IL RUOLO DI PIETRO NENNI

La vita di Nenni, nei suoi aspetti soprattutto pubblici (e vita pubblica è per antonomasia quella dei politici, ma lo è anche perché ben poco spazio resta per quella privata), ben poco concede alla monotonia, tant’essa è fitta di eventi, di colpi di scena, di svolte repentine, di apparenti e reali contraddizioni, da far pensare, alle volte, che quest’uomo nutrisse uno spirito del paradosso ben poco usuale nel mondo della politica.

A ripercorrerla, la vita di Nenni appare come una autentica “boite à surprise“. Da repubblicano solidarista a socialista classista; da interventista a internazionalista, da antirevisionista a revisionista; da frontista ad autonomista; da anticlericale e laico ad assertore e tessitore dell’incontro tra socialisti e cattolici. Un capogiro di posizioni ideali e politiche sovente antitetiche, mai assunte con banalità o per motivazioni opportunistiche (che anzi Nenni pagò sempre un prezzo altissimo per le sue scelte), e sempre sorrette, al fondo, da una linea di coerenza e di sincerità.

Parafrasando la definizione che Isaac Babel volle dare di Lenin, si potrebbe dire che la coerenza di Nenni fu come “una linea retta tracciata con una spirale“. Mentre la linea di Lenin era ossessivamente proiettata verso l’obiettivo della Rivoluzione, quella di Nenni era più umanamente rivolta a rappresentare e a difendere quelli che egli riteneva, per sensazione o per analisi, gli interessi popolari, i sentimenti legittimi degli uomini e delle classi più deboli. E la frase con cui Tamburrano conclude il suo libro, rievocando la morte di Nenni, “I lavoratori quel giorno hanno pensato e detto, come tu speravi: è morto uno che non ci ha abbandonato mai“, non è affatto un’affermazione retorica, come potrebbe apparire a prima vista, ma risponde in modo calzante all’identità politica e umana di questo leader del socialismo italiano.

È in nome di questa fedeltà che Nenni trovò – come ben appare sfogliando il bel libro di Tamburrano – la voglia, il coraggio e anche il gusto delle sue scelte. Quando egli si convinceva della necessità di compiere un determinato passo, non aveva esitazioni, non si tirava mai indietro, costasse quel che doveva costare. Anche, come sovente accadde, a costo dell’impopolarità, di crudeli attacchi personali (come quelli mossigli dai comunisti nell’emigrazione), o dell’accusa di incoerenza.

Nella storia di Nenni traspare, a ben guardare, una sorta di “esistenzialismo” del personaggio politico autentico, che deve avere il coraggio di rispondere a se stesso, per verificare la propria coerenza, prima che agli altri. E proprio Nenni fa ricordare, nel senso che abbiamo detto, quello splendido saggio di Baudelaire, troppo spesso dimenticato, che s’intitola L’eroismo nella vita moderna. In questo saggio, il grande poeta francese sostiene che i veri eroi della vita moderna sono gli uomini politici quand’hanno da compiere scelte che possono condurli anche a rinnegare altre scelte, ma dalle quali non possono ritrarsi.

E Nenni era in tal senso un “eroe politico” che non indietreggiava, che “si sporcava le mani“, scendendo in polemiche senza esclusione di colpi, quando lo riteneva necessario, o intessendo compromessi diplomatici, quando li considerava opportuni o indispensabili. Sfiorò persino, nella confusione del primo dopoguerra, spiega Tamburrano, il rapporto con il fascismo, come conseguenza della linea di interventismo democratico e di sinistra che aveva assunto nel 1914-15, ma entrò immediatamente in rotta con l’avventurismo mussoliniano e riuscì a smascherarne il carattere di sudditanza alla logica del capitale, specialmente agrario.

Un dato che doveva restare costante in Nenni, e contrassegnarne tutta l’esperienza, fu l’importanza che egli intuì avere il socialismo nella storia d’Italia. Anche quand’era repubblicano, e anteponeva ad ogni altra la questione istituzionale, i socialisti furono sempre i suoi interlocutori principali. Fu senza dubbio tale intuizione a guidarlo quando decise di aderire al Partito socialista nel momento in cui questo (non lo si dimentichi) versava nella crisi tremenda che seguiva alla duplice scissione, e a guidarlo nell’azione di difesa contro il tentativo di obbligarne la fusione con il Partito comunista secondo gli ordini di Mosca. Liquidazione sotto costo fu il titolo dell’editoriale con cui dall'”Avanti!” lanciò il rifiuto della fusione, apprestandosi ad assumere quella direzione del PSI che, salvo per brevi tratti, doveva mantenere per oltre quarant’anni. Siamo nei primi mesi del 1923. Tamburrano scrive: “Il 15 aprile si riunisce a Milano il Congresso del PSI per decidere in ordine alla fusione. Ma la decisione è scontata: Nenni ha vinto la sua battaglia. L’autonomia socialista è salva sulle macerie del socialismo italiano; gli iscritti sono poco più di 10.000 e si prepara una nuova scissione“. Serrati e i fusionisti vengono espulsi, ma il PSI è un partito di massimalisti, con i quali Nenni non va d’accordo se non sulla comune difesa dell’autonomia.

