BETTINO CRAXI: L’EUROPA, L’ITALIA E LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Il clima di disordine economico e monetario, di corsa agli armamenti, di focolai accesi e di minacce, ostacola l’efficace sviluppo della cooperazione internazionale.

Eppure, anche distensione e disarmo, tanto necessarie, avrebbero basi ben fragili se non si ottenessero risultati decisivi sul terreno della lotta al sottosviluppo, nel Terzo e nel Quarto Mondo. Tutti i grandi progetti che sono stati immaginati o scientificamente meditati sarebbero destinati ad arenarsi in una situazione caratterizzata dal permanere di rivalità esasperate.

Se riconosciamo che il problema della cancellazione dei tratti classisti della società capitalistica è il problema fondamentale del socialismo non possiamo non riconoscere ugualmente che l’eliminazione progressiva delle disuguaglianze tra nazioni ricche e nazioni povere, tra aree sviluppate ad aree, depresse è il tema centrale della lotta della civiltà del nostro tempo.

A tutti gli interrogativi che nascono nella prospettiva di una nuova cooperazione internazionale tutti i Paesi europei e l’Europa occidentale nel suo insieme è chiamata a dare una risposta.

Incapace di darsi strutture politiche e regole comunitarie adeguate, chiusa in se stessa, divisa da particolarismi e da egoismi nazionali l’Europa rischia di accentuare i tratti della sua decadenza e della sua subalternanza.

Essa può esercitare un suo ruolo essenziale ristabilendo una flessibilità multipolare nel sistema politico internazionale. Essa deve dare nuovo spessore e una diversa autorità alle istituzioni comunitarie in grande misura isterilite e inefficaci. Può dare un ordine e un impegno diverso nella definizione delle relazioni su cui impostare il futuro del rapporto Nord-Sud, favorire una base equa delle ragioni di scambio, intensificare e coordinare la cooperazione economica tecnica e culturale, non facendo rinascere sotto nuove spoglie la lotta di conquista e di spartizione delle influenze e dei mercati.

Il ruolo dell’Europa è di grande importanza per lo sviluppo delle relazioni con l’Est e lo è in rapporto alle prospettive della regione euro-mediterranea.

L’Europa non ha certo una situazione facile nel suo interno.

E alle prese con processi inflattivi più o meno temperati con una disoccupazione abbastanza generalizzata, con problemi di riconversione dell’apparato produttivo e di sistemazione monetaria tutt’altro che risolti. Quando il laburista Jenkins pone l’obiettivo ambizioso di un’unica moneta europea con lo scopo di far fare alla comunità un salto qualitativo decisivo trasformandola da una semplice unione doganale in unione economica vera e propria, coglie l’Europa impreparata per i dislivelli marcati tra paese e paese, l’insufficiente preparazione e sviluppo di politiche economiche organiche, la mancanza di un piano generale di rilancio.

E tuttavia la capacità dell’Europa di porsi quale soggetto attivo nella determinazione della politica mondiale, come forza di equilibrio e di impulso, è destinata ad accrescersi.

Nella fase più immediata l’Europa non può sottrarsi ai doveri più urgenti. Il primo è di assolvere all’impegno di affidare al suffragio universale la elezione di un parlamento europeo.

Traguardo al quale il movimento socialista guarda come ad una tappa importante della sua unità e della sua capacità di esprimere gli indirizzi unitari del mondo del lavoro organizzato politicamente e sindacalmente.

La lotta contro la stagnazione e la disoccupazione richiede misure di rigore contro gli sprechi, i parassitismi, le opulenze offensive che pure sono ancora tanta parte dello stile di vita europeo e la adozione di politiche, non di austerità indiscriminata nella quale i più deboli diventino ancora più deboli, ma di «austerità egualitaria», alla quale si può opporre solo la cecità dei gruppi privilegiati, dei corporativismi o la miopia dei burocratici dogmatici. Se i Paesi più forti, come osserva il Progetto socialista, la Repubblica federale tedesca in testa, si chiudono in se stessi, in un esasperato ed egoistico bisogno di sicurezza, tutto naturalmente diviene e diverrà più difficile. L’Europa, le sue contraddizioni, le sue differenze, i suoi errori dovranno fare i conti con un ostacolo in più.

