RIFLESSIONI “VERSO LIVORNO 2018”

di Nunziante Mastrolia

Il 14 marzo del 1912 Vittorio Emanuele III scampò ad un attentato. Tra coloro che si felicitarono perchè il re non ci aveva rimesso le penne, come il padre Umberto I, ci furono i socialisti Ivanoe Bonomi, Angiolo Cabrini e Leonida Bissolati (che salì anche al Quirinale).

Quello era anche un modo per dire che non era sparando a un capo di Stato che si faceva avanzare la causa della democrazia e della classe operaia.
Nel luglio successivo al congresso del PSI di Reggio Emilia Bissolati, Bonomi, Cabrini furono espulsi dal Partito.
L’ala massimalista prese il sopravvento: il primo dicembre di quello stesso anno il ventinovenne Benito Mussolini assunse la direzione dell’Avanti! e ne fece lo strumento per la sua lotta contro quelli che definiva i “socialtraditori” e soprattutto contro gli avversari rimasti all’interno del partito, tra questi Turati, Treves, Modigliani, Matteotti.

Lo sbocco di tale stato di cose non poteva essere che la scissione: che è quanto avvenne a Livorno nel 1921.
Al grido di “Fare come a Mosca” nasceva il Partito Comunista d’Italia, membro della Terza Internazionale di stampo leninista. Nelle parole di Terracini: “noi pensiamo che la lotta rivoluzionaria del proletariato non può che seguire, nelle sue linee generali, le tracce che la rivoluzione russa ha segnato”.

Sognavano Lenin ma si ritrovarono Mussolini e il povero Gramsci dovette prendere atto, marcendo in carcere, che a Mosca la rivoluzione era riuscita perchè lo stato era debole, in Italia no.
Di qui la via gramsciana della conquista dell’egemonia culturale nella società (le fortezze e casematte) per coprirsi le spalle prima di conquistare la cittadella politica dello Stato liberale.

In questo senso può dirsi che Gramsci altro non fece che adattare il leninismo alle condizioni di quei paesi dove lo Stato moderno è forte e non al collasso come era in Russia nel 1917.
Sognavano la rivoluzione purificatrice e si ritrovarono le manganellate, l’olio di ricino, il confino, l’esilio e la morte, come per Matteotti.