L’utopia possibile di Olof Palme
di Lia Fubini
In libreria la raccolta di scritti e discorsi di uno dei più grandi protagonisti della socialdemocrazia europea. Un lettura di stretta attualità Stato sociale e crescita economica sono alla base del successo della socialdemocrazia svedese, un successo legato al nome di Olof Palme dagli anni ’60 fino alla sua tragica morte nel 1986.
Palme è stato uno dei grandi rinnovatori della tradizione socialdemocratica europea ed è senza dubbio un riferimento importante per la definizione di un socialismo riformista e di respiro internazionale. Una riflessione sulla socialdemocrazia, sui suoi obbiettivi e sui risultati raggiunti offre spunti e suggerimenti per un’uscita dalla crisi e per la costruzione di un mondo migliore.
Per questo non si può accogliere che con estremo interesse la raccolta degli scritti e dei discorsi più significativi di Palme curato da Monica Quirico Tra utopia e realtà: Olof Palme e il socialismo democratico
(Editori Riuniti university press, 2009).
Molti e attualissimi i temi trattati: democrazia, stato sociale, ruolo del sindacato, equità, integrazione degli immigrati, questione femminile, solidarietà internazionale.
La competitività del sistema svedese è stata in grado di garantire ed estendere un sistema di welfare universalistico, in cui vengono forniti servizi indiscriminatamente a tutti i cittadini, dunque non solamente assistenza ai bisognosi o servizi selettivi. Il tema del welfare è stato inserito in una visione complessiva della politica, della società e dell’economia. Il primo insegnamento che possiamo trarne è che i problemi sociali ed economici non possono e non devono essere affrontati separatamente e in modo parziale.
Un modello che oggi merita di essere approfondito in una prospettiva di uscita dalla crisi è quello del compromesso socialdemocratico, il cui obiettivo è favorire lo sviluppo del sistema, la sicurezza sociale e una equa redistribuzione del reddito, elementi che, a dispetto del pensiero economico mainstream, vanno di pari passo, come mirabilmente illustra Palme in numerosi discorsi riportati nel volume.
Il compromesso sociale è stato il frutto della necessità di uscire dalla profonda recessione degli anni trenta. La crisi del ‘29 era, come quella attuale, una crisi del modello liberista, una crisi da disuguaglianze e da deregolamentazione dei movimenti finanziari. La risposta sono state le politiche keynesiane che hanno favorito la crescita e la tendenza a una maggiore equità distributiva. Nei paesi del nord Europa tale modello ha raggiunto gli standard più alti: la spesa pubblica, la creazione di nuova occupazione, l’aumento del potere d’acquisto dei lavoratori non si collocano solo in uno schema keynesiano di stimolo alla domanda effettiva, ma sono il risultato di una politica in grado di coniugare sviluppo e integrazione sociale.
Ma, negli anni settanta si è inceppato il meccanismo virtuoso di crescita stabile e sostenuta. In parallelo il compromesso socialdemocratico è entrato in crisi; è rimasto così incompiuto il processo di costruzione di una società socialista auspicato da Palme.
Documento esportato da: www.sbilanciamoci.info
Olof Palme si rende conto dei cambiamenti in atto, coglie il pericolo di una crisi di lunga durata del capitalismo, di forti correnti reazionarie scatenate dalla recessione degli anni settanta, di un’offensiva neoliberista sul piano ideologico e pratico. La soluzione – dice Palme – non è: più capitalismo, ma una trasformazione della società che aumenta il potere dei lavoratori e un intervento sistematico sui principali nodi dell’economia. Per superare la crisi non si deve lasciare più spazio al mercato, ma è necessario avanzare verso il socialismo. “Il rischio, tuttavia – dice profeticamente Palme nel 1977 – è che il capitalismo, trovandosi sulla difensiva, diventi duro, brutale e repressivo, finendo così per diventare pericoloso”. Di fronte ai rischi di un capitalismo sempre più aggressivo vede la necessità di una gestione programmata dell’economia, di un progresso verso uno stadio più avanzato della democrazia, la democrazia economica che nella sua concezione rappresenta il seguito e il complemento della democrazia sociale, che costituisce a sua volta il prolungamento della democrazia politica.
