SOLO UNA CULTURA LAICA E SOCIALISTA PUO’ FAR SUPERARE LO STATO ATTUALE DI CONFUSIONE

“Sono oltre 20 anni che nel nostro paese la voce socialista non ha più la forza di una presenza sociale, culturale, e politica quale quella che abbiamo conosciuto. Tra le varie conseguenze c’è anche quella per cui dell’esistenza di una storia, di un pensiero socialista si è persa la memoria. Le nuove generazioni dovrebbero essere prese da una strana curiosità storica per – se non condividere – ma almeno conoscere questa storia. E questo è già un problema negativo che molti tendono coscientemente ad alimentare. Ma occorre aggiungere che i non pochi tentativi di correggere questa deriva, non sono stati e non sono tuttora, all’altezza di questa situazione. E tanto per evitare di cercare motivazioni poco convincenti di questa storia, sembra che vada ricordato come sia vero che esistono difficoltà del movimento socialista anche in altri paesi a noi confrontabili, ma non nei termini in cui la possiamo misurare da noi: la situazione italiana mi sembra del tutto anomala. Il fatto è che mentre tutti stanno festeggiando i 28 anni dalla caduta del muro, da noi si dovrebbe commemorare anche i 25 anni dalla chiusura del socialismo, cosa che non mi sembra ne banale e nemmeno rintracciabile in altri paesi. Ma di questo non si parla nemmeno tra noi.”

“In effetti i due eventi – pur se non confrontabili sul piano storico – sono molto interconnessi nel senso che mentre dal primo evento si poteva immaginare che si potesse – tra l’altro – porre fine ad un lungo dibattito a sinistra con il riconoscimento sul campo delle ragioni del movimento socialista, in quello stesso momento si pensò bene di trasformare il PSI in un attore politico anticipatore di quei movimenti personali che avrebbero contrassegnato l’organizzazione politica nell’Italia della seconda repubblica, con tutte le logiche conseguenti anche sul piano etico, oltre che democratico, ma che con il socialismo hanno ben poca a che fare.

Paradossalmente nel momento in cui i socialisti potevano finalmente dire di aver vinto, pensarono bene di occuparsi d’altro. Tutto questo offrì il destro agli ex comunisti per concludere che se era vero che il comunismo era morto, la socialdemocrazia stava molto male, scambiando – non so con quanta buona fede – il caso Craxi, opportunamente alimentato, ma non certo privo di colpe pesanti, con il movimento socialista. La conclusione logica di stampo liberista, le vediamo oggi al Governo, è il risultato di quelle vicende e della soluzione elaborata secondo il modello, senza storia e senza memoria, in stile “veltroniano”.

Il punto di forza di questo modello sta nel fatto di avere sposato la teoria secondo la quale un partito di sinistra potrà andare al governo solo se si espande al centro e a destra. Una specie di canto delle sirena per tutti gli opportunismi, le approssimazione e quant’altro. Un’altra anomalia italiota sulla quale si potrebbe chiosare nel senso che in Italia una sinistra sarà al governo solo quando non sarà più tale. Il colmo dell’ipocrisia sembra si possa rintracciare nelle recenti commemorazioni di Berlinguer, assunto, pur con varie titubanze, come teorico dell’attuale compromesso storico e padre di questa seconda o terza repubblica. Una vittoria che probabilmente ora Berlinguer si guarderebbe bene dal condividere. Con il che noi dovremmo trovare una conferma per quella alternativa di sinistra, sconfitta sul campo ma che, oggi, dovremmo non commemorare, ma riprendere a approfondire.

Potremmo concludere che per il bene del Paese siamo disponibili ad assumerci questo ruolo di testimoni gloriosi ma superati di una storia che ci ha lasciato indietro. Un sacrificio pesante, ma in cambio di una valore elevato.

Purtroppo non è così perché tra le varie anomalie di questo Paese c’è, da un tempo altrettanto lungo, anche quella di una crisi economica, sociale e democratica che non è quella internazionale, ma è una crisi tutta nostra. Una crisi che ci condanna ad uno sviluppo costantemente inferiore a quello degli altri paesi avanzati, una crisi che non a caso è stata chiamata “un declino”. Una crisi che sappiamo essere complessa e strutturale o, come ormai si riconosce, “culturale”.

E anche volendo, non è possibile separare queste due anomalie: l’eliminazione del pensiero socialista e la crisi culturale del Paese. Potremmo intanto verificare se su queste doppie e connesse anomalie siamo in linea generale d’accordo. Come, dunque, uscire da questa situazione è la questione che dovremmo affrontare ma che attualmente non sembra che abbia ancora una linea maestra d’uscita.

Forse dovremmo mettere giù alcuni punti e incominciare a scambiarci delle libere riflessioni, costruire tra di noi una specie di Agorà. Ma purtroppo i tempi e le scadenze delle crisi non sono favorevoli ad una ipotesi del genere. Forse potremmo costituire un “sito” Agorà, critico verso tutte le scemenze che circolano e verso quei linguaggi che pensano di compensare la leggerezza del pensiero con la pesantezza delle parole. Tuttavia non credo sia utile spendere le nostre energie per chiosare le vicende politiche quotidiane, sarebbe una forma di autoesclusione senza nessun compenso. Dovremmo pensare di porre noi delle questioni intorno alle quali richiamare l’attenzione e un impegno sempre più diffuso, non come cattedre personali ma come visione di una società che come dice il titolo di oggi è: “più libera, giusta e solidale”.

Penso ad esempio alle questioni del costo della politica nella versione classista per cui può essere realizzata in proporzione ai redditi disponibili, alle questioni della informazione che fa il paio con quella precedente, alle questioni della incompatibilità tra una crisi sociale drammatica e un distribuzione della ricchezza ineguale quale quella in atto, ai ritardi ormai storici del nostro sistema produttivo, alla assenza di ogni visione macroeconomica per il nostro Paese, alla mancanza di una seria politica industriale, alla condizione nella quale versa la formazione e la ricerca. Tutto questo certo non per sottovalutare la dimensione internazionale della crisi entro la quale si trova anche il nostro paese.

C’è, infine, un compito a cui – sarà per presunzione – solo una cultura laica e socialista può mettere mano, ed è quello di superare lo stato di confusione con cui la cultura economica sta conducendo le vicende sociali ed economiche che attengono obiettivamente ormai a tutto i mondo. Uno stato di confusione che riguarda anche parti consistenti di quella pseudo sinistra che crede di poter dimenticare la storia e la cultura socialista, con il risultato di sposare una ottica miope, accumulando così ritardi anche su questioni essenziali per uno sviluppo sostenibile come i disastri ambientali evidenziano in maniera drammatica.

Sergio Ferrari