LA FUGA DI TURATI IN CORSICA

Nella foto, da sinistra: Da Bove, Turati, Carlo Rosselli, Pertini e Parri. Novembre 1926 – L’Italia é sotto il pieno controllo del regime fascista. Turati vive nel suo appartamento a Milano, sorvegliato dalla polizia. L’anno precedente é morta la sua amata compagna, Anna Kuliscioff. Medita il suicidio. Tra gli esponenti superstiti dell’Aventino Turati é certamente il più autorevole e quindi il più odiato tra gli squadristi. L’iniziativa di fuggire non nasce da Turati, ridotto all’ombra di se stesso, ma da Carlo Rosselli, brillante intellettuale, membro dell’esecutivo del Partito Socialista Unitario, ormai clandestino.  Rosselli, per eludere la sorvegliatissima frontiera svizzera, decide di farlo espatriare via mare in Francia. L’11 dicembre 1926 Turati viene condotto in gran segreto a Savona e da lì, con una pericolosa traversata notturna sul motoscafo “Oriens”, viene accompagnato da Riccardo Bauer, Ferruccio Parri, Italo Oxilia, Lorenzo Da Bove, Carlo Rosselli e Sandro Pertini a Calvi, in Corsica. Il locale circolo repubblicano non appena apprese la notizia dello sbarco di una personalità così autorevole si affrettò a improvvisare una cerimonia di benvenuto. Nonostante la terribile notte appena trascorsa, Turati non si sottrasse, in un impeccabile francese tenne un breve discorso di ringraziamento: descrisse l’Italia in catene, inneggiò alla lotta per la libertà e salutò con riconoscenza la libera terra di Francia. Il giorno seguente, dopo che il governo francese aveva accolto la loro richiesta di asilo politico, Turati e Pertini si imbarcarono sul postale per Nizza, Rosselli, Parri, e il resto dell’equipaggio dell’”Oriens” fecero invece rotta per l’Italia. Raccontò Sandro Pertini: “Rosselli toglie il tricolore che avevamo issato a bordo, e lo agita. E’ l’estremo saluto della Patria per Turati ed anche per me. Turati con gli occhi pieni di lacrime mi disse: ‘Io sono vecchio, non tornerò più vivo in Italia’. Rimanemmo sul molo finché potemmo vedere i nostri compagni. La mattina dopo ci imbarcammo sul traghetto per Nizza e di lì proseguimmo per Parigi dove trovammo Nenni, Modigliani, Treves e tanti altri. Turati mi offrì la sua assistenza economica, ma io rifiutai e decisi di guadagnarmi da vivere facendo i lavori più umili”. I giornali francesi, al contrario di quelli italiani che relegarono la notizia a un trafiletto nelle pagine più interne, diedero grande risalto alla fuga di Turati. Nei primi tempi del suo soggiorno parigino il grande vecchio del socialismo italiano fu conteso dalla stampa di sinistra. In una intervista rilasciata all’organo radicale “Oeuvre“, negò di aver lasciato Milano perché la sua vita era in pericolo: “Non avrebbero osato toccare il vecchio Turati. Solo che avevo nell’ingresso di casa mia poliziotti in continuazione (…). Alla fine mi sono sentito soffocare. Non ne potevo più di vivere così. È per questo che sono partito”. Alla domanda se prevedesse di poter rientrare in patria in tempi brevi rispose: “Ho lasciato laggiù i miei, la mia casa, i miei libri. È stato uno sradicamento. L’ho fatto, rassegnato a non vederli sicuramente più”. Lettera di Sandro Pertini a Filippo Turati Nizza, 23 dicembre 1927 Maestro, domani è l’anniversario sacro della nostra partenza da Savona ed io voglio ricordarlo con Lei! Rammenta, maestro, l’interminabile attesa lungo la stradale di Vado? ‘Mi sembra di essere tornato in trincea’ mi disse Parri. Ricordo che Rosselli, appena usciti dal porto, si chinò a baciarla. lo rimasi sino all’ultimo a contemplare la mia città. Si ricorda maestro, il nostro interrogatorio alla Capitaneria di Calvi ? ‘Chi è il comandante del motoscafo?’. ‘Moi, Filippo Turati’. Ed in quei giorni i nostri grandi amici, come noi, ricorderanno e molto parleranno del Maestro lontano. Li sentirà vicini a Lei e con essi Ella sentirà pure l’ ottimo Da Bove ed anche Pertini ‘il mozzo della imbarcazione Turati’. Sandro Pertini   Turati a Calvi L’11 dicembre 1926, dopo una clamorosa fuga in motoscafo, organizzata da Carlo Rosselli, Pertini e Parri, Turati sbarca nel porto di Calvi, in Corsica. Gli viene concesso immediatamente l’asilo politico dal governo francese. “Mi si chiede da varie parti perché ho lasciato l’ltalia di soppiatto, come un ladro; mi si chiede se le minacce fasciste mettevano veramente la mia vita in pericolo. La vita? Ma che cosa è la vita per un vecchio combattente quasi settuagenario, che cos’è la vita quando il lavoro di cinquanta anni sembra fuggirsene per sempre, quando non c’è più libertà di pensiero, né libertà di stampa, né tribuna parlamentare. Ho capito che l’ostaggio doveva liberarsi con i propri mezzi e seguir la strada già percorsa dai suoi amici. Mi sono ricordato  che c’era un vecchio paese di libertà al quale quattro rivoluzioni e il sacrificio di un sangue generoso hanno permesso di diventare padrone di se medesimo e di riservare l’ospitalità repubblicana ai proscritti di ogni altro paese. Eccomi dunque qui. Abbiamo pietosamente raccolto la nostra bandiera strappandola agli insulti delle camicie nere. Questa bandiera noi vogliamo spiegarla davanti ai moltissimi operai e contadini italiani che vivono in Francia: stendardo di speranza, di ripresa e di rivincita. I lavoratori italiani sanno benissimo quel che essi gli devono: quarant’anni di progresso sociale, lo scambio della servitù economica contro una condizione di libertà e di dignità, l’iniziazione alla vita politica”. Filippo Turati da una raccolta di Nicolino Corrado SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

