ODDINO MORGARI (1865-1944). BIOGRAFIA POLITICA DI UN “CITTADINO DEL MONDO”

Tratto da un’opera di Giovanni Artero: APOSTOLI DEL SOCIALISMO

Nell’Italia nord-occidentale: Giovanni Lerda, Oddino Morgari, Costantino Lazzari, Dino Rondani

 

1. Il personaggio
2. Nel socialismo torinese del decennio 1890-1900
3. L’elezione nel 1897 e il Novantotto
4. L’ostruzionismo (1899)
5. L’attività all’inizio del Novecento (1900-1905)
6. Il” propagandista” Morgari e il “ciarlatano” Frizzi
7. A Torino agli inizi del secolo. Lo sciopero dei gasisti (1902)
8. Segreteria della Camera del lavoro e lotte del 1906
9. La sezione socialista torinese nel primo decennio del ‘900
10. Alla segreteria del PSI. L’”Integralismo” ( 1906-08)
11. La direzione dell’”Avanti!” (1908) e un primo “dialogo” coi cattolici
12. Attività in Parlamento e nel Paese (1907-11)
13. Con Salvemini per la questione Meridionale
14. Viaggio in Oriente e congresso di Ancona (1911-14)
15. Lo scoppio della guerra
16. L’incontro di Lugano (1915)
17. La «Missione Morgari». Parigi e Berna
18. Nel Paese in guerra (1915-16)
19. Da Zimmerwald a Kienthal
20. La Missione Ford
21. Nel Paese in guerra (1917-18)
22. La Commissione di informazione e di azione internazionale (1918)
23. La Comune di Budapest (1919)
24. I viaggi in Russia e la ricostruzione economica in Russia (1922 e1936)
25. Nell’antifascismo in Italia e in Francia (1922-44)

 

A Torino agli inizi del secolo. Lo sciopero dei gasisti (1902)

Nel 1897 in Piemonte i voti socialisti balzarono da 8.850 a 30.000, superando quelli della Lombardia. Nel capoluogo  raccolsero 5.400 voti su 20.000: un torinese su quattro votava PSI.  In una città dove la classe operaia crebbe nel ventennio 1881-1901 solo dal 28 al 29% della popolazione attiva, fu decisiva per i successi elettorali l’alleanza con la piccola borghesia impiegatizia, esercente ed intellettuale, che a differenza di altre città non aveva una formazione democratica che la rappresentasse (in provincia di Torino contro i 48.000 voti costituzionali e  14.000 socialisti si hanno appena 3.000 voti radicali) ma votava direttamente per i candidati socialisti.

Di estrazione borghese erano quasi tutti i quadri e i candidati nelle elezioni. Nofri e Morgari erano dirigenti di quelle associazioni mutualistiche che, col loro fitto e ramificato tessuto, fungevano da tramite fra gli interessi economici della classe operaia e dei ceti piccolo-borghesi. L’equilibrio era destinato a rompersi con i primi anni del ‘900 quando la nascita della grande industria avrebbe dilatato la massa operaia.

Il 1900 si aprì, per il socialismo piemontese, con la celebrazione del 7. Congresso regionale, tenuto ad Alessandria il 6 gennaio in cui il neo-sindaco della città Paolo Sacco, relatore sulla tattica, propose l’alleanza tra i partiti popolari come elemento permanente della politica socialista, incontrando resistenze nella sezione torinese dove il riformismo era accompagnato alla chiusura ad alleanze per mancanza di partners.

Nel 1900 il PSI aveva a Torino una estesa base elettorale: oltre ai due deputati (Quirino Nofri e Morgari), 17 consiglieri comunali e 3 provinciali ed è accusato di badare essenzialmente alla lotta politica e amministrativa trascurando la lotta economica e di fabbrica. Nel giugno 1902 si accresce di altri nove consiglieri comunali provenienti dalle file della borghesia professionale e accademica.

A dicembre 1900 entrarono in sciopero i fonditori, ma non bastò la mobilitazione compatta per quasi due mesi  e la solidarietà di altri lavoratori per aver la meglio sull’intransigenza degli industriali; lo sciopero sostanzialmente fallì, senza che  l’organizzazione delle leghe di mestiere si sfaldasse: tra la fine del 1901 e l’inizio del 1902, la Camera del lavoro conta 6500 operai organizzati, numero comunque modesto in rapporto al totale della massa lavoratrice cittadina e se confrontato ai 28.000 d Milano. I dirigenti sindacali e i quadri di partito vivono con apprensione questa vigilia della prima grande battaglia dei lavoratori torinesi: è in gioco, a livello locale, la credibilità della linea strategica riformatrice e legalitaria che il PSI ha confermato con il voto di fiducia espresso nel febbraio 1901 al governo Zanardelli.

L’occasione sembrò giungere agli inizi di febbraio del 1902, quando gli operai gasisti delle due Società esercenti in città scendono in sciopero. L’agitazione è seguita dai dirigenti sindacali: nel salone dell’AGO dove i gasisti si sono riuniti per decidere lo sciopero sono presenti oltre al segretario della Lega, il consulente legale dei gasisti, il rappresentante della CdL e quello della Federazione nazionale, che si dichiarò favorevole allo sciopero in considerazione dei successi ottenuti dalla categoria in altre città italiane. Scontata è l’intransigenza delle due società produttrici che han­no già dimostrato, non rispondendo al memoriale, di non voler trattare. Ma un elemento nuovo e non previsto rende problematica una favorevole risoluzione della vertenza: le autorità cittadine e governative intervengono nel conflitto, vanificando ogni possibilità di vittoria operaia. Il giorno 4 il prefetto rifiuta di ricevere una delegazione operaia e invia la truppa, affinché presìdi i gasometri e contribui­sca al funzionamento dei forni. Il sindaco respinge la proposta operaia di continuare a prestare servizio di accensione dei lampioni nelle vie cittadine e ne incarica gli spazzini comunali.

Morgari inviò un telegramma di protesta a Giolitti, in cui denuncia l’operato del prefetto   e fa presente che ad Alessandria, in un’analoga situazione, non vi era stato l’invio della truppa e, anche a Genova, dove inizialmente erano stati mandati dei soldati, questi erano stati subito ritirati.

È di alcuni giorni dopo un secondo telegramma di protesta di Morgari, che dice fra l’altro: “Questo non si chiama garantire la pubblica sicurezza, ma parteggiare per il capitale contro il lavoro. Chiedo che si ordini al locale prefetto il ritiro dei militari o la sua immediata intromissione per risolvere la vertenza”.

Anche i consiglieri comunali socialisti, nella seduta del 12 febbraio, protestarono vivamente contro il comportamento del sindaco facendo presente che le società, legate da una convenzione con il comune, sono da considerarsi inadempienti avendo rifiutato di prendere in considerazione le richieste operaie. Nel frattempo le due società hanno invitato, pena il licenziamento, le maestranze a presentarsi al lavoro. L’appello cadde nel vuoto, ma ormai la situazione è compromessa L’intervento dei soldati e il reclutamento di crumiri ha riportato la normalità nel servizio d’illuminazione. Il 19 febbraio la proposta della commissione degli operai gasisti che la soluzione della vertenza fosse demandata a un collegio arbitrale fu rifiutata, facendo  giungere al culmine l’indignazione della massa operaia torinese.

