MALFATTORI, SABOTATORI, LEGISLATORI

Il partito che si costituisce a Genova prende il nome di Partito dei lavoratori Italiani. In esso confluiscono duecento associazioni di lavoratori; i gruppi intellettuali e i Fasci siciliani di Palermo e di Catania. Lo Statuto prevedeva l’adesione per associazione e permetteva con l’articolo 17 l’adesione individuale solo in casi eccezionali. Era sostanzialmente ancora la vecchia struttura corporativa del Partito operaio, appena mitigata da qualche eccezione che permettesse agli intellettuali più prestigiosi di aderire a titolo personale. Il programma poggiava su tre punti-cardine:

  • Il riconoscimento dell’antagonismo di classe tra capitalisti e proletari;
  • L’obiettivo di attuare la socializzazione di tutti i mezzi di produzione e di gestirli collettivamente;
  • L’organizzazione di un partito di classe che persegua i miglioramenti economici attraverso la “lotta di mestieri” ma conduca anche una lotta più generale rivolta a conquistare i pubblici poteri (i Comuni, le Amministrazioni Provinciali, lo Stato) per trasformarli da “strumenti di oppressione e di sfruttamento in uno strumento per l’espropriazione economica e politica della classe dominante”.

Si ricalcava di fatto il modello della socialdemocrazia tedesca, per cui il partito si presentava come “rivoluzionario nei fini, legalitario nei mezzi“. Rompendo con l’insurrezionalismo, manteneva tuttavia una caratteristica rivoluzionaria, con una ambiguità storica che sarà campo di discussioni e contrasti anche dilanianti. Comunque la scelta della presenza in Parlamento fu concomitante alla nascita della organizzazione politica. L’aveva addirittura preceduta. Oltre alla presenza di Garibaldi nel primo Parlamento unitario – un Garibaldi che può essere considerato socialista a tutti gli effetti, anche se con caratteristiche tutte proprie – abbiamo ricordato quella di Andrea Costa. Il significato di questo impegno parlamentare può ben riassumersi nella epigrafe che Costa detterà qualche tempo dopo: “Da malfattori a legislatori“.

Nell’anno successivo alla fondazione il partito cambia la sua denominazione in quella di Partito socialista dei lavoratori Italiani (PSLI). Vi appare così una qualificazione politica specifica (socialista) accanto alla qualificazione sociale (dei lavoratori). Non basta più essere “lavoratori” per farne parte, ma occorre essere lavoratori “socialisti“.

Questo avviene a Reggio Emilia, dove s’è tenuto il secondo congresso. Ancora, due anni dopo, a Parma, un nuovo congresso fissa l’etichetta definitiva: Partito socialista italiano (PSI), con la quale la qualificazione politica cancella quella sociale o, meglio, s’identifica con essa. Il partito assume, in quanto socialista, la rappresentanza esclusiva del mondo del lavoro.

È una decisione basata non su di una presunzione, bensì su un dato di fatto, in quanto in questo triennio l’espansione del partito è stata rapidissima, sia in termini elettorali che organizzativi. Il suo messaggio politico viene raccolto in ogni contrada del paese, dagli operai e dai contadini, dagli artigiani e dai professionisti. Sempre più numerosi affluiscono nelle sue fila intellettuali, giovani e, enorme novità per l’epoca, le donne. È questa affluenza che impone di affermare il principio della piena legittimità della adesione individuale, direttamente al partito, non più attraverso le associazioni. Principio che viene definitivamente sancito, appunto, al congresso di Parma del 1895.

E un congresso che si svolge nella clandestinità, in seguito alle leggi eccezionali che Crispi – irritato per l’aperta ostilità dei socialisti all’impresa africana – ha fatto approvare dal Parlamento. In base ad esse le organizzazioni socialiste vengono disciolte e l’assise nazionale deve tenersi in forma illegale. Sono gli anni della adesione di intellettuali di grande prestigio e di grande popolarità, come Cesare Lombroso, Enrico Ferri, Edmondo De Amicis e tanti altri. In quasi tutte le università Italiane si costituiscono gruppi di studenti socialisti. Sono gli anni dell’esplosione delle lotte in Sicilia, dei conflitti cruenti tra gli aderenti ai Fasci siciliani e i “gabellotti” dei latifondisti, sostenuti dalle truppe inviate dal governo centrale, che risponde alle lotte dei lavoratori siciliani, esasperati dalla miseria e dalla fame, con la repressione, lo scioglimento dei Fasci e i processi e le condanne contro i capi del movimento: De Felice, Barbato, Garibaldi Bosco, Bernardino Verro ecc…

Sono gli anni anche del sorgere di un movimento operaio cattolico-sociale, per iniziativa di personaggi come don Albertario, movimento che metterà presto vaste radici, contrastando l’egemonia e la rappresentatività socialista nel mondo del lavoro.

Nonostante la repressione e, probabilmente, proprio a ragione di essa, il PSI raccoglie sempre più vasti consensi nelle competizioni elettorali. In quelle del 1895 i voti salgono a 77.000 e la rappresentanza parlamentare ne risulta pressoché raddoppiata: 12 sono i seggi che spettano ai socialisti. L’anno seguente, in una elezione suppletiva a Milano, viene eletto per la prima volta Filippo Turati. La crescita elettorale conferisce indubbiamente una forza maggiore al partito nella sua azione politica, che si dispiega nella società civile, con le lotte sociali per il progresso economico dei lavoratori, per la difesa della democrazia e della libertà contro le repressioni autoritarie che avevano raggiunto già in quegli anni una fase acuta e cruenta che continuerà con la repressione di cui sarà teatro Milano nel 1898.

Il problema che si poneva concretamente all’intelligenza politica del partito, sia in quest’opera di difesa della legalità, sia nell’attività elettorale, politica e amministrativa, sia nelle battaglie parlamentari, era quello dell’alleanza con le forze della sinistra democratica. Dopo il congresso di Firenze del 1896, dedicato alla elaborazione del programma agrario per rispondere alle esigenze dei contadini espresse dai moti nelle campagne, è nel V congresso del partito che si impone il tema della alleanze. Settori notevoli della democrazia liberale mordevano il freno di fronte alle iniziative autoritarie di marca crispina. Da parte sua la sinistra democratica, repubblicana e radicale, mentre da un lato vedeva con preoccupazione nella crescita socialista il pericolo di una concorrenza soprattutto elettorale, dall’altra parte avvertiva già in essa le possibilità concrete di un sostegno reciproco per battere gli schieramenti moderati, in specie nei comuni e nelle province, oltre che la possibilità di convergenze parlamentari.

I socialisti erano interessati a non perdere l’occasione di possibili intese con entrambe queste due forze. In sei anni di vita del partito, tra il 1892 ed il 1898, l’organizzazione socialista viene soppressa per ben quattro volte. A mano a mano che le condizioni economiche e sociali suscitano un vasto e profondo malcontento nelle masse popolari, che si manifesta con moti che spesso sfiorano il livello insurrezionale, i socialisti ne sono coinvolti e, per forza naturale delle cose, sono destinati a guidare la maggior parte di questi movimenti. Sui socialisti, di conseguenza, si abbattono le repressioni da parte delle forze reazionarie che vedono nei loro capi i “sobillatori” come Turati dirà in un suo scritto.

Lo scontro si fa violento. Si cerca di isolare il partito, per stroncarne la crescita che già si presenta imponente. Gli uomini da colpire, i dirigenti più prestigiosi, pagano di persona. E non si tratta di mestatori, di estremisti infuocati, di rivoluzionari di professione: si tratta di democratici che hanno scelto la via della legalità e che se la vedono precludere. Si tratta allora per il gruppo dirigente socialista di uscire dall’isolamento, di creare punti di contatto con le forze politiche e parlamentari riluttanti ad una politica di repressione quale quella avviata dai governi del tempo, di stringere le alleanze necessarie.