Oggi – molti sottolineano – incombe il problema dell’inquinamento e del degrado dell’ambiente, non si può più pensare a una crescita continuativa in grado di sostenere un sistema di welfare universalistico. Palme è cosciente di problemi che col tempo si riveleranno ben più pressanti e propone soluzioni adeguate ad affrontare le nuove sfide poste dalle tematiche ambientalistiche: la crescita si deve concentrare nel sociale, nell’ambiente, nella formazione, nella tecnologia.
Muovendosi nella direzione indicata da Palme uno stato sociale degno di questo nome potrebbe essere costruito, anche in Italia, e costituirebbe la premessa e il complemento di un nuovo modello di sviluppo sostenibile. Naturalmente un sistema di tassazione elevata e fortemente progressiva è condizione necessaria e deve accompagnarsi a una svolta profonda nelle politiche economiche. In questa fase di insicurezza generalizzata deve essere ripensata la spesa sociale, si devono ridurre drasticamente le disuguaglianze, il dualismo del mercato del lavoro, si deve tornare a puntare sulla piena occupazione, magari rispolverando l’idea oggi fuori moda della diminuzione dell’orario di lavoro.
Dalla democrazia dei diritti civili e politici si deve avanzare verso la democrazia sociale e la democrazia economica, è necessario un intervento diretto delle forze sociali e dei lavoratori nel processo di accumulazione. Può sembrare un’utopia, proprio quell’utopia abbandonata dai partiti socialdemocratici che sempre più hanno conosciuto derive moderate e liberiste. Eppure, – come ci insegna Palme – “il possibile non verrebbe raggiunto se nel mondo non si ritentasse sempre l’impossibile” .
Questo è tanto più vero oggi con questa crisi che, a dispetto degli ottimisti, è ben lungi dall’essere superata non solo e non tanto per i problemi finanziari, che comunque sono tutt’altro che risolti, ma per gli effetti devastanti sull’occupazione e sul tessuto produttivo.
L’incapacità di una riflessione complessiva da parte di partiti e governi e consiglieri del principe rende problematica l’uscita dalle recessione. In questo contesto i partiti cosiddetti socialdemocratici di oggi non sono in grado di dare risposte e si sono adagiati supinamente sul pensiero dominante.
La crisi offre la possibilità di un ripensamento sui rapporti sociali, sulla democrazia e sul modo di produzione. Non a caso le grandi crisi, con la loro forza destabilizzante, costituiscono un momento decisivo e un punto di svolta nella gestione dell’economia e nello sviluppo delle politiche sociali, pongono problemi difficili, ma offrono anche nuove opportunità.
Documento esportato da www.sbilanciamoci.info
Come da più parti oggi si evidenzia, la crisi è intrinseca al capitalismo. Ma tanto più incisive sono le azioni redistributive e i controlli sulla sostenibilità sociale e ambientale dei processi economici da parte dello Stato, tanto minori sono gli elementi di instabilità. è dunque urgente una riforma profonda dei processi produttivi e distributivi, una svolta nella direzione dell’equità e della democrazia sociale ed economica.
Monica Quirico, Tra utopia e realtà: Olof Palme e il socialismo democratico
(Editori Riuniti university press, 2009)
“Io sono un socialdemocratico svedese, un socialista democratico europeo. Noi ci pensiamo come un movimento di liberazione. Il socialismo democratico è infatti un movimento di liberazione dell’uomo. La storia d’Europa di questo secolo si è incaricata di dimostrare che il movimento riformista dei lavoratori ha avuto nemici sia nelle dittature di destra sia in quelle di sinistra. La nostra identità si è sviluppata su tre temi: lavoro, giustizia sociale, pace, Noi abbiamo sempre cercato di offrire a tutti i cittadini sicurezza ed eguaglianza di fronte agli imprevisti della vita. Come socialdemocratici non abbiamo la pretesa di disegnanare la società perfetta del futuro. Forse perchè non abbiamo sufficiente immaginazione e profetico talento. Quello per cui lavorano i socialdemocratici è semplicemente una società che dia a ognuno l’opportunità di realizzare i propri progetti di vita“.