Nella notte del 20-21 sono diffusi manifestini inneggianti allo sciopero generale, nella mattina del 21 vi sono alcune astensioni spontaneamente dal lavoro, nel pomeriggio il numero degli scioperanti aumenta. Un gruppo di dimostranti è caricato dalla truppa e si effettuano alcuni arresti, alle 17 parlano alla folla Actis, Casalini e Morgari, che è  il più deciso nell’ invitare allo sciopero generale cittadino

In serata, la commissione esecutiva della CdL redige un manifesto, in cui prende atto della nuova situazione Non tumulti, non violenze; la classe operaia dimostra la sua forza semplicemente con l’astensione dal lavoro. Essa non ritornerà alle officine se non quando gli operai gasisti avranno ottenuto soddisfazione. I giorni seguenti sono caratterizzati da scontri tra dimostranti e forze dell’ordine, ai quali fanno seguito arresti. Allo sciopero non hanno aderito tutti i lavoratori, ma alcune avanguardie sono decise a continuare la lotta. Per cinque giorni, 10.600 operai e 5.000 operaie si astengono dal lavoro e sfilano per le vie cittadine, anche se il prefetto ha proibito ogni pubblica manifestazione.

Fu ancora Morgari nel pomeriggio del 22 febbraio a parlare alla folla invitandola a continuare la lotta, dopo che nella mattinata aveva guidato un corteo di protesta sotto il municipio . Nel frat­tempo il sindaco convince le due società ad accettare l’arbitrato, ma solo previa  accettazione del principio dell’illicenziabilità dei crumiri, ciò che rappresenta per i gasisti una resa senza condizioni. Nonostante ciò, la CdL e la dirigenza socialista rivolgono un appello ai lavoratori affinchè riprendano il lavoro, in quanto con il loro sciopero avreb­bero già vinto una grande battaglia. Anche Morgari, fino all’ultimo deciso sostenitore della lotta, firma il manifesto. In seno alla dirigenza socialista del partito e della CdL è ancora una volta prevalsa la moderazione.

Il 27 febbraio in un’adunanza all’A.G.O. Mor­gari cercò di spiegare il suo atteggiamento e il perché del manifesto che invitava al ritorno al lavoro, ma venne apostrofato violentemente da un anarchico che lo accusò di aver prima trascinato gli operai nello sciopero generale, rovinandoli, e di essersi poi ritratto e concluse invi­tando gli operai a diffidare da simili «capi» che cercavano piedistalli a spese degli operai e che sarebbero domani diventati tiranni; Morgari reagì con un ceffone. Nei giorni successivi, coperto di  lettere  di biasimo, pubblicò sul “Sempre Avanti!” un articolo amaro ma pacato in cui affermò di aver agito secondo coscienza .

Il 1° marzo il lodo obbliga le due società a riassumere solo 224 dei 658 scioperanti Il bilancio dell’agitazione non può esser più negativo: alla mancata riassunzione si aggiungono i 200 procedimenti penali degli arrestati.

La Segreteria della Camera del lavoro e le lotte del 1906

Il nuovo secolo per i socialisti torinesi inizia con la ricostruzione a metà febbraio 1900 della Camera del lavoro, con un graduale processo di riorganizzazione delle leghe.

Alla direzione della Camera del Lavoro, i cui iscritti scendono dai 5500 iniziali a 3500[1], è nominato nell’aprile 1902 il tipografo Camillo Rappa, che resta in carica fino alla primavera del 1906, ed è quello della sua segreteria un periodo di ripresa (funestata però da scontri come quello del 17 settembre 1904 dove rimane ucciso l’operaio Garello): già a metà del 1903 gli iscritti sono 8000, mentre le sezioni sono salite da 36 a 58; tra queste fanno spicco quella dei tipografi con 528 soci, dei ferrovieri con 1848, dei metallurgici con 649. Queste tre sezioni comprendono più di un terzo di tutti gli organizzati.

Dopo la lunga segreteria Rappa, la direzione della Cdl viene affidata nella primavera del 1906 a Morgari che, tra contrasti di corrente e conflitti con gli anarco-sindacalisti assunse un atteggiamento più conciliante cercando di trovare accordi con le controparti, coadiuvato dal sindaco di Torino, il giolittiano Secondo Frola.

Il 3 maggio 1907 nella discussione sulla relazione morale e finanziaria, la C.E. può affermare che i soci sono aumentati da 8768 a 15626 e le sezioni da 68 a 110 “il grande numero di soci coincide con la presenza dell’on.Morgari alla segreteria per l’impulso da lui dato all’ordinamento interno e all’azione esterna. La CdL può andare orgogliosa. Anche le entrate sono aumentate da 8643 L. a 17.608”.

Durante la sua segreteria la volontà di lotta delle masse operaie torinesi pone comunque la dirigenza sindacale di fronte alla realtà di un movimento rivendicativo di un’ampiezza mai prima conosciuta.

Il 30 aprile  1906 le 800 operaie del cotonificio Bass richiedono alla direzione la riduzione dell’orario di lavoro da 11 a 10 ore. I dirigenti della CdL, considerata la disorganizzazione della categoria, sconsigliano ogni forma di lotta. Nonostante ciò il 3 maggio  le cotoniere della Bass scendono in sciopero, seguite il giorno seguente da quelle degli altri cotonifici, lanifici e maglifici  Il 5 maggio lavoratori dei due sessi del settore tessile sfilano per le vie cittadine. La CdL, pur dichiarando d’essere contraria allo sciopero, non si esime dall’esprimere solidarietà alle scioperanti e rende pubbliche le richieste operaie.

Lunedì 7 maggio la schiera delle scioperanti risulta ingrossata dagli ope­rai di molti stabilimenti meccanici e chimici, che vogliono dimo­strare solidarietà alla categoria in lotta. Come ormai è tradizione, gli scioperanti si assiepano davanti alla CdL; il lancio di sassi da parte di alcuni ragazzi provoca la reazione della forza dell’ordine che, guidata dal commissario di Pubblica sicurezza entra nel cortile dell’AGO, sparando sulla folla. Il bilancio è pesante: un mor­to, 8 feriti, 22 arrestati. I dirigenti camerali e del Partito decidono all’ unanimità la proclamazione dello sciopero generale; è anche deciso di richiedere lo sciopero generale in tutta Italia: si effettuerà a Milano, Bologna, Firenze e Roma.

II giorno 8 decine di migliaia di lavoratori assistono ai comizi dei massimi esponenti socialisti. Come nel 1902, in occasione dello sciopero dei gasisti, i toni più accesi e battaglieri provengono dai discorsi di Morgari. Il 9 maggio, dopo un’imponente manifestazione popolare, Morgari parlò esaltando la forza nuova del popolo che si era venuta manifestando accanto alle tradizionali potenze dello Stato e della Chiesa, della banca e dell’industria.

