Care compagne, cari compagni,
la nostra presenza a Torino ci riempie l’animo di commozione e di orgoglio. La commozione accompagna l’omaggio che rendiamo alla memoria di tutti coloro che in questa città, forte e civile, hanno pagato con la vita il loro amore per la libertà, la loro fedeltà al dovere verso le istituzioni repubblicane.
Ricordiamo i morti di ieri e le vittime di questi mesi. Voglio ricordare un amico: Carlo Casalegno, le altre vittime innocenti che lo hanno preceduto e seguito nella tragica spirale culminata nella strage di Roma e nel rapimento di Aldo Moro.
Essi rappresentano per noi il volto della democrazia civile e pacifica, i loro assassini, il volto della barbarie. Noi siamo qui a Torino, amici fra amici per esprimere la nostra solidarietà al popolo torinese, ai suoi rappresentanti a tutte le forze della Repubblica.
Siamo qui a chiedere, delegati socialisti di ogni parte d’Italia, che siano moltiplicati gli sforzi per raggiungere i colpevoli. Chiediamo che nel processo di Torino la giustizia, per nessuna ragione, arresti il suo corso. Giudichi, lo faccia in modo giusto e che giustizia sia fatta.
Torino nella storia del movimento operaio
Il motivo di orgoglio nasce dalla consapevolezza che anche la storia del nostro partito si mescola e per tante parti si identifica con la storia del movimento operaio e dell’antifascismo torinese.
Qui a Torino si presentava candidato socialista nel lontano 1892, Camillo Prampòlini, ancor prima che nascesse la prima sezione socialista torinese sotto la guida di Oddino Morgari, mentre aderivano al nascente Partito socialista intellettuali come Edmondo De Amicis, Cesare Lombroso, Giuseppe Giacosa, Arturo Graf.
L’«andata al socialismo» di intellettuali e professori dell’Università di Torino acquistava un significato particolare. Più tardi Gramsci dirà che si andava «a scuola della classe operaia» così come capitava a lui e agli altri giovani socialisti di Torino quando vedevano passare i cortei di lavoratori per Via Po, davanti all’Università, per andare ai comizi al parco Michelotti per i grandi scioperi a tempo indeterminato nel 1911 e nel 1912.
In prima linea nella difesa della linea pacifista del partito, per una sommossa a Torino nel 1917 furono processati dal Tribunale militare il direttore dell’Avanti! Serrati, il cooperatore Francesco Barberis ed altri operai socialisti.
Il movimento dei consigli di fabbrica e la resistenza all’avvento del potere fascista furono un momento eroico del movimento operaio torinese.
Gli squadristi di Brandimarte dovevano attendere la marcia su Roma per compiere la strage di Torino nel dicembre 1922.
Un anno dopo, di Mussolini che visitava di persona la Fiat, notava Piero Gobetti: «il presidente ha aspettato dodici mesi, vuoi trovare i ribelli addomesticati, la città regale in camicia nera»; ma il suo discorso fu accolto dal silenzio ostinato degli operai.
Nel 1927 si ricostituisce a Torino la prima unità di azione antifascista tra socialisti e comunisti, si ricostituisce la prima Camera del lavoro clandestino, mentre il più autorevole dirigente sindacale piemontese, Bruno Buozzi inizia a raccogliere nell’emigrazione in Francia le fila dell’organizzazione sindacale.
Nello stesso anno un pugno di socialisti repubblicani democratici dà vita alla «Giovane Italia» che si collega con il «Centro-estero» anche attraverso visite a Torino di Fernando De Rosa e di Sandro Pertini. Nella lunga lotta clandestina della Resistenza il centro torinese opererà in stretto contatto con il «Centro-interno», «Giustizia e Libertà» con Vittorio Foa a Torino e Riccardo Lombardi a Milano.
Fu più tardi lo stesso Morandi nel pieno della grande lotta dei partigiani piemontesi a venire a Torino per dirigere lo sciopero insurrezionale nell’aprile 1945.
Una grande tradizione di lotte, del movimento operaio e dell’antifascismo, un grande contributo di sangue e di sacrifici del movimento socialista e del nostro Partito.
E al coraggio e alla coerenza di queste tradizioni che dobbiamo ricollegarci per essere aiutati ed affrontare con salda energia morale e con onestà di analisi i problemi che ci stanno di fronte.
Torino: il Congresso del 1955
Ventitré anni or sono si apriva a Torino il 31° Congresso del Partito socialista. Nella sua relazione l’allora segretario del Partito, compagno Pietro Nenni denunciava con un grande affresco dipinto da par suo, la condizione dei lavoratori e il regime di repressione allora imperante.
«Il fatto più grave di fronte al quale ci troviamo – diceva Nenni – è proprio la sistematica violazione dei diritti costituzionali, della libertà politica e della libertà sindacale nella fabbrica, nell’azienda, nel campo, nei pubblici e nei privati uffici».
