Sovranità popolare e legge elettorale “rosatellum”

di Paolo Maddalena*

 

1. “Appartenenza” e “esercizio” della sovranità popolare in Costituzione.

E’ noto che la nostra Costituzione repubblicana e democratica affida essenzialmente alla rappresentanza parlamentare il compito fondamentale della funzione legislativa, cioè della massima espressione della sovranità. Il lapidario art. 70 Cost. afferma, infatti, con estrema chiarezza che “la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere”.
Ma non si deve dimenticare che “titolare” della sovranità è il Popolo, al quale la Costituzione riconosce e garantisce anche “l’esercizio” della sovranità stessa. Il secondo comma dell’art. 1 della Costituzione recita, infatti, che la sovranità “appartiene” al Popolo, che la “esercita” nelle forme e nei limiti della Costituzione”, mentre il secondo comma dell’art. 71 Cost. precisa che “il Popolo esercita l’iniziativa delle leggi, mediante la proposta, da parte di almeno cinquantamila elettori, di un progetto redatto in articoli” e il ben noto primo comma dell’art. 75 prescrive che “è indetto referendum popolare per deliberare l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge, quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali”.

Dunque, la “sovranità”, non ostante qualche parere contrario (che parla di una distribuzione di sovranità tra il Popolo e il Parlamento), “è unica e indivisibile”, mentre nel diritto positivo dell’Europa continentale vale sicuramente il principio secondo il quale i “Parlamentari” sono “rappresentanti dell’intero popolo o nazione” e proibisce ogni forma di mandato imperativo. In sostanza, il Popolo “esercita” la sua sovranità soprattutto attraverso la “rappresentanza politica”, ma anche attraverso “istituti di democrazia diretta” (si pensi alle leggi di iniziativa popolare, o ai referendum); o mediante la ”partecipazione” di tutti i cittadini “all’organizzazione politica economica e sociale del Paese” (art. 3, comma secondo, della Costituzione). Partecipazione che è rafforzata dal quarto comma dell’art. 118 Cost., il quale precisa ulteriormente che è “favorita” “l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli o associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà” (Alberto Lucarelli, Beni comuni. Dalla teoria all’azione politica, Roma, 2011).

Insomma “l’appartenenza” della sovranità e il suo “esercizio” spettano soltanto al Popolo, il quale si avvale, a tal fine, di diverse modalità, primo fra le quali, il ricorso all’istituto della rappresentanza parlamentare.
Se ne deve trarre la conseguenza che “l’appartenenza” della sovranità al popolo, e il suo “esercizio” nell’interesse del Popolo, sono valori fondamentali e inviolabili, da difendere con tutti i mezzi posti a disposizione dalla stessa Costituzione.
Una precisa “tutela” dell’appartenenza della “sovranità al Popolo”, si nota agevolmente nell’art. 72 Cost., il quale, dopo aver disciplinato procedure, per così dire, abbreviate, per la emanazione delle leggi, puntualizza, al quarto comma, che “la procedura normale di esame e di approvazione diretta da parte della Camera è sempre adottata per i disegni di legge “in materia costituzionale ed elettorale” e per quelli di delegazione legislativa, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali, di approvazione di bilanci e consuntivi”. Come si nota, si tratta di precisi limiti posti alla rappresentanza parlamentare, al fine di assicurare una maggiore tutela della “sovranità popolare”, nelle materie in cui quest’ultima,viene, per così dire, in maggiore esposizione. Ma molte altre, come presto si vedrà, sono le disposizioni che difendono “l’appartenenza” al Popolo della sovranità e, si ripete, il suo “esercizio”, nell’interesse del popolo sovrano.

2.Violazioni formali e sostanziali della Costituzione da parte della legge elettorale detta “rosatellum”.

Ciò detto, l’approvazione della legge elettorale “rosatellum”, avvenuta con tre col pi di “fiducia” alla Camera e cinque colpi di “fiducia” al Senato, appare come qualcosa di assolutamente fuori del prevedibile, in quanto, anziché tutelare la “appartenenza” della sovranità al popolo e il suo corretto “esercizio” nell’interesse di questi“, molto visibilmente calpesta e si impadronisce dei “poteri sovrani” del Popolo stesso, platealmente violando norme imperative della nostra Costituzione.
La prima plateale violazione costituzionale, con contemporanea invasione dei poteri sovrani del Popolo, è quella dell’art. 72 Cost. Infatti, come si è accennato, il Parlamento (e cioè l’Organo dello Stato comunità che dovrebbe rappresentare e tutelare gli interessi del Popolo) è stato costretto ad approvare una legge elettorale, a causa delle otto “mozioni di fiducia” poste dal governo, in palese contrasto con la tutela della sovranità popolare, considerata, sia sotto l’aspetto dell’appartenenza, sia sotto l’aspetto del suo esercizio.

Con questo strumento, non previsto in Costituzione, ma dai Regolamenti parlamentari (generalmente, per consentire di convertire in legge i decreti legge entro sessanta giorni dalla loro emanazione), in realtà è stata coartata la volontà del Parlamento, poiché esso è stato costretto a scegliere tra la eventuale approvazione della legge senza altre conseguenze, o la sua non approvazione produttiva di una “crisi di governo”. In altri termini, il Parlamento è stato posto nell’impossibilità di votare contro la legge elettorale in esame. Ed è da porre in evidenza che il Parlamento, obbedendo al Governo, si è assunto la responsabilità dell’operato, in quanto è stata la maggioranza parlamentare che nella realtà, approvando la legge, ha platealmente violato il citato articolo 72, quarto comma, della Costituzione.
Non meno invasivo dei “poteri sovrani” del Popolo è poi il “contenuto” di questa legge. In sostanza è stato tolto al Popolo italiano il potere, fondamentale in democrazia, di scegliere i propri rappresentanti, quei soggetti cioè cui affidare la “rappresentanza politica” degli interessi del Popolo. Infatti, non c’è traccia delle “preferenze” da esprimersi sui candidati da parte degli elettori. Si parla soltanto di una quota maggioritaria di due terzi e di una quota proporzionale di un terzo, per le quali saranno i partiti a proporre i loro “listini bloccati”.

Come se ciò non bastasse, si prevede che il voto dato per la quota maggioritaria, votando nei collegi uninominali, vale anche per il voto da ripartire per la quota proporzionale. In altri termini, è vietato il cosiddetto “voto disgiunto”, nel senso di permettere all’elettore di votare un candidato del collegio uninominale facente parte di una certa lista e di poter scegliere per la quota proporzionale anche un candidato appartenente a una lista diversa. Il colmo si raggiunge poi
nella previsione che consente di candidarsi in cinque collegi proporzionali diversi, oltre che nel collegio uninominale, con l’assurda conseguenza che i “partiti” potranno “blindare” alcuni nomi presentandoli fino a sei volte.
Insomma, con questa legge, il sommo “potere sovrano” del popolo, quello di eleggere liberamente i propri “rappresentanti”, è passato ai “partiti”, i quali sono posti in grado di strumentalizzare il voto popolare in vista delle loro spartizioni di potere.

E tutto questo avviene attraverso patenti violazioni delle disposizioni costituzionali. Violato è innanzitutto l’artico 3 della Costituzione, poiché è certamente “irragionevole” che una legge, la quale dovrebbe rendere libera e trasparente la scelta dei “rappresentanti politici”, chiamati a “esercitare” la sovranità del Popolo, nell’interesse di questi, fa sì che
siano gli stessi “candidati” che si accordano tra loro, per consegnare la vittoria al personaggio loro stessi più gradito. Violato è altresì l’art. 48 Cost., il quale prevede , al secondo comma, che “il voto è personale ed eguale, libero è segreto. Il suo esercizio èdovere civico”. Infatti, a ben vedere, sono cancellati, sia l’eguaglianza, sia la libertà del voto. Se si pensa che con questa legge i partiti hanno il potere di favorire un candidato sugli altri, è evidente che chi vota secondo la volontà dei partiti riesce a dare al suo voto un peso maggiore di quello espresso da chi non si associa alla volontà partitica. Inoltre, manca anche la “libertà” del voto: basti pensare che non ci sono “preferenze” e che l’elettore è costretto a scegliere nell’ambito di “listini bloccati.

D’altro canto, e la cosa è davvero impressionante, il cittadino non può più esercitare il suo voto come “dovere civico”, poiché, come è evidente, il ”dovere” è quello di esprimere una “volontà propria”, non una volontà contorta e soffocata dal sistema elettorale. Ma ciò che appare ancora più sorprendente è che viene praticamente cancellato anche l’art. 49 Cost., secondo il quale i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Quale “politica nazionale” esprimono questi partiti, che propongono programmi menzogneri, pensano a strane coalizioni con altri partiti e tutto sono disposti a fare, pur di entrare a far parte della maggioranza parlamentare?
La verità è che, con questa legge, il Parlamento si è posto contro il principio sacro santo dell’”appartenenza” della sovranità a Popolo e si è appropriato dei “poteri sovrani” di un altro Organo dello Stato comunità, Il “Corpo elettorale”, ingabbiando le sue attribuzioni in una serie di norme che impediscono il libero svolgimento “dell’esercizio” della sovranità popolare.

3. Inquadramento del problema nell’ordinamento dello Stato comunità e dei suoi Organi. Il rapporto della “parte” e del “ tutto”.

Infatti, la nostra Costituzione, come è noto, non considera più la “sovranità” un attributo dello Stato persona, ma dello “Stato comunità”. In altri termini, come chiaramente ha dimostrato il Sandulli (vedi il primo capitolo del suo Manuale di diritto amministrativo) allo “Stato persona”, o “apparato”, si è sostituito lo “Stato comunità”, con la conseguenza che il concetto di “Stato persona giuridica” è riferibile soltanto alla P.A., da considerare anch’essa un Organo dello Stato comunità.
In questo quadro, ovviamente, entrano in gioco i “rapporti” fra i vai Organi dello Stato comunità e, per quanto ci riguarda il rapporto tra “Popolo”, “Corpo elettorale” e “Parlamento”.

Non c’è dubbio che per la nostra Costituzione il “Popolo” è un “soggetto unitario”, i cui interessi trascendono quelli degli individui e dei gruppi che lo compongono. Come è stato notato (Nocilla, voce “Popolo”, in ED, Milano, 1985, p.359), il Popolo ha “una sua unità, una sua capacità di volere e, in definitiva, una sua soggettività”. Peraltro, questo “soggetto unitario”, quando agisce per eleggere i propri rappresentanti, fa ricorso a un proprio “Organo”, il “Corpo elettorale”, costituito d a tutti i cittadini ai quali è riconosciuta la capacità elettorale. I “cittadini”, dal canto loro, quando esercitano il diritto di voto, che è anche un “munus”, una “funzione pubblica” e pertanto un “dovere civico”, agisce “come singolo” e “come parte del Popolo” (Damiano Nocilla, Luigi Ciaurro, voce “Rappresentanza politica”, in ED, Milano, 1987, vol. XXXVIII, p. 584).

Dunque, non è dubbio che la “libertà di voto” riguarda, sia il singolo, sia la Collettività, e che la sua tutela ha un valore sia individua le, sia collettivo. Del resto, l’art. 2 della Costituzione è molto esplicito nell’affermare una concezione della persona umana che esalta i due aspetti: quello dell’individualità e quello della partecipazione alla Collettività, sancendo che “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.