Il 9 la CdL dichiara la cessazione dello sciopero. Già il 7 sera infatti, gli industriali tessili, convocati nuovamente dal sindaco, avevano deciso di accettare le richieste operaie. L’8 il prefetto aveva inoltre assicurato che sarebbe stata aperta un’inchiesta. Gli avvenimenti di Torino hanno una vasta eco a livello nazionale e uno strascico parlamentare; i deputati socialisti  avendo visto bocciare la proposta intesa a scongiurare nuovi eccidi rassegnarono le dimissioni.

Quasi tutte le categorie richiedono, spesso ottenendoli, miglio­ramenti salariali e normativi; in alcuni casi non è nemmeno neces­sario il ricorso allo sciopero. La favorevole congiuntura economica consiglia gli imprenditori a non rischiare un arresto prolungato della produzione, che causerebbe una perdita di profitto. II 12 maggio gli operai carrozzieri presentano un memoriale contenente la richiesta di un trattamento salariale e nor­mativo analogo a quello delle fabbriche di automobili. Il 17 la carrozzeria Rothschild concede le 10 ore, l’aumento della paga delle ore straordinarie e i 10 minuti di tolleranza sull’entrata. Il 19 maggio 1906, nei locali del municipio, i padroni delle principali sartorie cittadine e una rappresentanza delle operaie del settore raggiun­gono un accordo, che prevede l’accoglimento di alcune delle più significative richieste del memoriale presentato dalla Lega sarte e modiste. Le uniche categorie a non ottenere sensibili miglioramenti appartengano a quei settori produttivi che non hanno potuto beneficiare della favorevole congiuntura economica.

Il 15 febbraio 1907 viene sostituito da Alessandro De Giovanni, di tendenza sindacalista-rivoluzionaria, perché chiamato alla segreteria nazionale del PSI. Se durante la sua direzione gli iscritti sono saliti, scendono a 11.570 nel 1909, a 9.009 nel 1910 e 9.392 nel 1911 e a 9.117 nel 1912 .

La sezione socialista torinese nel primo decennio del ‘900

Al congresso di Imola del 1902, che vide prevalere i riformisti, i quattro delegati della sezione torinese votano per la mozione  Ferri-Labriola, senza ricadute immediate sulla sezione in maggioranza (deputati dei collegi cittadini, consiglieri comunali, commissione esecutiva della CdL) riformista; solo agli inizi del 1904 l’acceso dibattito fra le tendenze tocca anche il capoluogo piemontese. La calorosa accoglienza riservata dai socialisti torinesi a metà febbraio, ormai in clima precongressuale, a Enrico Ferri  è  un’  anticipazione della scelta di campo della sezione.

È Riccardo Momigliano, leader della corrente intransigente, a illustrare, in un articolo di fondo del «Grido del Popolo», la posizione politica della sezione: non dovrà essere consumata alcuna scissione, ma  non do­vranno esserci cedimenti nel senso che il PSI non deve diventare un partito possibilista accodato a una frazione della democrazia.  A Bologna, all’8. Congresso (8-11 aprile 1904), dei sette delegati torinesi sei si pronunciano nella prima votazione a favore dell’odg presentato da Labriola, mentre uno si astiene. Nella seconda, tutti i voti torinesi conflui­scono sull’OdG presentato da Ferri (alleato di Arturo Labriola) che prevale e diventa segretario.

Morgari al congresso di Bologna era stato firmatario dell’OdG intermedio, presentato prevalentemente da organizzatori sindacali come Rigola, Cabrini, Reina, che si poneva tra i riformisti e la coalizione ferriana-sindacalrivoluzionaria. Preso atto della divergenza politica, rimette il suo mandato al collegio che lo ha eletto. I socialisti di Borgo Vittoria gli inviano  un telegramma in cui respingono le dimissioni e salutano in lui «il valoroso soldato del Partito socialista».

Già nel 1902-1903 toni fortemente anticlericali avevano soppiantato il vecchio linguaggio usato dai pri­mi socialisti nella loro opera di «apostolato laico».  Ora che gli intransigenti hanno conquistato maggiore spazio nel quadro organiz­zativo del partito, la propaganda anticlericale tende a uscire dalle sale di conferenza dei circoli culturali per dive­nire momento di mobilitazione. Il 22 maggio, giorno della tradizionale processione di S. Bernardino in Borgo S. Paolo, sono indetti dai socialisti un corteo e un comizio anticlericali. Benché il prefetto Guiccioli non autorizzi la manifestazione, un gruppo di socialisti si dirige verso il luogo dove si deve tenere in forma privata il comizio. Le truppe caricano il cor­teo e arrestano Francesco Barberis, portavoce della corrente intran­sigente torinese. II 2 giugno 1904, nel 22° anniversario della morte di Giuseppe Ga­ribaldi, è organizzato dai socialisti e dai repubblicani un grande cor­teo-comizio. Gli ora­tori ufficiali sono il repubblicano avv. Gorini e l’avv. Leandro Allasia, un esponente dell’ala riformista del Partito so­cialista. Riformisti e rivoluzionari trovano nell’anticlericalismo un momento unificante di lotta.

Dopo il referendum del novembre 1905 sulla creazione di un’azienda municipalizzata per l’energia elettrica, in cui i suffragi dei socialisti risultarono decisivi per il successo della proposta formulata dalla giunta del giolittiano Frola, si crearono condizioni per una convergenza su punti importanti: dalla riforma delle imposte, all’abolizione delle «spese di lusso», al passaggio al comune di alcuni servizi pubblici; dall’attuazione di una serie di provvedimenti annonari che tenessero basso il costo dei viveri, a una politica di acquisizioni edilizie pubbliche. Da allora sino al 1911, quando in coincidenza col dibattito sull’allargamento della cinta daziaria tornarono sulle posizioni criti­che dei liberisti radicali, le ragioni del dialogo prevalsero su quelle dell’antagonismo.

Morgari nel 1906 in occasione del 9. Congresso nazionale propone la mozione “integralista” che conquista la mag­gioranza della sezione torinese perché, pur basata su posizioni riformiste, offre la possibilità di mantenere una posizione intransigente sul tema delle alleanze elettorali che a Torino, per mancanza di partiti af­fini, non si pone neppure, diventando una sorta di mito radicato ed elevato a teorema politico.

Tale facile estremismo riesce al Congres­so provinciale a strappare, nonostante la loro aumentata in­fluenza, la maggioranza ai sindacalisti-rivoluzionari. Su 28 rappresentanti delle sezioni, 14 votano l’ordine del giorno integralista e 11 quello rivoluzionario. Non diverso è l’esito preelettorale nella sezione cittadina, dove il gruppo sindacalista non è riuscito, nonostante la sua campagna per il metodo dell’azione diretta fosse stata suffragata dai successi dei lavoratori, a trasformare la natura, la composizione sociale e l’orientamento del partito in città.

Alla segreteria del PSI. L’”Integralismo” ( 1906-08)

Morgari si affermò sul piano nazionale in occasione del 9. Con­gresso di Roma dell’ottobre 1906, allorché assieme al socialista umbro Francesco Paoloni[2] propose la mozione «integralista». In due articoli  dal titolo “Verso il congresso nazionale socialista”, pubblicati sull’ “Avanti!” del 29 e 30 settembre 1906 spiegò il significato della formula, consistente in una «sintesi dell’anima possibilista e dell’anima avvenirista del socialismo, dell’idealismo e della praticità, dell’azione diretta e dell’azio­ne rappresentativa, dell’antistatalismo e  della legislazione statale, della rivoluzione  e della legalità, del sindacalismo e dell’antisindacalismo, dell’intransigenza e dell’affinismo».

