GIUSTO TOLLOY IL XXX CONGRESSO E L’ORGANIZZAZIONE DEL PARTITO DI MASSA

Dall’esame di questi significativi passi degli interventi dei dirigenti del partito alla conferenza nazionale d’organizzazione, nella quale viene delineata l’ossatura del partito morandiano, possiamo trarre le seguenti conclusioni:
a) Pur avendo la “sinistra” conquistato al congresso di Firenze del 1949 la maggioranza, una profonda spaccatura persisteva nel partito. Essa è dimostrata dalle resistenze che si manifestano a tutti i livelli alla politica della direzione, ed al suo dogmatismo ideologico.
b) Queste resistenze si manifestavano soprattutto nei NAS (Nuclei Aziendali Socialisti) dei settori operai e nel sindacato (corrente socialista della CGIL). Per stroncare le resistenze operaie, la direzione ricorre:
1) all’organizzazione capillare dei NAS, concepiti come organismi privi di autonomia politica ed organizzativa, per isolare i nuclei operai, e per spegnere l’iniziativa socialista di base nelle fabbriche;
2) alla imposizione delle liste unitarie nelle elezioni di CI, e nelle elezioni per le cariche sindacali e nelle Camere del Lavoro;
3) alla liquidazione della corrente sindacale socialista come espressione organizzata ed autonoma, ed alla graduale sostituzione, con l’aiuto del PCI, di nuovi quadri dirigenti sindacali ai quadri autonomisti.
c) La struttura del partito, fondata sui principi del marxismo-leninismo, e del “centralismo democratico“, si presenta come una composizione piramidale, fondata su scala gerarchica, in cui ogni istanza ha una funzione esecutiva rispetto alle decisioni della istanza immediatamente superiore, ed è priva di qualsiasi autonomia sia politica che funzionale. La direzione trasmette le sue decisioni alle federazioni direttamente, o alle giunte regionali (ove esistono) le quali provvedono a trasmetterle, a loro volta, alle federazioni. “La federazione raggruppa le sezioni in zone, nominando i responsabili di zona.

I responsabili di zona dovrebbero esercitare un’azione nei confronti delle singole sezioni affinché la sezione ripeta la stessa operazione della federazione; la sezione dovrebbe cioè suddividere i propri iscritti in tanti nuclei di strada o di cascina, nominando per ogni nucleo un responsabile; successivamente i responsabili di nucleo dovrebbero ciascuno suddividere il proprio nucleo in tanti altri piccoli gruppi di compagni, affidando questi gruppi minori alle cure di un Collettore. Il nucleo aziendale o NAS dovrebbe rientrare nel numero dei nuclei in cui è suddivisa la sezione ed essere esso stesso così legato alla sezione”. Così è precisata l’intelaiatura del partito “unitario“, per la politica di massa, di cui il PCI ha la direzione effettiva. Essa, attraverso la centralizzazione delle decisioni e la capillarizzazione della struttura esecutiva, deve permettere alla direzione il controllo diretto di tutto il partito, in ogni sua istanza, per farne lo strumento coerente dell’azione “unitaria”.
A questo compito, il gruppo dirigente morandiano appresta una schiera sempre più numerosa di funzionari giovani, per lo più di estrazione piccolo-borghese, che operano attivamente nel partito e nel sindacato.

L’apparato

I quadri dell’apparato vengono dislocati da una federazione all’altra, inviati dal centro, oppure assorbiti nel lavoro direzionale, secondo un preciso ed organico programma, che è finanziato con le ampie disponibilità di cui la direzione è dotata, a differenza della precedente direzione “autonomistica“.
Due sono i capitoli di spesa principali per la costituzione dell’apparato, che la direzione si assume per venire incontro alle esigenze delle federazioni:
a) contributi condizionati all’impiego di quadri ed attivisti;
b) somme erogate a titolo di sovvenzione.
Nel primo anno di gestione “unitaria” il rapporto tra queste due voci è stato di 1 a 3. Successivamente esso tende a livellarsi.
A tali spese vanno aggiunte quelle ingentissime per intensificare l’impegno organizzativo (spostamento dei funzionari centrali, convegni di organizzazione e di studio).
L’imponente sforzo organizzativo e finanziario posto in essere dalla direzione “unitaria” è sostenuto dal PCI con due precisi obiettivi: quello di assorbire e controllare le spinte autonomistiche della base operaia incapsulandola in una struttura politica centralizzata e gerarchica, riducendo così la stessa pressione della corrente socialista nella CGIL e le resistenze che essa presentava alla totale strumentalizzazione del sindacato. E con l’obiettivo di costruire e potenziare un partito socialista completamente controllato dall’apparato filocomunista, che fosse tuttavia in grado di raccogliere attorno a sé quelle notevoli forze di militanti e di elettori socialisti che il PCI non può direttamente organizzare ed attirare.

Il Partito comunista italiano vuole un Partito socialista sufficientemente organizzato, in grado oltre tutto di impedire la crescita elettorale ed organizzativa della socialdemocrazia che le elezioni del 18 aprile avevano dimostrato capace di influire sull’elettorato operaio in misura maggiore del previsto. Nello stesso tempo esso vuole permanentemente controllare l’organizzazione e l’iniziativa politica del PSI attraverso l’apparato di funzionari fedeli alla politica dell'”unità di classe“.

L’apparato morandiano non riesce completamente a soffocare i fermenti “autonomistici” della base socialista, nonostante le espulsioni a catena di militanti e di dirigenti. (Al congresso di Bologna del 1951, Morandi fa approvare una modifica delle norme statutarie che permette di delegare ai comitati esecutivi delle federazioni i provvedimenti disciplinari nei confronti degli iscritti, sottoponendoli successivamente alla ratifica dei direttori federali.) Molti militanti si dimettono, o non rinnovano la tessera. La gran parte, pur manifestando la propria solidarietà al partito, si assenta permanentemente dall’attività delle sezioni e delle federazioni.

Vi è un calo notevolissimo degli iscritti socialisti alla CGIL. Questi fenomeni vengono rilevati, pur nel clima di pieno conformismo, da significativi passi dei documenti dell’ufficio organizzativo del partito (di cui dopo il congresso di Bologna è divenuto responsabile Giusto Tolloy, mentre Morandi ha assunto la responsabilità del lavoro di massa), documenti contenenti le istruzioni alle federazioni per la preparazione della conferenza nazionale dei quadri, che si svolge a Roma dall’8 al 12 luglio 1952. In esso si denuncia “la scarsa assimilazione della politica del partito da parte della base”, la “disparità e disfunzionalità delle iniziative prese dalle federazioni”, e la “importanza della influenza ideologica che la socialdemocrazia esercita su larghi strati della popolazione”. “Laddove l’assimilazione non si è avuta o si riscontra manchevole, si deve dedurne che questa politica (quella unitaria) in effetti non s’è fatta, non s’è fatta del tutto, si è fatta in maniera episodica”.

Nel corso della conferenza numerosi interventi rilevarono come la pratica dell’unità d’azione fosse largamente inoperante, per cui gli organismi di consultazione a tutti i livelli restavano lettera morta in gran parte delle situazioni periferiche del partito.
L’impegno organizzativo e finanziario della direzione “unitaria” dà peraltro, come risultato, il potenziamento dell’apparato e dell’organizzazione. In due anni, dal dicembre 1950 al dicembre 1952, l’apparato viene pressoché raddoppiato: “I quadri permanenti di partito, esclusi gli organi nazionali, hanno avuto in due anni l’incremento del 71%. Di questi il 30% sono quadri interni del partito e il 70% sono quadri esterni, sindacali e di altre organizzazioni di massa“, afferma la relazione organizzativa di Tolloy al XXX congresso (Milano, 1953).

Il massimo progresso nel potenziamento dell’apparato viene compiuto nelle regioni del Veneto, dell’Emilia, delle Puglie, della Calabria, della Sicilia. “Si tratta di curare organicamente l’aumento del livello ideologico dei quadri e la formazione di nuove leve di essi, il che può avvenire con l’istituzione di una scuola nazionale di partito, e per una serie di quadri ancora più vasta attraverso la pubblicazione di un corso teorico di partito“.
L’età media dei delegati al congresso di Milano supera appena i 30 anni; sono i funzionari immessi nel lavoro di partito o degli organismi di massa che con il sistema delle votazioni unanimi hanno ottenuto la delega congressuale. Effettivamente il gruppo dirigente socialista viene in gran parte rinnovato, nel corso di questi anni, sia nelle istanze periferiche che in quelle nazionali.

I risultati dell’impegno organizzativo

Come la relazione organizzativa di Tolloy affermava, con il XXX congresso si conclude la prima fase dell’organizzazione del partito di massa, e si apre una fase nuova. Essa fa il punto sui risultati conseguiti.