ALTERNATIVA SOCIALISTA E UNITA’ NAZIONALE

Alternativa socialista e unità nazionale

La strategia diretta alla creazione di una alternativa socialista si conferma come la strategia di fondo del partito.

Il 40° Congresso delineò con l’idea di alternativa una strategia sostitutiva a quella che aveva guidato il Psi negli anni sessanta. Tuttavia il 40° Congresso lasciò vaga e indeterminata questa idea senza fissarne le condizioni di possibilità; si soffermò piuttosto sugli ostacoli che la rendevano per il momento impraticabile.

Dobbiamo parlarne con franchezza perché sia sgomberato il campo da ambiguità e dal pericolo di doppiezze. Attorno all’idea strategica di una alternativa socialista e della sinistra nascono diverse problematiche che nessuna parola d’ordine può facilmente sciogliere e nessun atteggiamento velleitario può semplificare.

Ognuna di esse richiede risposta adeguata, deve essere analizzata secondo i dati della realtà. Le forzature nella storia sovente riservano delle pessime sorprese. Abbiamo dato e vogliamo continuare a dare un contributo di chiarificazione con l’intento di rendere più nitida la nostra prospettiva.

Innanzi tutto quale socialismo?

Il lavoro del progetto si è mosso in questa direzione ponendo con i piedi per terra il problema di una transizione graduale verso forme di socialismo nella società italiana come risposta razionale e corrispondente agli interessi generali della collettività di fronte alla decadenza ed alla crisi della società capitalistica e dei suoi valori tradizionali.

Non una utopia; non una idea salvifica, ma neppure il dominio di una nuova classe burocratica. Un socialismo nella democrazia e nella libertà nel quale possano riconoscersi e possano sostenerlo con il loro apporto tutti coloro i quali vivono del proprio lavoro e anche coloro che operando con responsabilità imprenditoriali nel settore privato dell’economia lavorano nel medesimo tempo per sé e per gli altri.

Una alternativa con chi?

Una alternativa imperniata sulla forza politica e sindacale della sinistra ma operante attraverso la realizzazione di un vasto consenso maggioritario.

Ciò comporta l’idea che abbiamo sottolineato con insistenza di tappe necessarie e di chiarificazioni successive. Il Progetto contiene la definizione di «alleanza riformatrice».

Deve potersi realizzare una vasta convergenza di forze riformatrici, di ispirazione diversa, laiche e cattoliche, ugualmente impegnate a far avanzare attraverso le riforme una prospettiva socialista di tipo occidentale ed europeo. Un processo di costruzione alternativa non avanza necessariamente attraverso le politiche del muro contro muro in una ricerca esasperata dello scontro e dell’alba purificatrice.

Fedele alle regole della democrazia esso può accettare la politica del negoziato e del compromesso traendo da questo l’utilità dei risultati parziali. Valgono i rapporti di forza, valgono le condizioni generali che non si determinano a tavolino.

Non è un caso che abbiamo parlato di un processo storico-politico.

Lo abbiamo fatto per non confinare l’idea di una alternativa socialista da un lato nel campo delle ipotesi irraggiungibili e delle semplici vocazioni e dall’altro per segnalare il necessario rapporto con i dati reali con i quali operiamo.

In quale contesto internazionale?

Il punto non può essere controverso e non possono esserci riserve. Esso non può che essere quello dell’Europa occidentale, dei suoi valori, delle sue istituzioni, delle sue alleanze.

Sarebbe ingenuo sottovalutare la problematica che investe il comunismo occidentale e non affrontare, come troppo spesso si fa, le questioni del suo orientamento strategico, della coerenza e dello sviluppo e del suo processo revisionistico e della sua autonomia impropria. Esse pesano e peseranno, in modo positivo o in modo negativo sul processo di chiarificazione essenziale per delineare le possibilità di una alternativa vincente e maggioritaria, a seconda degli impulsi che prevarranno e della condotta di marcia che verrà adottata.

Se questi sono i fattori sui quali impegnare la nostra analisi e la nostra iniziativa per chiarire sempre meglio a noi stessi e agli altri i termini generali della posizione socialista, sarebbe come voltare la testa dall’altra parte se non rilevassimo in tutta la loro drammaticità e pericolosità i connotati della crisi che il Paese attraversa, non concentrassimo su di essi tutta la nostra attenzione e il nostro impegno, non ne traessimo tutte le necessarie conseguenze politiche.

Non da oggi siamo in una fase politica di emergenza.