Nella seduta del 7 ottobre ribadì: «Vi dico che integralismo, nella sua espressione più intima e più caratteristica, è tutto qui, nel procurare che nella coscienza del militante socialista coesistano armonizzate la nozione limpida del divenire della società futura nel grembo stesso della società futura – da affrettarsi colle riforme dirette e legislative – e la nozione dell’assetto ultimo, cercato quasi con desiderio nostalgico, per raggiungere il quale la società umana dovrà verosimilmente attraversare una catastrofe causata da un «alto là» della borghesia stancata di concessioni»[3].

Non capiva come ci si potesse scontrare in lotte interne, quando tanto ancora rimaneva da fare a chiunque avesse a cuore la condizione proletaria e volesse veramente agire in favore dei diseredati. Poiché la situazione non era ancora matura per la rivoluzione, conveniva intanto operare quotidianamente con mezzi legali. Ogni socialista, doveva essere contemporaneamente riformista e rivoluzionario.

Gli uni e gli altri voleva colpi­re quando scriveva che “i riformisti hanno obliato lo spirito e i fini dell’azione socialista mentre i rivoluzionari si arrestano nel culto infecondo delle supreme idealità marxiste”.

La mediazione era la sua vocazione autentica ed anche un ritorno alle origini, all’ispirazione prampoliniana dei tempi eroici, un procedimento mentale per cui il «propagandismo» e l’appello ai sentimenti appaiono in grado di risol­vere i termini politici delle questioni. «L’integralismo per lui non era stato un espediente tattico per carpire una vittoria in congresso, ma uno stato d’animo. Ed è stato d’animo, quello di Morgari, di chi ama il suo partito in sincerità e in umiltà perché esso è il partito della redenzione degli oppressi»[4].

L’integralismo rappresentò nel 1906-8 l’affermazione del corpo centrale del partito, fondamentalmente unitario, che ricercava nei valori propagandistici e pedagogici quella identità del socialismo italiano, che la lotta tra le tendenze sembrava minacciare. Il progetto di rilancio del Partito su basi intran­sigenti e classiste, nella lotta contro le spese improduttive e le spese militari, il latifondo e il sistema fiscale, un atteggiamento polemico nei confronti del blocchismo popolare, una difesa dell’istanza partitica e dell’esigenza primaria della propaganda per la formazione della «co­scienza socialista» erano istanze sedimentate  nella tradizione socialista italiana.

Il partito, paralizzato dai dissidi prima del 1906, si chiudeva in una posizione sostanzialmente difensiva, dì raccoglimento. Più che alla ricerca di una politica nuova, con caratteri propri, l’integralismo in­tendeva correggere, amalgamare, insomma integrare ciò che di positivo fosse presente nelle tendenze opposte. In pratica confermava la ne­cessità dell’azione quotidiana di organizzazione e di propaganda, la lot­ta parlamentare per le riforme, lo stretto collegamento tra l’istanza politica e quella di resistenza, il fine della socializzazione come obiet­tivo unitario contrapposto al corporativismo economico e settoriale. Erano questi per lo più obiettivi presenti anche nel riformismo. Tipici degli integralisti semmai furono il più accentuato richiamo alla coscienza di classe, la concezione «organicistica» del proletariato che favoriva una sottolineatura più marcata dei valori del collettivismo, il ruolo più incisivo attribuito alle organizzazioni economiche e al partito, la rivendicazione di una più sostanziale autonomia del partito che escludeva alleanze sistematiche, la forte diffidenza nei confronti della borghesia, con la quale avrebbe anche potuto stringere di volta in volta ac­cordi limitati, ma sempre nella consapevolezza che essa rappresentava l’avversario di classe. Al congresso di Roma del 1906 l’odg maggioritario ottenne 26.500 voti su 34.000 con la confluenza dei voti dei riformisti e l’adesione del Ferri, ex alleato di Labriola, che diede alla formazione del « blocco integralista unitario » il significato di «un punto di arresto contro la deviazione sindacalista e il catastrofismo».

Al congresso, che lo nominò segretario politico,  il tema della propaganda-organizzazione fu ripreso più volte. In primo luogo fu deciso di istituire «segretari regionali» ai quali fosse demandato il compito della organizzazione politica ed economica: era investito così il punto importante della questione meridionale, e cioè l’esigenza di consolidare la struttura politico-organizzativa del movimento operaio e contadino del Sud, nel quale si individuava il protagonista principale della lotta per la sua emancipazione, e nello stesso tempo un fattore di riequilibrio dell’intera politica nazionale del partito. Signifi­cativa risultò la composizione della nuova direzione, che teneva conto non solo del criterio della omogeneità po­litica, ma anche del principio della rappresentanza regionale. Riuscirono eletti numerosi dirigenti di organizzazioni di resistenza, di federazioni di mestiere e di associazioni: da Quaglino (Federazione edilizia) a Rigola (tessili), a Del Buono e Marzetto (CdL di Firenze e Vicenza). Ciò rifletteva il peso che avevano quadri e dirigenti sindacali che, pur essendo su posizioni sostanzialmente riformiste, rivendicavano due esigenze fondamentali: l’unità del movimento di classe e la diffidenza verso il parlamentarismo. Facevano parte della Direzione i rappresentanti regionali, il direttore dell’« Avantil » e un delegato del Gruppo Parlamentare, che poi a lungo sarebbe stato proprio Morgari. La numerosa direzione appariva assai più rappresentativa delle precedenti  per la sua espres­sione regionale,  Vi era l’impegno a ricondurre all’in­terno del partito tutte le componenti – sindacali, cooperative, politiche – del movimento socialista, ma di per sé non rappresen­tava una soluzione per una effettiva direzione.

Le aree di diffusione dell’integralismo rima­nevano nel Piemonte, che dava circa il 22% dell’intera forza della componente. Una buona presenza gli integralisti avevano in Emilia-Romagna, dove era attestato oltre un terzo (36,6%) della forza complessiva della corrente. Vero punto di forza dell’in­tegralismo era la Toscana. Erano integralisti Roma e il Lazio (52,61%). Nel Sud e nelle isole il fenomeno integralista era pressoché sconosciuto. Da rilevare la buona presenza integralista nei centri urbani dell’Italia centrale, e in genere nelle grandi città (dove raggiungevano il 55,4%). Erano infatti integraliste Torino, Firenze, in parte Roma. L’integrali­smo rappresentò una meteora abbastanza breve, ed entrò rapida­mente in crisi, impari a quegli obiettivi di ricomposizione unitaria del movimento socialista che si era prefissi: come posi­zione di raccoglimento e come istanza unitaria favoriva il processo di riorganizzazione e consolidamento del riformismo e di sfaldamento della possibile alternativa sindacalista rivoluzionaria. I rapporti di forza all’interno del Partito furono deci­samente modificati a vantaggio del primo dopo la scissione dei sindacalisti rivoluzionari nel 1907.  Allora agli integralisti venne meno il ruolo mediatore che si erano attribuiti.