La vita
Ma chi è esattamente Olof Palme, e che ruolo ha ricoperto nella socialdemocrazia svedese?
Sven Olof (“Ulof”) Joachim Palme nasce a Stoccolma nel 1927, da una classica famiglia svedese di origini baltiche e di condizione medio-alta, dall’ideologia conservatrice e un poco perbenista. Ragazzo dalle forti doti intellettuali, frequentando l’Università di Stoccolma aderisce all’associazione degli studenti socialdemocratici: incontro che in lui fa scattare la passione politica. Laureatosi nel ’51, Palme diviene presto, grazie alla personalità carismatica unita a un’ indubbia carica umana, presidente dell’Unione degli Studenti Svedesi, associazione che riunisce varie realtà, legate in gran parte al Partito socialdemocratico svedese.
Mentre Olof nasceva, i socialdemocratici della SAP, il Partito Socialdemocratico Svedese dei Lavoratori (nato nel 1889), erano già parte del Governo svedese da dieci anni, dopo aver conquistato, alle elezioni del 1914 e 1917 ( in quest’ultime, alleati dei liberali), una grande maggioranza alla seconda Camera (posizione, questa, che manterranno sostanzialmente sino ai nostri giorni).Nel 1932, la grande vittoria alle elezioni, con un programma ispirato all’imminente, negli USA, “New Deal” rooseveltiano, e alle idee keynesiane, introdotte in Svezia dalla celebre Scuola economica di Stoccolma (forte di economisti come Niels Karleby e Gunnar Myrdal, poi Nobel per l’Economia nel ’74), porta la SAP alla guida del Governo. Che i socialdemocratici manterranno , salvo brevi periodi d’interruzione, per quasi 65 anni.
A metà anni Trenta la SAP, alla testa d’un governo di coalizione appoggiato anche dal Partito agrario, rappresentante dei lavoratori rurali, lancia un grande programma di lavori pubblici, migliora il sistema di pensionamento, i servizi d’ assistenza sociale per i cittadini inabili al lavoro e l’assistenza sanitaria; rinnova la scuola e il parco abitativo. Dopo gli anni della guerra mondiale, trascorsi in rigorosa neutralità (pur mantenendo i buoni rapporti con la Germania), nel ’46 la pensione d’anzianità creata nel 1914 viene portata a un adeguato livello, e nasce un sistema generale di assicurazione contro le malattie; nel ’47 sono introdotti sussidi per la prole svincolati dal controllo del reddito delle famiglie (cosa che, però, sarà doverosamente adottata solo anni più tardi), e, nel ’48, la legge per la sicurezza sul lavoro. Lo stesso anno, la SAP, privata, alle elezioni, della maggioranza assoluta (che manteneva, alla seconda Camera, sin dal 1940), è costretta a mettere in secondo piano i progetti, di stampo britannico, di nazionalizzazioni ampie; ma nel 1960, la netta sconfitta elettorale dei partiti conservatori permetterà ai socialdemocratici – favoriti anche dal boom economico europeo – d’avviare una seconda fase di grandi riforme.
Il tripudio della socialdemocrazia svedese
Gli anni Sessanta, così, sono veramente il “siglo de oro” della socialdemocrazia svedese: il giovane Olof Palme, notato dall’allora primo ministro Tage Erlander, diviene suo segretario, e in seguito, nel 1961, capo della divisione di gabinetto del Premier. Col rafforzarsi dell’intesa, Palme è, nel 62, ministro delle Comunicazioni; e, nel ’65, per l’ Educazione e gli Affari culturali.
