di Silvia Ballestra
Autunno 1932. Durante una visita al fratello Max deportato a Ponza con l’accusa di far parte del gruppo romano di Giustizia e Libertà, alla giovane Joyce Salvadori viene affidato un incarico: deve portare un documento scritto fitto fitto e contenente un progetto di evasione a Emilio Lussu e consegnarlo a lui e a lui soltanto.
Joyce, ventenne, bellissima, alta, bionda, colta ed elegante, arrotola quella carta, la infila nel manico cavo della sua valigia in fibra e parte alla ricerca di mister Mill (questo il nome finto di Lussu che vive da clandestino). Inizia proprio così, esattamente come un romanzo, o come un film, la storia fra Emilio e Joyce. A quell’epoca Emilio Lussu è un personaggio davvero «leggendario». Valoroso capitano dell’eroica brigata Sassari nella prima guerra mondiale, tornato in Sardegna ha partecipato alla nascita del Partito Sardo d’Azione.
Nel 1921, a trent’anni, è stato eletto deputato. Ma sono soprattutto i fatti avvenuti dopo la presa di potere di Mussolini a renderlo un essenziale riferimento: fiero oppositore antifascista, nel 1926 è stato aggredito a Cagliari da mille squadristi che l’hanno assediato con l’intento di farlo fuori. Da dentro casa, armato di fucile, ha tirato: un giovane fascista è morto e per questo, nonostante la legittima difesa, Lussu è finito prima al carcere duro – dove si è ammalato di polmonite cronica – e poi al confino. Da Lipari, la sera del 27 luglio del 1929, con Carlo Rosselli e Fausto Nitti, è riuscito a scappare a bordo di un motoscafo guidato da Dolci e Oxilia (durante questa rocambolesca, impossibile e spettacolare, fuga, è rimasto a terra Paolo Fabbri). Una volta arrivati a Parigi, accolti da Salvemini, gli evasi hanno potuto raccontare a tutta l’Europa cos’è il fascismo in Italia e cominciare a organizzare Giustizia e Libertà.
Joyce Salvadori proviene da una famiglia «anglo-marchigiana». E’ nata a Firenze e da lì è scappata in Svizzera una sera del 1924, dopo che il padre e il fratello sono sopravvissuti miracolosamente a un pomeriggio di torture e violenze fasciste. Il padre Willie, infatti, uno dei primi laureati in Sociologia e libero docente all’Università, è vicino a posizioni socialiste nonostante la famiglia, ricchi proprietari terrieri di Porto San Giorgio, sia di orientamento opposto (per questo, lui e sua moglie Giacinta, hanno rotto coi nonni). Da quella terribile sera, la piccola Joyce, non ancora dodicenne, ha ricavato una radicale determinazione alla lotta contro la viltà e la violenza. Essere donna, si è detta, non è un privilegio o una scusa per non esporsi ai rischi e all’azione.
Sulle rive del lago Lemano, Joyce frequenta la Fellowship School, un collegio libertario, cosmopolita e pacifista. Ogni tanto torna nelle Marche, dai nonni, e a Fermo consegue la licenza liceale da privatista. Scrive poesie e, diciassettenne, conosce Benedetto Croce che la accoglie con amicizia e la incoraggia pubblicandola sulla Critica . Nel 1931 decide di andare ad Heidelberg per studiare filosofia. Suoi professori sono Jaspers e Rickert e Joyce si mantiene lavorando come istitutrice. Grande però è lo shock quando, in primavera, determinata assieme agli studenti di sinistra a fare un contraddittorio con Hitler arrivato per un comizio, vede dispiegarsi in piazza la potenza militare e violenta dei nazi inquadrati sotto il palco. I suoi professori sembrano non rendersi conto di quello che sta succedendo, hanno un atteggiamento di sufficienza ma Joyce, che viene dall’Italia fascista, sa! Capisce. Li riconosce. E, compreso che la filosofia in quel momento è inane, decide di partire. E’ il 1932.
Dunque, col suo messaggio nascosto in valigia, Joyce gira a lungo prima di riuscire a trovare Emilio: ha letto del famoso personaggio su tutti i giornali ma non sa che faccia abbia. Quando lui è passato a casa Salvadori in Svizzera, per portare una copia del suo libro La Catena , lei era all’estero. Ora lo cerca ovunque, a Parigi, in Belgio, in Alta Savoia. Alla fine, le fanno sapere, poiché Lussu è ad Annemasse a respirare aria di montagna, l’appuntamento è fissato a Ginevra, in casa del repubblicano marchigiano Chiostergi.
L’incontro fra l’affascinante e «prestigioso rivoluzionario» e la ragazza «proletarizzata dalla lotta e dall’emarginazione economica e sociale» è assolutamente romantico e travolgente. «L’amore era stato immediato e totale, il colpo di fulmine dei romanzi dell’Ottocento.» Così racconta Joyce. «Nella deflagrazione interiore innescata dal primo sguardo c’era già tutto: dall’intensa attrazione fisica al sincero rispetto, dal bisogno d’affetto alla passione politica.»
Una prima notte abbracciati in un letto a una piazza in una casa svizzera, un breve periodo insieme e poi la decisione di lasciarsi: Emilio non vuole, non può, impegnarsi in un rapporto.
È malato, ha ventidue anni più di lei, è un rivoluzionario refrattario alla vita di famiglia. Si lasciano ma Joyce è convinta di essere la donna adatta per lui. Continuerà a sentire un richiamo fortissimo per quell’uomo così interessante, così completo, anche da molto lontano. Anche se la separazione è assai lunga e i contatti praticamente impossibili.
Passano sei anni. Nel frattempo, Emilio è stato operato al polmone e ha trascorso molto tempo in sanatorio, a Davos, in Svizzera, dove ha scritto Un anno sull’altipiano. Dopo essere stato in Spagna a combattere con la brigata Garibaldi, è rientrato a Parigi con Nenni per i funerali dei fratelli Rosselli, il 19 giugno del 1937.
Joyce, come si è detto, non ha mai smesso di pensare a lui. In quei lunghi anni è stata in Africa, in Kenia e nel Tanganica, dove ha lavorato come operaia in un’industria per la brillatura del riso. Tornata in Europa, non potendo rientrare in Italia per via dei documenti scaduti, è stata in Svizzera e poi a Parigi dove, da studentessa lavoratrice, si è iscritta alla Sorbona.
Incontra Emilio e si rimettono insieme: stavolta per sempre e con l’obiettivo di costruire un tipo nuovo di unione, in cui la famiglia non sia una trappola ma semmai la base più solida anche per fare della robusta militanza. Eppoi una coppia felice non rientra negli schemi della polizia per cui all’epoca «un rivoluzionario era un irregolare, un fanatico, un individuo antisociale». Dunque, come scrive Emilio, è proprio «grazie alla compagnia di Joyce e alla sua collaborazione che io potei svolgere in quegli anni una costante attività antifascista illegale, senza cadere.»
Abitano prima all’Hotel de l’Université, poi trovano un piccolo appartamento nel Quartiere Latino e celebrano una specie di «matrimonio politico» in casa di Emanuele Modigliani concedendosi anche un piccolo viaggio di nozze, nelle campagne vicino Parigi. Nel 1940, all’entrata dei nazisti nella capitale francese – entrati senza che fosse sparata una sola cartuccia – Joyce ed Emilio escono di casa con una leggera borsa ciascuno (lui ha preso anche l’ombrello perché il cielo è coperto) e cominciano a camminare. Si trovano in un fiume spaventoso di gente disperata e in rotta: è una visione epica e terribile, Joyce è scoraggiata tanto da pensare di prendere la pillola di cianuro che si portano dietro per le peggiori eventualità. Emilio la rimprovera e insieme marciano fino a Tolosa. Da lì passano a Marsiglia dove mettono su un’organizzazione di espatrio clandestino.
Emilio si occupa di contatti e problemi logistici, Joyce, curva in uno sgabuzzino, prepara decine di documenti falsi: grazie alla loro audacia e abilità tecnica, molti anarchici, repubblicani, socialisti e giellisti riescono a mettersi in salvo in Africa.
Emilio, nel frattempo, lavora anche a un piano di sbarco in Sardegna e, per questo, decidono di partire per il Portogallo, paese neutrale. Lisbona è diventata un crocevia importante per le attività di diplomazia che Lussu deve imbastire con gli inglesi e i fuoriusciti italiani a New York. Joyce si è iscritta all’Università e studia portoghese: vivono sempre con nomi falsi e Joyce ha una doppia identità, quella vera per gli studi e quella falsa per girare. Da Lisbona si spostano a Londra, e mentre Emilio tratta col War Office, Joyce viene arruolata in un corso di addestramento delle ausiliare britanniche. Apprende tecniche di guerriglia, l’uso degli esplosivi, impara l’alfabeto Morse e a trasmettere per radio. Tutte cose che verranno utili per fare la guerra partigiana.
Quindi tornano nell’Europa occupata. Nel ’42 sono di nuovo a Marsiglia dove riprendono a organizzare l’azione verso l’Italia. Non stanno sempre appiccicati, Joyce ed Emilio: capita anche che passino lunghi periodi separati, impegnati in missioni differenti. Emilio, per esempio, parte per New York su una bananiera armata. E succede che Joyce, dopo aver aiutato i coniugi Modigliani a passare la frontiera svizzera, venga arrestata da soldati italiani che la credono francese.
Dice lei, però, che non si trattava di vere separazioni, che entrambi «sentivano» se l’altro stava bene o correva dei pericoli. Intanto non si faceva mai l’ipotesi peggiore e poi c’era fra loro una sorta di telepatia che scaturiva dalla profonda conoscenza e dalla forte volontà di stare insieme. Ma oltre che brava è anche fortunata, la coppia Emilio-Joyce: durante un tentativo di passaggio in Svizzera per rientrare finalmente in Italia, vengono arrestati da una pattuglia tedesca e si salvano perché Joyce conosce la lingua e può smussare le contraddizioni dei loro interrogatori. Alla fine, nel ’43, riescono a rientrare: Joyce prima, Emilio in seguito, dopo quattordici anni di esilio.
Nel giugno del 1944 Emilio e Joyce, col falso nome di coniugi Raimondi, abitano in piazza Randaccio, al quartiere Prati, Roma. Joyce è incinta di nove mesi. Durante l’anno precedente le è capitato di salvare l’intero gruppo dirigente del Partito d’azione riunito in casa di Ines Berlinguer da morte sicura: stavano giocherellando con dell’esplosivo credendolo materiale per costruire una radio.
Nel settembre del ’43, con Emilio, così come era successo a Parigi, aveva assistito all’entrata a Roma della Wermacht. Il 20 settembre era partita per conto del CLN con l’incarico di passare le linee e prendere contatto cogli alleati per un lancio di armi per le bande partigiane.
Ora si era al 6 giugno del 1944, appunto, e i nazisti erano stati cacciati il giorno prima da Roma. Ma ancora vigevano le leggi fasciste che imponevano il matrimonio, per poter riconoscere all’anagrafe il bambino. Così, alla presenza di un assessore della Giunta appena insediata in Campidoglio dal Cln, con, per testimoni, la portinaia dello stabile e un passante, vengono sposati coi loro veri nomi.
Qualche giorno dopo nasce il piccolo Giovanni. E qui inizia un’altra storia. Altrettanto bella ed emozionante ma del tutto nuova: quella della famiglia Lussu. In un paese che deve essere ricostruito ma che è finalmente libero e democratico. Anche grazie ad Emilio e Joyce.
Tratto da l’Ossimoro di Mario Artali
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