L’unitarismo del Morgari non poteva certo condizionare efficacemente l’iniziativa politica dei riformisti, i quali del resto con la costituzione della CGdL avevano riassorbito molti quadri sindacali, Altobelli, Bussi, Garibotti, Quaglino, Rigola che al con­gresso di Roma si erano pronunciati per l’integralismo.

Al congresso di Firenze del 1908 mentre molti della sua corrente si presentano con i riformisti nella “concentrazione socialista” che prevale con 18.000 voti, ribadisce di voler mantenere la mozione “integralista” (che ottiene 6.700 voti pari al 21%) “anche se sostanzialmente  uguale nella lettera ma non nello spirito”,  mentre i voti ottenuti dall’odg Pescetti al congresso di Modena del 1911 sul quale si river­sarono i consensi di molti ex-integralisti furono 1070 pari al 5%

La direzione dell’”Avanti!” (1908) e un primo “dialogo” coi cattolici

Nel gennaio 1908 Enrico Ferri, avendo accolto l’in­vito a tenere delle conferenze nel Sud America, aveva rassegnato le dimissioni da direttore dell’«Avanti!»; gli subentrava Morgari, nella sua qualità di  leader della corrente che era prevalsa al congresso. Il più importante centro di propaganda e di orientamento politico rimaneva in mano agli integralisti.

La direzione di Morgari era chiaramente transitoria: egli stesso, nell’accettare la carica, avvertì che l’avrebbe tenuta fino al successivo congresso; nel comunicare ai lettori di aver assunto la direzione del giornale, rassicurò coloro che temevano che l’ “Avanti!” nelle sue mani divenisse un organo di esposizione elementare del socialismo: «Accettando di portare una croce che io non ho sollecitata né ambita, mi sono fatto giaculatoria del principio secondo cui il portavoce dei malvestiti deve camminare in redingote e cilindro”. 

Direttore dal 22 febbraio al 30 settembre 1908, quando gli succedette Bissolati avendo i riformisti riconquistato la direzione del partito al congresso di Firenze, la  redazione disponeva di collaboratori di alto livello come Bonomi, Francesco Ciccotti, Galantara, Paoloni, Podrecca.

Durante la sua direzione condusse una campagna per la legalità nelle manifestazioni: approfittando di una sua assenza, Francesco Ciccotti aveva pubbicato sull’ “Avanti!” del 3 aprile un violento editoriale per l’eccidio in occasione di una manifestazione, suscitando  la reazione di Bonomi che diede le dimissioni ritirandole solo quando Morgari prese le sue difese, conducendo una campagna di stampa, suggestivamente intitolata “prendere il toro per le corna” (cioè i due corni del dilemma: legalità o illegalità, da cui il proletariato-toro era dilaniato) che prendeva decisamente posizione contro i cortei che degeneravano in manifestazioni violente.

Pubblicò sull’Avanti una lunga lettera che due giovani  usciti dall’esperienza della Lega democratica nazionale e avvicinatisi ai socialisti cristiani, Guglielmo Quadrotta[5] e Felice Perroni, gli indirizzavano e che si concludeva con una domanda esplicita: «A chi professa i nostri ideali sono aperte oggi le file del Partito socialista italiano?» La lettera[6] suscitò una po­lemica nella quale intervennero, tra gli altri, Bonomi, Turati, Zibordi, Paoloni, sostenendo diversi punti di vista, ma questa apertura al mondo cattolico fu sconfessata al congresso di Firenze con l’approvazione dell’OdG Bussi-Vella che negava ai cattolici l’entrata nel PSI.

Morgari, che pure condusse dure battaglie contro la Chiesa[7] e sostenne la battaglia per l’abolizione dell’educazione religiosa nelle scuole condotta da Bissolati, era avverso all’estremo anticlericalismo. Durante la sua direzione scomparvero rubriche come “la cloaca clericale” e gli attacchi gratuiti alla Chiesa.[8]

L’ attività nel Parlamento e nel Paese. 1907- 1911

Nelle votazioni per il Congresso di Firenze del 1908 i riformisti proclamarono l’opportunità di dare la scalata all’amministrazione dello Stato e dei Comuni e su tale base stesero il nuovo programma minimo che comprendeva: migliore legislazione del lavoro (disciplina giuridica dei contratti, estensione delle pensioni, leggi sulla maternità), abolizione del dazio sul grano, laicità della scuola, opposizione agli incrementi sulle spese militari, suffragio universale e suoi corollari (proporzionale e indennità ai deputati), concordandolo con quanti al Congresso precedente si erano presentati integralisti.

Morgari non volle confluire nella nuova corrente, rinunciare alla vecchia bandiera, e ripresentò la mozione “anche se sostanzialmente  uguale nella lettera ma non nello spirito”  in cui accentuava le sue riserve all’ appoggio dei socialisti al governo.

Neppure a Torino nel dibattito precongressuale l’azione di Morgari era valsa a sottrarre la maggioranza dei suffragi a quegli esponenti «sindacalisti rifor­misti», che, sotto la guida di Rigola, esercitano un predominio incontrastato sulla sezione dopo l’allontanamento dei sindacalisti rivoluzionari. Anzi, risultano eletti nella direzione del partito, col Rigola, il Reina e il Quaglino, i due piemontesi che gli sono più legati. E il “Grido del Popolo” può cosi inorgoglirsi che «alla testa del Partito socialista siano uomini nostri, cresciuti alle nostre lotte, sperimentati alle nostre prove», e condannare la «distinzione capziosa» di Morgari il quale lascia frattanto la direzione dell’«Avanti!» a Leonida Bissolati.

A Torino si continuerà per tutto il 1909 a correre ancora molto lungo questa strada. La propaganda del partito sul piano politico generale non conosce più che la solita nota anticlericale, mentre da un punto di vista teorico l’identificazione di «socialismo» con le più immediate riforme della legislazione sociale è ormai totale.

Dopo la vittoria riformista al congresso di Firenze del 1908, all’interno dell’area si delineò la spaccatura tra una componente (i dirigenti confederali insieme con Bissolati e Bonomi) che proponeva la creazione di un «partito del lavoro» privo di connotazione ideologica e aperto a tutte le componenti del movimen­to economico del proletariato, e la  “sinistra riformista” di Modigliani e Salvemini.

Al successivo congresso di Milano dell’ottobre 1910, in cui Turati riesce a ottenere un’ampia maggioranza con la confluenza della destra bissolatiana sulla sua mozione che ottiene 13.000 voti, Morgari si accosta ai “riformisti di sinistra” Modigliani e Salvemini presentando insieme a loro una mozione “intermedia” che raccoglie  4.500 voti (quella intransigente presentata da Lazzari ne raccoglie 6.000), rimanendo quindi sempre al centro dello schieramento.

Morgari, che alle elezioni del 1907 era stato rieletto, votò nel 1909 in favore del governo Sonnino; essendo il voto in contrasto con I’opinione della direzione del Partito.  diede le dimissioni da propagandista.