DURANTE IL CONFLITTO

Se il caso Mussolini fu così liquidato dal PSI “nello stesso Partito socialista, Turati, che era legato al patriottismo risorgimentale, ebbe un momento di esitazione“, scriveva sempre Valiani. “Anna Kuliscioff, il sindaco di Milano Emilio Caldara, i professori Ettore Ciccotti ed Alessandro Levi, collaboratori fra i più colti di “Critica Sociale”, qualche dirigente della Confederazione del lavoro, come Rigola e la Altobelli, non nascondevano le loro simpatie per le nazioni democratiche dell’Intesa. Altri, come Claudio Treves, G. E. Modigliani, il giovane Giacomo Matteotti agirono invece sul Turati in senso pacifista e internazionalista, e l’ebbero con loro”. Il maggior grado di ostilità fu manifestato dalla maggioranza intransigente, con a capo Giacinto Menotti Serrati, che aveva sostituito Mussolini alla direzione del quotidiano del PSI. Tra la fine dell’ottobre e il maggio 1915 ci furono numerose manifestazioni, tra cui quella di Milano del 15 aprile. Con il passare del tempo, il PSI dovette constatare, però, che la piazza veniva dominata dagli interventisti, sia quelli democratici che quelli rivoluzionari, e dai nazionalisti. Il PSI non si limitò ad affermare il proprio neutralismo e a mobilitare ove possibile le masse dei suoi aderenti. Svolse anche un’intensa azione a livello politico, che appare più flessibile, o che, comunque, rivela l’esistenza di una divisione nel suo gruppo dirigente, al di là dell’apparente monolitismo. L’ha rilevato (anche se da una angolazione critica che non è possibile condividere) uno storico attento e intelligente del movimento socialista, Luigi Cortesi, quando ha scritto: “Il PSI – al di là del rigorismo formale di facciata – agì invece sul governo per evitare un possibile intervento a fianco degli Imperi Centrali e fin dall’inizio – implicitamente o esplicitamente – lasciò aperta la possibilità di un orientamento filointesista, differenziando in ogni caso subito le due parti belligeranti. Parallelamente, voci che provenivamo sia da Mussolini, sia da altri, assicuravano la disponibilità di una difesa del suolo nazionale contro l’Austria. Su queste posizioni si stabilì una confluenza attiva tra i riformisti di sinistra, la CGL e i bissolatiani. La proposta fatta dal Bissolati al Rigola il 2 agosto, che non si ostacolasse una preparazione militare a salvaguardia della neutralità contro possibili minacce austriache, diventò parte della linea del PSI. Anche l’altra leggenda, del severo astensionismo del PSI rotto unicamente ed improvvisamente dalle enunciazioni difensiviste del Turati e del Treves nell’ottobre 1917 e nel giugno 1918, risulta così vanificata“. Lo stesso Cortesi parla di un “ingresso graduale dei destri del PSI in una tacita e dignitosa union sacrée che andò realizzandosi nell’anno successivo al di là della condotta ufficiale dei deputati del PSI alla Camera e delle dichiarazioni di intransigenza della stampa riformista“. Il diffuso sentimento pacifista e neutralista della base socialista non impedì che i soldati politicamente socialisti facessero il loro dovere, una volta richiamati alle armi, e una volta impegnati sulle linee del fuoco. Lo ha ampiamente dimostrato lo storico Piero Melograni nella sua Storia politica della Grande Guerra con una lunghissima serie di testimonianze con cui dimostra come “i soldati socialisti stupirono tutti, anche i più prevenuti, per l’impegno con il quale parteciparono ai combattimenti“. I socialisti dettero così il loro contributo al tragico olocausto di vite umane che quella, come ogni guerra, comportò per difendere, al di là delle divisioni ideologiche e politiche, l’integrità della patria. Nel discorso pronunciato alla storica tornata parlamentare del 20 maggio 1915, Turati assumeva l’impegno, per sé e per i suoi, a guerra dichiarata, della cooperazione: “Nell’opera della Croce Rossa, nel senso più vasto del vocabolo, sul fronte e in tutto 9 paese, gruppi, amministratori e individui socialisti si troveranno, ne ho fede, nelle prime linee“. E nel commemorare Cesare Battisti, al Consiglio comunale di Milano, pochi giorni dopo la sua impiccagione, pronunciava le seguenti, inequivocabili, nobilissime parole: “La coerenza della sua vita, la rispondenza perfetta dell’azione al pensiero, lo splendore di carattere insomma di cui fu esempio, fanno di lui uno dei simboli più significativi di altissima umanità; non un eroe fra i molti, ma l’eroe, il Prode sopra i prodi. A lui noi inchiniamo tutti i nostri vessilli“. I vessilli che Turati simbolicamente inchinava al sacrificio di Battisti erano le bandiere rosse. Bastano queste parole a fugare ogni calunnia, ogni ingiusto sospetto sulla lealtà e il senso della patria di Turati e di tutti i suoi seguaci. Il PSI partecipò al convegno internazionale di Zimmerwald, in Svizzera, che si tenne il 5 e il 6 settembre del 1915. Al convegno, presieduto ad Angelica Balabanoff, si recarono, per il PSI, il segretario Lazzari e il direttore dell’”Avanti!”, Serrati: con due rappresentanti del gruppo parlamentare, Modigliani e Morgari. La linea internazionalista e pacifista espressa a Zimmerwald dalle forze socialiste ivi presenti fu fatta propria formalmente dal PSI, in quanto coincideva con la linea da esso seguita ufficialmente. Tutto questo suscitò la rinnovata benevolenza di Lenin, che dalla Svizzera, dove risiedeva, aveva intensificato la sua attenzione alle cose Italiane, e che trovava positiva, dal suo punto di vista, la posizione dei socialisti nostrani ai quali dava soprattutto credito per aver espulso dal partito la “destra“riformista di Bissolati e Bonomi. Sono sempre più numerosi nei suoi scritti di quegli anni i riferimenti all’”Avanti!”: ed egli arriva a sostenere che “i socialisti muovevano guerra alla guerra, facevano i preparativi per la guerra civile“. Non si sa su quale informazione Lenin basasse questo suo giudizio, che lo portava ad attribuire al PSI, o almeno alla sua maggioranza, una sostanziale adesione alla strategia che egli aveva formulato della trasformazione della guerra imperialistica in guerra rivoluzionaria. Questo equivoco, se equivoco c’era stato, durò solo lo spazio d’un mattino. Nel corso della guerra stessa, era costretto a mutare parere, e a scrivere che “in Italia, il Partito socialista si è nettamente riconciliato con la fraseologia pacifista del gruppo parlamentare e del suo principale oratore, Turati“. A Zimmerwald le posizioni di Lenin non erano state accettate, anche se discusse con attenzione. La cosa si ripeté nella successiva conferenza di Kienthal (24-29 aprile 1916) nella quale tuttavia Serrati e la Balabanoff si avvicinarono alle posizione di …

UTØYA

TEATRO FILODRAMMATICI DI MILANO di Edoardo Erba | con la consulenza di Luca Mariani, autore de Il silenzio sugli innocenti | regia Serena Sinigaglia | scene Maria Spazzi | luci Roberto Innocenti | con Arianna Scommegna, Mattia Fabris | co-produzione ATIR Teatro Ringhiera, Teatro Metastasio di Prato | con il patrocinio della Reale Ambasciata di Norvegia in Italia Maria Spazzi è vincitrice del Premio Hystrio-Altre Muse 2017 INCONTRI  mercoledì 10 gennaio, ore 21.00, dopo lo spettacolo Utøya: un caso isolato o un’isola “caso-studio”? L’ondata populista e anti-immigrazione nell’Europa degli ultimi anni In occasione delle repliche di Utøya, il pubblico potrà incontrare Luca Mariani, autore del libro Il silenzio sugli innocenti, consulente di Edoardo Erba nella stesura del testo dello spettacolo. Con Luca Mariani ci saranno Serena Sinigaglia, regista dello spettacolo, Arianna Scommegna e Mattia Fabris, attori di Utøya, e Tommaso Amadio, direttore artistico del Teatro Filodrammatici di Milano. Ingresso libero con registrazione obbligatoria cliccando qui. In quest’occasione, sarà possibile acquistare in teatro il testo Il silenzio sugli innocenti – Le stragi di Oslo e Utøya – Verità, bugie e omissioni su un massacro di socialisti.   LUCA MARIANI Giornalista parlamentare, comincia il suo cammino professionale con una piccola radio privata genovese. Si occupa poi per Il Secolo XIX da Roma delle vicende del porto di Genova e dei ‘camalli’. Dal 1989 lavora per l’AGI, una delle principali agenzie di stampa italiane. Segue l’attività nazionale e internazionale del Governo e i lavori del Copasir. Il 27 luglio 1993, nella notte delle bombe, è il primo ad arrivare a Palazzo Chigi, accorgendosi che i telefoni della Presidenza sono saltati. Ciampi è ancora a Santa Severa. Nel 1998 è al Consiglio Europeo che diede il via libera all’ingresso dell’Italia nell’Euro. Prima della nomina di Mario Draghi a Governatore della Banca d’Italia nel dicembre 2005, pubblica in esclusiva la notizia dell’incontro riservato tra lui e Gianni Letta. Il libro sulle stragi di Oslo e Utøya vuole essere un piccolo contributo alla verità, in contrasto con il modo superficiale e lacunoso con cui i media hanno affrontato il tema. Scrivere un testo su quanto è avvenuto a Utøya, in Norvegia, nel 2011 è un’impresa impegnativa. La riflessione su un avvenimento del genere sconcerta: non è un gesto di follia, ma lo è. Non è un caso di occultamento dell’informazione, però lo è. Quando da ragazzo aprivo il giornale avevo una griglia, un po’ rozza ma funzionale, per classificare quel che succedeva. Pareva che alcune semplici categorie bastassero per inquadrare un avvenimento e consentissero di reagire. Dopo il 1989 il mondo è diventato molto più complicato e dopo il 2001 capire un evento è come entrare in un labirinto: il teatro può solo trovare personaggi in grado di percorrerlo e restituirlo attraverso la loro personalità e i loro rapporti. Per questo abbiamo scelto di osservare tre coppie coinvolte in modo diverso in quello che stava accadendo, in Norvegia, in quel terribile 22 luglio del 2011. Attraverso di loro ho spalancato una finestra di riflessione che, anche se non ci da’ tutto il filo per uscire da quel labirinto, almeno ne illumina alcune zone oscure con la luce della poesia. Edoardo Erba  DATE E ORARI DI RAPPRESENTAZIONE martedì, giovedì, sabato  21.00 mercoledì, venerdì 19.30 domenica 16:00 Fonte: teatrofilodrammatici.eu SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