È in questi anni – tra i Sessanta e i Settanta – che si precisa meglio il particolare modello socio-economico svedese: basato, com’è noto, su un Welfare assai generoso, capillare, ma al tempo stesso macchina onnipresente e quasi puntigliosa, che segue veramente il cittadino “dalla culla alla tomba”. Al di là dei significativi risultati – ma anche dei limiti e ritardi – della sua politica, la socialdemocrazia svedese, comunque, sin dall’immediato Dopoguerra ha dato prova di grande abilità politica: riuscendo a fissare l’asse del dibattito nazionale, e il discrimine fra gli stessi partiti, sulla questione socialismo sì-socialismo no. Tant’è vero che quando nel ’76 la SAP, dopo 44 anni ininterrotti di governo, sarà sconfitta alle elezioni, con conseguenti dimissioni del primo governo Palme, il nuovo esecutivo centrista di Thorbjorn Faelldin, pur accingendosi a tagliare fortemente la spesa pubblica, non s’ azzarderà minimamente a rimettere in discussione il radicato carattere socialdemocratico dello Stato.
Infine, sempre negli anni ’60-’70, con unanime accordo tra i partiti, si completa il profilo etico-culturale della Svezia. Paese rigorosamente neutrale, di cultura libertaria – specie sul piano etico-sessuale – ma senza eccessivi permissivismi, e centrata sul rispetto dei diritti civili (vedi l’ Onbudsman, il Difensore Civico, nato proprio in Svezia nel 1809) e umani in genere; e sull’accoglienza degli stranieri. In molte di queste scelte, determinante è l’iniziativa proprio di Olof Palme: che nel ’69 è eletto presidente del Partito socialdemocratico, divenendo poi Premier. In quegli anni, l’ospitalità che egli – nel solco della tradizionale politica d’accoglienza svedese – concede a tanti giovani americani renitenti alla leva, in quanto contrari alla guerra in Vietnam, rende più difficili le relazioni con gli USA (dove pure esiste, sin dall’ Ottocento, una forte comunità di immigrati svedesi): alienandogli le simpatie dell’”establishment” americano.
Il primo governo Palme, comunque (1969-’76) si caratterizza per l’accentuazione (eccessiva, secondo molti) del carattere già egualitario della politica fiscale. La pressione fiscale complessiva, già da decenni tra le più alte al mondo, a metà anni ’80, col secondo esecutivo Palme e i suoi successori, per il lavoratore medio svedese arriverà a incidere addirittura sul 64% del suo reddito. Va detto, però, che in Svezia l’imposizione fiscale è realmente progressiva (non solo in teoria, come in Italia): i redditi più alti, cioè, pagano una percentuale di imposte più che proporzionale rispetto ai redditi più bassi, anche a fini di ridistribuzione del reddito (questo, però, senza le esagerazioni di vari governi socialisti mediterranei degli anni ’80, Francia e Spagna in testa). Mentre la rete di servizi pubblici di cui gli svedesi in cambio possono usufruire, a livello centrale e locale, è a tutt’oggi – nonostante, cioè, le inevitabili riduzioni degli ultimi decenni – estesissima; e i livelli di corruzione, come certificato dai principali osservatori internazionali, sono davvero molto bassi.