E ancora: «si limitano o si sopprimono i diritti dell’operaio, del contadino e dell’impiegato sul luogo del lavoro, tentando di imporgli come deve votare, almeno nella fabbrica e nell’azienda, cosa deve leggere, o perlomeno non leggere, cosa deve dire o perlomeno tacere».
Era questa la situazione dopo gli anni duri del dopoguerra delle aspre divisioni e della repressione antisindacale.
A 23 anni di distanza possiamo fare un bilancio del balzo in avanti compiuto dalla società italiana nel campo delle libertà politiche e sindacali. Non è stato il frutto di una evoluzione naturale e spontanea. Questa trasformazione democratica è stata il risultato di lotte accanite, tenaci e coraggiose. Chi troppo spesso e disinvoltamente scrive la storia del Partito socialista con un susseguirsi di fallimenti e di sconfitte dimentica il contributo che abbiamo dato a queste lotte, dimentica che tanta parte delle conquiste del mondo del lavoro si debbono all’apporto socialista.
Esso fu decisivo nel determinare, partendo proprio dal Congresso di Torino, una svolta democratica nella vita politica nazionale che maturò negli anni successivi. Dimentica l’apporto principale all’impresa più significativa nel campo. dei diritti del lavoro e che si concretò nello statuto dei diritti dei lavoratori al quale il Psi ha legato con il suo, il nome di Giacomo Brodolini.
Nenni parlava allora della «Costituzione calpestata» denunciando la mancata attuazione delle Regioni, della Corte costituzionale, del Consiglio superiore della Magistratura, del referendum popolare. L’edificio costituzionale sarà avviato al completamento negli anni successivi in gran parte per l’impulso e l’iniziativa dei socialisti e per le condizioni che essi posero alla base della loro partecipazione a coalizioni di governo.
Il Congresso di Torino fu sotto certi aspetti un congresso di transizione. Il Psi cominciò da allora a forzare il blocco del muro contro muro, raccogliendo una aspirazione al cambiamento e a una politica nuova che iniziava ad avere autorevoli interpreti anche in campo cattolico e democristiano.
A Torino il Psi impostò gli elementi costitutivi di una nuova politica incoraggiato in questo dall’atteggiamento delle correnti socialiste europee più insofferenti delle esasperazioni e degli effetti dannosi della logica dei blocchi contrapposti. Sul piano internazionale la accettazione delle alleanze stipulate dall’Italia secondo la formula della «interpretazione genuinamente difensiva e geograficamente ben delimitata dal Patto Atlantico», e una visione più aperta dei problemi e delle prospettive dell’Europa.
Sul piano interno fu posto il problema dell’apertura a sinistra come «un dialogo possibile», un «riavvicinamento dei socialisti con il movimento cattolico», «un allargamento della base democratica su cui si regge lo Stato», «una maggioranza nuova la quale volesse coraggiosamente intraprendere i compiti più urgenti del risanamento democratico della società e dello stato». Queste le definizioni di Nenni, mentre Morandi a sua volta poneva il problema di «una maggioranza che fruisca il sostegno diretto ed indiretto del nostro Partito».
In polemica con De Gasperi che a proposito di una ipotesi di incontro e di collaborazione con i socialisti così testualmente si era espresso «se ci vedessero camminare in compagnia, la brava gente che incontrassimo per via scuoterebbe il capo e a ciascuno di noi domanderebbe «quo vadis?». Rodolfo Morandi rispondeva: «E accaduto invece esattamente l’inverso. La brava gente che incontriamo per la strada ha preso a scuotere sempre più significativamente la testa e a domandare sempre più insistentemente ai dirigenti di questo Partito: «ma perché non potete camminare almeno con i socialisti?».
Su queste basi si costruì a fatica il nuovo corso politico che sfociò molti anni dopo nel centro-sinistra.
Risalendo all’esperienza di allora, riaffiorano i termini di una questione, quella dell’apertura a sinistra, che si è riproposta oggi e che oggi vede impegnata tutta la sinistra.
Qualcuno può chiedersi oggi a che punto ci saremmo trovati se il corso e gli sviluppi della politica socialista fossero stati assecondati da tutto il movimento operaio e dal Partito comunista, o se il Partito socialista abbia fatto nel momento opportuno tutto ciò che gli era possibile per favorire questo e ne trarrebbe forse motivo per qualche amara riflessione.
Giustamente nel corso di questi anni ci siamo costantemente riferiti ai congressi di Torino e a quello successivo di Venezia giacché entrambi furono congressi di importanza storica ricchi di motivi coraggiosi ed anticipatori.
Sintesi tratta da Relazione e replica al 41° Congresso del PSI – Torino 29 Marzo-Aprile 1978
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