Il 16 maggio 1955 all’alba la mafia di Sciara uccise a 31 anni Salvatore Carnevale, socialista e dirigente della Camera del lavoro in quel paesino del Palermitano. A giudicare dalle cronache i funerali, che si svolsero il 17, non ebbero la solennità che l’evento meritava. Non c’era “tutta Sciara”, come con una certa enfasi scrisse l'”Avanti!”, e l’assente non era solo il sindaco democristiano; tuttavia il corteo era affollato e fitto, i braccianti e i cavatori di pietra in gran numero, in prima fila i compagni socialisti e comunisti. In ogni caso la feroce intimidazione sembrava aver funzionato. I mafiosi non si erano limitati all’omicidio, avevano saccheggiato le stie dei contadini prelevando lo scarso pollame e avevano banchettato una notte intera, spargendo le piume per le vie del paese.
Tra i più il dolore che accascia e la paura sembravano prevalere sulla volontà di riscossa. Solo la madre della vittima, Francesca Serio, sembrò avere una reazione di orgogliosa sfida nei confronti delle forze del male. Depose con le proprie mani sulla cassa la bandiera rossa e gridò: “Per questa bandiera mio figlio è morto, con questa bandiera deve andarsene”.
L’atteggiamento comune a gran parte della stampa era minimizzare. I giornali nazionalmente e localmente più diffusi si definivano “indipendenti” e “di informazione”, ma era più esatto chiamarli “padronali” e “governativi” come facevano i socialcomunisti. “Il Messaggero” aveva dato la notizia del ritrovamento del cadavere appaiandola a quella di un delitto comune. “Il Tempo” aveva scritto: “Quantunque le organizzazioni di sinistra insistano nel ritenere l’uccisione del Carnevale un delitto politico, la Polizia è del parere che allo stato degli atti ogni ipotesi è azzardata”. Il “Giornale d’Italia”, al tempo molto diffuso, arrivava addirittura ad escludere categoricamente il movente politico. Il “Corriere della Sera” espressione della borghesia settentrionale, ostentava un totale distacco, pubblicando due colonnine in settima pagina con la notizia dell’omicidio nuda e cruda .
La stampa isolana aveva fatto di peggio. Il “Giornale di Sicilia”, l’unico ad ampia diffusione nel Palermitano, insisteva sulla catena di delitti avvenuti nella zona, in cui l’uccisione di Carnevale veniva quasi annegata. La “Sicilia del popolo”, espressione della Dc isolana guidata da Scelba, al tempo capo del governo italiano, e Restivo, presidente della Giunta regionale, con un corsivo affidato a un “Signor Q”, parlava di strumentalizzazione: “I socialcomunisti cercavano da tempo un cadavere per farne una vittima. La loro attesa non è andata delusa…”; difendeva come “innocenti” e “galantuomini” i mafiosi locali e piazzava alcune oblique allusioni per sporcare l’immagine di Carnevale e dei suoi compagni.
Dopo il funerale, il 18 maggio, la segreteria regionale del Psi, guidata da Raniero Panzieri, organizzò la risposta di massa, resa più difficile dallo svolgimento dei comizi per le imminenti elezioni regionali. Psi e Pci, uniti nel movimento di massa, erano infatti in competizione nella campagna elettorale. Esaurito il tempo del frontismo, tutti i socialisti si ponevano il problema di una svolta a sinistra che prevedesse la loro partecipazione al governo. Dal 1953 fu tempo di incontri e di dialoghi. Morandi a Torino si incontrò con Gonella per discutere un possibile incontro tra socialisti e cattolici in nome delle comuni radici popolari, Nenni si incontrò con Saragat a Pralognan muovendo i primi passi per una possibile unificazione del mondo socialista. Alle elezioni regionali i socialisti andarono con il proprio simbolo e in alleanza con il piccolo movimento di Unità popolare di Parri, dopo aver rifiutato una lista unitaria con il Pci, chiedendo l’apertura a sinistra. In queste condizioni l’aiuto del Pci per una iniziativa di massa non sarebbe mancato, ma non sarebbe stato generoso come in altre circostanze.
Panzieri convocò comunque una manifestazione a Sciara per lunedì 23 maggio. Per lo stesso giorno il partito socialista sospese i comizi in tutta la Sicilia, mentre nelle sezioni si sarebbero svolte assemblee. La parola d’ordine dichiarata aveva lo stile un po’ greve di quegli anni: “Nel nome del compagno Salvatore Carnevale, rafforziamo il Partito Socialista e creiamo le condizioni per sconfiggere la reazione agraria e feudale e permettere l’apertura a sinistra”. Vennero assunte anche misure organizzative: fu inviato a Sciara stabilmente un dirigente prestigioso come Gaspare Gambino e si prevedeva che altri lo seguissero a Caccamo e in tutta la zona infestata dalla mafia del feudo.
Venerdì 20 dalla Direzione Nazionale arrivò a Palermo Sandro Pertini, deputato ed eroe dell’antifascismo, che l’indomani avrebbe accompagnato Francesca Serio, la madre di Salvatore Carnevale, in tribunale. La donna, convinta dell’incapacità dell’autorità inquirente locale di rompere l’omertà che circondava il delitto, aveva deciso di rivolgersi con un esposto alla Procura generale della Corte d’Appello. La denuncia, spiegò Pertini all’ “Avanti!”, non era solo un circostanziato memoriale che evidenziava il carattere politico mafioso dell’omicidio, ma anche un atto di coraggio e fiducia, un invito a tutti quelli che sapevano qualcosa ad uscire dalla rete del silenzio. Subito dopo, nello stesso giorno di sabato 21, Pertini era in giro nei paesi del palermitano a comiziare per la campagna elettorale, la sera fu già a Sciara a parlare con i compagni, a consolare, confortare e incoraggiare. Vi sarebbe rimasto fino alla sera di lunedì 23, il grande giorno della manifestazione.
