di Elisabetta Amalfitano
A tutti quelli che non hanno chiuso gli occhi di fronte alle idee impossibili
INTRODUZIONE
La prima volta che lessi di Rodolfo Mondolfo era il 1996, quando per la mia tesi di laurea in filosofia della storia studiavo Augusto Del Noce, pensatore cattolico integerrimo, filosoficamente assai ben attrezzato, critico acuto del marxismo. Ero molto lontana da un personaggio che voleva ripristinare la superiorità morale e politica della Chiesa sullo Stato e che nella sua opera più importante, Il problema dell’ateismo 1, sosteneva che il grande male dell’epoca moderna e contemporanea fosse l’abbandono del sacro e l’allontanamento da Dio.
Ma il mio professore di tesi mi convinse ad accettare la sfida con due motivazioni: la prima era che la sinistra doveva conoscere a fondo il nemico, le sue argomentazioni, il suo linguaggio; la seconda, per me più forte, era che Del Noce nel 1978 aveva scritto un libro dal titolo Il suicidio della rivoluzione 2, in cui adduceva i motivi per cui la filosofia marxista e la prassi comunista erano necessariamente destinate al fallimento storico e politico. Volevo capire su quali basi un cattolico imputava alla sinistra una simile fatalità e, al tempo stesso, da studentessa di sinistra impenitente, non potevo esimermi dal prendere atto di una sconfitta della sinistra che agli inizi degli anni Novanta era davanti agli occhi di tutti.
Mi imbattei così in Rodolfo Mondolfo, personaggio che Del Noce collocava all’origine di quella linea del marxismo italiano detta ‘filosofia della prassi’ che comprendeva principalmente tre autori – Antonio Labriola, Rodolfo Mondolfo e Antonio Gramsci – e che a detta del filosofo cattolico compiva il grande ‘peccato’ di sostituire l’uomo a Dio. Per la prima volta venni a conoscenza di una differenza esistente fra il materialismo storico di Marx, il ‘socialismo scientifico’ e la ‘filosofia della prassi’. Il socialismo scientifico pretendeva di studiare in modo rigoroso e fondato i difetti dell’economia borghese e capitalistica e di prevedere il corso della storia. La società comunista, basata sull’eliminazione della proprietà e sull’uguaglianza tra gli esseri umani, sarebbe sopraggiunta non in maniera naturale o attraverso un’alleanza tra proletariato e padroni – come avrebbero voluto i socialisti utopisti di fine Ottocento –, ma con l’abbattimento rivoluzionario e violento del modo di produzione capitalistico. La filosofia della prassi, invece, attuava un cambiamento di prospettiva rispetto al marxismo ortodosso e al centro collocava l’uomo con la sua coscienza. Non si doveva cambiare la struttura economica per rivoluzionare le coscienze degli uomini, ma occorreva rivoluzionare gli individui per poi modificare la società, la storia e il mondo. La dialettica, la legge che regolava il movimento delle cose nella realtà, non procedeva più principalmente dalle strutture (economia) alle sovrastrutture (coscienze), ma dava luogo a un movimento reciproco fra uomo e mondo, e partendo dal soggetto ritornava sul mondo e viceversa.
Mondolfo era colui che in Italia, nel 1909, aveva introdotto l’espressione «prassi che si rovescia», dove la particella riflessiva ‘si’ stava proprio a indicare l’influsso reciproco fra uomo e ambiente. Così diventava centrale il concetto di ‘trasformazione’: gli individui potevano e dovevano, attraverso la prassi, trasformare se stessi per poi trasformare il mondo, in una dialettica infinita. Questo non convinceva affatto il filosofo Del Noce: l’allontanamento da Dio stava diventando un destino inesorabile dell’umanità. Ma convinceva tantissimo me. Fu così che, molti anni dopo, durante il dottorato decisi di proseguire il discorso lasciato in sospeso anni prima. E il mio progetto di ricerca si incentrò sull’umanesimo di Rodolfo Mondolfo che divenne tesi di dottorato.
Questo libro proviene quindi da molto lontano: sedici anni in cui, è il caso di dire, sono successe molte cose nella realtà storica e sociale che ci circonda. Se negli anni Novanta la tradizione filosofica, storica e politica della sinistra si trovava di fronte a una svolta determinata dal crollo del Muro di Berlino che imponeva all’Europa intera di ripensare il proprio passato, le proprie risposte, gli antichi maestri e i grandi ideali, nel nuovo secolo la crisi a sinistra è profonda più che mai e, contemporaneamente, assistiamo alla crisi del sistema economico e culturale a essa antagonista: il liberismo. Una cosa oggi è certa: se i regimi dell’ex Unione Sovietica hanno mostrato il loro volto totalitario negando agli uomini gran parte dei diritti fondamentali, anche il liberismo e la logica di mercato, portando alla bancarotta i paesi ricchi del globo, hanno oppresso gran parte della popolazione sotto il giogo della disoccupazione, della povertà e dell’angoscia del futuro.
Parallelamente alla disgregazione economica si affianca poi, soprattutto nel nostro paese, la dissoluzione politica: il sistema dei partiti sta vivendo una crisi ben più profonda di quella conseguente alla Tangentopoli degli anni Novanta e al sistema di corruzione che i giudici smascherarono. Nel 2012 è quindi forte l’esigenza di ricollocare l’uomo al centro del vivere sociale, economico, politico e culturale. Oggi più che mai l’umanesimo di Mondolfo torna di attualità: per ridisegnare una strada che riporti la politica, l’economia, la cultura ‘dalla parte dell’essere umano’.