GIUSTIZIA E LIBERTA’: PAOLO BAGNOLI, QUALCUNO FERMI SCALFARI

di Carlo Patrignani Qualcuno fermi Scalfari, e lo faccia tutte le volte che vuole scrivere di Carlo e Nello Rosselli. Così lo storico e docente di Storia delle Dottrine Politiche all’Università di Siena, Paolo Bagnoli esprime tutta la sua indignazione per quanto il fondatore di Repubblica scrive nell’editoriale domenicale Emma e il Pd nel ricordo di Giustizia e Libertà. Cos’è che non va nel fondo di Scalfari, tanto da farle chiedere di fermarlo? Intanto va detto subito che oggi Scalfari ci offre alcune perle che, prima di farci indignare, ci impietosiscono, risponde d’istinto lo storico, autore del saggio Invito all’azionismo – Scritti storico-critici sul Partito d’Azione: idee e uomini, uscito per Biblion edizioni alla fine del 2016. Fatta questa premessa, entriamo nel merito delle perle che ci offre Scalfari: quali sono, di che si tratta? Da tanti anni ci occupiamo dei fratelli Rosselli e sappiamo bene chi erano e cosa facevano. Ora Eugenio ci viene a dire che i fratelli Rosselli erano, come scrive su Repubblica, due antifascisti emigrati in Francia dove facevano l’uno il medico e l’altro l’insegnante di Lettere e Filosofia. Di questo passo verremo a sapere che la signora Amelia, madre dei due, svolgeva pure lavoretti a domicilio!! Ma come si fa, come si fa a passare cose del genere? E’ chiaro che a Repubblica nessuno rilegge i pezzi del fondatore. Non risulta, dunque, corrispondere alla realtà della storia e della vita dei fratelli Rosselli quel che ci offre Scalfari? Tanto Carlo e Nello vissero con i beni di proprietà, di famiglia. Carlo che faceva lotta politica contro il fascismo, finanziò Giustizia e Libertà mentre Nello era uno libero storico cui era preclusa la carriera universitaria. Non emigrarono in Francia: Carlo scappò da Lipari dove era stato confinato dal Regime e andò in Francia: semmai era un fuoriuscito! Anche Nello che viveva a Firenze andò in Francia: entrambi ebbero il passaporto perchè era stato ormai definito il piano dei servizi segreti del Regime di farli fuori, altro che emigrati! Rimesse a posto dal punto di vista della storia e della vita dei due fratelli eliminati a Bagnoles-de-l’Ome dai miliziani della Cagoule formazione eversiva di destra francese, su mandato dei servizi segreti fascisti e di Galeazzo Ciano, c’è dell’altro? C’è la sostanza politica della tesi di Scalfari, per cui l’avvicinarsi dei radicali al Pd è solo frutto di un lungo percorso che parte proprio dalla vicenda rosselliana: ci limitiamo a ribattere e precisare che, tra tante libertà esistenti, c’è anche quella alla menzogna. E poi il referendum sul divorzio del ’74 , la straordinaria vittoria del No, non fu per l’iniziativa di Marco Pannella, come sostiene Scalfari, semmai per l’iniziativa politica e legislativa di un liberale, Baslini e di un socialista, Fortuna, autori della legge su cui per volere dalla parte più retriva del mondo cattolico e dei fascisti, si fece il referendum al quale Pannella e i radicali diedero il loro  contributo come fecero tantissimi altri. Insomma, si tratta di uno scivolone completo di Scalfari e di Repubblica? Ebbene, sì. Con la storia rosselliana, con Giustizia e Libertà e con il Partito d’Azione, il Pd, Renzi, Prodi, Veltroni e lo stesso Tabacci non c’entrano nulla, come invece vorrebbe Scalfari. Naturalmente tramite processo storico-politico ha, nell’azione scalfariana e nel ruolo di Repubblica, il suo centro motore. Assurdità, falsità e – lo diciamo con dolore – malafede si mescolano segnando anche per questo verso la miseria culturale e politica cui siamo giunti. Fonte: alganews.it SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LA MANCATA NAZIONALIZZAZIONE DELLE MASSE