L’abbiamo così definita sin da quando cominciavano a profilarsi i caratteri di eccezionalità della crisi produttiva, che metteva a nudo la fragilità e lo stato di corrosione delle strutture pubbliche, vedeva accrescersi lo squilibrio nella finanza pubblica e il dilagare della violenza e del disordine nel Paese. L’aggravamento di questa situazione è stato progressivo e costante in corrispondenza con l’incertezza, la provvisorietà e il carattere anomalo ed arretrato della guida politica.

Lo sforzo di solidarietà nazionale e di ampia convergenza che abbiamo costantemente sollecitato ha cominciato a prendere corpo con ritardo in mezzo a mille remore ma non per questo esso è oggi meno utile e produttivo.

Abbiamo posto il problema di un governo per l’emergenza sin dall’inizio della legislatura ripiegando sul regime delle astensioni attraverso il quale tuttavia ha potuto manifestarsi una ampia volontà diretta ad impedire che una situazione di stallo determinata dall’equilibrio delle forze e dal contrasto dei diversi orientamenti portasse prima alla paralisi e poi a interruzioni traumatiche della legislatura.

La medesima impostazione unitaria è stata la base dell’intesa del luglio scorso imperniata su di una convergenza programmatica che anche se per taluni aspetti generica ed insufficiente, non ha spezzato i fili della collaborazione e dell’incontro tra le forze politiche. La lunga crisi dei mesi scorsi ha portato a soluzioni più organiche e più incoraggianti.

Non si è dato vita al governo di emergenza, come era stato richiesto da noi, dai comunisti e dai repubblicani, ma ci si è mossi in questa direzione. Posto con chiarezza sul terreno il problema di un rapporto diretto ed aperto tra la Dc, i Partiti intermedi e i due maggiori Partiti della sinistra la situazione è rimasta in bilico per più settimane in un confronto aspro tra chi indicava la sola possibile via di uscita nello scontro aperto e chi ha propugnato la via del compromesso. Il pericolo di una soluzione traumatica della crisi dello scioglimento anticipato della legislatura, di una corsa dissennata verso l’avventura, è stato sventato.

E prevalsa la linea della ragionevolezza e della gradualità di cui Moro si è reso nel suo Partito autorevole e decisivo difensore. Sono cadute le pregiudiziali e molto cammino si è fatto in un tratto nella comprensione della situazione di emergenza e dell’importanza di non opporre un rifiuto all’offerta di disponibilità e di responsabilità democratica che veniva dallo schieramento di sinistra.

Il Partito socialista si è mantenuto costantemente all’iniziativa nel 1976, nel ’77, nelle scorse settimane, la sua condotta è stata improntata a prudenza e realismo.

Qualcuno ha detto che la nostra marcia è stata pendolare.

Può darsi. Nessuno ci obbligava a camminare diritti come soldatini di piombo. Ciò che importa è camminare nella direzione giusta. Non è stata inutile neppure la sua offensiva di persuasione. L’obiettivo che avevamo individuato come soluzione mediana e di compromesso, della costituzione di una nuova maggioranza parlamentare è stato raggiunto. La nuova maggioranza si è costituita nella tragica giornata del 16 marzo misurando subito tutto il peso della responsabilità che essa assumeva.

Ma le convergenze programmatiche e gli accordi parlamentari debbono riuscire a prendere il rilievo di una vera e propria politica di unità nazionale. Unità delle forze migliori del Paese per fare argine di fronte ai pericoli incombenti ed al rischio che si possano determinare situazioni incontrollabili.

Una democrazia sana e prospera si difende e si esalta con la più viva dialettica delle sue forze. Una democrazia minacciata e in crisi richiama tutti al dovere fondamentale della sua difesa, impone la ricerca di un comune denominatore morale e politico. Esso è la condizione indispensabile per consentire alle forze democratiche di esprimere per intero tutta l’energia di cui sono capaci. Così come è accaduto in altri momenti difficili della storia del nostro Paese, sono gli avvenimenti che impongono l’unità delle forze democratiche, che la esigono.

A chi ci chiede il senso più immediato e concreto delle decisioni che possiamo assumere in questo nostro 41° Congresso noi possiamo indicarle nella direttiva di una politica di unità nazionale diretta a fare uscire il Paese dalla crisi. Ad essa ci atterremo per tutto il tempo necessario a superare le fasi più aspre e difficili, a debellare i fenomeni disgregatori e le degenerazioni velenose, a ridare maggiore certezza al mondo del lavoro e maggiore sicurezza a tutti i cittadini.

Il Partito socialista si muoverà perciò in questa direzione, sollecitando la più intensa collaborazione, e promuovendo via via nuove intese e soluzioni politiche più adeguate. Consapevoli del nostro ruolo essenziale ed insostituibile nella vita democratica senza velleitarismi di sorta, noi faremo per intero la parte che ci spetta, non mancheremo a nessun appuntamento utile per il Paese, non ci sottrarremo alle nostre responsabilità. Ecco quanto ci sentiamo di dire all’opinione democratica del Paese, alle forze politiche che guardano a noi, ai due maggiori partiti la De e il Pci, ed è quanto mi auguro il Congresso vorrà confermare con la solennità delle sue decisioni.

Autonomia, unità e chiarificazione

Abbiamo insistito e insistiamo sulle caratteristiche autonome della nostra azione e sulla natura autonoma, non subalterna, non sussidiaria, del nostro ruolo nel movimento operaio e dei lavoratori, nella sinistra italiana. Senza una nitida e rigorosa affermazione della nostra identità non riusciremo a rovesciare le tendenze negative e a uscire da una crisi che per tanti aspetti ci mortifica e che per altri ci ha indotto a molte riflessioni autocritiche e che però consideriamo tutt’altro che irreversibile.

Ricaviamo dalla nostra storia, dalle nostre tradizioni, dalle molteplici esperienze condotte dal nostro Partito nel trentennio della vita repubblicana, i tratti della nostra autonomia, la giustificazione del nostro ruolo, l’individuazione delle nostre prospettive future. Sono i lineamenti di un Partito ancorato al socialismo occidentale per comune origine e per comune tradizione democratica. Un Partito che lotta per cancellare i tratti classisti della società capitalistica e per accelerarne il superamento senza cadere nei vizi e nelle degenerazioni della società burocratica. Siamo in questo senso un Partito progressista e riformatore.

Un Partito aperto a tutte le esperienze e a tutti gli apporti che possono approdare al terreno del socialismo nella democrazia e nella libertà. Consideriamo estranei alla realtà e all’accettabilità della trasformazione socialista nel nostro Paese tutti i principali postulati della teoria leninista e del tutto inattuali le implicazioni storiche che ne derivano per tanta parte alla sinistra italiana. La questione non riguarda la rivoluzione bolscevica e ciò che ne è derivato. Riguarda noi ed il nostro socialismo. Né la teoria del potere, né quella dello Stato, né quella dell’economia, né quella del Partito, né quella dell’imperialismo possono indicarci le vie maestre del socialismo nel nostro Paese.

Su questo terreno si è sviluppato con grande ricchezza di elaborazione il filo del revisionismo socialista e la critica socialista si è fatta più incalzante. Essa mira a stimolare il processo revisionistico dei comunisti che ristagna. Se esso rimane a metà del guado rischia di impantanarsi nei suoi limiti e nelle sue contraddizioni. La nostra posizione nella sinistra corrisponde ad una idea di unità e di chiarificazione.

Abbiamo salutato la tendenza che ha preso il nome di eurocomunismo come un fatto importante e positivo e ne abbiamo accreditato il valore, e sottolineato tutte le potenzialità positive ai fini di una nuova e più compatta realtà della sinistra europea. Assistiamo oggi ad una disarticolazione di questo fenomeno ed alla sua crisi oramai evidente.

La improvvisa svolta del Partito comunista francese e la rottura deliberatamente provocata dalla unità delle sinistre con le conseguenze che ne sono derivate e che non erano difficili da prevedersi, risponde ad una logica estranea ad una possibile strategia socialista e della sinistra nell’Europa occidentale e può essere piuttosto collocata in altre logiche. In Francia non sono bastati anni di unità di azione, un programma comune, il vaglio di promettenti prove elettorali ad impedire un ritorno virulento ad un passato di settarismo e di dogmatismo di classico stile internazionalista. La campagna di accuse, di sospetti, di processi all’intenzione, imbastita contro Francois Mitterrand e i compagni socialisti francesi li ha posti in una posizione di grande difficoltà. I compagni francesi si sono difesi, hanno conservato ed anzi accresciuto la loro forza; non hanno potuto evitare lo sfondamento elettorale del blocco conservatore ed il fallimento del disegno alternativo.

Ciò introduce un fattore e una difficoltà nuova in quel processo di convergenza tra «eurosocialismo» ed «eurocomunismo» e che era stato auspicato con particolare chiarezza dal segretario del Partito comunista spagnolo Santiago Carrillo quando indicava il movimento socialista occidentale come l’interlocutore principale e indicava una politica di convergenze verso di esso come la tendenza naturale dell’eurocomunismo. Nella nuova situazione si accrescono le responsabilità dei comunisti italiani posti al bivio tra un ennesimo tentativo di unire diverse e contrastanti impostazioni strategiche in una zona grigia in cui prevalgono le ambivalenze e le ambiguità, o riprendere con forza e con convinzione la via della revisione lungo un cammino già del resto illuminato da lucide ed anticipatrici analisi di intellettuali comunisti italiani.