I resoconti della manifestazione sono unanimi: nel contesto dato la partecipazione fu davvero grande, duemila compagni, forse di più. Erano arrivati dai paesi vicini, Rocca, Partinico, San Giuseppe Jato, San Cipirrello, Cerda, Aliminusa, Piana dei Greci, Corleone, tutte località ove la pressione mafiosa era fortissima. Vi erano delegazioni anche dai centri maggiori della provincia, Termini, Bagheria, la stessa Palermo. Ad organizzare la partecipazione erano state soprattutto le Sezioni socialiste e le Camere del lavoro e la partecipazione più cospicua era dei muratori (Carnevale lavorava alla cava di pietra ed era dirigente della Filea, il sindacato degli edili). C’erano anche molti comunisti con le loro bandiere, intervenuti da ogni parte della provincia.
Alle 17 un lunghissimo corteo si mosse verso Cozzi Sicchi, la contrada dell’assassinio, ove si trovava anche la pietraia ove lavorava Turiddu. Lo guidava Pertini, affiancato da Panzieri, per strade impervie e viottoli. Nel luogo del delitto c’era un cippo circondato da un drappo rosso, attorno a cui vennero disposte le bandiere. La madre di Carnevale arrivò dietro agli altri, camminando lentamente. Tutti le facevano strada e Pertini la sorreggeva. Fu lei a rompere il profondo silenzio che era piombato in quell’angolo di terra: avanzò fino al cippo ripetendo “Figghiu! figghiu! figghiu!”. E invocò cinque o sei volte il nome di Turiddu. Un compagno abbassò il drappo della lapide attorno a cui ad uno ad uno sarebbero sfilati i compagni. Le compagne, soprattutto raccoglitrici di olive, deponevano fiori.
Il corteo ritornò al tramonto nella piazza del paese, ove sulla gradinata del piccolo municipio si sarebbe ricordato Salvatore Carnevale. Iniziò Pio La Torre, per il breve saluto della Cgil. Proseguì Raniero Panzieri cui era affidato il discorso commemorativo. Parlò Pompeo Colajanni, il Barbato della Resistenza, liberatore di Torino, per i comunisti.
La conclusione fu affidata a Pertini: “Avrei preferito tacere. Dura in me e durerà molto la commozione che si è accumulata facendo insieme a voi il cammino che fece Turiddu verso la sua morte”. Poi si rivolse agli uomini della mafia, che stavano ai margini della folla o nelle case per vedere chi c’era: “Turiddu è qui insieme a noi, evocato dal dolore di sua madre con il suo volto irriconoscibile. Turiddu è qui tra voi, mafiosi di Sciara, la vostra vittima innocente. Lo avete ucciso proditoriamente perchè siete dei vili. Voi non appartenete alla Sicilia, voi siete la feccia, la vergogna, mafiosi che state nell’ombra ad ascoltarmi. Turiddu difendeva i compagni contro il vostro egoismo; e voi, malapianta velenosa che cresce nel feudo, lo avete ucciso”.
Pertini proseguì rivolto a braccianti ed operai: “Accompagnando la madre di Turiddu per presentare la denunzia il comandante dei carabinieri mi disse che la mafia si vince solo affrontandola apertamente. Vincete voi la paura, con voi avrete il popolo italiano. Affrontateli insieme e a viso aperto: essi non sono che dei vigliacchi!”.
Dopo la citazione di quell’ufficiale dell’Arma che sarebbe poi diventato il generale Dalla Chiesa, Pertini si rivolse agli abitanti di Sciara, di ogni fede politica: “Le vostre miserie e le vostre ansie sono quelle di Salvatore Carnevale. Egli è caduto per il vostro riscatto, si è battuto per voi ed è morto per voi. Rubava le ore al sonno per coltivare la sua mente e volgerla alla vostra difesa. Per questi ideali ha dato la sua vita. Salvatore non aveva paura. Un mafioso lo avvicinò pochi giorni prima della sua morte e gli disse: ‘Lascia il partito e vivrai tranquillo, ti faremo ricco’.
Turiddu rispose: ‘Non mi sono mai venduto e non mi venderò: ‘Se volete ammazzarmi ammazzatemi. Ma chi ammazza me ammazza Gesù Cristo’. Voi mafiosi avete ucciso per la seconda volta Gesù Cristo”.
Un passaggio del discorso fu dedicato ai carabinieri, numerosissimi nella piazza: “I carabinieri non asseconderanno la mafia, tradirebbero la memoria dei loro compagni uccisi. Questo dissi al comandante dei carabinieri. Ho fiducia che prenderete i colpevoli, che renderete giustizia ai vostri caduti”.
La chiusa è dedicata al partito e ai giovani: “Non dobbiamo trarre ragioni di vendetta dalla morte di Salvatore Carnevale, la storia penserà a vendicarla. Dalla sua morte dobbiamo trarre incitamento ed esempio: l’esempio che egli ci lasciò è di fedeltà alla classe operaia, di fedeltà al partito, di fedeltà alla bandiera per la quale caddero Buozzi e Matteotti. Non c’è che un modo per onorare Turiddu, occupare il posto che lui ha lasciato vuoto. E’ un cammino duro e difficile, o giovani, ma la speranza di ieri per milioni e milioni di uomini è diventata una certezza e una realtà. I nostri capelli sono già bianchi, ma voi giovani potrete realizzare la meta per la quale noi ci siamo battuti, per la quale, ultimo, è caduto Salvatore Carnevale, la vittoria del socialismo sulla quale egli ha puntato fino al sacrificio”.
Fonte: salvatoreloleggio.blogspot.it
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