La verità è che Mussolini, quale uno dei capi rivoluzionari del socialismo italiano, aveva contribuito per la sua parte a impedire o a ritardare, opponendovisi, quel processo di “nazionalizzazione” delle masse che era avvenuto in tutta Europa, con l’eccezione dell’Italia. Cosicché quando, assunte le vesti di interventista rivoluzionario, intese chiamare a se le masse lavoratrici, raccolse in fondo quello che insieme ad altri aveva seminato: ben poco. I lavoratori rivoluzionari che lo avevano addirittura adorato negli anni in cui era direttore dell’”Avanti!” lo ritennero un traditore della rivoluzione. Gli altri non si posero neppure il problema, perché non erano maturi per porselo e, per ironia della sorte, egli stesso aveva fatto di tutto negli anni precedenti perché questa maturazione non avvenisse. Quando alcuni scrittori (fra i quali Accame) ricordano, a raffronto con la posizione neutralista del PSI, quella della maggioranza delle socialdemocrazie europee, da quella tedesca a quella francese, che assunsero posizioni di altra natura, dovrebbero anche rilevare come tali posizioni fossero allora il frutto di un processo di “nazionalizzazione” delle masse dovuto all’affermarsi in quei paesi di una linea socialdemocratica e riformista, nettamente prevalente rispetto alle strategie rivoluzionarie. Osserva con molta acutezza a questo proposito l’Hobsbawn: “Comunque le elezioni, nelle quali i socialisti si impegnavano a fondo… non potevano se non dare alla classe lavoratrice un’unica dimensione nazionale, per quanto i lavoratori fossero divisi sotto altri aspetti“. Ed è sempre l’Hobsbawn a rappresentare realisticamente questa situazione, rendendosi conto che la classe lavoratrice, perseguendo obiettivi di riforme graduali, era costretta ad “esercitare una pressione sul governo nazionale, a favore o contro la legislazione e l’amministrazione di leggi nazionali“. L’ambito in cui l’azione del proletariato si concentrava veniva, dunque, a identificarsi con il territorio della nazione. E gli interessi dei lavoratori a coincidere con quelli nazionali, se la legislazione e l’amministrazione delle leggi risultavano essere positivi per essi. In tal modo “la forza dell’unificazione della classe lavoratrice all’interno di ciascuna nazione prevalse sulle speranze e sulle affermazioni teoriche dell’internazionalismo operaio… Come dimostrò quasi ovunque il comportamento delle classi lavoratrici nell’agosto del 1914, quadro effettivo della loro coscienza di classe erano lo Stato e la nazione politicamente definitiva“? Mussolini si trovò così di fronte ad una clamorosa smentita del suo cursus politico. Nel momento in cui sceglieva l’interventismo rivoluzionario era costretto a constatare che la conversione delle masse al credo interventista era stata resa possibile laddove il processo di nazionalizzazione di esse era stato attuato attraverso il gradualismo riformista. In Italia, tutto questo non era avvenuto perché tale processo non s’era potuto sviluppare e dispiegare in tutta la sua potenzialità, anche a causa della opposizione strenuamente condotta nei confronti di esso da Mussolini stesso e dai suoi compagni di tendenza. Insomma: egli, e gli altri, avevano lottato per anni – a volte vittoriosamente – per impedire l’acquisizione di quella coscienza nazionale delle masse, che poteva realizzarsi soltanto attraverso l’integrazione riformistica nello Stato democratico. Quando egli e i suoi correligionari fecero la scelta interventista si trovarono forzatamente in nettissima minoranza – tra la classe operaia – e non poteva essere altrimenti. Il dilemma che egli pose alla direzione del PSI (o in rivolta contro la guerra, o con essa) suonò subito astratto. Con la guerra e contro la guerra si schierarono solo delle minoranze attive; le grandi masse socialiste non scelsero né l’una né l’altra. Ciò non impedì che facessero la loro parte, la più dura, la più dolorosa, la più sanguinosa, in un conflitto di fronte al quale avevano avuto ben poca possibilità di scegliere. A giudizio di alcuni storici, fra i quali il Tasca, il sentimento interventista avrebbe, se non coinvolto, almeno sfiorato altri dirigenti socialisti. Uno di essi, non molto conosciuto a quel tempo, anche per la sua giovane età, fu Gramsci. Uno studioso di problemi della storia della sinistra italiana, Antonio Pellicani, è stato forse il più attento e documentato commentatore di questo “caso“. In un suo saggio, La polemica tra socialisti alla vigilia della prima guerra mondiale, egli ricorda l’articolo pubblicato da Gramsci sul “Grido del Popolo” il 31 ottobre 1914, che riprendeva il famoso articolo di Mussolini, intitolando il proprio, significativamente, Neutralità attiva ed operante. Antonio Pellicani ricorda che secondo Gramsci la maturazione dello Stato proletario avviene su un piano nazionale, ed esso è “autonomo, non dipendendo dall’Internazionale se non per il fine supremo da raggiungere e per il carattere che questa lotta deve sempre presentare di lotta di classe“. Questa affermazione di autonomia ha però in questo momento un significato soprattutto tattico: Gramsci infatti, sostenendo che solo il PSI deve essere giudice del modo come condurre la lotta e del momento in cui essa dovrà culminare nella rivoluzione, può respingere sia gli attacchi di Herve, sia gli approcci dei socialisti tedeschi, fondati gli uni e gli altri sulla pretesa di parlare a nome dell’Internazionale. L’autonomia ha dunque, in questo momento, un valore contingente e difensivo: è il solo modo possibile di reagire alla crisi del movimento socialista europeo. E un significato di reazione difensiva ha avuto per Gramsci anche la formula della neutralità assoluta. Essa, egli scrive, “fu utilissima nel primo momento della crisi, quando gli avvenimenti ci colsero all’improvviso, relativamente impreparati alla loro grandiosità, perché solo l’affermazione dogmaticamente intransigente, tagliente, poteva farci opporre un baluardo compatto, inespugnabile al primo dilagare delle passioni, degli interessi particolari“. Ma ora, a parere di Gramsci, quella formula rischia di lasciare il proletariato nell’inazione, mentre i suoi avversari si preparano “la piattaforma per la lotta di classe“. In realtà la proposta di Gramsci è ancora assai confusa e la sua concezione della rivoluzione non è certo marxista. La storia per i rivoluzionari è “creazione del proprio spirito, fatta di una serie ininterrotta di strappi operanti sulle altre forze attive e passive della società“, che “preparano il massimo di condizioni favorevoli per lo strappo definitivo (la rivoluzione)” ed è opera di élite, soprattutto in Italia, “ridare alla vita della Nazione il suo genuino e schietto carattere di lotta di classe obbligandola a portare fino all’assoluto le premesse da cui trae …

DALLA CRISI DEL RIFORMISMO ALLA CADUTA DELLA DEMOCRAZIA

Dalla crisi del riformismo alla prima guerra mondiale Nella crisi del riformismo, che ha il suo punto di svolta nella politica coloniale avviata da Giolitti, la quale poneva ai socialisti questioni nuove e problemi al momento insuperabili, c’è un dato da considerare, nei suoi aspetti positivi e nelle sue conseguenze alla lunga dirompenti. È quello della estensione del suffragio, giustamente reclamato dai socialisti, fin dai tempi del “programma minimo” e ottenuto con oltre dieci anni di lotte e di abili alleanze parlamentari. L’estensione del suffragio ha nell’immediato, con le elezioni del 1913, conseguenze solo in parte prevedibili. D’un lato essa immette nel circuito della vita politica masse molto più ampie di cittadini, e in particolare di contadini e operai; d’altro lato questa immissione, allargando potenzialmente la rappresentanza politica socialista, fa ricomparire tutte quelle fobie e quelle paure che avevano alimentato i comportamenti dei ceti conservatori nell’ultimo decennio del secolo precedente. A inasprire un contrasto che da virtuale tende a farsi rapidamente reale, è la vertenza libica, che non è altro che l’anticamera di una nuova politica internazionale dell’Italia quale potenza europea e mediterranea, pronta a caricarsi anche dei rischi di un conflitto bellico che è sempre più presente nell’orizzonte europeo. La spedizione coloniale in Libia provoca la reazione popolare alla testa della quale si collocano sindacati e PSI. Questo scontro accentua la frattura con i settori traenti dell’industria, della borghesia e con l’esercito, un potere nient’affatto trascurabile, direttamente collegato alla monarchia sabauda. Sullo sfondo appare, già nel 1911, un atteggiamento di ostilità dei socialisti nei confronti di un sempre più possibile intervento dell’Italia in un eventuale conflitto europeo. E un Parlamento, nel quale la rappresentanza politica degli interessi popolari va smisuratamente ampliandosi, diventa un’istituzione di difficile controllo da parte della classe dirigente del paese. Giolitti, come abbiamo visto, concede alle sfere della borghesia industriale e nazionalista quell’iniziativa coloniale, avversata dai socialisti, che è comunque priva di rischi, mentre è refrattario all’ipotesi di una politica di intervento in un eventuale conflitto, e non perde occasione per proclamare o far intendere nei fatti, in quegli anni, la sua convinzione neutralista. E, come pur abbiamo rilevato, abbraccia una strategia insieme di estensione della rappresentanza parlamentare con ampliamento del suffragio, probabilmente anche perché ritiene che una più lunga presenza di socialisti e di parlamentari condizionati dal voto cattolico possa rappresentare un sostegno alla sua linea di neutralità. Ma intanto molte cose erano cambiate, e di esse lo stesso Giolitti sembra non avvedersi; oppure, avvedendosene, ritiene di essere in grado di continuare a esercitare la sua funzione di controllo e di mediazione politica. Era cambiato l’atteggiamento della monarchia, come rilevava anche per molti segni il comportamento del re e dell’esercito, influenzato dalla Casa Reale. Questa non era più quella che un brillante scrittore di cose politiche, che dovrà sopravvivere a molte epoche, Mario Missiroli, aveva definito come “La monarchia socialista“, che con Vittorio Emanuele III aveva mutato l’atteggiamento assunto dal suo predecessore e aveva accettato, e nella misura del possibile assecondato, l’opera di Giolitti, sia pure interpretandola in termini di paternalismo e, per dirla con il Missiroli, di “riformismo statale”, volto cioè a soddisfare esigenze sociali ed economiche dei lavoratori, ma, insieme, a rafforzare l’apparato amministrativo e burocratico ad essa fedele. Era cambiato l’atteggiamento della borghesia imprenditiva e di quella culturale, sempre più proclive a dar ascolto alla risorgenza della “questione nazionale“, vuoi per cointeressenza economica del ceto imprenditoriale, vuoi per l’affermarsi di una cultura irrazionalistica ed antimaterialistica, che univa nella sua critica spiritualistica tanto le filosofie positivistiche che quella marxista. Era rapidamente cambiato il PSI, e non soltanto nella sua dirigenza. Il congresso di Reggio Emilia infatti aveva visto i riformisti in minoranza. L’espulsione dei revisionisti di Bissolati e Bonomi, che aveva preso a motivo l’atto di deferenza di questo gruppo alla monarchia in occasione di un tentativo di attentato al re, rendeva praticamente impossibile un ritorno a breve tempo dei riformisti alla guida del partito. Così nel successivo congresso la dichiarazione di incompatibilità tra appartenenza alla massoneria e militanza socialista significava trasparentemente un attacco ai settori giolittiani che erano in stragrande maggioranza massoni, e alla stessa monarchia, essendo conosciuta, inconfutabilmente, l’appartenenza all’organizzazione massonica dello stesso Vittorio Emanuele III. Il leader di questo processo di cambiamento, in forme addirittura iconoclastiche, del socialismo italiano, era quel Benito Mussolini balzato alla ribalta nazionale al congresso di Reggio Emilia, e che era stato addirittura il protagonista di quello di Ancona del 19 14 e aveva assunto la direzione dell’”Avanti!”, dopo che l’intransigente Lerda aveva dovuto abbandonarla essendo uno dei socialisti massoni incappati nella scomunica congressuale. Sono fin troppo conosciute la personalità e la storia di Mussolini perché ci si debba soffermare a lungo su di lui. Oltre tutto, Renzo De Felice ha dedicato la sua fondamentale opera storica al mussolinismo, ed in particolar modo quel volume, Mussolini il rivoluzionario, al quale per tutto ciò che concerne Mussolini di questa fase, si può tranquillamente rinviare il lettore. Ci sembra utile, tuttavia, citare questa notazione sul Mussolini di quei congressi, dovuta alla penna di Pietro Nenni, che il Mussolini conobbe in quel tempo forse meglio di ogni altro. Scriveva Nenni, in quel volume ancora oggi di interessante lettura che è La lotta di classe in Italia, pubblicato in francese nel 1930 e solo di recente tradotto in Italia: “Molto giovane, sconosciuto, appena uscito di prigione dove aveva scontato una pena di cinque mesi, aggressivo e mordace, l’uomo che dieci anni dopo si sarebbe impadronito del potere con la reazione più sanguinosa, proveniva dalla Romagna. Nato in una famiglia socialista, ribelle per istinto, il suo socialismo aveva più di Blanqui che di Marx. Come Blanqui e i rivoluzionari classici aveva una nozione molto vaga dell’idea di classe, per contro professava una specie di mistica del partito; come Blanqui egli concepiva il socialismo come la rivolta dei poveri sotto la direzione di uno stato maggiore rivoluzionario. Del marxismo non comprendeva che i motivi antiliberali: la concezione dell’egemonia e la dittatura del proletariato, la visione drammatica della vita e della società. …

GIACOMO MANCINI, ANIMA SCOMODA DEL SOCIALISMO

Titolo originale: Addio a Giacomo Mancini, anima scomoda del socialismo di Paolo Franchi Con Giacomo Mancini se ne va un altro pezzo, e che pezzo, della storia socialista, democratica e repubblicana di questo Paese. E forse non sta bene dirlo, ma molti di noi cronisti ormai di lungo corso, di quelli che hanno scarpinato per tanti anni alla ricerca di notizie, di indiscrezioni e anche di ragionamenti, sentono anche di aver perduto un vecchio amico. Non era davvero un personaggo facile, Mancini. Ed è giusto, e naturale, che fosse così. I pezzi di storia di un mondo in cui la politica non era patinata dovevano essere per definizione complessi e contraddittori in vita. Lo restano in morte. Fu socialista. Forse neanche per scelta o vocazione, ma perché non avrebbe potuto essere altro. Suo padre, Pietro, fondatore del partito, grande avvocato, era il socialismo a Cosenza e in Calabria. Il giovane avvocato Giacomo volle raccoglierne l’eredità. Ci è riuscito appieno, ha resistito anche alla tragedia che ha squassato il socialismo italiano, e poi per sette lunghissimi anni all’accusa infamante di aver concorso, dall’esterno, all’attività criminale delle più potenti cosche calabresi: l’ultima assoluzione, dopo che per testimoniare in suo favore era sceso in Calabria il fior fiore della sinistra italiana, è del novembre ’99, e lui se ne è andato a ottantasei anni come voleva andarsene, da sindaco della sua città. Fu socialista. Ma sarebbe più giusto essere precisi e dire che, almeno fino a quando si occupò in prima persona di politica e del partito, fu socialista autonomista, nenniano, come si diceva un tempo e come si poteva essere nenniani nel Mezzogiorno e in Calabria. Alla Camera entrò nel ’48, 26 mila voti di preferenza tra la sua gente, eletto nelle liste del Fronte Popolare: ci resterà per nove legislature. Giorgio Napolitano, che come Paolo Bufalini, Gerardo Chiaromonte, Emanuele Macaluso, Rosario Villari lo conobbe negli anni delle lotte meridionaliste, ricorda Mancini come un autonomista sempre fiero delle proprie ragioni, e ostinato nel difenderle, che non fu mai, però, anticomunista. Si tratta, crediamo, di un giudizio onesto, per quel tempo e anche per le stagioni successive al 1956, quando, all’indomani della feroce repressione sovietica della rivoluzione ungherese le strade dei socialisti e dei comunisti si separarono, e Mancini fu chiamato da Nenni a occuparsi di un’organizzazione, quella del Psi, che non voleva essere più vassalla della ben più potente organizzazione di Botteghe Oscure. Fu socialista. Autonomista, nenniano, uomo di governo nel centro-sinistra, ministro nei governi Moro e nei governi Rumor. Da ministro della Sanità impose l’introduzione del vaccino antipolio Sabin, alla faccia delle resistenze burocratiche e degli interessi economici consolidati. Da ministro dei Lavori pubblici fu severo verso gli speculatori, come all’epoca proprio non usava, dopo la frana di Agrigento. Sbagliò anche, tantissimo, come testimonia il disastro del quinto centro siderurgico nella sua Calabria. Fu socialista. E quindi, ovviamente, antifascista: nel ’44, a Roma, era nell’organizzazione militare clandestina della Resistenza. Della destra missina fu uno dei bersagli prediletti. Quando il Candido di Giorgio Pisanò funse da capofila nella campagna sullo scandalo Anas. Ma anche, e molto più, una decina di anni dopo, quando Reggio Calabria quasi insorse con i «boia chi molla» di Ciccio Franco, contro Catanzaro diventata capoluogo regionale, contro Roma, contro Mancini e quello che già allora si chiamava il «mancinismo», un’idea e una pratica spregiudicate, cioè, della politica, nel tentativo di far fronte alla Dc sul suo stesso terreno. E anche in materie a dir poco delicate, come l’industria di Stato, e i servizi. Fu socialista. Autonomista, nenniano, riformista. Si battè per l’unificazione tra Psi e Psdi, ma quando questa rapidamente fallì non arrestò la sua corsa e, nel 1970, divenne segretario del partito. Durò solo un paio di anni, ma furono anni importanti. Qualcuno, più tardi, vi scorse anche una premessa, un’anticipazione della stagione di Craxi, una sorta di variante meridionale di quella politica di collaborazione sì, ma anche di competizione a muso duro con la Dc che Bettino avrebbe condotto in stile milanese. Di certo Mancini non apprezzò affatto la linea del suo successore, Francesco De Martino, di cui pure era personalmente amico: né la teoria degli «equilibri più avanzati» né, tanto meno, l’idea che il compito dei socialisti fosse essenzialmente quello di favorire l’imminente compimento dell’evoluzione del Pci. Altrettanto certamente fu lui, nel luglio del ’76, a pilotare il Comitato centrale del Midas, che dopo la sconfitta elettorale aveva defenestrato De Martino, verso l’elezione di Craxi: un po’ perché quel suo vicesegretario che conosceva così poco non gli dispiaceva, molto perché pensava che, debole come all’epoca Craxi era, sarebbe stato facile guidarlo da padre nobile. Un altro errore, in tutta evidenza. Scontato con una rapida emarginazione nel partito. Fu socialista. Autonomista, nenniano. E garantista, come a un socialista si conviene. Si battè sempre in primissima linea per i diritti civili: a cominciare dalla battaglia per il divorzio. Negli anni di piombo non si associò al fronte della fermezza contro il terrorismo, e gli furono rimproverate, in specie dai comunisti, debolezze e simpatie personali verso esponenti di primo piano dell’Autonomia. La sinistra extraparlamentare gli era lontana mille miglia: ma per libertarismo e anche per calcolo politico non le sbatté mai la porta in faccia. Fu socialista. E calabrese. E cosentino. Può darsi, come pensano in molti, che questo sia stato il suo limite più forte. Ma lui lo ha vissuto come un suo tratto distintivo, e un suo merito. Tratto dal Corriere della Sera – 9 aprile 2002 SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

NASCITA, ASCESA E DECLINO DI UN’UTOPIA

di Pierfranco Pellizzetti E’ l’dea “manchesteriana” dell’alleanza fra salario e profitto contro la rendita. Una parola d’ordine lanciata nel ’72 da Agnelli, propagandata da Scalfari, accarezzata da Amendola, sepolta il 20 giugno 1976 La storiografia analizza e ricostruisce le origini intellettuali, l’elaborazione ideologica e la cultura dei vincitori. Oggi si comincia a prestare attenzione anche ai sistemi intellettuali degli sconfitti. E’ possibile e utile andare ancora un poco più in là e tentare di portare alla luce il filo di elaborazione di un’idea che neppure è riuscita ad arrivare allo scoperto del dibattito ufficiale? Possibile e utile non sappiamo, certo difficile e con sempre dietro l’angolo il rischio di fare un processo alle intenzioni o, peggio ancora, della fantapolitica a-ritroso. Eppure, negli anni passati, c’è stato un focolaio di elaborazione, singolare ed autonoma rispetto alle altre elaborazioni che in quel periodo muovevano i propri passi verso la luce della cronaca e del dibattito pubblico, un’”utopia perduta” che in vari rivoli scorreva come un fiume carsico sotto la pelle della società culturale e politica italiana e che, se pure talvolta è comparsa alla superficie, non è riuscita a trovare un vero e proprio alveo esterno in cui fluire stabilmente. Segnali repentini ci avvertono della presenza di questa “utopia perduta” di cui non ricostruiamo i connotati e le tappe se non azzardando ipotesi non suffragabili con pezze d’appoggio sicure e con prove men che sommarie. La tesi è che nel corso degli ultimi tre lustri sia venuta articolandosi una meditazione che analizzava la società secondo categorie produttivistiche, discriminando i gruppi sociali in parassitari e non, per ipotizzare un’alleanza tra i ceti produttivi finalizzata alla razionalizzazione del modello socio-economico. Quando l’avvocato Gianni Agnelli alla fine del ’72 lancia lo slogan del «profitto e salario contro la rendita» la sensazione che si riceve non è di trovarsi davanti a un’improvvisazione, ma all’apparire temporaneo e repentino di uno sbocco all’esterno del fiume sotterraneo cui facevamo riferimento, Agnelli e il suo entourage: ecco già una prima posta da cui tentare di centrare la nostra fata Morgana. Scrive Valerio Castronovo che «nell’ultimo decennio, fra il 1961 e il 1971, era andato riducendosi progressivamente il peso quantitativo dei ceti produttivi… di qui la proposta di un’”alleanza”- fra grande industria e sindacalismo operaio da opporre ai settori improduttivi (…) insomma una sorta di “lega di Manchester” contro la rendita» (1). Dove nascono, e con quale percorso le tesi manchesteriane raggiungono l’ambito Fiat? E’ un caso che Luigi Spaventa, quando recentemente osservava che – dapprima i salari erodono i profitti essi poi subiscono la stessa sorte per colpa delle rendite, chiamasse a padre nobile del proprio discorso Claudio Napoleoni? (2) Napoleoni dopo Agnelli. Forse, questi due autorevoli personaggi sono i capi del filo che tentiamo di dipanare. Il punto di partenza potrebbe fornircelo Manin Carabba quando ricorda l’opposizione teorica alla proposta di “politica dei redditi”, che già nel lontano ’63 Ugo La Malfa tentava di far adottare alla prima coalizione di centro-sinistra, si raccoglieva attorno alla Rivista trimestrale diretta appunto da Claudio Napoleoni insieme a Franco Rodano: «In un paese come l’Italia, caratterizzato dalla presenza di “rendite” speculative e di una distorta struttura dei consumi, una concezione meccanica della “politica dei redditi” avrebbe contribuito a rendere non modificabili tali caratteristiche» (3). Nascerebbe qui, certo ad un livello ancora magmatico, un primo utilizzo politico della distinzione tra produzione di risorse e consumo improduttivo delle stesse che poi, in modi più articolati e finalizzati politicamente, vi ritroviamo in ambito Fiat. Quale può essere stato il tramite? La Rivista trimestrale raccoglie cattolici-comunisti, il tramite potrebbe ben esserlo un cattolico ex comunista, il direttore della Fondazione Agnelli Ubaldo Scassellati. La faccenda continua ad essere enigmatica, e ne parliamo con un personaggio enigmatico: Gianni Baget Bozzo. Effettivamente, attorno ai primi anni ’50, si era costituito a Roma un gruppo informale di studio con lo stesso Baget Bozzo, Napoleoni e Scassellati attorno al filosofo Felice Balbo (esperienza di cui i rotocalchi parleranno nei toni esoterico-scandalistici del “cinque per cinque”) e che poté fungere da centro di coagulo intellettuale, centro di collegamento, tra personaggi diversi nelle loro vicende successive. E’ la Fondazione Agnelli del cattolico Scassellati l’incubatrice delle elaborazioni manchesteriane? Le singolari teorizzazioni di Balbo, in particolare la sua visione “dell’autonomia dell’economico” potrebbero essere l’elemento ideologico di partenza per chi lavorava all’elaborazione di un’ideologia industriale. Certo è che una linea di ricerca che divide piuttosto che unificare e che enfatizza l’aspetto produttivistico sembra in distonia con il tradizionale pensiero cattolico difficilmente omogeneizzabile ad una visione efficientistico-quantitativa neo-capitalistica. Del resto, le testimonianze di chi visse l’esperienza della Fondazione Agnelli di quegli anni parlano di “grande confusione“. Tratto da Critica Sociale del 25 luglio 1978 SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. 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IL TRENINO DELLO SPIRITO IMMORTAL

Un tempo si diceva “prendere due piccioni con una fava”..ahimé, tempi andati..oggi non c’è più penuria di piccioni ma di fave…la nuova legge elettorale infatti le ha rimpicciolite non poco, e dunque nella prossima tornata elettorale avremo la saga delle favette o dei pisellini…se si preferisce. Lo sbarramento al 3% e la corsa all’elettore “perduto” hanno spinto i coltivatori diretti delle liste elettorali ad una semina forsennata da cui non si sa proprio cosa possa nascere, sicuramente anche qualche specie transgenica, se non addirittura qualche cyborg. Specialmente la cosiddetta sinistra è in fase di convulsione acuta..e anche molto “popolare”. Cavalli imbizzarriti sono lì che smaniano di fare le loro mosse, manco avessero come capolista l’imperatore Caligola in persona (con cui sicuramente almeno un seggio senatorio lo conquisterebbero), pronti a tutto anche alla capriola cavallina con triplo salto mortale carpiato esordendo che quello non è un partito e tanto meno di sinistra, il che detto da uno che era in Rifondazione Comunista, con accanto un cattolico e un ex generale dei carabinieri, fa sembrare il tutto l’ippodromo dei cavallucci marini..che se non altro sono rimasti rossi. Però il popolo non si poteva certo accontentare di un ippocampo…ci voleva chi reclamasse direttamente il suo potere..e che siamo pazzi? Ebbene sì. Chi sono io per regalarti una bella lista del popolo col potere stellare? Babbo Natale? Anche lui ovviamente rigorosamente rosso? No…JE SO’ PAZZO! Quante ne volite? Programma: di Tutto e di più? Accattatevillo!!! Ultimi esemplari!!! Ultimi pezzi del Socialismo e del Comunismo rimasti..pezzi autentici che non ne faranno più!!! Approfittatene!!! A buon intenditor… Nell’altro versante “sinistro” cosa abbiamo invece..se la matematica non ci inganna e nemmeno l’insiemistica, abbiamo una lista che si chiama INSIEME dove però 2+2 non fa 4 ma fa 3. Eh..alla faccia della matematica “conformista”…Già, perché in quella lista avrebbero dovuto convergere tutti i partiti laici con una illustre e gloriosa tradizione e soprattutto,udite, udite! Cultura politica alle spalle! Ah…dimenticavamo..caro lettore..si scrive lista ma si legge trenino elettorale, se non lo avessi capito e avessi per caso confuso il cavalluccio a dondolo con la pista polistil…no..qui si tratta del carissimo tradizionalissimo e antichissimo trenino.. Ma torniamo al trenino insieme, cioè volevo dire che si chiama…INSIEME, perché in quello lì tutti non ci entriamo, anzi da quello, pare sia più facile uscire che entrare, infatti PSI e VERDI più CIVICI e RADICALI, non fa QUATTRO ma fa TRE…anzi TRE TRE GIU’ GIU’ GIU’ perché non pochi dopo la decisione della Bonino di sbattere decisamente la porta del trenino e andarsene, sono alquanto giù di corda e tuttora si interrogano su cosa possa avere folgorato la decana dei radicali che da sempre hanno professato cultura laica e socialista. Cosa la abbia spinta a cercare asilo nel convento di Tabacci? Avrà forse preso i voti? (No magari quelli se li sogna) Vorrà forse salvarsi l’anima? Sarà per caso convinta di essere l’emula di Madre Teresa di Calcutta a cui, con il tempo, sembra assomigliare sempre di più, misericordiosamente e miracolisticamente in aiuto di un PD in caduta verticale? Sono i misteri delle Ferrovie Elettorali…dove tutti i trenini arrivano puntualmente a destinazione solo dopo che il capobast..ops..volevo dire il capostazione ha concordato e stabilito collegi, collegiali e collegiande.. Nel frattempo s’ode a destra uno squillo di tromba..dato che tutto il centrodestra, trombettieri in testa, pare si sia compattato ancora però non si sa bene intorno a chi, se stretto alle bende della mummia del Berluska oppure avvighiato alla barba di Salvini che appunto vorrebbe essere premier in barba a Berlusconi. Perché lui ovviamente non ce lo vuole come premier, quindi il bauscia si sta dando tanto da fare per avere anche solo un voto in più di Forza Italia per la sua Lega, che non solo ha tolto Nord dal simbolo, così ora lo puoi girare in tutti i sensi orari e antiorari appare sempre e solo lui…Salvini premier, ma batte anche come un forsennato tutto lo stivale e tutto il web che ormai lo puoi veder spuntare sia da un immondezzaio campano che da tuo browser come app in offerta gratuita. A sinistra abbian già visto che risponde una squillo, dato che le varie liste in fondo hanno tutte come obiettivo quello di fare il loro prezzo con il PD…ovviamente sempre da liberi nell’offerta e da uguali nell’intento. D’ambo i lati calpesto rimbomba l’eco del Vaffanculo grillino, il quale in perfetta, straordinaria e magnifica solitudine si appresta a conquistare la maggioranza relativa ma non il relativo premio per il 40%, e che quando sarà il primo partito non si sa se dovrà accendere un cero alla Madonna di Pompei oppure pregare il sangue liquefatto di S. Gennaro (con tutto il rispetto per Santi e Madonne che probabilmente se la ridono più dei satanassi i quali, oggi come oggi, sono bombardati dalle piogge acide dei peccatori e non sanno più dove metterli) per potere governare con qualcuno disposto a farlo con loro, ovviamente essendo poi marchiato a vita come un appestato. Come finisce poi la poesia? Ah..ecco.. “siam fratelli; siam stretti ad un patto maledetto colui che lo infrange, che s’innalza sul fiacco che piange, che contrista uno spirto immortal”. Inutile dire chi è il fiacco che piange..o lo spirto immortal. Come non lo hai capito? Ma sei tu povero elettore..fiacco che per l’ennesima volta giocherai con il ciuf ciuf dei nominati.. o elettore, dall’immortal spirto democratico che pensi basti solo giocare col trenino per essere libero, antifascista e antitotalitario..non ti contristare troppo…tu gioca..gioca col trenino. Almeno finché paghi la bolletta della luce.. Carlo Felici   SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

