ESCLUSIVO Un documento inedito conservato negli archivi del Comintern a Mosca avvalora la tesi della congiura per non far uscire dal carcere fascista il leader del Pcd’I
di Silvio Pons*
Nei lunghi anni della sua prigionia, Antonio Gramsci fu ossessionato dal dubbio assillante di essere vittima non soltanto della persecuzione messa in atto dal regime fascista, ma anche della colpevole condotta assunta dai suoi compagni di partito. L’evento scatenante fu una lettera speditagli nel 1928 da Ruggiero Grieco, che enfatizzava il suo ruolo di capo dei comunisti italiani proprio nel momento in cui sarebbe stata consigliabile un’estrema cautela.
Cautela necessaria al fine di non appesantire la posizione del detenuto e di favorirne la liberazione tramite uno scambio di prigionieri nei negoziati riservati avviati tra il governo italiano e quello sovietico. Tali negoziati non ebbero allora alcuno sbocco né migliore fortuna doveva avere un secondo tentativo effettuato nel 1934. Nella sua corrispondenza dal carcere con la moglie Julia e con la cognata Tatiana Schucht (che lo assistette in Italia durante la prigionia), Gramsci tornò più volte sull’episodio, avallando l’insinuante osservazione fattagli dal giudice istruttore («onorevole Gramsci, lei ha degli amici che certamente desiderano che lei rimanga un pezzo in galera»).
Tutto ciò è noto da tempo. Ma negli anni più recenti alcuni importanti documenti rinvenuti negli archivi russi ci rivelano che quell’atroce sospetto avvelenò Gramsci sino alla fine, che coinvolse la figura di Palmiro Togliatti e che lasciò uno strascico molto pesante dopo la sua morte avvenuta nell’aprile 1937. Le sorelle Schucht investirono caparbiamente della questione le autorità politiche dello Stato sovietico e il Comintern, probabilmente deluse dal carattere elusivo delle risposte ricevute dall’uomo che più di ogni altro era stato per Gramsci il tramite con il partito e con Togliatti, il famoso economista Piero Sraffa. Tanta ostinazione era motivata, secondo ogni evidenza, dall’amarezza per il tragico esito della vicenda carceraria di Gramsci, ma anche dalla persuasione di avere subito qualcosa di più di un’ingiustizia, qualcosa che assomigliava molto a un odioso tradimento. Accidentalmente questa penosa vicenda umana e politica si dipanò nel clima del Grande Terrore staliniano, che di certo contribuì a renderne i contorni ancora più opachi e ambigui.
Buona parte dei documenti di cui disponiamo è costituita da note e rapporti scritti da Stella Blagoeva, la segretaria del capo del Comintern, Georgi Dimitrov. Questi testi sono intrisi di una mentalità e di una prassi di natura poliziesca, ma non per questo debbono apparire irrilevanti. Da essi apprendiamo che gli appelli delle sorelle Schucht non rimasero inascoltati e anzi dettero luogo a un’inchiesta che chiamò in causa non soltanto Grieco, ma anche Togliatti. Già nel giugno 1938, quando Tatiana si trovava ancora in Italia, la Blagoeva informava Dimitrov delle accuse da essa mosse a Grieco. Ma dopo il ritorno di Tatiana a Mosca, probabilmente nel dicembre 1938, la questione assunse ben altro rilievo. Nel marzo 1939 la Blagoeva rispose a una richiesta di Dimitrov in merito all’«affare Gramsci-T.», sostenendo di ritenere fondate le accuse rivolte dalle Schucht all’indirizzo di Togliatti: un convincimento derivante anzitutto da una dichiarazione di Sraffa secondo la quale Gramsci nei suoi sospetti «pensava a T.» e anche dal fatto che la lettera di Grieco «non poteva essere stata scritta senza il benestare di T.». In seguito la Blagoeva lavorò a un vero e proprio dossier a carico di Togliatti, infine redatto un anno e mezzo più tardi, nel settembre 1940: in esso gli veniva rivolta, tra le altre, l’accusa di avere tenuto una condotta non limpida sulla questione della liberazione di Gramsci.
