IL LATO OSCURO DEI SOCIAL NETWORK: L’ANALFABETISMO FUNZIONALE (III capitolo – 3.)

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI “G. D’ANNUNZIO”

CHIETI – PESCARA

DIPARTIMENTO DI LETTERE, ARTI E SCIENZE SOCIALI

CORSO DI LAUREA IN FILOLOGIA, LINGUISTICA E TRADIZIONI LETTERARIE

L’ITALIANO DELLA POLITICA TRA PRIMA E SECONDA REPUBBLICA

RELATORE CORRELATORE

Chiar.mo Prof. Emiliano Picchiorri Chiar.ma Prof.ssa Maria Teresa Giusti

LAUREANDO

Dario Lorè

Matricola n. 3171312

ANNO ACCADEMICO 2016/2017

 

Uno dei problemi derivati dal diffondersi delle reti sociali, dal loro utilizzo abusato e dalle scelte poco oculate di alcuni personaggi politici, risulta essere, recentemente, l’analfabetismo funzionale. Ma in cosa consiste?

Ultimamente sono numerosi gli articoli che circolano sull’argomento. Qui se ne analizzano alcuni per cercare di capire e spiegare il fenomeno che, secondo le recenti ricerche, colpisce quasi il 70%[1] degli italiani. Però, per non incappare nell’errore e, ingenuamente, nel fenomeno di cui ci stiamo occupando, è necessario fare una distinzione tra analfabetismo strutturale e analfabetismo funzionale. L’analfabetismo strutturale è proprio di chi non sa né leggere né scrivere e oggi, per fortuna, in Italia investe meno del 5%, una percentuale resa irrisoria da politiche di alfabetizzazione applicate, soprattutto, a partire dal secondo dopoguerra. Gli analfabeti funzionali invece si trovano in un’area che sta al di sotto del livello minimo di comprensione nella lettura o nell’ascolto di un testo di media difficoltà. Hanno perduto la funzione del comprendere, e spesso non se ne rendono nemmeno conto.[2]

Non è un problema soltanto italiano. L’evoluzione delle tecnologie elettroniche e la sostituzione del messaggio letterale con quello iconico stanno modificando un po’ dovunque il livello di comprensione; ma se le percentuali attribuibili ad altre società occidentali (anche Francia, Germania, Inghilterra, o anche gli Usa, che non sono affatto il modello metropolitano del nostro immaginario ma piuttosto un’ampia America profonda, incolta, ignorante, estremamente provinciale), se anche quelle società denunciano incoerenze e ritardi, mai si avvicinano a queste angosciose latitudini, che appartengono soltanto all’Italia, e alla Spagna.

Il discorso è complesso, e ha radici profonde, sociali e politiche. Se prendiamo in mano i numeri, con il loro peso che non ammette ambiguità e approssimazioni, dobbiamo ricordare che nel nostro paese circa il 25% della popolazione non ha alcun titolo di studio o ha, al massimo, la licenza della scuola elementare. Non è che la scuola renda intelligenti, però fornisce strumenti sempre più raffinati – quanto più avanti si vada nello studio – per realizzare pienamente le proprie qualità individuali. Vi sono anche laureati e diplomati che sono autentici ignoranti, però è molto più probabile trovare ignoranti tra coloro che laurea e diploma non sanno nemmeno che cosa siano. (La percentuale dei laureati in Italia, poi, è poco più della metà dei paesi più sviluppati).

Un dato impressionante ce l’ha fatto conoscere l’Istat, non molto tempo fa: il 18,6%[3] degli italiani – cioè quasi uno su 5 – lo scorso anno non ha mai aperto un libro o un giornale, non è mai andato al cinema o al teatro o a un concerto, e neppure allo stadio, o a ballare. Ha vissuto prevalentemente per la televisione come strumento informativo fondamentale, e non è azzardato credere – visti i dati di riferimento della scolarizzazione – che la sua comprensione della realtà lo piazzi a pieno titolo in quel 70% di analfabeti funzionali (che riguarda comunque un universo sociale drammaticamente molto più ampio di questa pur amara marginalità). E da qui, poi, il livello e il grado della partecipazione alla vita della società, le scelte e gli stili di vita, il voto elettorale, la reazione solo di pancia – mai riflessiva – ai messaggi dove la realtà si copre spesso con la passione, l’informazione e la sua contaminazione con la pubblicità e tant’altro che ben si comprende.

Il discorso ha al centro la scuola, il sistema educativo del paese, le scelte e gli investimenti per la costruzione di un modello funzionale che superi il ritardo con cui dobbiamo misurarci in un mondo sempre più aperto e sempre più competitivo. Se noi destiniamo alla ricerca la metà di un paese come la Bulgaria, evidentemente c’è un discorso da riconsiderare.

Tramite un articolo comparso su “L’Espresso” il 7 marzo 2017, possiamo appurare che gli analfabeti funzionali mediamente hanno più di 55 anni, sono poco istruiti e svolgono professioni non qualificate. Oppure sono giovanissimi che stanno a casa dei genitori senza lavorare né studiare. O, ancora, provengono da famiglie dove sono presenti meno di 25 libri. È “low skilled[4] più di un italiano su quattro e l’Italia ricopre una tra le posizioni peggiori nell’ indagine Piaac[5], penultima in Europa per livello di competenze (preceduta solo dalla Turchia) e quartultima su scala mondiale rispetto ai 33 paesi analizzati dall’Ocse (con performance migliori solo di Cile e Indonesia).

Non si parla in questo caso di persone incapaci di leggere o fare di conto, piuttosto di persone prive <<delle competenze richieste in varie situazioni della vita quotidiana», sia essa «lavorativa, relativa al tempo libero>>, oppure <<legata ai linguaggi delle nuove tecnologie>>[6], precisa Simona Mineo, ricercatore Inapp, l’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche (ex Isfol).

<<Chi è analfabeta funzionale non è incapace di leggere – continua Mineo, che è stata anche National data manager per l’indagine OCSE-PIAAC condotta in Italia – ma, pur essendo in grado di capire testi molto semplici, non riesce a elaborarne e utilizzarne le informazioni>>. Un monito che riguarda gli italiani tutti perché, come conferma all’Espresso Friedrich Huebler, massimo esperto di alfabetizzazione per l’Istituto di statistica dell’Unesco: <<Senza pratica, le capacità legate all’alfabetizzazione possono essere perse anno dopo anno>>[7]. Come a dire che analfabeti non si nasce ma si diventa.

Al centro dell’analisi dell’esperto dell’Unesco ci sono proprio i dati dell’analisi Piaac che mostrano come, nonostante l’Italia abbia un tasso di alfabetizzazione che sfiora il 100%, la percentuale di analfabeti funzionali è la più alta dell’Unione europea. D’altronde, <<anche se la maggior parte degli abitanti dei paesi ricchi è capace di leggere e scrivere – chiude Huebler – non si deve dimenticare come i livelli di alfabetizzazione non sono gli stessi per tutta la popolazione>>.

Solo il 10 percento è disoccupato, fanno lavori manuali e routinari, poco più della metà sono uomini e uno su tre degli analfabeti funzionali italiani è over 55. Tra i soggetti più colpiti, le fasce culturalmente più deboli come i pensionati e le persone che svolgono un lavoro domestico non retribuito mentre, per quanto riguarda la distribuzione geografica, il sud e il nord-ovest del Paese sono le regioni con le percentuali più alte, visto che da sole ospitano più del 60% dei low skilled italiani.

A tracciare l’identikit dell’analfabeta funzionale italiano sono le elaborazioni dell’Osservatorio Isfol raccolte nell’articolo “I low skilled in Italia”, studio nato per indagare su quella nutrita parte della popolazione italiana che nell’indagine dell’Ocse ha mostrato di possedere bassissime competenze. Tra i risultati più interessanti, l’aumento della percentuale di low skilled al crescere dell’età, passando dal 20% della fascia 16-24 anni all’oltre 41% degli over 55. <<Questo perché chi è nato prima del 1953 non ha usufruito della scolarità obbligatoria – continua la ricercatrice Mineo – ma anche perché nelle fasce più adulte si soffre maggiormente dell’analfabetismo di ritorno>>[8]. Ovvero, «se non sono coltivate, vengono perse anche quelle competenze minime acquisite durante le fasi di formazione e di inserimento nel mondo del lavoro». Andamento inverso per gli high skilled: in altre parole, mano a mano che i mesi passano sul calendario, aumentano le possibilità di diventare analfabeti funzionali.