Questo è un punto nevralgico della storia nenniana. Perché è in questa fase che Nenni tende a definire una sua visione del socialismo diversa da quella del massimalismo, ma anche diversa da quella riformista. Egli pensa, e opera di conseguenza, al superamento tanto del massimalismo come del riformismo. C’è in lui una preoccupazione tattica: volendo riunificare (come riuscirà a fare nell’esilio) i due tronconi in cui si è suddiviso il socialismo italiano, pensa che l’unità socialista non può attuarsi con una prevalenza di una delle due ali sull’altra. Ma la sua non è solo una preoccupazione tattica. Egli in realtà è convinto che tanto la linea massimalistica che quella riformista siano insufficienti alla soluzione dei nuovi problemi posti dalla vittoria del fascismo, e che anzi abbiano rappresentato due modi antitetici, ma altrettanto fallimentari, con cui il socialismo italiano ha affrontato e perduto la battaglia contro la reazione politica che ha condotto al fascismo.

Prende corpo in tal modo quell’impostazione che doveva caratterizzare per lungo tempo il pensiero nenniano: la ricerca di una sintesi tra massimalismo e riformismo, una sintesi piuttosto oscura e indefinita. Come tale essa era destinata a creare, nel prosieguo, non poche difficoltà allo stesso Nenni, e, con lui, al Partito socialista. In che modo sarebbe dovuta compiersi questa sintesi, questo superamento dell’antitesi che aveva lacerato e condotto alla scissione il socialismo?

Tamburrano ci offre alcuni elementi interessanti a questo proposito. Egli ricorda giustamente la lettera che Nenni scrive alla direzione del partito, due mesi dopo la decisione che il PSI ha preso di abbandonare l’Aventino, lettera nella quale egli “pone con forza il problema di superare la scissione” con i riformisti. Ma in quale chiave? Osserva Tamburrano: “Quella lettera aprirà una nuova prospettiva, farà nascere una nuova collaborazione con una delle menti più luminose dell’antifascismo, Carlo Rosselli“. E riporta il racconto che Nenni stesso fa della visita di Rosselli a casa sua, dell’incontro cioè dal quale nasce l’idea della rivista “Quarto Stato“, che vede la luce ad opera dei due il 26 marzo del 1926. La collaborazione dà vita a quello che Tamburrano definisce “un tentativo di unire i socialisti su una linea capace di superare i limiti del riformismo e del massimalismo“.

Seppure a ridosso delle leggi eccezionali che arriveranno di lì a qualche mese, e che lo costringeranno all’esilio appena trentacinquenne, l’esperienza di “Quarto Stato” ha per Nenni un notevole significato, perché rappresenta il tentativo, che sarà ripreso da lui stesso solo trent’anni dopo, di sviluppare la linea del superamento dell’antitesi riformismo-massimalismo in termini “revisionistici”. (Questa linea fu da lui abbandonata nell’esilio e nell’immediato secondo dopoguerra, e ciò che lo condurrà invece agli errori del frontismo.)

Ad illuminare questa fase particolarmente felice della maturazione ideale e politica nenniana, ma anche in generale la personalità del leader romagnolo, vale la pena di riportare quanto efficacemente scrive in proposito Tamburrano: “Quando parte per l’esilio ha 35 anni. Pochi, e pure ha già fatto tante e diverse battaglie. Giovanissimo vuole la rivoluzione attraverso la rivolta violenta, qui e subito; a trent’anni difende la rivoluzione attraverso la democrazia e il gradualismo. È stato interventista acceso e poi è alla testa di un partito, il PSI, neutralista e pacifista per definizione. Dalla milizia repubblicana è passato a quella socialista. Nello Spettro del comunismo è quasi leninista, ma le sue polemiche più roventi sono con i leninisti Italiani“.

Prosegue Tamburrano: “Ha rifiutato, in termini addirittura sprezzanti, il riformismo turatiano (e giolittiano). Ma ora è fermamente deciso a realizzare l’unificazione col partito di Turati. A seguirlo vi è da essere frastornati: sembra di andare sulle montagne russe. Ma la sua risposta a chi gli rimproverava – e gli rimprovera – tutte quelle giravolte, era ed è che la politica è una scena mutevole, e che l’attore deve adeguarsi. In politica la coerenza può diventare incoerenza: l’incoerenza di chi persegue un fine con mezzi che il mutare delle circostanze rende inadatti. Ciò che deve restare fermo è il fine, non il mezzo”.