Nel 1909, quando si cominciava a temere la guerra, presentò alla Camera il seguente OdG: «La Camera da incarico al governo di farsi iniziatore di una conferenza per l’arbitrato e per il disarmo». Sempre nel 1909 si tornò a parlare di una visita dello zar in Italia. Il Partito Socialista assunse di nuovo un atteggiamento di aperta ostilità e Morgari riprese la sua protesta attraverso discorsi e alla Camera respinse tutte le obiezioni sugli interessi diplomatici dell’Italia con un perentorio “Non si fanno gli affari con gli assassini”[9], articoli e opuscoli. Fu creato un “Segretariato nazionale antizaresco” e quando il 23 ottobre lo zar giunse a Racconigi, Morgari riuscì a tenere una conferenza alla CdL in virtù dell’immunità parlamentare e a fischiare  l’ospite: il suo gesto entrò nella leggenda. Le relazioni con gli emigrati socialisti russi di varie tendenze molto numerosi sulla Riviera e a Capri, iniziate almeno dal 1903, si andarono infittendo: è del 18 maggio 1908 una sua interrogazione – su sollecitazione dello scrittore Gorki – su pacchi di giornali russi fermati alla dogana cui Giolitti rispose prontamente. In effetti l’Italia venne usata da Lenin in quel periodo come tappa intermedia per introdurre stampa sovversiva in Russia.

I deputati socialisti si andavano sempre più orientando verso il ministerialismo. Morgari, allora segretario del gruppo parlamentare, vi si oppose ripetutamente. Il 10 maggio 1910 l’ “Avanti!” pubblicò una sua lettera: “Perchè ognuno assuma le proprie responsabilità”: “Io che odio più di ogni altra cosa al mondo I’ipocrisia dovunque l’incontro proruppi quando mi accorsi che la mia tesi veniva elusa perché molesta…Tace anche I’ Avanti… Non protestai prima e tutte le volte, e son decine, che non vidi registrato il mio pensiero nei resoconti delle adunanze del gruppo socialista. Ora non sono più disposto a farlo. Ho lavorato per  degli anni per spegnere Ia disgustosa ed esiziale lotta intestina delle tendenze, sopportando le beffe dei sapienti e dei saccenti… Ora scongiuro gli amici dell’Avanti! di non costringere proprio me a riaccenderla”.

Alle ele­zioni suppletive del marzo 1910 dopo l’opzione di Nofri per il collegio di Siena, la sezione torinese, contro il parere dei riformisti favorevoli alla presentazione di Rinaldo Rigola, scelse la candidatura di protesta del giornalista triestino Todeschini che fu battuto dal candidato costituzionale. Questa sconfitta non pregiudicò il rafforzamento in seno alla sezione del gruppo intransigente guidato dal professor Temi­stocle Jacobbi che, eletto segretario politico nel novembre 1909, diventò nel 1910 anche direttore del «Grido del Popolo». A Torino la situazione più critica per il partito si verificò alla Camera del lavoro: a luglio 1910 i socialisti furono messi in mino­ranza in seno al consiglio generale. La commissione ese­cutiva, controllata dai socialisti, rassegnò le dimis­sioni dopo aver richiamato alla disciplina di partito gli iscritti. Il consiglio generale, convocato il 7 agosto, decise di nominare transitoriamente una commissione di studio con lo scopo di preparare il futuro congresso camerale ma dei cinque eletti solo due furono socialisti.

La sezione torinese tornò nel 1910 a identificarsi colle po­sizioni di Morgari, facendo confluire i propri voti sulla mozione Modigliani al congresso di Milano dell’ottobre. L’indirizzo politico della sezione venne premiato sia alle ele­zioni politiche che a quelle amministrative da un aumento co­stante di suffragi. I dirigenti locali non si curavano di definire criteri rigorosi di discriminazione  appagandosi del generico appoggio dall’ester­no alle iniziative del partito e della Camera del lavoro, o della sporadica collaborazione giornalistica su soggetti disparati. Oddino Morgari sintetizza in una lettera del  25 agosto 1913 a Gustavo Balsamo-Crivelli tale concezione dei rapporti con i fuorusciti della borghesia: “ troppi intellettuali – e tu ne sei davvero uno – ci lasciarono da qualche anno in qua: e  deve possedere un nocciolo morale di natu­ra profondamente buona e disinteressata l’uomo che al par di te rimane dopo vent’anni nelle nostre file quando per nascita, per ingegno aristo­cratico, per l’ambiente in cui vive e per il quale come letterato scrive, per tanti esempi che ha dinnanzi di uomini che perdettero l’antica fede, per le diffidenze che sono intorno ai così detti professionisti nel campo operaio, per la natura rozza del movimento proletario, per i non rari suoi eccessi, per non avere avuto gl’incarichi a cui il suo valore lo indi­cava – bene potrebbe umanamente essere tratto a distaccarsi da noi[10]

Con Salvemini per la questione meridionale

Salvemini aveva presentato al congresso di Milano del 1910, come già a quello precedente di Firenze, la prima piattaforma politica fondata non su schemi dottrinari ma su un’analisi storica della società italiana e delle sue contraddizioni; il suo piano era di contrapporre al blocco reazionario indutriale-agrario l’alleanza degli operai del Nord e dei contadini del Sud.

E’ in questa occasione che Morgari venne a contatto con la tematica meridionalista salveminiana, aderendo alla mozione “intermedia”, firmata anche dal livornese G.E.Modigliani, ma il suo interesse per i problemi del Sud risaliva agli inizi dell’impegno socialista differenziandolo in ciò dal riformismo padano che, anche nei suoi esponenti più illuminati come Turati, ha chiusure quasi razziste nei confronti del meridione. Nel 1998 partì per Palermo con Dino Rondani, entrambi deputati socialisti piemontesi eletti l’anno precedente, per sostenere la locale sezione nella lotta contro la mafia palermitana che garantiva l’elezione di  Crispi. La sera del 16 aprile i due depu­tati e un gruppo di compagni vennero aggrediti dai crispini che spararono anche alcuni colpi di rivoltella.

Nell’ottobre 1902 iniziò un ciclo di conferenze di propaganda nel Sud; l’anno successivo condusse un’inchiesta su Gaetano Alessandro, vescovo di Cefalù, noto nella zona quale persona di dubbia moralità, usuraio e truffatore, pubblicando tra la fine del 1903 e il 1904 sull’ “Avanti!” una serie di articoli che furono raccolti nell’opuscolo Un lupo in mitria  già ricordato. Nell’aprile 1904 si recò a Torre Annunziata in occasione dello sciopero generale locale.

Al congresso di Roma del 1906 vinto dagli integralisti  fu deciso di istituire nell’Italia meridionale e nelle isole «segretari regionali ai quali sarà demandato il compito della organizzazione politica ed economica”: era investito così il punto importante della questione meridionale, e cioè l’esigenza di consolidare la struttura politico-organizzativa del movimento operaio e contadino del Sud, nel quale si individuava il protagonista principale della lotta per la sua emancipazione, e nello stesso tempo un fattore di riequilibrio dell’intera politica nazionale del partito.

Nel 1909 Morgari si battè, con toni salveminiani, contro i mafiosi e per il suffragio universale, che voleva ottenere con la lotta popolare, contro i brogli e per l’elevazione delle plebi. L’agitazione aveva un particolare significato per l’Italia del Sud; la legge elettorale dava infatti diritto di voto a tutti i maschi adulti che sapes­sero leggere e scrivere, e nel Mezzogiorno la percentuale di analfabeti era ancora molto alta: praticamente tutta la massa dei contadini e dei braccianti era esclusa dalla vita politica; la compravendita di voti e la violenza toglievano poi ogni significato ai pochi voti del Sud proletario. Sempre nel 1909 si occupò dell’elezione di Vito de Bellis a Gioia del Colle e condusse con De Felice, Bissolati e Ciccotti una indagine in merito[11].

Avendo appurato che i metodi elettorali del de Bellis si basavano essenzialmente sulle mazzette, quando l’elezione del deputato meridionale venne convalidata, Morgari proruppe alla Ca­mera in un’aperta indignata denuncia dei brogli, delle camorre, della violenza nelle elezioni.

Nel luglio 1910, durante le elezioni politiche ad Andria (Bari), i seguaci del candidato  governativo  impedirono la distribuzione dei certificati elettorali. Il 31, durante uno scontro fra proletari, seguaci del candidato  governativo e forze dell’ordine, due contadini furono uccisi e 10 feriti. Venne proclamato lo sciopero generale. Morgari, accorso sul posto, fece un’inchiesta e inviò al Presidente del Consiglio un telegramma[12].  In seguito, da numerosi comuni dell’Italia meridionale, pervennero a Morgari richieste di occuparsi delle loro amministrazioni. Nel 1910 la Direzione del Partito stanziò 8000 lire per la pro­paganda, che «nel Mezzogiorno sarà essenzialmente curata da Oddino Morgari».

Nelle elezioni del 1913, le prime a suffragio quasi universale maschile, nel collegio di Gallipoli (Lecce) si affrontarono il candidato socialista Stanislao Senàpe De Pace e l’economista liberista Antonio De Viti De Marco. Il Senape fu accusato dalla stampa avversaria (moderata, radicale, conservatrice e cattolica) di aver adottato la croce come simbolo per ottenere il suffragio dell’elettorato contadino[13]. Un articolo dell’«Avanti!» affermava che: “un candidato socialista poteva scegliersi un distintivo più profano. Dal punto di vista politico è chiaro che l’ori. Senàpe ha scelta la croce per avere i voti dei credenti in Cristo… Con un’origine elettorale del genere noi crediamo che l’on. Senàpe non tarderà molto ad avvertire l’in­compatibilità della sua ulteriore permanenza nel gruppo socialisti” [14]

Immediata la risposta della sezione socialista gallipolina: “Noi non condividiamo il giudizio scientifico dell’Avanti! sul «caso Senàpe». L’on. Senàpe aveva impresso sulla sua scheda da candidato una croce di tinta rossa. L’Avan­ti! non ha accettato le spiegazioni offerte dall’on. Senàpe il quale dichiarava che, per le contingenze speciali e locali di propaganda fra i contadini di Gallipoli, la croce aveva, per la sua significazione del martirio di Cristo, un certo valore sovversivo” .[15]

Il partito cercò di accertare la buona fede del proprio candidato. Oddino Morgari si occupò di riallacciare i rapporti con la sezione gallipolina[16] Agli inizi di gennaio la direzione del PSI lo assolse pienamente mantenendolo all’interno della propria rappresentanza: “sotto il labaro dei cristiani antichi, l’on. Senàpe sta orgoglioso di tale sforzo difensivo. È ormai sicuro: il Partito non abbandonerà mai uno dei suoi ..” [17]

Un sentito ringraziamento a Giovanni Artero per averci offerto la possibilità di pubblicare on line la sua opera.

 

[1]  Contemporaneamente la CdL di Milano conta 34.000 iscritti, 28.000 quella di Genova e 6.000 Bologna

[2]  G.Furiozzi, Francesco Paoloni e il socialismo integrale, 1892-1917, Firenze, 1993

[3]  Resoconto stenografico del IX congresso nazionale, Roma, 1907, p. 64

[4]  G. Arfè, Storia dell’Avanti. Vol. 1, 1896-1926. Milano-Roma, 1963, p. 71

[5]  Nel dopoguerra divenne seguace di Bonomi; curò il volume “Il colloquio di un secolo fra cattolici e socialisti: 1864-1963”, Roma, 1964

[6] “l’A­vanti!”, 17.7.1908, Possono i Socialisti cristiani iscriversi al nostro partito? riportata anche in A.Luciani “Socialismo e movimenti popolari in Europa”, vol. 2,t.2, Venezia, 1985″ «On. Morgari, Ella gentilmente c’invita nell’Avanti! di alcune sere fa ad esporre le idee che hanno condotto noi e numerosi nostri amici democratici cristiani, aderenti alla Lega democratica nazionale, a fare una professione di fede socialista; e il suo invito è cosi cortese, ed è un indizio cosi indubbio di una serenità che molti si ostinano a non vedere fra i socialisti, che noi non possiamo sottrarci a quest’atto di “coraggiosa sincerità”, come Ella lo chiama. Ella sa, onorevole Morgari, come un nostro ordine del giorno sull’indirizzo sociale che avrebbe dovuto assumere la Lega democratica nazionale nel prossimo Congresso, ordine del giorno esplicitamente socialista, abbia diviso in due frazioni la sezione romana della Lega stessa. Dall’una parte la nostra corrente; dall’altra quella dei democratici-cristiani vecchio stile, la quale crede conformemente all’antico programma sociale-cristiano di rimediare alle ingiustizie della società at­tuale cercando soltanto di infonderle un nuovo spirito morale, e ritoccandone alquanto le istituzioni, ma mantenendole nella loro struttura fondamentale..(…).La nostra adesione al socialismo, on. Morgari, ha radice nelle nostre convinzioni religiose. La religione per noi non è una credenza intellettuale in certi principi astratti od un ceri­moniale, cioè un insieme di pratiche cristallizzate, come la predicano e la sentono i seguaci della tradizione. La religione è anzitutto e soprattutto un atteggiamento pratico e vitale di fronte al problema dell’essere e della vita: è l’atteggiamento dell’uomo che sente la propria insufficienza individuale, e cerca di completare ed integrare la propria esistenza entrando in comunione di vita con una potenza superiore, di cui egli sente essere una parte. La vita religiosa è una vita di effusione, di allargamento per cui all’uomo vecchio fatto di egoismo sottentra l’uomo nuovo assetato di amore e di giustizia. Nulla quindi di più contrario alla religione dello spirito individualista, sia esso morale od economico, per cui l’uomo considera se stesso come centro e fine delle proprie azioni e subordina gli altri ai propri desideri. Dato questo concetto della vita religiosa, per cui essa non viene concepita come una forma particolare di vita contrapposta a quella morale, economica, ecc., ma come un orientamento di tutta la vita, era naturale che noi dalle dispute filoso­icho e teologiche, scendessimo alla considerazione dei problemi sociali. E di fronte alla società presente, che della conquista della ricchezza fa una guerra atroce fra uomo e uomo, e crea un dualismo gravido di lotte e di odii tra capitale e lavoro, fra produttore e consumatore, noi ci siamo domandati: corrisponde questa società al nostro ideale religioso? Perché il principio cristiano della solidarietà e della cooperazione deve rimanere un principio morale astratto e non può, incarnandosi in una società, divenire la legge della produzione e dello scambio? Perché mai questa vita a doppia partita? Ed allora noi abbiamo profondamente sentito la bontà dell­’ideale socialista; noi abbiamo sentito che oggi il socialismo non rappresenta soltanto un esercito di sfruttati, spinti dall’in­sofferenza del giogo padronale verso la conquista di un’esistenza migliore, ma rappresenta l’umanità nelle sue più nobili aspirazioni di giustizia e di solidarietà, aspirazioni che il prole­tariato ha l’alta missione storica di realizzare….Sulle labbra di Cristo suonarono i più forti accenti di speranza che mai abbia udito l’umanità, e il Cristianesimo sorse come una gran­de speranza nell’avvento di un regno che non era già quello dell’oltretomba, ma un regno terreno di giustizia e di amore, Solo durante i secoli da speranza sociale che esso era, divenne speranza individuale, una partita personale fra l’uomo e Dio. Ma il nostro cristianesimo non solo ci ha convinti della bontà e della verità delle aspirazioni socialistiche, ma ci dà pure la speranza e la fiducia ch’esse possano pienamente trionfare. Se il socialismo per attuarsi richiede una forte trasformazione psicologica dell’individuo, una trasformazione delle tendenze egoistiche e particolariste in tendenze altruistiche, chi meglio di noi che abbiamo cosi profonda fiducia nell’energia creatrice dello spirito umano e siamo gli umili ma consapevoli rappre­sentanti di una religione che fu detta di liberazione, appunto perché ammette le ampie possibilità di trasformazioni e di adattamenti dell’uomo, chi meglio di noi potrà avere fede e speranza nel divenire della società socialista? Del resto la storia costituisce una luminosa riprova della verità della nostra convinzione: tutte le volte che il cristianesimo è stato profon­damente vissuto e sentito, esso non si è rivelato soltanto come movimento religioso, ma come movimento sociale…… Anche l’Avanti! on. Morgari, accennava recentemente in una corrispondenza americana ad un grande movimento del clero americano verso il partito socialista, al quale avevano aderito vescovi e sacerdoti numerosi; il Congresso pan-angli­cano, tenutosi in questi giorni a Londra, ha dimostrato quale formidabile corrente in favore del socialismo vi sia nel clero anglicano; parecchi clergymen hanno fatto delle dichiarazioni socialiste nel più largo senso della parola, tra applausi fragorosi dell’assemblea: in Francia e nel Belgio, Jaurès e Vandervelde, tra i socialisti, hanno mostrato di capire tutto il vantaggio che alla causa socialista potrebbe venire dal rinnovamento del cristianesimo; in Inghilterra i socialisti hanno inaugurato delle cosi dette Chiese di lavoro …Noi sentiamo le difficoltà che in Italia si oppongono ad un movimento simile, ma nutriamo profonda speranza che pro­gressivamente si possa attuare un’intesa fra le persone since­ramente cristiane e la democrazia socialista. E concludiamo, onorevole Morgari, con una domanda: a chi professa i nostri ideali sono aperte oggi le file del Partito socialista? »

[7] Si veda il contradditorio con il cattolico triestino Antonio Pavissich (1851-1913) sostenuto a Monza il 10 febbraio 1901, così come gli articoli di stampa contro il vescovo di Cefalù poi raccolti in “Un lupo in mitria: requisitoria contro sua accellenza rev.ma monsignore dott. don Gaetano D’Alessandro,vescovo e parroco di Cefalù in Sicilia”,  Corigliano calabro, 1905

[8] Intervistato dal “Grido del popolo” il 20.9.1907, ammoniva “l’anticlericalismo, col prendere forma parolaia, quarantottesca, di vecchio stile democratico, costituisce un vero danno al nostro movimento di classe sviandone l’attenzione dai problemi del socialismo”

[9] Camera dei deputati, Legislatura xxiii, Atti del Parlamento italiano, Discussioni, Roma, 1909, Tornata del 23 giugno 1909, pag. 2878

[10] Archivio G.Bergami”, Carte BalsamoCrivelli, cit. in “Gramsci e i lineameti idali del socialismo torinese”, in “Storia del movimento operaio…in Piemonte”, 2. vol., cit

[11] Del caso si occupò Salvemini in un articolo sull’”Avanti!”, ristampato  in “Il ministro della malavita”, Firenze, 1910

[12] «Esaminata situazione, ritengo che ove Governo pensasse prendere occa­sione avvenimenti Andria per iniziare radicale opera rigenerazione Mezzogiorno, dovrebbe sciogliere amministrazione comunale Andria, aprire processo per asso­ciazione a delinquere che non arrestisi davanti eventuali responsabilità domina­tori comune e deputato Bolognese: sottrarre istruttoria giudice Macchia da tem­po, per varie prove, legato ai responsabili dei fatti, ricercare probabili conni­venti vari funzionari, specie delegato Damiani e sottoprefetto, e loro eventuale destituzione; incriminare carabinieri e soldati, che invece di limitare il fuoco contro autori vari spari che non causarono scalfittura alcuna militi, spararono su quanti curiosi fuggenti transitavano via Carmino, ingigantendo conflitto; sciogliere corpo guardie notturne e campestri in cui attendono pregiudicati; disperdere con mezzi legge aggruppamenti malavita andriese, che acquiescente polizia costituisce braccio esecutivo dominatori comune e deputato collegio; sus­sidiare famiglie morti e feriti. Qualora anche questa volta Governo, traverso sua inchiesta istruttoria eludesse obbligo porre fine malavita locale, inciterò 9000 contadini leghe, più volte vittime violenza suddetta malavita dispederla diretta­mente violenza».

[13]  A. Palumbo Il caso del collegio di Gallipoli  “ Società e Storia” luglio-sett.2008

[14]  Punti sugli «i». La croce dell’on. Senàpe,  «Avanti!», 14.12.1913.

[15]  Simbologia socialista a proposito del «caso Senape». La croce, il pesce o che ?, «Spartaco», 24.12.1913.

[16] «La Vita» pubblicò successivamente parte della corrispondenza tra Morgari e i socialisti gallipolini. In una lettera del 17.12. scriveva: «Dopo le informazioni avute sulla schietta e generosa opera ventennale del Senàpe, dopo le sue dichiarazioni alla Came­ra, il Gruppo vede chiusa la questione per quanto lo riguarda» ed il giorno dopo «il Senàpe non ha bisogno di essere giustificato ai nostri occhi ma le attestazioni che ci pervengono dal collegio di Gallipoli ci forniscono gli argomenti per difendere questo valoroso collega dagli attacchi avversari». Infine il 5.3.1914  Morgari affermava: «Il Gruppo cui è iscritto l’on. Senàpe non ha però bisogno di delucidazioni intorno a questi “strascichi elettorali”. II Gruppo conosce e stima l’on. Senàpe e si ascrive ad onore di contarlo fra i propri membri». C. Bazzi, L’epistolario dell’on. Morgari,  «La Vita», 19.3.1914

[17] Lo scandalo dell’elezione di Gallipoli. L’on. Morgari insulta il socialismo e il Mezzogiorno, «Il Resto del Carlino» 20.3.1914.