Quale quindi la causa delle cattive performance degli over 50? Colpa dei loro brevi percorsi scolastici e di un precoce ingresso nel mercato del lavoro, ma <<ciò che conta più di tutto è la mancanza di una costante “manutenzione” e “coltivazione” delle competenze>>. È l’assenza di allenamento mentale, quindi, la causa che la ricercatrice individua per il declino della popolazione più anziana. <<Si dovrebbe garantire un invecchiamento attivo>>, e sostenere attività di apprendimento in età adulta. <<Iniziative che purtroppo, in Italia, continuano ad essere estremamente ridotte>>. Contraltare degli over 50 sono i Neet (i giovani tra i 16 e i 24 anni che non stanno né lavorando né studiando), visto che secondo lo studio di Inapp coloro che appartengono a questa categoria hanno una probabilità cinque volte maggiore di avere bassi livelli di competenza.

Una delle domande presenti nel questionario utile allo sviluppo di questo studio, ha dimostrato l’accentuarsi dell’analfabetismo funzionale nelle famiglie in cui c’è una scarsa presenza di libri. <<Questo dato è particolarmente accentuato nel nostro Paese – si legge nel report[9] – dove il 73% dei low skilled è cresciuto in famiglie in cui erano presenti meno di 25 libri>>. Una mancanza che può portare i giovani a cadere in un crudele circolo vizioso. «L’assenza di un livello base di competenze – racconta Simona Mineo – rende difficili ulteriori attività di apprendimento», tanto da portare le competenze dei giovani con background fragili a <<invecchiare e deteriorarsi nel tempo>>, rendendo per loro sempre un miraggio <<l’accesso a qualsiasi forma di apprendimento>>.

Le nostre competenze, quindi, non sono statiche. La famiglia, l’età, l’istruzione e il lavoro possono determinarne nell’arco della vita lo sviluppo ma anche la loro perdita. E il tessuto italiano potrebbe addirittura aiutare la diffusione dell’analfabetismo funzionale. Tra i punti deboli del nostro Paese, infatti, <<l’abbandono scolastico precoce, i giovani che non lavorano o vivono condizioni di lavoro nero e precario, la mancanza di formazione sul lavoro>> continua la ricercatrice, puntando il dito anche contro <<la disaffezione alla cultura e all’istruzione, che caratterizza tutta la popolazione>>.

In un’intervista rilasciata alla rivista “Internazionale”, Tullio De Mauro aveva dichiarato[10]:  <<Da molti anni, perlomeno dalla Storia linguistica dell’Italia unita del 1963, ho cercato di raccogliere dati sull’analfabetismo strumentale (totale incapacità di decifrare uno scritto) e funzionale (incapacità di passare dalla decifrazione e faticosa lettura alla comprensione di un testo anche semplice) e ho cercato di richiamare l’attenzione dei miei colleghi sul peso che l’analfabetismo ha sulle vicende linguistiche e sociali in Italia. Nel 2014 è giunta a compimento la terza indagine comparativa internazionale gestita dall’OCSE (l’Organizzazione di cooperazione e sviluppo economico).  L’indagine è chiamata PIAAC, Programme for International Assessment of Adult Competencies (citata anche nella ricerca a cui fa riferimento l’articolo de “L’Espresso”) e per quasi trenta paesi del mondo, tra cui l’Italia,  ha definito cinque livelli di alfabetizzazione in  literacy[11] e numeracy delle popolazioni  in età di lavoro (16-65 anni), dal livello minimo di analfabetismo strumentale totale, a un secondo livello quasi minimo e comunque insufficiente alla comprensione e scrittura di un breve testo, ai successivi tre gradi di crescente capacità di comprensione e scrittura di testi, calcoli, grafici.

Il nostro focus è l’Italia. Il 70% della popolazione in età di lavoro si colloca sotto i due primi livelli. Anche dopo avere acquisito buoni, talora eccellenti livelli di literacy e numeracy in età scolastica, in età adulta le intere popolazioni sono esposte al rischio della regressione verso livelli assai bassi di alfabetizzazione a causa di stili di vita che allontanano dalla pratica e dall’interesse per la lettura o la comprensione di cifre, tabelle, percentuali.>>

De Mauro, inoltre, aggiungeva che i problemi affrontati dal nostro paese a causa dell’inconsapevolezza dei cittadini sono molti. Alcuni economisti hanno spiegato che il grave analfabetismo strumentale e funzionale incide negativamente sulle capacità produttive del paese e, a loro avviso, è responsabile del grave ristagno economico che affligge l’Italia dai primi anni Novanta. Purtroppo la percentuale di quelli che sono capaci di comprendere i discorsi politici o che capisca come funziona la politica italiana è nettamente inferiore al 30%, dato che dimostra ancora la validità di tutti gli studi e le statistiche in materia. All’interno del 30% di meglio alfabetizzati solo una percentuale modesta ha una buona conoscenza di lingue straniere e di linguaggi tecnico-scientifici. In attesa di indagini mirate e specifiche, che sono in corso d’opera, si può ipotizzare che solo il 10% della popolazione in età di lavoro capisce bene tecnicismi e forestierismi. Secondo De Mauro l’analfabetismo rappresenta, inoltre, una sorta di instrumentum regni, un mezzo eccellente per attrarre e sedurre molte persone con corbellerie e mistificazioni.