Questo è il profilo, intelligente ed acuto che l’autore traccia del personaggio Nenni. Un profilo tutt’altro che agiografico, e che ci rende le caratteristiche proprie di un grande protagonista della storia della sinistra italiana. Quel che importa, in quel drammatico 1925, è che “di fronte al fascismo che sta vincendo, non si può proporre la rivoluzione proletaria, e nemmeno quella democratica: occorre unire le forze interessate alla salvaguardia delle libertà democratiche, a cominciare da quelle socialiste“. Riunificare i socialisti comporta grosse difficoltà. Nenni ha pensato di risolvere il problema con la proposta di una sintesi diretta a superare “politicamente” l’antitesi ideologica tra riformismo e massimalismo, che ha portato alla scissione e alla liquefazione del partito.

Ma, nella sua collaborazione con Rosselli a “Quarto Stato”, si è posto anche il problema di una revisione ideologica, e se lo è posto con grande lucidità. Egli scriveva, nella prefazione alla prima edizione della Storia di quattro anni, alla fine del 1925: “C’è motivo di temere che anche dall’eroica lotta con cui i socialisti si oppongono e resistono al fascismo e che prima o poi darà i suoi frutti e maturerà situazioni nuove, il proletariato non abbia nulla di positivo da attendere. Il movimento socialista si attarda su posizioni ideologiche superatissime, si dà la funzione di restare a guardia dell’ortodossia dottrinale, evita con scrupolo di darsi un programma concreto, intonato alle esigenze del momento“.

Tamburrano sottolinea come, tuttavia, negli anni dell’esilio Nenni, che pur realizza l’obiettivo dell’unità socialista, metta invece nel cassetto i propositi revisionistici annunciati negli ultimi tempi della sua permanenza in Italia, e che avevano motivato la sua partecipazione all’esperienza di “Quarto Stato”. L’enigma di questo abbandono dell’intuizione revisionista (che sarà ripresa da Nenni solo moltissimo tempo dopo, nella seconda metà degli anni Cinquanta, quando capeggerà la svolta autonomistica del partito, dopo il rapporto Kruscev e i fatti di Ungheria) sta nell’avvenimento nuovo che si produce alla fine degli anni Venti, e che segnerà per il quarto di secolo successivo la storia politica di Nenni: il sovrapporsi della posizione frontista alla linea di difesa dell’indipendenza del PSI nei confronti dei comunisti, che aveva permesso di impedirne la fusione.

La sinistra italiana è quella che indubbiamente ha vissuto più a lungo l’esperienza del Fronte popolare. Nella sua tormentata vicenda, questa esperienza occupa un periodo lunghissimo, che coincide, salvo rare pause, con la guida nenniana del partito. Occorre distinguere nell’esperienza frontista italiana due grandi fasi. La fase dell’esilio, in cui le scelte politiche del Partito socialista e del Partito comunista – organizzazioni pressoché esclusivamente di quadri ristretti residenti soprattutto in Francia – ebbero una scarsa eco sulla realtà sociale dell’Italia, in cui era possibile solo una difficilissima azione clandestina. La seconda fase, quella successiva alla caduta del fascismo, in cui la politica del Fronte si esplica all’interno del paese, e che ha effetti fortemente incisivi sulla realtà italiana, rivelandosi responsabile, dal 1948 in poi, della seconda sconfitta storica della sinistra italiana, dopo quella subita contro il fascismo.

Pietro Nenni fu certamente il protagonista di questa politica, in entrambe le sue fasi. Il ruolo da lui svolto, dalla fine degli anni Venti fino alla metà circa degli anni Cinquanta, dall’esilio alla Liberazione, dall’istituzione della Repubblica alla crisi dello stalinismo, è dettagliatamente rievocato dalla ricerca di Tamburrano.

Da essa viene messo in luce come Nenni fu l’ideatore di questa politica, ancor nel fuoco delle roventi polemiche che fin dall’inizio avevano contrassegnato i rapporti fra i due partiti in esilio. Il Partito socialista, riunificato per merito soprattutto di Nenni, aveva aderito alla Concentrazione antifascista, costituita sulla base di un’alleanza con le forze liberaldemocratiche e repubblicane e con il movimento liberal-socialista di Giustizia e Libertà ispirato dai Rosselli; mentre il Partito comunista d’Italia non solo era rimasto estraneo alla Concentrazione, ma aveva condotto contro la Concentrazione, e contro i socialisti in particolare, una campagna settaria e denigratoria, che aveva ripetutamente colpito Nenni di persona. Questi, dopo essere stato artefice dell’unità socialista, si contraddistinse, nell’ambito della Concentrazione, per la sua posizione personale, rivolta a perseguire il raggiungimento dell’unità di tutta la sinistra. È a questo obiettivo che egli sacrifica l’intuizione revisionistica che lo aveva affiancato a Rosselli, negli ultimi tempi della presenza in Italia.

