di Stefano Betti
Nel susseguirsi di dichiarazioni contraddittorie, che i protagonisti della babele politica di maggio non riescono a contenere, magari perché non hanno idee chiare o sono mal consigliati, sono i numeri che contano. Già, perché la materia del contendere è questa benedetta spesa pubblica e la dipendenza dai mercati che tanto fa reagire con smisurato orgoglio i panciuti populisti sovranisti nazionalisti indipendentisti antieuropeisti individualisti giornalisti, pubblicisti sui social, facebookisti. Che però probabilmente ignorano su che polveriera siamo seduti. E che sono proprio i Mercati che acquistano i nostri titoli a permetterci di avere il 23 di ogni mese il nostro stipendio. Se siamo dipendenti pubblici. Già. Pensate che se senza l’odiata BCE non tutti avrebbero la loro pensione.
“Ma chi ci ha messo su questa polveriera se non Renzi, che ha pensato solo a tagliare, a salvare le banche e alla fine siamo andati ancora più a fondo?”
Pronti all’uso alla risposta repentina. Ricordate quando qualunque, dico qualunque cosa dicesse Il Cavaliere, poi veniva da lui rimangiata il giorno dopo, nell’era del populismo mediatico anni novanta che ci stiamo tragicamente rimpiangendo (il rischio di default del paese poteva travolgere le aziende del leader del Centro Destra, quindi, niente colpi di testa nell’azione di governo…), ma non aveva conseguenze su gran parte dell’opinione pubblica?
Così ora. Pertanto, ci dicono con piglio autoritario, che le pensioni d’oro e i vitalizi sono la causa del dissesto. “ma incidono per lo 0,2 per cento…” rispondiamo quasi a bassa voce, per non essere aggrediti verbalmente e inclusi nell’élite (uno spettro si aggira per l’Europa…l’élite…) pausa…”Si, intanto però cominciamo da loro. Diamo il buon esempio…e poi è stato Renzi a salvare le banche…” Proviamo a dire che nel salvataggio anche i tioli posseduti dalle banche sono stati in una qualche misura salvaguardati, ma la discussione si fa sempre più accesa. Meglio battere in ritirata.
Fantastico!
Allora, vediamo come stanno le cose. Certo, saper far di conto non assolverà l’azione di governo di Centro destra e Centro sinistra che si è succeduta in questi venticinque anni. Il debito pubblico è continuato a aumentare nonostante tagli e lacrime e sangue, da Monti in poi
Allora, cominciamo. Prendiamo le previsioni di Cassa per il 2018 emesse dalla Ragioneria generale dello Stato. Di Cassa significa spesa effettiva in moneta, non previsioni d’impegni di spesa per il futuro (la Competenza) che sono regolarmente da sempre più ottimistiche rispetto alla spietata Cassa.
La fonte è autorevole. Scopriamo che per l’anno in corso 869,320 miliardi di euro sono la spesa complessiva che dovremo assolvere in moneta sonante. Di questa torta 227,946 miliardi di euro sono la quota di rimborso di prestiti in scadenza. Insomma dobbiamo restituire i soldi a chi ce li ha prestati. Il 26 per cento della spesa complessiva. Ed è una voce che non può comprimere nessun governo, salvo non stare ai patti e rifiutarci di restituire i prestiti. Con conseguenze che possiamo immaginare. E addio stipendi anche dei Populisti del pubblico impiego.
Poi aggiungiamo a questa torta 77,941 miliardi di euro d’interessi che prevediamo di corrispondere come costo dei prestiti. Questi sì che possono oscillare e, se c’è tempesta o speculazione, possono decollare drammaticamente. Quasi il 9 per cento della spesa complessiva. E qui mi viene in mente la prudenza del Capo dello Stato di fronte ai rischi di speculazioni dei Mercati. Ebbene sì, ne dobbiamo tenere conto.
A questo punto arriva la spesa corrente, quella che si traduce in stipendi pensioni, acquisti di beni e servizi per la pubblica amministrazione e lì abbiamo il grosso, 511,429 miliardi di euro, circa il 58 per cento del totale, più della metà insomma. Difficile comprimere stipendi e pensioni. Restano i beni e servizi, dove tutti i governi pensano di poter mettere mano e vige una presunzione di sprechi e impicci su tutto. Ecco perché è stata creata l’ANAC.
Alla fine, in fondo al barile le spese per gli investimenti, quelle che creano ricchezza e permettono al PIL di crescere. 52,453 miliardi di euro. Su questo sono tutti d’accordo. Si crea ricchezza, lavoro, maggiori entrate. Insomma non serve Keynes per capirlo. Peccato che questa voce, nelle previsioni di Cassa per i prossimi anni, è destinata a decrescere fino a 45 miliardi. Già. I tagli.
Alla fine, andando a leggere la preziosa tabella della Ragioneria generale, scopriamo, che fra entrate correnti (le tasse, le imposte tanto per semplificare) e le spese correnti, c’è una differenza per quest’anno in negativo di 53.489 miliardi di euro.
Numeri spietati, un po’ per tutti, compreso per chi ha governato e che, presumibilmente, ha evitato il peggio a colpi d’algebra forzosa, ma che non si è certo accattivato le simpatie dei più.
Figuriamoci chi pensa che si possa risolvere tutto uscendo dall’euro.
Il compito che ci attende è spiegare a chi prende un stipendio grazie ai prestiti, che occorre non scherzare col fuoco.
Il compito che ci attende è spiegare che occorre mettere in sicurezza in primo luogo lo Stato sociale, che non è un nemico e che gli investimenti sono la medicina corretta per creare ricchezza. Che rimboccarsi le maniche è il futuro logico che ci attende. Tutti però e senza scorciatoie con aliquote a precipizio che fanno bene solo a chi già possiede. Facendo pagare le tasse a tutti. Compito non facile, lo ammetto, ma necessariamente all’ordine del giorno.
Con il Contratto di governo (se sarà messo in pratica) il default è all’orizzonte, come scenario del contemporaneo avvento dell’era dell’abolizione della Fornero, del reddito di cittadinanza e della Flat tax all’amatriciana con aliquota massima al 20%.
La matematica non è un’opinione e bisognerà saperlo spiegare bene alle prossime elezioni.
E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete.