“UNA RIVOLUZIONE MANCATA: IL RIFORMISMO DI FILIPPO TURATI”

Lezione di storia, 12 marzo 2011 (Piazza S. Giovanni, Roma)

di Spencer Di Scala*

Antonio Gramsci, nell’analizzare il Risorgimento, utilizzò la frase “rivoluzione mancata” per criticare Giuseppe Garibaldi perchè egli aveva donato l’appena conquistato Regno delle Due Sicilie al Regno di Sardegna nel compimento dell’Unità italiana. Secondo Gramsci, c’erano le condizioni per le quali fosse possibile fare una rivoluzione sociale nel Sud che Garibaldi, invece, aveva soffocato con questo atto.

Secondo me, facendo questa analisi Gramsci aveva torto, anche se la sua frase ha avuto fortuna fra gli storici della sinistra italiana. Io credo che l’evidenza citata da Gramsci non regge e ho anche i miei dubbi riguardo al concetto. Si può, quindi, chiedere per quale motive ho utilizzato l’idea della rivoluzione mancata nel titolo di questa lezione.

La ragione è che nel caso di Filippo Turati, padre del riformismo italiano, il confronto tra quello che i riformisti italiani volevano fare, alla luce dello svilippo della società e della politica italiana, è molto più concreto che nel caso che ho citato. Nel caso del riformismo turatiano si possono individuare idee concrete e soluzioni per problemi che ancora affliggono l’Italia e, se i riformisti avessero vinto le loro battaglie, avremo oggi un’Italia molto più civile e moderna. Inoltre, si è persa la memoria storica di Turati e dei riformisti della sua epoca sicchè al giorno d’oggi, quando si parla tanto di riformismo, dopo 85 anni, gli italiani sono costretti a riscoprire una robusta tradizione italiana invece di poter costruire delle politiche adeguate per confrontare il mondo moderno sulle fondamenta gettate da Turati e dai riformisti della fine dell’ottocento e l’inizio del novecento.

Purtroppo, la colpa ce l’hanno non solo i politici ma anche gli storici. Per ricuperare la memoria storica di cui sto parlando, ho deciso di dividere questa lezione in tre parti: l’ideologia, la pratica, e la storiografia.

L’Ideologia

Nel discutere dell’ideologia di Filippo Turati e dei riformisti della fine dell’ottocento, il linguaggio naturalmente potrà sembrare un pò datato, ma i concetti si capiscono benissimo. Si deve tenere a mente che Turati, come fondatore del Partito, era un socialista che aveva dei forti agganci con i leaders di spicco del socialismo del periodo. Voglio anche far presente che nel riassumere la sua ideologia, ho considerato le idee che Turati ha espresso intorno al 1892, data ufficiale della fondazione del Partito socialista italiano. Durante quel periodo, come in molti periodi successive, si discuteva della violenza. Gli estremisti di allora, come quelli di oggi, argomentavano che solo la violenza poteva sconfiggere il capitalismo. Anche con l’avallo della sua compagna Anna Kuliscioff, che aveva già passato degli anni accanto ad Andrea Costa e che aveva avuto una lunga esperienza in Russia, in Francia e in Italia dove la violenza non aveva funzionato, Turati si è sempre opposto alla violenza.

Egli sostenne con convinzione e coerenza, invece, l’idea che il socialismo si poteva affermarsi solo come risultato di una lenta e pacifica trasformazione del capitalismo. Negò che la violenza costituisse parte integrante dell’ideologia marxista. “Così una rivoluzione non è tale per la violenza,” Turati scrisse, “ma a malgrado della violenza.” La violenza rivoluzionaria non fa altro che dimostrare che una società non è pronta per il socialismo.(1)

Secondo Turati, le idee socialiste devono essere diffuse pacificamente fino al momento in cui esse saranno penetrate nella società in modo talmente profondo che l’uomo non avrà più volontà di resistere ad esse. Una tale rivoluzione spirituale richiede naturalmente una intensa preparazione, allo scopo di approntare il terreno ideale per l’evoluzione, la quale, nel pensiero di Turati, è sinonomo di rivoluzione. Perciò Turati ha sempre condannato la “dittatura del proletariato”, e chi la predica si illude.