Intorno alla metà degli anni Settanta, col primo periodo di governo di Olof Palme, dopo una fase in cui lo shock petrolifero del 1973 non sembra aver particolari ripercussioni sulla Svezia, con inflazione sotto controllo e ulteriore crescita di profitti e salari, il gonfiarsi della spesa pubblica e per i contributi dei datori di lavoro privati ai fondi pensione produce un forte aumento dell’inflazione; e alcuni settori tradizionalmente forti dell’economia – come la cantieristica navale – sono colpiti dalle conseguenze a catena della crisi petrolifera. Da qui, la vittoria dei conservatori alle elezioni del 1976. Ma, come ricordavamo, il nuovo governo conservatore non porta avanti una politica propriamente antisocialdemocratica: anche se una delle prime decisioni, ovviamente, è rimandare alle calende greche l’attuazione del “Piano Meidner”. Alla lunga, però, proprio la debole identità culturale di questa destra, e la mancanza di proposte innovative in economia (proprio negli anni che, al di qua e al di là dell’ Atlantico, vedono all’assalto la nuova destra, ultraliberista, di Margaret Thatcher, Ronald Reagan, Helmut Kohl), oltre alle forti divisioni interne, fan sì che l’elettorato svedese torni a preferire i socialdemocratici: siamo nell’autunno 1982, quasi in contemporanea al trionfo di Felipe Gonzales in Spagna, e un anno dopo le storiche vittorie di Mitterrand in Francia e del PASOK di Papandreu in Grecia. Riconfermata nel 1985, nel quadro generale di ritorno al potere delle socialdemocrazie europee degli anni Ottanta, la SAP comunque è consapevole che il vecchio “modello svedese”, ideale in tempi d’espansione economica, viene ad incepparsi, invece, in tempi di crisi ricorrenti, “stagflazione” e, soprattutto, incipiente globalizzazione.
A tutte queste cose, probabilmente, ripensa Olof Palme, nel tardo pomeriggio di quel 28 febbraio 1986: mentre è al culmine della sua carriera politica, come premier svedese, mediatore per l’ONU (e anzi candidato a succedere a Pérez de Cuéllar alla carica di Segretario Generale), vicepresidente dell’ Internazionale Socialista, pacifista in senso autentico, impegnato nella distensione fra i blocchi; e leader assertore del non allineamento del suo paese, in un senso che diremmo più “terzomondista”, nello stile dei capi storici di questo movimento (Nehru, Nasser, Tito). Verso le 18,30, tornato a casa conferma, con la moglie, la decisione d’andare al cinema, insieme al figlio Marten e alla sua fidanzata; congedando così (con gesto tipicamente “scandinavo-anglosassone”, impensabile dalle nostre parti) la scorta, che , insieme ai servizi di sicurezza, sa bene che il “cliente”, sino al lunedì, rimarrà senza alcuna copertura.
L’uccisione
Alle 23,15, fuori dal cinema, le due coppie si congedano, e i coniugi Palme si incamminano lungo Sveavagen, il grande viale nel centro di Stoccolma, diretti a casa. La coppia prosegue avvicinandosi alle vetrine d’ un colorificio, all’angolo con Tunnelgatan, stradina pedonale al termine della quale una lunga scalinata conduce a Luntmakargatan, nella parte superiore della città: proprio lì, nell’ombra, un uomo con un soprabito scuro, immobile, sembra attendere qualcuno (lo nota un’ insegnante di musica seduta nella sua auto). Sono le 23.21, Olof e Lisbet Palme superano il colorificio; l’ombra nel buio s’avvicina alla coppia, estrae una Smith & Wesson 357 “Magnum” e spara due colpi alla schiena del primo ministro, che crolla in una pozza di sangue. Lisbet – rimasta anche lei leggermente ferita – urla e chiede aiuto; l’ombra si dilegua per sempre, correndo verso Tunnelgatan.
Il premier, gravemente ferito, morirà poco dopo. Nel caos di quei momenti, l’allarme generale, con l’ordine di bloccare completamente le vie d’uscita e d’ accesso alla città, viene dato, tuttavia, solo più di venti minuti dopo (come, incredibilmente, a Washington la sera del 15 aprile 1865, dopo l’assassinio di Lincoln). L’istruttoria per l’ omicidio di Palme è stata la più lunga e costosa mai portata avanti in Svezia, e non è ancora chiusa, dal momento che il suo assassino non ha ancora un nome; l’arma del delitto non è stata mai ritrovata.
Fonti: reset.it e iris.unito.it
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