di Dario Allamano
A fine anni ’80 la crisi definitiva del Comunismo si compie, una rivoluzione nata contro il Capitale (di Marx), come disse Gramsci, implode sulle sue contraddizioni, lasciando spazio agli avventurismi peggiori.
Si chiude un secolo dominato nella sua prima metà dai totalitarismi, con due guerre tremende sul continente europeo, e nella seconda da una netta divisione tra occidente europeo in cui prevale il “compromesso socialdemocratico” tra industria e lavoro, ed un oriente dominato da un totalitarismo tremendo, che genera almeno due drammatiche crisi in Europa (l’Ungheria e la Cecoslovacchia) ed una crisi mondiale (i missili a Cuba).
L’inizio degli anni novanta viene visto da tutti come l’inizio della “libertà totale”, la narrazione che si sviluppa, vista ex post, è per un verso fragile, per un altro verso tragica.
Fragile perché a sinistra nessuno ha il coraggio di analizzare la realtà per quella che è, la vittoria del capitalismo peggiore, la finanziarizzazione dell’economia. Tragica perché inizia un trentennio in cui i partiti del socialismo europeo abdicano al loro ruolo di guida, si appiattiscono su una ipotetica “terza via” che è pura cogestione di un liberismo senza regole, soprattutto quello finanziario, a cui poi, da inizio del XXI secolo, si aggiunge quello dei “padroni della rete”.
L’inizio degli anni novanta si apre, in Italia, con una (voluta) confusione tra “liberalizzazioni” e “privatizzazioni”, con una sinistra che non sa (o non vuole) distinguere e diventa paladina delle privatizzazioni.
In un paese in cui ci sarebbe davvero bisogno di creare concorrenza tra i cartelli e gli oligopoli che bloccano il mercato delle merci e dei servizi, si privatizzano invece i monopoli pubblici, generando dei mostri senza alcun controllo. Si privatizzano le banche con la creazione di quelle “cose” senza controllo chiamate Fondazioni.
Oggi a quasi trent’anni da quell’epoca siamo ancora in attesa di vedere gli effetti di una vera concorrenza in alcuni settori chiave dell’economia, a partire dall’energia elettrica, che oggi ha costi superiori del 30% alla media europea.
La narrazione farlocca delle energie rinnovabili ha portato ad una scelta sbagliata, finanziare i privati per creare dei parchi eolici e fotovoltaici, facendone ricadere i costi sulla collettività con l’addebito dei costi in bolletta, lasciando ai privati il percepimento degli utili.
Le energie rinnovabili potevano avere un altro sviluppo, se lo Stato avesse promosso l’installazione dei pannelli sui tetti degli immobili pubblici, avrebbe generato la costituzione di una filiera italiana di produttori-installatori di non poco conto.
Nel campo dell’ecologia l’Italia si è cullata, e si sta cullando, da quasi quarant’anni su una narrazione romantica della questione, le domeniche ecologiche ne sono il più chiaro esempio, faccio l’ecologista per un giorno e mi depuro l’anima per gli altri 364, in cui inquino senza se e senza ma, con SUV da 3000 cc, usando plastica a gogo, scaricando gli oli esausti nelle fogne (solo per citare alcuni casi più evidenti).
Questo ecologismo del pensiero debole ha poi lasciato la gestione dei rifiuti in mano alle peggiori catene della malavita, l’Italia è piena di rifiuti tossico-nocivi industriali scaricati senza controlli e senza garanzie per i cittadini, il mare è pieno di navi affondate con i loro carichi inquinanti.
Ma il fallimento dell’Italia non può essere ridotto solo a questi problemi, seppure importanti, la crisi che abbiamo vissuto in questi 25 anni deriva per l’appunto da una evidente rinuncia della sinistra a fare quel che è sempre stato nel suo DNA, PROGRAMMARE l’economia ed i servizi.
Si è scelta un’altra strada, privatizzare tutto creando, secondo una logica molto neo-comunista, dei sistemi di controlli ex post, sostanzialmente dei carrozzoni inutili chiamati “Autorithy”.
Per completare un piccolo elenco di iniziative sballate si è scelto di centralizzare gli acquisti della pubblica amministrazione nella CONSIP. Un disastro totale, che ha prodotto la crisi finale di tanti piccoli fornitori di piccoli servizi ed opere pubbliche, che si sono trasformati, nel caso migliore, in subfornitori delle grandi aziende, le sole in grado di partecipare ai grandi appalti, nel caso peggiore sono falliti.
La CONSIP una funzione poteva averla, quella di essere il registro centrale dei “costi standard” a cui tutte le stazioni appaltanti centrali e periferiche dovevano essere obbligate ad attenersi, pena l’assunzione della responsabilità civile e penale degli sforamenti, si è preferito costruire l’ennesimo carrozzone, che ha dimostrato una sola cosa che gli appetiti attorno sono enormi e coinvolgono destra, centro e sinistra.
Potrei continuare per altre dieci pagine nel descrivere il disastro creato da una incapacità evidente dei dirigenti politici ed amministrativi del Paese chiamato Italia, chiudo con una sintesi fulminante sentita alcuni mesi fa in una intervista a Davigo:
D. <A quanto ammonta oggi la corruzione in Italia, più o meno del 1992?> R. <10 volte di più>.
Se il socialismo è un Programma minimo per gestire l’esistente nell’interesse di coloro che fanno del lavoro la loro ragione di vita, dobbiamo tenere conto anche di questi problemi, dell’incapacità, o in molti casi della non volontà, della burocrazia italiana di essere un gruppo dirigente che ha quale obiettivo il funzionamento dello Stato, non il controllo dello Stato.
Come titolava un libro su Calamandrei: “lo Stato siamo noi”, ma tutti noi e non solo quelli che gestiscono il potere. Lo Stato Italiano non è un’entità immateriale, ma un insieme di 60 milioni di cittadini.
Oggi anche l’Europa vive su un equilibrio fragile, che regge, nonostante tutto da 70 anni, il continente delle guerre, l’Europa, vive in pace, dobbiamo esserne consapevoli e agire per continuare a vivere in pace, per noi ma soprattutto per i nostri figli e nipoti.
Ma questo è un altro discorso che svilupperò in un prossimo post.
Sempre Avanti verso il Socialismo per il XXI secolo!
E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete.