La campagna elettorale, di fatto, è già iniziata, ma sulla legge che dovrà regolare il voto pende ancora la spada di Damocle della Consulta, chiamata il 12 dicembre a pronunciarsi sul Rosatellum bis. Un passaggio che potrà essere da subito decisivo oppure riservare un secondo round, ma che fin d’ora apre molti interrogativi tra gli stessi giuristi.
A differenza di quanto accadde col Porcellum, inviato alla Corte dalla Cassazione, e con l’Italicum, che arrivò alla Consulta perché alcuni tribunali sollevarono dubbio di costituzionalità, questa volta sul Rosatellum i giudici sono chiamati a dirimere un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato. A proporlo, i capigruppo Cinquestelle contro la Camera di appartenenza, ritenendo lese le loro prerogative di parlamentari perché la norma è stata approvata con diversi voti di fiducia. A rappresentarli un pool di legali, tra cui Felice Besostri, già in campo contro Porcellum e Italicum. Nella camera di consiglio fissata per le 16 del 12 dicembre, la Corte valuterà anche alcuni ricorsi sull’Italicum. Ma il piatto forte è ovviamente il Rosatellum.
E trattandosi di un conflitto, non di una questione di costituzionalità, la Corte, prima di esaminare la norma, dovrà valutare se il ricorso ha tutte le carte in regola per essere ammissibile e se i ricorrenti si qualifichino come poteri dello Stato.Se questo step non dovesse essere superato, la partita si chiuderà e il Rosatellum sarà salvo. Altrimenti, sarà fissata una data d’udienza per discutere i contenuti della legge. In altri conflitti ad alta densità politica, la decisione sull’ammissibilità era scontata. Questa volta no e il tema fa discutere gli esperti. Se ne ha un “assaggio” su Nomos, la rivista coordinata dal costituzionalista Fulco Lanchester, che on line pubblica le anticipazioni del prossimo numero e i contributi di numerosi giuristi e addetti ai lavori – gli stessi che il 5 dicembre ne discuteranno alla Sapienza in un incontro insieme ad Alfredo D’Attorre (Mdp), Lucio Malan (Fi), Ettore Rosato (Pd) e Danilo Toninelli (M5S).
Per Paolo Maddalena, vicepresidente emerito della Corte costituzionale, la posta in gioco investe «l’esercizio della “sovranità popolare”» attraverso i suoi rappresentati e «la ferita inferta dalla legge elettorale alla sovranità del Popolo e alle attribuzioni del Corpo elettorale è di tale entità che non è possibile non dichiarare l’ammissibilità del ricorso». Di tutt’altro avviso il costituzionalista Stefano Ceccanti, che non solo sottolinea come il ricorso «riproponga argomenti già bocciati», ma parla senza mezzi termini di «estroso tentativo di conflitto di attribuzioni», ricordando come i regolamenti parlamentari non prevedono la legge elettorale tra le materie per cui è esclusa la fiducia.
Ma Giampiero Buonomo, consigliere del Senato, fa notare che «la maggioranza, su ben due leggi elettorali», Italicum e Rosatellum, «è andata a testa bassa con ripetuti voti di fiducia» e proprio il conflitto tra poteri può essere lo strumento che «sanzioni non tanto e non solo il prodotto della forzatura, ma la forzatura in sé». Resta da chiedersi se imboccare questa strada non possa «in astratto comportare la legittimazione di uno o più parlamentari a sollevare conflitto per qualunque legge» e se questo non trasformi il conflitto da «strumento eccezionale» a «ordinario strumento di lotta politica». È la domanda che si pone il costituzionalista Massimo Villone e se la porranno senz’altro anche i giudici della Corte.
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