizio di vari oppositori del regime, dalla famiglia del generale Delgado, ucciso dalla PIDE in Spagna, ad Álvaro Cunhal, leader comunista e futuro avversario di Soares. Ovviamente ciò non fece che attirare ulteriori attenzioni da parte della PIDE, che già aveva ottenuto che la moglie di Soares non potesse più recitare né insegnare, benché ne avesse le necessarie qualifiche. L’attività politica di Soares diviene più marcata nel 1964, quando a Ginevra, in Svizzera, è tra i fondatori dell’Azione Socialista Portoghese, che nel 1972 venne ammessa nell’Internazionale Socialista pur non essendo formalmente un partito ed avendo le sue principali basi organizzative al di fuori del Portogallo, dove i leader socialisti sono stati costretti all’esilio.

Soares è fra i protagonisti che ottengono tale importante riconoscimento grazie al suo impegno nello stabilire relazioni di cooperazione e amicizia con vari altri partiti socialisti europei. Nel 1973, in una conferenza ospitata in Germania della Friedrich Ebert Stiftung, l’ASP diviene il Partido Socialista. In aiuto del giovane PS si mobilitarono molti compagni europei, non solo i tedeschi. Un esempio su tutti: il giornale Portugal socialista era edito in Italia coi fondi del PSI e distribuito segretamente in Portogallo da associazioni del mondo civico svedese nell’orbita della SAP. Fu però François Mitterand, a livello ideologico, il grande maestro del giovane Soares. Similmente a Mitterand, Soares sperava di poter avere un percorso comune con i comunisti, al di là delle differenze e nel quadro della necessaria unità anti-fascista per rafforzare la neonata democrazia portoghese.

La Rivoluzione dei Garofani e il Portogallo democratico

All’indomani della Rivoluzione dei Garofani con cui il Movimento das Forças Armadas (MFA) abbattè la dittatura e Marcelo Caetano, successore di Salazar, Soares aveva già ricusato il marxismo sovietico da oltre un ventennio, riconoscendo i limiti del modello autoritario sovietico e unendosi perciò alla schiera del socialismo democratico europeo. Tornato a Lisbona dall’esilio, Soares accettò l’incarico di Ministro degli Esteri offertogli dal Generale Spínola, ma rese ben chiaro di non accettarlo come dissidente perseguitato per 32 anni dal vecchio regime, ma come segretario del Partito Socialista: non una figurina da celebrare, ma un leader politico, espressione di un giovane ma determinato movimento socialista.