Questo dossier aprì una nuova fase dell’«affare». Ne siamo ora a conoscenza non sulla base degli scritti della Blagoeva, ma grazie al reperimento di un documento quale la lettera che Evgenia (la maggiore delle tre sorelle) e Julia scrissero a Stalin nel dicembre 1940. La lettera, che pubblichiamo in questa pagina, non conteneva indicazioni nominative, ma la pesantezza delle accuse lascia pochi dubbi circa la determinazione delle Schucht, che ricostruivano sommariamente i loro appelli degli anni precedenti, e circa il fatto che la Blagoeva avesse sino allora riportato fedelmente le loro parole (anche se non sappiamo con quali finalità fosse stato dato loro credito). Il punto centrale era la sottolineatura della rottura verificatasi tra Gramsci e il partito: le autrici ricordavano come egli avesse insistito per tenere contatti soltanto con i sovietici, tagliando fuori gli italiani. Il fatto stesso di riferire simili parole a Stalin in persona dava all’intera questione un peso assai più pronunciato.
Il segretario di Stalin, Poskrebysev, girò la lettera a Dimitrov e questi gli trasmise sollecitamente una decisione della segreteria del Comintern. Quest’ultima conteneva una serie di misure volte a tutelare le carte di Gramsci, come richiesto dalle Schucht, ma taceva sulla questione più delicata. Fu un modo per comporre una vicenda che rischiava di divenire assai pericolosa per Togliatti? In effetti, Dimitrov annotò prima di avere esaminato il documento alla presenza di Evgenia Schucht, Togliatti, Bianco e la Blagoeva; poi, dopo la riunione di segreteria, di avere «riparlato» con la Schucht e di ritenere che la questione fosse stata «regolata». Non a caso, ci risulta che Togliatti prese a lavorare alacremente proprio nei mesi seguenti sugli scritti di Gramsci. Tuttavia lo strascico lasciato dalla vicenda non si era ancora esaurito. Alcuni mesi dopo, nel luglio 1941, lo stesso Dimitrov annotò nel proprio Diario di avere concordato con Dolores Ibarruri di escludere Togliatti dalle «questioni strettamente segrete» a causa della sua inaffidabilità politica, ricordando che «un segnale in questo senso» era venuto anche dalla famiglia di Gramsci.
Gli storici avranno modo di discutere sul significato di questi documenti. Per il momento, ci si può limitare a due rilievi. Quanto all’origine dell’intera vicenda, la famigerata lettera del 1928, gli interrogativi e le zone d’ombra restano invariate. Vale però la pena di notare che, a dieci anni e più di distanza, nessuno dei protagonisti avanzò l’ipotesi di manipolazioni del documento da parte della polizia fascista (avanzate invece in sede storica, a partire dal fatto che l’originale non è mai stato ritrovato): stando alla Blagoeva, Togliatti si difese invece sollevando sospetti al riguardo di alcuni dei funzionari sovietici che avevano seguito i negoziati sulla liberazione di Gramsci (nel frattempo epurati da Stalin). Quanto all’«affare» nato dopo la morte di Gramsci, è opportuno distinguere tra le motivazioni delle Schucht e quelle di coloro che decisero l’apertura di un’inchiesta su Togliatti. E’ però evidente che esso ebbe nella disgrazia conosciuta da Togliatti dopo la Spagna un ruolo molto più centrale di quanto non ci fosse noto. Non si può escludere che fu proprio lo scoppio della guerra tra la Germania nazista e l’Unione Sovietica a mettere definitivamente la sordina sull’«affare Gramsci-T.».
* docente universitario (Roma Tor Vergata), direttore dell’Istituto «Gramsci»
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