Né può essere messo in dubbio che il “cittadino elettore” così come agisce, nel votare i suoi rappresentanti, non solo come singolo, ma anche e soprattutto come “parte” del Popolo, altrettanto può fare per difendere, sul piano giurisdizionale, la “appartenenza” al Popolo della sovranità popolare e gli stessi “poteri” del Corpo elettorale, che tale sovranità è tenuto in gran parte a “esercitare”, entrambe insidiate da una legge elettorale apertamente in contrasto con i principi fondamentali e le disposizioni della nostra Costituzione. Si tratta della tipica “ actio popularis ” dei Romani, per i quali era incontestabile che il “civis”, l’abitante della “civitas” (da cui il nome “civiltà”),
potesse agire, nello stesso tempo, davanti al Pretore, sia nel proprio interesse che nell’interesse di tutto il Popolo (Settis, Azione popolare, Torino, 2012).

E qui, evidentemente, il richiamo all’azione popolare va interpretato alla luce di tutti i rimedi che la Costituzione prevede, e non solo, quindi, in relazione al ricorso al giudice comune. Quando vengono in evidenza comportamenti anomali degli Organi sovrani (dei quali subito riparleremo), come, ad esempio, il Parlamento, è chiaro che non ci si può limitare alla giurisdizione ordinaria, la quale trova il limite “dell’atto politico non impugnabile”, ma è indispensabile guardare alla possibilità di un ricorso diretto alla Corte costituzionale, la cui giurisdizione, come è ben noto, investe proprio l’attività, e cioè le funzioni, dei Poteri sovrani (P. Maddalena, Il territorio bene comune degli Italiani, Roma, 2004; Idem Gli inganni della finanza, Roma, 2016).

È comunque da sottolineare, a questo punto, che “l’organo” “Corpo elettorale”, cui spetta la “funzione pubblica” di “eleggere i propri rappresentanti” è una entità ben distinta dall’altro Organo dello Stato comunità, il “Parlamento”, cui spetta in via principale la “funzione legislativa”. La distinzione tra i due Organi e l’inesistenza di alcun legame è provato dall’art. 67 Cost., secondo il quale “ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”. Insomma, se è vero che ogni elettore vota anche come membro della Collettività, è altrettanto vero che il Parlamentare rappresenta l’intera Collettività, cioè la Nazione o Popolo che dir si vogli a (i due termini in Costituzione sono equivalenti).

E’ da notare, comunque, che, proprio “l’autonomia del Parlamento ne implica una responsabilità, proprio perché non vi può essere un potere completamente sganciato dalla responsabilità del suo detentore e, all’inverso, perché la responsabilità stessa implica a monte una capacità di autonoma determinazione” (Nocilla, Ciaurro, o. c., p. 567). E non v’è dubbio che il Corpo elettorale è “giudice esterno” dell’operato dei Parlamentari. La temporaneità della carica di Parlamentare, assicura, infatti, al Corpo elettorale di non rieleggere i Parlamentari che hanno dato cattiva prova del loro operato.

4. Necessaria configurazione del “conflitto di attribuzione” tra “Parlamento” e “Corpo elettorale”.

Se è vero che “Popolo”, “Corpo elettorale” e “Parlamento” sono Organi dello Stato comunità, con diverse funzioni e distinti poteri, non può negarsi che possano verificarsi tra detti Organi anche dei “conflitti di attribuzione”, di cui all’art. 37 della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 87.
In particolare, per quanto concerne il caso in esame, tenuto per fermo che la legge elettorale in questione calpesta platealmente la “sovranità del Popolo”, appare evidente che il “conflitto di attribuzione” riguarda l’aspetto “dell’esercizio” della sovranità e cioè il rapporto tra “Parlamento” e “Corpo elettorale”, e si “materializza”, per così dire, nel momento stesso dell’entrata in vigore della legge elettorale in questione, la quale “incide” direttamente sulle attribuzioni e sulle funzioni del Corpo elettorale, e cioè sulla libera scelta di tutti i cittadini aventi diritto di voto.
In ultima analisi, gli elettori non sono più in grado di “esercitare” la “funzione fondamentale” che la Costituzione loro affida, quella dinominare i “rappresentanti” del Popolo. E’ da sottolineare, peraltro, a questo proposito, che nel nostro caso non viene in discussione l’operato dei parlamentari soggetti al “controllo elettorale” cui poco sopra si faceva riferimento. Qui si tratta di una questione assai diversa, si tratta del fatto che una legge elettorale, violando, come si è detto, precise disposizioni della Carta costituzionale “ha inciso” profondamente sulla “sovranità popolare” e sulle “attribuzioni” del Corpo elettorale, il quale, in base a questa legge, non è più nella possibilità di esercitare liberamente le sue scelte e dar luogo a un Parlamento che sia effettivamente “rappresentativo”, un Parlamento cioè che “interpreti, esprima ed attui le tendenze spirituali e la volontà reale del Popolo” (Nocilla e Ciaurro, o. c., p.564 s.).