La rivoluzione arriverà soltanto attraverso una evoluzione della società borghese e il suo segno distintivo sarà costituito dall’assenza o dal minor uso possibile della violenza. Questo concetto di evoluzione sociale pervade tutto il pensiero di Turati. Egli era convinto che le contraddizioni insite nel capitalismo avrebbero presto o tardi causato il suo collasso, ma la sua peculiare avversione alla violenza e l’enfatizazzione della necessità di una evoluzione graduale differenziano la sua interpretazione di Marx. Non immaginò mai che il capitalismo sarebbe giunto alla fine in un breve periodo di tempo, e che quindi ai socialisti bastasse aspettare pazientemente. I socialisti devono al contrario operare per accelerare, attraverso le riforme, la naturale tendenza del capitalismo all’autodistruzzione. Perciò, quando Turati parla della “lotta di classe”, intende la lotta del proletariato per ottenere le riforme, un processo che dipende dalla volontà umana che esclude la violenza. Per questo, evoluzione e rivoluzione sono la stessa cosa.(2)

Il concetto di rivoluzione elaborato da Turati giocò una parte importante nella sua analisi del ruolo del proletariato italiano. Siccome la classe lavoratrice italiana non sarebbe in grado di improvvisare una società socialista, non è desiderabile che essa prenda il potere immediatamente.(3)

Durante gli anni, la classe lavoratrice ha assorbito essa stessa la cultura borghese: “Esso è tutto pieno di principi, di tendenze, di residui borghesi: il nemico che ha contro di se` lo ha anche in se stesso. Deve…gettare il vecchio uomo: questo non avviene in un giorno”.(4) Per il socialista, promettere ai lavoratori immediata e totale soddisfazione attraverso la violenza significa agire con intento fraudolento o, nella migliore delle ipotesi, con ignoranza. Il proletariato italiano, argomenta Turati, non può essere poco cosciente di se stesso e arretrato, come i socialisti lamentano, e al contempo domandare l’affermazione di una dittatura allo scopo di guidare la civiltà verso nuove frontiere. Il concetto di dittatura del proletariato conduce direttamente ad una concezione oligarchica di socialismo: i leaders che impongono le proprie idee sulle masse. Questo concetto porterebbe all’affermazione non già della dittatura del proletariato, ma all’affermazione di una dittatura contro il proletariato. Per Turati, “il socialismo e` una forza in divenire”, non l’imposizione violenta di un programma da parte dei leaders dei socialisti, e il partito ha il compito di “elevare” il proletariato.

L’elevamento della classe operaia”, Turati scisse nel 1892, “non è tanto un elevamento economico quanto un elevamento intelletuale e morale—e per riflesso necessariamente un elevamento politico”.(5) Secondo Turati, un continuo crescendo di riforme avrebbe potuto lentamente educare il proletariato per il suo futuro ruolo di amministratore della società socialista. Il proletariato può ottenere queste riforme lavorando praticamente all’interno delle istituzioni politiche borghesi. Agire all’interno del sistema capitalistico non implica una accettazione dello stesso. L’argomento avanzato dalla sinistra, secondo cui il consenso della borghesia alle riforme ha l’unico scopo di preservare se stessa, non convince Turati. (6)

Infatti, la sinistra socialista considerava la borghesia un unico blocco reazionario e si opponeva alle alleanze con qualunque parte di essa. Turati, invece, non ci credeva e non finiva di insistere che le alleanze politiche potevano aiutare il proletariato. Infatti, l’essenziale presupposto politico affinchè le riforme possano essere ottenute è la democrazia, che rende possibile la diffusione delle idee. La convizione della essenzialità di questo requisito spiega la volontà di Turati di stringere alleanze politiche con partiti rappresentativi della classe media. Considerando la società italiana fin troppo propensa ad atteggiamenti reazionari, Turati appoggiò ministri “borghesi” progressisti, che attirò l’ira della sinistra su di lui fino alla sua morte nel 1932.

La disputa inerente alle alleanze politiche con forze democratiche borghesi nella sinistra marxista è durata fino alla Seconda Guerra Mondiale. C’è da notare che le alleanze politiche con le forze più avanzate borghesi, voluto da Turati, salvò la democrazia italiana durante la reazione del 1898-1900, mentre l’insistenza sulla violenza e il rifiuto della sinistra di allearsi con forze simili durante l’ascesa fascista, contro l’insistenza di Turati, la distrusse. La propensione di Turati per la collaborazione con alcune parti dell’establishment, a certe condizioni, non deve essere letta come una sottomissione da parta sua dei problemi dell’Italia. Il parlamento, egli scrisse, è un covo dei ladri, il potere giudiziario è servile, la polizia è corrotta, le scuole squallide, la borghesia cinica, ma tutti questi problemi possono essere superati attraverso il duro lavoro e la dedizione.(7)

Le riforme sociali avrebbero lentamente distrutto il monopolio politico della borghesia e avrebbero infine fatto perdere ogni significato al monopolio economico.(8) Il marxismo fornisce le linee guide per ottenere questo risultato, ma esse devono essere utilizzate con prudenza e adattate alle speciali circostanze delle diverse nazioni.(9) A patto che venga tenuto vivo l’ideale di una società giusta, il dogma marxista può essere modificato.(10) L’ideologia di Turati ha punti in comune con quelle di altri grandi leaders di partiti socialdemocratici europei nel periodo precedente alla Prima Guerra Mondiale—ad esempio con quelle di Emile Vandervelde in Belgio, Eduard Bernstein in Germania, Jean Jaures in Francia, Viktor Adler in Austria, e Keir Hardie in Inghilterra. Sotto la guida di Turati, il socialismo italiano era aperto ai “venti del Nord” e alla modernità. Alla fine, però vinse la cultura immatura e chiusa della sinistra socialista (con Mussolini) e poi quella comunista (con Togliatti). Da qui passiamo dall’ideologia alla pratica.

La Pratica

I rivoluzionari rinfacciarono una volta a Turati che i riformisti non avevano ottenuto neanche la benchè più piccola riforma, al che Turati rispose che i rivoluzionari non avevano ottenuto la benchè più piccola rivoluzione. I grandi avvenimenti sono “few and far between”, ma è vero che bisogna tenere conto della realtà. Il bilancio del riformismo in Italia durante questo periodo e anche dopo la Seconda Guerra Mondiale è piu` positivo di quello che si cita normalmente. Il primo successo fu la fondazione e la sopravvivenza del Partito Socialista, tra il 1892 ed il 1895. Si era cercato invano di creare un partito socialista in passato, ma nessuno ci era mai riuscito prima che Turati e il suo gruppo ci riuscissero. La caratteristica più evidente della storia della fondazione del Partito socialista è senza dubbio costituita dalla forte resistenza che gruppi di estrema sinistra, in particolar modo anarchici e operaisti, si opposero al suo establishement. Dopo una campagna molto mirata tra il 1890 e il 1892, tramite la Critica Sociale ed altri organi di stampa e vari gruppi milanesi da lui ispirati, Turati ci riuscì. La costituzione del PSI (che non si chiamò così fino al 1895), scatenò una reazione violenta del governo. Nel 1898, i “fatti di maggio” portarono ad una crisi in cui la nascente democrazia italiana fu messa alla prova. Turati, Anna Kuliscioff ed altri esponenti di spicco del socialismo, della democrazia e del cattolicismo furono arrestati.

C’era il pericolo che la costituzione italiana venisse modificata e che i diritti civili e quelli parlamentari venissero severamente ristretti.(11) Rispondendo a questo attacco alla democrazia, i socialisti milanesi guidati da Turati si allearono con le forze progressiste a Milano—tattica che Turati aveva sempre favorito—e dopo i socialisti parlamentari, cappeggiati di nuovo da Turati, si allearono con i deputati radicali e repubblicani per formare il blocco parlamentare conosciuto come l’Estrema Sinistra. In un’intervista rilasciata all’Avanti!, Turati sottolineò di essere stato per lungo tempo un sostenitore della cooperazione. Si dispiacque che le sue idee fossero state accettate dai socialisti solo a causa della repressione, così da far sembrare che solo la paura li avesse spinti a farlo. Enfatizzò il fatto che l’alleanza con altri partiti dell’estrema sinistra sarebbe rimasta una necessità per lungo tempo. Turati credeva che la cooperazione non dovesse essere un’espediente temporaneo, destinato a cessare una volta che la crisi fosse finita, ma una caratteristica permanente della politica del Partito socialista. Turati disse che i socialisti avrebbero dovuto lavorare congiuntamente con i democratici e con l’estrema sinistra per proteggere la libertà e guidare l’Italia nel suo cammino verso la modernità.(12)

Ma benchè la reazione del 1898-1900 fu sconfitta e nel 1901 ci fu il governo liberale di Zanardelli e Giolitti, l’ala sinistra rivoluzionaria del Partito denunciò i metodi di Turati come estrememente pericolosi e inefficaci. Secondo l’analisi dei rivoluzionari, la borghesia aveva abbandonato l’uso sistematico e intenzionale della violenza contro i lavoratori ma l’aveva sostituito con un metodo più sottile, consistente nella “seduzione” dei loro leaders con lo scopo di frenarne lo slancio rivoluzionario.