L’affermazione del compagno Berlinguer «siamo e resteremo comunisti» è una affermazione puramente retorica. Nessuno chiede di rinnegare le tradizioni o di mettere in causa le denominazioni storiche. Ciò che si chiede è che nella sostanza vada avanti il processo di trasformazione e di accostamento alle impostazioni del socialismo occidentale. Non è del resto una pretesa assurda se devo prestar rilievo a quanto scrive Paolo Spriano nella sua Storia del Partito Comunista Italiano riferendo che Togliatti stesso non escludeva nel ’44 una evoluzione in senso laburistico della esperienza comunista italiana.

Noi non intendiamo riaprire il capitolo di aspri conflitti concorrenziali tra socialisti e comunisti anche se non possiamo rinunciare a considerare legittimo e necessario il riequilibrio delle forze nell’ambito della sinistra.

Noi siamo spinti a tenere viva e critica un’esigenza di chiarificazione nella convinzione che dal successo di molte delle ragioni che facciamo valere dipende l’avvenire di tutta la sinistra italiana, l’avvenire ed il successo di tutte le forze della riforma e del progresso.

Dalla difesa della identità del Partito e dalla vitalità che sapremo imprimere al ruolo che ne deriva dipende in grande misura il successo dell’imponente lavoro che ci aspetta per estendere e consolidare il nostro insediamento nella società, per portare la presenza socialista in una molteplicità di aree sociali e istituzionali nelle quali siamo o assenti totalmente o insufficientemente e male rappresentati.

Nella politica di autonomia e di iniziativa del Partito non c’è posto per divagazioni terzaforziste, o per progetti unificazionisti. Abbiamo risposto con rispetto alle esigenze altrui ma in modo negativo a tutte le sollecitazioni che in modo diretto ed indiretto ci sono state indirizzate in questo senso.

I problemi della cosiddetta area intermedia non sono omogenei e comunque investono in modo tutt’affatto particolare il Psi, Partito medio ma non intermedio. Siamo certo interessati a frenare lo sviluppo bipolare, attorno ai due maggiori Partiti ma ci proponiamo di farlo radicando ancora più la nostra presenza nel terreno storico e di classe della sinistra e non rifluendo su posizioni di equidistanza, di generico laicismo, di sostanziale ambiguità. E in questo senso che noi poniamo il problema dello sviluppo anche in Italia di una forza socialista e democratica assai più consistente, assai più influente di quanto non si sia noi oggi.

Contiamo in primo luogo sulla nostra forza, che ha retto negli ultimi anni a prove difficili e che è impegnata in uno sforzo di rinnovamento. Guardiamo a tutte le forze socialiste disperse che, dopo le travagliate vicende degli ultimi quindici anni, possano ricongiungersi, secondo la definizione di Leon Blum, nella «vieille maison», per riprendere un cammino comune. Ci possiamo rivolgere ad un numero assai grande di elettori e di amici che a torto o a ragione si sono allontanati da noi.

Possiamo rivolgerci a molti giovani militanti della sinistra che hanno percorso varie esperienze raccogliendo motivi di delusione o che sono portati oggi a constatare i limiti, gli errori o l’esaurimento dei loro gruppi, movimenti e Partiti. Dobbiamo riproporci in termini ancora più approfonditi, senza strumentalizzazioni. e pretese superiorità, il problema dell’apporto che i cattolici progressisti possono dare alla lotta socialista, indicando il terreno su cui l’incontro con il Partito socialista può avvenire partendo da posizioni di chiarezza secondo una scelta congeniale di valori e di propositi. E ancora troppo alto in questo campo il muro della incomprensione e della incomunicabilità. Ci sono da un lato una somma di diffidenze e di riserve, dall’altro chiusure e pregiudizi laicisti ed una malintesa valutazione del ruolo e della natura del Partito. In una società pluralista, in una democrazia aperta non c’è incompatibilità tra gli accordi che oggi sono possibili e necessari con il partito della Democrazia cristiana e la sollecitazione che dobbiamo rivolgere ai cattolici progressisti per lo sviluppo a una azione comune verso obiettivi che possono essere comuni.

Tratto da Relazione e replica al 41° Congresso del PSITorino 29 Marzo-Aprile 1978