Inizialmente l’unità antifascista tenne, soprattutto di fronte alla sfida della decolonizzazione, che portò alla piena indipendenza di quattro nuovi Stati sulle ceneri del defunto impero coloniale portoghese. Ma a frustrare queste aspettative c’era la posizione ortodossa del PCP e di Cunhal: mentre i comunisti italiani, spagnoli e francesi avevano abbracciato l’eurocomunismo, il PCP aveva continuato a difendere l’idea della dittatura del proletariato e l’eredità stalinista fino a pochi anni prima, quando persino il rigido KKE greco si era dovuto adeguare alla destalinizzazione promossa da Krushev. Inizialmente i comunisti moderarono radicalmente le loro posizioni e richieste, timorosi di scatenare una reazione americana sullo stile di quanto successo in Cile, ma la caduta del generale Spínola e con lui della destra del MFA, galvanizzò l’estrema sinistra portoghese, anche quella alla sinistra del PCP, e radicalizzò le componenti comuniste e populiste dei militari. Abbandonata la moderazione iniziale, il PCP e l’ala comunista del MFA, guidata dal generale e Primo Ministro Vasco Gonçalves, cercavano di guidare una nazione appena uscita dalla dittatura fascista verso una soluzione diversa, la cui natura è ancora dibattuta, anche a causa dell’influenza dell’irrequieta ala populista del MFA, di cui il generale Otelo Saraiva Carvalho era solo il più noto leader, e del supporto che essa aveva fra l’estrema sinistra. Quel che è certo, è che nessuna di queste proposte andava a coincidere con il modello statuale liberaldemocratico, come divenne palese quando la repressione politica degli esponenti del vecchio regime e dei simpatizzanti di svolte autoritarie conservatrici, si estese a popolari cattolici, liberali e socialisti. Tristemente famosi furono i casi di Rádio Renascença, l’emittente che trasmise Grandola Vila Morena, la canzone che diede inizio alla Rivoluzione dei Garofani, e di Repùblica, il giornale socialista. A molti parve che la democrazia portoghese fosse finita ancor prima di iniziare, per lasciare il posto a una sorta di regime militare progressista come quello che era salito al potere in Perù, se non addirittura per una dittatura di stampo moscovita. “Sarete il Kerensky portoghese”, lo apostrofò sarcasticamente Henry Kissinger in un incontro diplomatico, ma la storia andò diversamente e anche Kissinger dovette ricredersi. Il PS arrivò primo alle elezioni costituzionali e, nonostante lo scetticismo di Cunhal da un lato e di tanti osservatori conservatori dall’altro, Soares riuscì a far leva sul consenso del suo partito per rafforzare la democrazia e a far celebrare le prime libere elezioni portoghesi il 25 Aprile 1976, vinte dai socialisti. Il PS era, in un Portogallo spaccato tra ambizioni comuniste nel Sud proletario e paure conservatrici nel Nord borghese, l’unica forza in grado di riunire la nazione in un progetto democratico: il PS era primo partito nelle grandi città e in tanti distretti del centro, ed era la seconda forza politica dove vincevano i comunisti o i popolari: un’alternativa democratica al PCP ed un’alternativa progressista al PPD (oggi PSD). Anche fra i sindacati il PS aveva più seguito del PCP, reo di aver cercato di controllare il sindacalismo attraverso l’unificazione forzata nell’Intersindical e di aver tenuto una politica ambigua nei confronti delle rivendicazioni spontanee da parte dei lavoratori.

Nei decenni seguenti, la carriera di Soares e la storia del socialismo portoghese proseguirono fra alti e bassi. Odiato da Cunhal e avversato da Francisco Sà Carneiro, leader dei popolari democratici, tentò di governare col Centro Democratico Sociale, la formazione più a destra nel nuovo spettro politico democratico, ma dopo solo due anni la coalizione si spaccò. Dopo aver traghettato il Portogallo alla democrazia, alla pace e all’acquisizione di nuovi diritti sociali, politici e civili, Soares e il PS persero le elezioni a causa di un’esperienza di governo difficile e travagliata da incertezze e polemiche, nonostante importanti successi come la tanto agognata adesione alla Comunità Economica Europea. Il centrodestra guidò a quel punto il Portogallo quasi ininterrottamente fino al 1995, tranne l’esperienza del Blocco Centrale nel 1983-1985, quando il PS vinse le elezioni e Soares divenne ancora Primo Ministro alla guida di una grosse koalition col PSD. D’altro canto però Soares e il PS riuscirono a vincere le elezioni presidenziali del 1986, sconfiggendo il candidato della destra nonostante i sondaggi lo dessero inizialmente al 5% di preferenze. Soares fu così il primo Presidente della Repubblica non militare, e la sua figura carismatica e le sue iniziative di carattere sociale ed umanitario lo resero ben presto più popolare di quanto non lo avesse reso il suo ruolo nella delicata transizione democratica portoghese. Senza mettere da parte la sua identità “socialista, laica e repubblicana”, Soares volle essere il Presidente di tutti i portoghesi, e cioè porsi in maniera aperta ed ecumenica anche rispetto alle culture cattoliche e meno progressiste del Paese. A conferma di questa intenzione, basti ricordare la cautela di Soares nel voler limitare dolorose rese dei conti sia contro il vecchio regime dell’Estado Novo, che contro gli esponenti del terrorismo di estrema sinistra negli anni Ottanta. Persino il generale Spínola, che pure si era mosso contro la decolonizzazione e per rallentare la democratizzazione portoghese, venne lentamente ma definitivamente riammesso nell’eterogeneo alveo dei padri nobili della Rivoluzione dei Garofani.