Concorsi negli enti locali, la nuova rassegna delle opportunità di lavoro

Gazzetta Ufficiale 4° Serie Speciale – Concorsi ed Esami n. 95 del 15.12.2017:  COMUNE DI BAGNOLO MELLA CONCORSO (scad. 13 gennaio 2018) Concorso pubblico, per esami, per la copertura a tempo pieno e indeterminato di un posto di istruttore tecnico categoria C – settore tecnico. (17E09543).   COMUNE DI BARESSA CONCORSO (scad. 13 gennaio 2018) Concorso pubblico, per esami, per la copertura a tempo pieno ed indeterminato di un posto di istruttore amministrativo contabile, categoria C – trentasei ore settimanali. (17E09538).   COMUNE DI BARESSA CONCORSO (scad. 13 gennaio 2018) Concorso pubblico, per esami, per la copertura a tempo pieno ed indeterminato di un posto di istruttore direttivo amministrativo contabile, categoria D – trentasei ore settimanali. (17E09539).   COMUNE DI BORGO VIRGILIO CONCORSO (scad. 13 gennaio 2018) Concorso pubblico, per esami, per la copertura di due posti di istruttore direttivo polizia locale – categoria D1, posizione giuridica di accesso D1 a tempo pieno ed indeterminato, con riserva del 50% a favore del personale interno. (17E09545).   COMUNE DI CAGLIARI CONCORSO (scad. 14 gennaio 2018) Selezione, per titoli, per la copertura di due posti di istruttore direttivo socio educativo assistente sociale categoria D, posizione giuridica ed economica iniziale D1. (17E09513).   COMUNE DI CASSANO D’ADDA CONCORSO (scad. 13 gennaio 2018) Concorso pubblico, per titoli ed esami, per la copertura a tempo pieno e indeterminato, di un posto di funzionario contabile – categoria D, posizione economica iniziale D.3. (17E09475).   COMUNE DI CASTIGNANO CONCORSO (scad. 15 gennaio 2018) Concorso pubblico, per esami, per la copertura a tempo pieno ed indeterminato di un posto di istruttore direttivo area tecnica – categoria D, posizione economica D1. (17E09506).   COMUNE DI COMEZZANO-CIZZAGO CONCORSO (scad. 13 gennaio 2018) Concorso pubblico, per soli esami, per la copertura di un posto di istruttore contabile presso l’area finanziaria – tributi, a tempo indeterminato e parziale, sedici ore settimanali, categoria C, posizione economica C1. (17E09540).   COMUNE DI CORDIGNANO CONCORSO (scad. 14 gennaio 2018) Concorso pubblico, per soli esami, per la copertura di un posto a tempo pieno ed indeterminato di collaboratore professionale amministrativo categoria B, posizione economica B3. (17E09505).   COMUNE DI FOLIGNO CONCORSO (scad. 13 gennaio 2018) Concorso pubblico per la copertura a tempo indeterminato di un posto di dirigente per lo svolgimento delle funzioni di comandante del Corpo di polizia municipale e dirigente dell’area polizia municipale. (17E09514).   COMUNE DI GIRIFALCO CONCORSO (scad. 13 gennaio 2018) Concorso pubblico, per esami, per un posto di istruttore tecnico a tempo indeterminato categoria C1, part time a venti ore. (17E09517).   COMUNE DI MAZZANO CONCORSO (scad. 30 dicembre 2017) Concorso pubblico, per esami, per la copertura con contratto a tempo pieno ed indeterminato, di un posto nel profilo professionale di istruttore amministrativo – categoria C – presso i Comuni dell’Aggregazione Mazzano – Nuvolera – Nuvolento – dotazione organica del Comune di Mazzano. (17E09504).   COMUNE DI MORCONE CONCORSO (scad. 14 gennaio 2018) Concorso pubblico, per titoli ed esami, per la copertura a tempo pieno e indeterminato di un posto di istruttore direttivo – specialista in attivita’ amministrative, socio-assistenziali e culturali – categoria D, posizione economica D1, nel settore amministrativo. (17E09507).   COMUNE DI MORCONE CONCORSO (scad. 14 gennaio 2018) Concorso pubblico, per titoli ed esami, per la copertura a tempo pieno e indeterminato di un posto di esperto di attivita’ socio-culturali – categoria C, posizione economica C1, nel settore amministrativo. (17E09508).   COMUNE DI NOLA CONCORSO (scad. 3 gennaio 2018) Concorso pubblico, per titoli ed esami, per la copertura di cinque posti d’organico di direttivo amministrativo – categoria D, a tempo pieno ed indeterminato, uno dei quali riservato a favore dei militari appartenenti alle categorie di cui all’articolo 1014 del decreto legislativo n. 66 del 2010. (17E09516).   COMUNE DI NOVOLI CONCORSO (scad. 14 gennaio 2018) Concorso pubblico, per titoli ed esami, per la copertura di un posto di istruttore amministrativo – categoria C1, a tempo parziale 50% (diciotto ore settimanali) ed indeterminato, interamente riservato alle categorie protette. (17E09511).   COMUNE DI ORBETELLO CONCORSO (scad. 13 gennaio 2018) Concorso pubblico, per titoli ed esami, per l’assunzione di un istruttore amministrativo, categoria C, posizione economica C1, con rapporto di lavoro a tempo indeterminato e part-time 50%, riservato alla stabilizzazione del personale. (17E09549).   COMUNE DI PRAMAGGIORE CONCORSO (scad. 15 gennaio 2018) Concorso pubblico, per esami, per la copertura di un posto di istruttore direttivo amministrativo-contabile, a tempo pieno e indeterminato, categoria D, posizione economica D1. (17E09535).   COMUNE DI PREDORE CONCORSO (scad. 15 gennaio 2018) Concorso pubblico, per titoli ed esami, per la copertura di un posto di istruttore amministrativo-contabile (categoria C, posizione economica C1) a tempo pieno e indeterminato, da assegnare all’area finanziaria, ufficio ragioneria. (17E09536).   COMUNE DI PRIGNANO SULLA SECCHIA CONCORSO (scad. 14 gennaio 2018) Concorso pubblico, per esami, per la copertura di un posto a tempo pieno – trentasei ore – ed indeterminato, con il profilo di operaio specializzato con funzioni di necroforo, categoria B3. (17E09509).   COMUNE DI SABBIONETA CONCORSO (scad. 13 gennaio 2018) Concorso pubblico, per soli esami, per l’assunzione a tempo pieno ed indeterminato di un istruttore amministrativo – categoria C. (17E09470).   COMUNE DI SOMMA VESUVIANA CONCORSO (scad. 30 dicembre 2017) Selezione pubblica per la valutazione di curricula e colloquio, per il conferimento di un incarico con contratto a tempo pieno e determinato, per la figura del comandante della polizia locale categoria D, posizione economica D3 dell’ordinamento professionale. (17E09560).   COMUNE DI TRINITAPOLI CONCORSO (scad. 13 gennaio 2018) Concorso pubblico, per esami, per la copertura di un posto di categoria e posizione economica C1, profilo professionale istruttore di vigilanza – agente di polizia locale – con contratto di lavoro a tempo parziale 50% ed indeterminato. (17E09547).   COMUNE DI VALDAGNO CONCORSO (scad. 5 gennaio 2018) Concorso pubblico, per soli esami, per la copertura di un posto a tempo pieno ed indeterminato di categoria giuridica B3, profilo professionale conduttore macchine operatrici complesse – elettricista. (17E09515).   UNIONE DEI COMUNI DELLA BASSA ROMAGNA CONCORSO (scad. 13 gennaio 2018) Concorso pubblico, per esami, per la copertura a tempo pieno e indeterminato di un posto di istruttore tecnico, categoria C, posizione economica C/1. (17E09546).   UNIONE DEI COMUNI SAVENA-IDICE CONCORSO (scad. 15 …