Il prevalere dei fattori nazionali se continua ad annidarsi e ad agire nei Paesi chiave del sistema europeo, renderà vano e vuoto di contenuti l’ideale europeistico. E’ importante che i Paesi della CEE continuino a sviluppare la politica di cooperazione con i Paesi del Comecon.

In pochi anni gli scambi con le due aree economiche sono più che raddoppiati, e con vantaggio reciproco: il Comecon aveva bisogno di acquisire le moderne tecnologie occidentali, i Paesi della comunità avevano bisogno di aprire nuovi mercati di sbocco e di diversificare le fonti di approvvigionamento delle materie prime.

Sono lontani i tempi in cui l’istituto di economia e di relazioni internazionali di Mosca accusava la comunità europea di essere l’espressione della NATO in funzione antisovietica e ne profetizzava il fallimento.

Più vicino alla realtà si era collocato il buon senso realistico di Nikita Krusciov che aveva invece invitato «a considerare anche la possibilità di pacifica gara economica non solo tra gli stati, ma anche tra le associazioni economiche di stati con diversi regimi sociali».

Questa politica deve continuare, essa è comunque un veicolo di pace. Certo sarebbe stato e sarebbe assai auspicabile che essa potesse accompagnarsi ad un grado ben maggiore di flessibilità nelle relazioni politiche, culturali, umane.

La rigidità dei sistemi collettivistici e autoritari presenta talvolta aspetti per noi assolutamente inaccettabili e qualche volta incomprensibili. E logico che a sistemi diversi si muovano delle critiche. E illogico che ogni critica venga scambiata per una aggressione o un atto di ostilità preconcetta. Per dei socialisti che considerano il socialismo una dottrina di liberazione è doverosa la critica di sistemi autoritari che prolungano e rinnovano questo loro carattere benché siano ormai lontani nel tempo i fatti rivoluzionari o traumatici ordinari.

Senza eccessive illusioni ma anche senza visioni manichee noi consideriamo auspicabile l’avvio di processi di liberalizzazione che darebbero un impulso totalmente nuovo allo sviluppo delle relazioni Est-Ovest.

La nostra simpatia e il nostro appoggio ai fenomeni del dissenso politico culturale nell’Est non nasce da ostilità preconcetta.

Noi consideriamo che la rivendicazione di fondamentali libertà civili e la spinta critica verso una società democratica, aperta e pluralistica si muova nella direzione giusta, si muova nella direzione del socialismo.

Noi pensiamo che processi di questa natura possano essere sollecitati dall’esterno senza eccessi polemici e consideriamo che il progressivo e costante miglioramento delle condizioni economiche e l’incremento dei rapporti non potranno alla lunga non esercitare un influsso positivo in questo senso.

Sul piano economico resta solo da aggiungere che sia per quanto concerne le relazioni con i Paesi in via di sviluppo che con i Paesi del Comecon i limiti nascono da un fabbisogno non soddisfatto di finanziamenti.

Si è ritenuto ad un dato momento che il riciclaggio delle masse finanziarie in possesso dei grandi esportatori di petrolio potesse mettere questi ultimi in condizioni di sostituire l’Europa nella funzione di finanziamento dei Paesi dell’Est e del Sud bisognosi di credito.

In realtà i grandi nuovi ricchi hanno preferito generalmente seguire la regola secondo la quale è più sicuro prestare ai ricchi che ai poveri. Su queste linee chiediamo l’impegno della politica estera del governo italiano che deve rapidamente superare la condizione sovente arcaica ed evanescente delle strutture pubbliche operanti in campo internazionale e porre sempre più alla base della propria azione una politica di principi piuttosto che un ondeggiamento di convenienze.

Tratto da Relazione e replica al 41° Congresso del PSITorino 29 Marzo-Aprile 1978