Quanto detto pone in evidenza che si tratta di una “invasione” del Potere del Corpo elettorale da parte del Parlamento effettivamente molto “grave”, condizione, questa, implicitamente prevista dall’art. 37 della citata legge costituzionale n. 87 del 1953, la quale non per niente divide il procedimento del conflitto di attribuzione in due fasi: la prima sull’ammissibilità del ricorso (si facilita così il superamento del conflitto anche con accordi diretti tra Poteri interessati), e l’altra dedicato al merito della questione. Il “giudizio di ammissibilità”, vale la pena di sottolinearlo, è insomma un giudizio ampiamente discrezionale, diretto ad accertare, non solo se sussistono effettivamente i presupposti del conflitto, sia sotto il profilo soggettivo, sia sotto il profilo oggettivo, ma anche e soprattutto l’entità della “invasione” di un Potere sulla sfera di attribuzioni di un altro Potere. E nel nostro caso certamente non si può negare che la ferita inferta dalla legge elettorale alla sovranità del Popolo e alle attribuzioni del Corpo elettorale è di tale entità che non è possibile non dichiarare l’ammissibilità del ricorso di cui si discute.

È la prima volta, nella storia della Repubblica Italiana che viene a delinears i un “reale conflitto” tra Corpo elettorale e Parlamento. Infatti, i precedenti giurisprudenziali che parlano di “conflitti di attribuzione” non hanno mai riguardato la prospettazione che si è poco sopra delineata. Le ordinanze nn. 189 e 284 del 2008, hann o dichiarato l’inammissibilità del ricorso, in quanto questo “risulta rivolto non già a sollevare un conflitto di attribuzione, quanto piuttosto ad ottenere la dichiarazione di illegittimità costituzionale” (in detti ricorsi si invita, infatti, la Corte costituzionale a sollevare dinanzi se medesima il conflitto di attribuzione). L’ordinanza n. 57 del 1971 si limita a dichiarare il ricorso inammissibile, in quanto “sollevato da soggetti od organi estranei” ai “Poteri dello Stato” (e non è il caso nostro, po iché il conflitto viene sollevato da cittadini nella qualità di “membri”, cioè di organi, del Popolo). L’ordinanza n. 296 dichiara inammissibile il ricorso “in quanto difetta, nella fattispecie in esame, la materia stessa del conflitto di attribuzione”.

Dunque, è solo oggi che la Corte costituzionale, in un contesto del tutto abnorme, nel quale il Parlamento fa prevalere gli interessi della classe politica sugli interessi del Popolo, è chiamata a pronunciarsi su una questione, che concerne lo stesso “esercizio” della “sovranità popolare” e le stesse “attribuzioni del Corpo elettorale”. E’ principio fondamentale della giurisprudenza costituzionale che debba esserci comunque un “giudice” per le situazioni di contrasto con i principi fondamentali della nostra Costituzione. E questo è davvero un caso estremo. Se resta in piedi questa legge, avremo un Corpo elettorale mutilato della sua libertà di scelta, un Parlamento costituzionalmente e perennemente illegittimo e, forse, la fine dell’effettività delle norme costituzionali. Lo chiediamo, come “parte” del tutto, in nome dell’Italia repubblicana e democratica.

* Vicepresidente emerito della Corte costituzionale