Dopo che Turati convinse i parlamentari socialisti a votare per il governo Zanardelli-Giolitti che favoriva i lavoratori, le visioni conflittuali di Turati e dell’ala sinistra del partito si scontrarono fino all’inizio della Prima Guerra Mondiale. In effetti, Turati ebbe il controllo del Partito socialista per ben poco tempo e si doveva sempre guardare le spalle dagli attacchi dei rivoluzionari divisi in varie correnti—i rivoluzionari di Enrico Ferri, i sindacalisti di Arturo Labriola, gli antimilitaristi di Benito Mussolini. Dedicati alla rivoluzione e agli scioperi smisurati, questi rappresentavano una cultura immatura che non avevano altro programma fuori della violenza mentre i riformisti cercavano di implementare delle riforme utili. L’esito non fu dei migliori, ma ci furono dei risultati importanti nonostante la battaglia tra i due campi opposti. Per esempio, durante il periodo 1901 e 1903, il governo (spronato dai socialisti) cessò di intervenire con l’esercito negli scioperi, specialmente sulla terra e le organizzazioni sindacali aumentarono significativamente di numero ed efficacia. Nel 1903, questo movimento si affievolisce grazie all’introduzione di nuove macchinari e la reazione del governo liberale agli scioperi, che, colpendo le ferrovie, minacciava un pubblico servizio molto importante. Nel 1906 furono i riformisti a fondare il primo sindacato nazionale, la Confederazione Generale del Lavoro (CGL), capeggiato da Rinaldo Rigola, che fu l’inizio del moderno movimento sindacale in Italia—fatto che l’allora capo della Confederazione Generale Italiana del Lavoro (CGIL), Guglielmo Epifani, quando celebrò il cosiddetto “centenario” di questo sindacato nel 2006, si  dimenticò di menzionare.

Eppure dichiarò in quella occasione, senza punta d’ironia, quanto la memoria storica sia importante, specialmente per i giovani.(13)

Negli anni successivi, i riformisti ottennero l’istituzione di un “Ufficio del Lavoro” ed altri uffici che furono alle origini del Ministero del Lavoro. Altre leggi furono adottate che proteggevano il lavoro femminile e quello dei minori, e gli immigranti. Questa legislazione sociale fu, si può dire, l’inizio in Italia dell’attuale “Welfare State” moderno. Certo è che questo sviluppo non si può attribuire ai rivoluzionari. Nel 1912 il suffragio maschile quasi universale fu concesso in gran parte come risultato di una campagna dei riformisti a suo favore. Infatti, fu una tragedia per la democrazia italiana quando nel 1919 a Bologna, i massimalisti presero il controllo del PSI, decisero di appoggiare l’idea di importare in Italia la rivoluzione bolscevica ed emarginarono i riformisti. Turati invece capì subito che una rivoluzione simile non solo non si poteva fare in Italia ma non si doveva fare.

Disse al Congresso socialista il 7 ottobre 1919: Probabilmente avremo questo triste effetto: che la miseria, il terrore, la mancanza di ogni libero consenso (basti ricordare che in Russia non esiste libertà di stampa, il diritto di riunione è conculcato, il lavoro è militarizzato…), e infine la pretesa irrazionale di forzare l’evoluzione economica, tutto ciò ha portato e porterà ineluttabilmente lo scoraggiamento di qualsiasi attività produttiva e avverà questo paradosso: che un paese così vasto, ricco di tutte le risorse, che ha l’enorme vantaggio di non essere tributario all’estero, che quindi non può essere boicottato, che ha dovizia di miniere, di cereali, di ogni ben di dio, che avrebbe potuto, con sapiente gradualità di provvedimenti, diventare l’antesignano della nuova civiltà, per avergli imposto una rivoluzione ad oltranza per la quale è manifestamente immaturo dovrà varcare attraverso una infinita odissea di dolori, forse di ritorni verso il passato, e nel miglior caso dovraà soffrire, per l’adattamento necessario al nuovo regime, decenni di patimenti e di povertà, mentre fin d’ora e` costretto a creare una immensa macchina militaristica, quale non ha alcun altro Stato, e che è un permanente pericolo per qualunque presente o futura democrazia!” E qui passiamo alla storiografia.

