IL GRANDE SILENZIO DELLA SINISTRA ITALIANA

di Alberto Benzoni

Dal dopoguerra ad oggi, la sinistra italiana è stata disastrosamente sconfitta per ben tre volte.
La prima, e apparentemente, più clamorosa, fu quella del Fronte nel 1948. Ma sia il Pci che il Psi seppero immediatamente attuare o comunque anticipare il loro piano B.
Togliatti disse subito ai suoi collaboratori “è andata bene così“. Ed era andata bene così perchè il successo del Fronte avrebbe provocato una crisi grave e incontrollabile sul piano interno e internazionale. Mentre la sua definitiva sconfitta apriva la strada ad una lunghissima guerra di posizione dove il Pci, forte dei suoi legami internazionali e del suo radicamento sociale (e intellettuale) avrebbe potuto esercitare al meglio il suo ruolo di tribuno del popolo e di intellettuale organico.

Nel Psi, la corrente autonomista si riunì immediatamente all’indomani del voto, chiedendo ed ottenendo un congresso che avrebbe poi largamente vinto. E i temi sollevati a Genova sarebbero stati sì messi sotto il tappeto nello scontro tra i blocchi contrapposti e nel clima della guerra fredda; ma per risorgere e affermarsi a partire dalla metà degli anni cinquanta.

La seconda fu quella di Mani pulite. Ma colpì soli i socialisti, scelti da tutti come capri espiatori delle malefatte (?) della prima repubblica. I comunisti (come i cosiddetti “cattolici democratici”) seppero tradurre la reale sconfitta in vittoria. E lo fecero vendendo al propria anima a grandi poteri privati, alla magistratura e all’Europa. Trasformandosi da partito guida dell’avanzata del movimento operaio in garanti del sistema: distribuzione del potere, rispetto rigoroso dell’ortodossia economico-finanziaria e luogo deputato della difesa della moralità pubblica e, sempre più spesso, anche privata. Una rendita di posizione che si sarebbe via via consumata nel corso del tempo sino al “redde rationem” di questi ultimissimi anni; ma che avrebbe funzionato, eccome, nel frattempo.

La terza è stata quella del marzo 2018. E rischia, a differenza dalle altre, di essere definitiva, almeno per la sinistra che abbiamo conosciuto e frequentato nel corso di lunghi decenni.
Non a caso essa è stata seguita da un grande silenzio, interrotto da grida inarticolate o da proclami autoreferenziali. Un grande silenzio che reca in sè la amara consapevolezza che i ruoli che le varie forze della sinistra, in particolare ex comunista, si erano assegnati, non possano più essre svolti e che non se vedano altri a dsposizione.
Se oggi il Pd dice “opposizione, opposizione”non lo fa perchè ha una qualche idea precisa su come svolgere questo ruolo (opposizione a chi ? o a che cosa ?) ma perchè vuolo essere lasciato in pace, nell’illusione di potere metabolizzare il proprio disastro.

Un disastro che non concide soltanto con la perdita di voti; ma con la perdita della funzione di garante del sistema, questa, temo, definitiva. Per la prima volta nella storia italiana il gruppo dirgente ex Pci o ex Dc, non dà più le carte e non siede più al tavolo di chi conta in una suite a ciò predisposta; uno shock esistenziale da cui sarà difficile riprendersi.
Leu (Liberi e Uguali), in una specie di training autogeno, dichiara di voler continuare. Ma lo dichiara con parole senza convinzione e senza peso. Perchè sa che con il suo 3% gli sono definitivamente preclusi sia l’obbiettivo di diventare il punto di riferimento per la ricostruzione del “vero Pci“sia, e maggior ragione, quello di essere la massa critica per la ricostruzione di una sinistra di opposizione.

Rimane quello di essere “corrente esterna“di un Pd allo sbando; ma, allora, perchè aver fatto la scissione?
Un silenzio complessivo che è quello di un campo di rovine.

Naturalmente, i campi di rovine sono anche degli spazi aperti; e nello specifico sia alla sinistra radicale che a quella riformista o, meglio, riformatrice.
Ma queste non sono ancora comparse sulla scena; nè hanno piantato sul terreno bandiere visibili e attraenti.
Il loro problema è esattamente inverso a quello dell’area ex Pci. Esistono, e come, sia lo spazio che il ruolo; mancano, o sono almeno del tutto insufficienti le forze a disposizione anche per l’incapacità di fare definitivamente i conti con il proprio passato.

Potere al popolo (al quale, lo dico per dovere di verità nei confronti di chi mi legge vanno tutte le mie simpatie) contiene in sè tutte le potenzialità della sinistra incarnata da Mèlenchon (e anche da Podemos): una sinistra in cui la rivendicazione della sovranità nazionale non è un obbiettivo in sè, ma il coronamento di un progetto di recupero dei valori del socialismo e della democrazia su scala nazionale ed anche europea, se non la condizione necessaria per poterlo svolgere. Ma rischia di essere frenato dal settarismo, dal “poverismo“e dalla vocazione irresistibilmente minoritaria che segna anche psicologicamente la storia della sinistra di opposizione.

In quanto ai socialisti il loro lungo silenzio -un silenzio che ha fatto sì che la stessa parola “socialismo“non evochi nulla nella mente dei loro potenziali ascoltatori- è legato a fil doppio alla loro paranoica autoreferenzialità. E allora chi voglia parlare, come si farà sicuramente nell’incontro rifondativo di Livorno, (il 24 marzo 2018 ndr.) dovrà, per prima cosa, lasciarsi alle spalle questo passato. Essendo, conseguentemente, consapevole che, per uscire dal mortale silenzio che ci ha progressivamente soffocato in questi venti e più anni non basta pronunciare la parola magica; ma sarà necessario tradurla in iniziative, eventi, battaglie, riflessioni collettive, personalità che ne siano credibili testimoni.
Nulla ci assicura che il definire correttamente un percorso garantisca il suo successo; limitiamoci a dire che è la condizione necessaria per intraprenderlo.