Dopo la presidenza: un’eredità attuale in un Portogallo cambiato

Soares vinse anche le elezioni presidenziali del 1991, mentre il PS, nel 1995, vinse finalmente le elezioni parlamentari con un ampio mandato. Soares non si candidò per un terzo mandato, poiché vietato espressamente dalla Costituzione che un Presidente potesse avere tre mandati consecutivi, ma non abbandonò la politica né il partito. Tre anni dopo era eletto nel Parlamento Europeo. Con grande lucidità, negli anni Novanta fu critico nei confronti della direzione verso cui le élite europee stavano portando il progetto europeo, dominato da “grigi tecnocrati” che a suo dire non si assumevano “la responsabilità di offrire una visione del futuro”. Nel 2006 fu ancora candidato dal PS, in grave affanno elettorale, alla presidenza: finì terzo, dietro Manuel Alegre, il candidato della sinistra dissidente, e Aníbal Cavaco Silva, candidato di destra, che vinse. Il vento non soffiava più nelle vele del padre della democrazia portoghese, incapace di risollevare le sorti del suo partito, ma accettò con serenità la sconfitta, giustificandola con la diffidenza dei portoghese per un terzo mandato ad un ex-Presidente e difendendo comunque la sua candidatura “come un incoraggiamento a tutti gli anziani che si rifiutano di morire prima del loro tempo”. Nuove critiche giunsero contro l’austerity: accusò i leader dell’eurozona di condurre la moneta unica verso il baratro, criticò il FMI, cui pure egli stesso ricorse nel 1983, e il resto della troika per i suoi tassi d’interesse eccessivamente alti ed espresse una memorabile reprimenda alla “virtuosa” Finlandia di Katainen, rea di essersi trasformata in un Paese conservatore e aver abbandonato la solidarietà che la contraddistingueva ai tempi di Kalevi Sorsa, la cui generosità contrasta con quella di “questi nani che vogliono governare la Finlandia” dando ai finnici l’illusione che “mercati speculativi e criminali fiscali possono distruggere nazioni con novecento anni di storia indipendente alle spalle”.

Alla morte di Mário Soares, la sua esperienza è stata ricordata con gratitudine da tutte le forze politiche, anche quelle che un tempo si opposero risolutamente a lui sia da destra che da sinistra. Lo salutano i vecchi compagni di tutta Europa e dei Paesi liberatisi, da soli, ma anche grazie al suo impegno, dal giogo coloniale portoghese, dalla Guinea-Bissau alla Cina. Ed è certamente un segno dei tempi e della forza della democrazia se oggi al governo in Portogallo ci sono i socialisti col sostegno esterno anche dei comunisti del PCP. Un fatto impensabile fino a poco tempo fa. L’esempio di Mário Soares è un esempio di lealtà alle idee del socialismo democratico e ai valori di uguaglianza e libertà, di grande capacità politica, e di generosità. In un tempo in cui spesso si dubita del valore dell’azione politica e della democrazia, giova ricordare una delle ultime considerazioni del compagno Soares a conclusione del suo incarico presidenziale: “se avessi vissuto in una democrazia, invece di spendere 32 anni facendo avanti e indietro dalla prigione, scappando dalla polizia e cospirando in segreto, avrei potuto fare molto di più per il Portogallo”. Ricordiamo però anche la capacità di Soares, condivisa con molti leader socialisti del tempo, di fare sistema in Europa e nel mondo, di riuscire ad essere solidali e coesi pur nelle inevitabili e spesso profonde divergenze di pensiero e nonostante i diversi interessi nazionali. In questo senso, Soares non è solo un esempio individuale, ma anche un testimone dei valori positivi del socialismo.

Fonte: pandorarivista.it