La Storiografia

Nonostante la memoria di Turati sopravviva nei nomi delle strade principali delle città italiane, grandi e piccole, e nonostante il suo nome evochi apprezzamento nella cultura popolare, l’interesse accademico per la sua figura si è risvegliato soltanto di recente. Ancora nel 2006, una ricerca via internet condotta usando come parola chiave il suo nome produceva relativamente pochi risultati. Wikipedia aveva una voce su di lui, ma essa conteneva solo dati scarsi e fuorvianti, finchè io stesso decisi di inviare un contributo più completo alla famosa enciclopedia virtuale. Ho anche dovuto correggere I redattori di WorldCatprobabilmente il più importante database accademico del mondo —che in alcune fonti rilevanti descrivevano Turati e la Kuliscioff come “comunisti”. Questo ha condotto alla correzione della intestazione di alcune sezioni della Biblioteca del Congresso e di migliaia dei documenti. Nell’immaginario popolare la figura di Turati è percepita come una figura positiva, anche se vaghe sono le nozioni sulla sua effettiva attività, ma non si può certo dire lo stesso per quanto riguarda la percezione degli studiosi e dei politici. Ecco cosa scrisse Antonio Gramsci il 23 aprile 1921 sull’Ordine Nuovo– nel pieno dell’offensiva fascista—riguardo alla posizione dei riformisti che consideravano le alleanze come strumento necessario per preservare la democrazia, quando Turati ebbe la temerarietà di suggerire che l’Italia si trovava in un periodo fortemente reazionario: “I comunisti negano che il periodo attuale sia da ritenersi ‘reazionario’: essi sostengono invece che il complesso degli avvenimenti in corso è la documentazione più vistosa e abbondante della definitive decomposizione del regime borghese”.

E ancora: “I riformisti, sostenendo la tesi che il periodo attuale sia ‘reazione’, oltre a dare dimostrazione della loro assoluta cecità politica dovuta al cretinismo parlamentare, dimostrano di voler consumare un altro tradimento ai danni della classe operaia. Di questo tradimento c’e` gia l’annunzio nell’articolo dell’on. Turati.

Immediatamente dopo la morte di Turati avvenuta nel 1932, Palmiro Togliatti pubblicò una diffamazione denominato “Turatiana” in cui tentò di distruggere la reputazione del leader denigrandolo e accusandolo di tradimento. In una delle poche biografie di Turati, scritto nel 1987, si trova scritto che non leggeva. Questi libelli hanno avuto il loro effetto nella perdita della memoria storica e nella confusione del dibattito nella sinistra oggi, ragione importante per cui il paese oggi non vede in essa un’alternativa agli attuali assetti politici.

“Fast Forward” (andiamo avanti veloce) ..al 29 settembre 2006 e ascoltiamo Massimo D’Alema quando parla di Berlinguer e del “compromesso storico”. In un’intervista nella quale D’Alema ricorda come la politica di compromesso di Berlinguer avesse incontrato parecchie critiche all’interno dello stesso Partito Comunista dice: “Io ricordo piuttosto la convinzione di Antonio Gramsci secondo il quale la polemica contro i compromessi è una manifestazione di primitivismo culturale.” Improvvisamente, il compromesso storico è diventato una eredità, di connotato positivo, di Antonio Gramsci e di Enrico Berlinguer mentre Turati non e mai menzionato.

“Orbene,” disse Turati, “la differenza tra i diffamati col nome di riformisti e gli altri, è differenza cronologica, in quanto noi l’abbiamo detto prima, e gli altri lo dicono ora”.(14)

In politica, quando si comincia a dire che si devono fare le stesse cose che si sono dette cent’anni prima, si puo` veramente parlare di una “rivoluzione mancata”.

*Professor Spencer Di Scala, della University of Massachusetts

Storico e studioso del Socialismo Italiano

 

Note

(1)Filippo Turati, “Rivolta e Rivoluzione”, Critica Sociale, 16 giugno 1893.

(2) Ibidem.

(3)La Critica sociale, “Necessità di un programma pratico”, Critica Sociale, 1 agosto 1892.

(4) Filippo Turati, “Dove andiamo?”, Critica Sociale, 16 ottobre 1892.

(5) La Critica sociale, “Congresso operaio”, Critica Sociale, 16 agosto 1892; vedi anche Alessandro Schiavi, Filippo Turati attraverso le lettere di correspondenti ((1880-1925, (Bari: Laterza, 1947), pp.8- 9.

(6) Filippo Turati, “L’azione parlamentare dei socialisti in Italia”, Critica Sociale, 16 marzo 1892.

(7) La Critica sociale, “Il primo maggio in Italia”, Critica Sociale, 16 maggio 1892.

(8) Turati, “Dove andiamo?”

(9) Critica Sociale, “Congresso Operaio”.

(10) La Critica sociale, “Una nuova fase della lotta”, Critica Sociale, 1 luglio 1892.

(11)  Vedi “Le leggi contro lo Statuto”, Avanti!, 9 febbraio 1899 e “I disegni della reazione”, Avanti!, 31 giugno 1899.

(12)  Avanti!, 11 giugno 1899.

(13) http//www.cgil.it/nuovo portale/LaCgil/CentenarioCgil.asp, visto il 5 aprile 2007.

(14) Filippo Turati, Le Vie Maestre del Socialismo (Napoli: Morano, 1966), p. 130.