Tutto questo ha inevitabilmente delle ricadute negative sulla democrazia, mancano gli strumenti di controllo del flusso di decisioni e realizzazioni. La valutazione corretta dei gruppi dirigenti (quelli che smantellano la scuola pubblica) probabilmente è che lo sviluppo adeguato di questi mezzi mette in crisi la persistenza dei medesimi. In altre parole, se gli analfabeti funzionali non rappresentassero in Italia un consistente gruppo della popolazione, potrebbero agire elettoralmente a proprio vantaggio.

Un analfabeta funzionale, però, anche se apparentemente autonomo, non capisce i termini di una polizza assicurativa, non comprende il senso di un articolo pubblicato su un quotidiano, non è capace di riassumere e di appassionarsi ad un testo scritto, non è in grado di interpretare un grafico.

Non è capace, quindi, di leggere e comprendere la società complessa nella quale si trova a vivere. <<Più del 50% degli italiani>>, dice De Mauro, <<si informa (o non si informa), vota (o non vota), lavora (o non lavora), seguendo soltanto una capacità di analisi elementare: una capacità di analisi, quindi, che non solo sfugge la complessità, ma che anche davanti ad un evento complesso (la crisi economica, le guerre, la politica nazionale o internazionale, lo spread) è capace di trarre solo una comprensione basilare>>[12].

Un analfabeta funzionale, quindi, traduce il mondo paragonandolo esclusivamente alle sue esperienze dirette (la crisi economica è soltanto la diminuzione del suo potere d’acquisto, la guerra in Ucraina è un problema solo se aumenta il prezzo del gas, il taglio delle tasse è giusto anche se corrisponde ad un taglio dei servizi pubblici…) e non è capace di costruire un’analisi che tenga conto anche delle conseguenze indirette, collettive, a lungo termine, lontane per spazio o per tempo.

Relativamente al discorso affrontato è questo, in sintesi, il quadro che si presenta. Un quadro purtroppo esasperato dall’improprio utilizzo delle reti sociali, sia da parte di chi detiene il potere, sia da chi invece dovrebbe scegliere chi mettere al potere. E forse, da questo punto di vista, l’augurio (o il consiglio) di iniziare a leggere un po’ di più e più approfonditamente, non sarebbe del tutto improprio.

 

 

[1] Dati rilevati da ricerche recenti (OCSE, nello specifico) spiegati più avanti in maniera approfondita.

[2] M. Candito, Il 70 per cento degli italiani è analfabeta (legge, guarda, ascolta, ma non capisce), in “La Stampa”, 10 gennaio 2017.

[3] Indagine annuale ISTAT sulla diffusione della lettura.

[4] Nel linguaggio internazionale dell’istruzione si intendono “low-skilled” le persone poco qualificate e con un basso livello d’istruzione.

[5] Si tratta del “Programme for International Assessment of Adult Competencies”, cioè un programma ideato dall’OCSE per individuare e analizzare le competenze degli adulti.

[6] INAPP, Mineo S., Le competenze e l’autovalutazione, Intervento a “Le competenze per Industria 4.0 e per la trasformazione digitale”, Brescia, Isfor, 12 luglio 2017. Isfol OA: <http://isfoloa.isfol.it/xmlui/handle/123456789/1646>

[7] E. Murgese intervista F. Huebler dell’UNESCO Institute for Statistics in “Analfabeti funzionali, il dramma italiano: chi sono e perché il nostro Paese è tra i peggiori”, in “L’Espresso”, 07 marzo 2017.

[8] S. Mineo, Le competenze e l’autovalutazione, cit.

[9] Studio INAPP sui Neet.

[10] Intervista a Tullio De Mauro, in “Internazionale”, 1176, 21 ottobre 2016.

[11] La questione delle literacy è citata anche in G. Antonelli, Volgare Eloquenza, cit. p. 55.

[12] Intervista a Tullio De Mauro, pubblicata sul sito de “Il fatto quotidiano”, 20 febbraio 2013.