Non solo egli rinuncia a sviluppare quell’intuizione, ma si adopera per apparire un rigido guardiano dell’ortodossia marxista contro il revisionismo liberal-socialista di “Giustizia e Libertà“. In effetti, questa posizione nenniana, più che ad una ragione ideologica, si ispirava a una duplice ragione pratica: la prima stava nel fatto che una revisione ideologica avrebbe accentuato le divergenze con i comunisti, e reso quindi più difficile per lui realizzare l’obiettivo che si era proposto della politica unitaria; la seconda ragione sta nel fatto che egli, dopo il sorgere del movimento di Giustizia e Libertà, ne temeva la concorrenza, che rischiava di essere sempre più insidiosa, a misura che il PSI, sposando posizioni frontiste, lasciava spazio alla polemica revisionista. Certo è che Nenni, sposando la politica unitaria in modo impetuoso e convinto, contraddiceva innanzitutto se stesso, il Nenni di “Quarto Stato”, per intendersi. Ma anche qui, per lui contava soprattutto il fine, e per questo era disposto a modificare il mezzo.

Questa è la chiave per comprendere – a prescindere da ogni giudizio di valore – i comportamenti politici nenniani nelle due fasi del frontismo, quella in esilio e quella successiva in Italia; per comprendere anche il suo atteggiamento verso lo stalinismo, di cui mostrò, già alla fine degli anni Trenta, di conoscere la terrificante realtà, all’epoca dei processi di Mosca, e tutte le nefandezze.

Secondo Tamburrano, egli avrebbe pronunciato questa frase: “Ho sbagliato tutto“, riferendosi alla sua vita politica. Questa frase fa indubbiamente onore all’onestà intellettuale di Nenni, ma induce a pensare che il suo pessimismo autocritico sia stato eccessivo. Nenni sbagliò molto (anche perché il suo ruolo fu sempre importante e si trovò a coprire un arco di storia politica lunghissimo); diede tuttavia molto, e il suo contributo risultò sovente determinante in modo positivo.

Anche il suo errore frontista non oscurerà, ad esempio, la sua presenza attiva e fondamentale nella ricostruzione politica del paese e nella battaglia istituzionale, che lo portò ad essere uno degli artefici, se non il maggiore, della formazione repubblicana dello Stato e della Costituzione repubblicana. Allo stesso modo, egli non derogò mai dal suo impegno per la distensione internazionale e per la costruzione della pace: il che fu alla base della grande popolarità di cui in ogni momento poté godere nell’opinione pubblica e fra le classi dirigenti di ogni parte del mondo.

La storia del PSI, negli anni della dittatura fascista, fu anche storia delle battaglie condotte dai socialisti che in Italia prepararono e condussero la lotta all’interno del paese. Fin dalla metà degli anni Venti, l’azione di resistenza al regime aveva assunto quelle forme clandestine che diverranno sempre più quelle solo possibili. Uno stuolo di militanti e di dirigenti vi presero parte con grave rischio della vita e della loro libertà personale.

Un’ampia documentazione, e una puntuale interpretazione di questi aspetti, è stata raccolta e pubblicata nel 1963 da Stefano Merli per incarico dell’Istituto Giangiacomo Feltrinelli (Stefano Merli: La rinascita del socialismo italiano e la lotta contro il fascismo dal 1934 al 1939, Documenti inediti dell’Archivio Angelo Tasca, Feltrinelli, Milano 1963). Da tali documenti, come da numerosi altri, risulta grande l’attività clandestina dei socialisti organizzati nel Centro Interno. Tra di essi vanno ricordati Giuseppe Faravelli, Rodolfo Morandi, giovani come Lelio Basso e, con loro, numerosi socialisti, di estrazione sociale umile, o intellettuali.

Un posto a sé merita Eugenio Colorni, uomo di cultura, organizzatore e animatore della resistenza socialista, caduto a Roma nel maggio 1944. Al suo nome è legata infatti, insieme con quello di Ernesto Rossi e di Altiero Spinelli, la elaborazione e la stesura del Manifesto Federalista, avvenute al confino di Ventotene.

Colorni può essere considerato il fondatore della tendenza federalista del socialismo italiano. Di lui, della sua azione politica, ha scritto Leo Solari, in un’opera esauriente.

Protagonista della Resistenza, in tutti i suoi momenti, è stato, come è noto, Sandro Pertini, la cui figura di socialista e di democratico ha avuto il suo più alto riconoscimento con l’elezione a presidente della Repubblica, nel 1978. Essa è la testimonianza del contributo politico, ideale e morale determinante dato alla lotta antifascista e alla Resistenza dal Partito socialista italiano.