Si attua quindi una scelta all’interno della vastità della produzione filosofica di Mondolfo che, nel lunghissimo arco dei 99 anni della sua vita, è stato un grandissimo conoscitore e un fine traduttore dei filosofi greci antichi e dei filosofi della tradizione moderna italiana e non. Nonostante tutta la sua produzione abbia una coerenza interna saldissima ho deciso di privilegiare gli scritti politici, in particolare quelli prodotti in Italia dal 1909 al 1938. Mondolfo, di famiglia ebraica, nel 1939 è costretto a emigrare in Argentina a causa delle leggi razziali fasciste e da lì proseguirà la sua produzione letteraria fino alla morte. Ho scelto comunque di soffermarmi sugli scritti italiani, perché ritengo che il suo pensiero sia contenuto già tutto in quegli anni e che in Sudamerica egli riprenda, affini e approfondisca temi e problematiche già impostate in Italia. Anche in questo caso la mia lente di ingrandimento è una lente politica.
Questa scelta mi è apparsa lecita prima di tutto perché Mondolfo prende sul serio lo studio dell’opera di Marx e dà un contributo originale al marxismo italiano. In secondo luogo, perché si può dire con forza che la sua filosofia fosse ben lungi dall’essere astratta e lontana dal piano dei fatti, anzi l’autore la concepiva come un programma di battaglia da svolgere sul terreno della prassi. Anche quando in Italia vinse il fascismo, si dedicò agli studi di filosofia classica, mettendo da parte quelli sul marxismo, non per fuggire dal presente, ma per mantenere la propria libertà intellettuale, per comprendere meglio il presente con l’aiuto del passato e prendere le distanze così da migliorare la messa a fuoco dell’attualità.
Una terza e ultima ragione è che l’interpretazione mondolfiana mi è parsa da un lato restituire dignità e solidità teorica al marxismo italiano, dall’altro idonea a costituire l’occasione per discutere di una possibile ‘filosofia’ del socialismo del XXI secolo. Un socialismo che oggi più che mai è chiamato ad affrontare il tentativo, che Bobbio definiva «gigantesco», di coniugare l’uguaglianza e la libertà 3.
La dignità umana è il filo rosso, lo scopo di tutto l’impianto teorico dell’autore, lo sfondo e il limite da non perdere mai di vista. In quest’ottica egli coniuga il suo socialismo che, se perde l’uomo, immediatamente smarrisce il proprio senso. Dignità umana in Mondolfo significa principalmente: uguaglianza formale e sostanziale tra gli esseri umani; libertà di realizzare se stessi senza ledere gli altri; costruzione della propria identità di individuo pensante, intellettualmente autonomo. Ho cercato di tenere ben stretto il capo di questo filo per far emergere lungo tutti e quattro i capitoli del vo- lume il protagonista assoluto di questa ricerca: l’essere umano.
I titoli dei primi tre capitoli sono espressioni utilizzate spesso da Mondolfo. Con la prima, «Occorre al socialismo la sua filosofia», ho voluto intitolare il capitolo che mostra fin da subito come il professore avesse ben chiaro quale fosse il problema del socialismo ai primi del Novecento in Italia: la mancanza di una base teorica, di una filosofia che rendesse la prassi del Partito socialista concreta ed efficace. Mondolfo dirige immediatamente la ricerca di questa piattaforma verso il marxismo perché egli ha bisogno di una filosofia che contenga un’idea precisa di essere umano: ateo, sociale, in grado di trasformarsi. Una volta individuato il principale problema e delineato l’orizzonte entro cui muovere la prassi politica, il filosofo sente viva l’esigenza di impostare una nuova concezione antropologica, alternativa non solo al pensiero cristiano, ma anche al pensiero razionale che ha spaccato in due l’uomo.
Si spiega così il titolo del secondo capitolo, «Rendez l’homme un!» (Rendete uno l’uomo!), preso a prestito da Jean Jacques Rousseau. L’umanesimo non è ancora completato con il solo marxismo: occorre anche il filosofo francese, con i suoi studi sulla coscienza e sul sentimento, per combattere il razionalismo cartesiano e hobbesiano, che ha imposto il controllo della ragione su passioni, corpo e sentimenti dell’uomo. Fondamentali sono in questo secondo capitolo gli studi sulla scuola, da me vissuti in maniera particolarmente sentita. Come insegnante di storia e filosofia nella scuola secondaria superiore, leggere i dibattiti dei primi del Novecento sulla scuola è stata un’esperienza al tempo stesso frustrante ed entusiasmante.
Frustrante perché dal 1903 nella scuola italiana per certi aspetti niente sembra cambiato: allora come ora si discuteva di ‘classi pollaio’ (con 30-40 alunni), di strutture fatiscenti, di stipendi bassissimi, di esigenza di modificare i programmi, di bisogno di escogitare nuove modalità di insegnare la storia e la filosofia ai ragazzi, della necessità o meno della religione cattolica nella scuola, dei rapporti tra scuola pubblica e scuola privata. Entusiasmante è invece leggere di scontri accesi, di convegni a cui partecipavano professori giunti da ogni dove e di problematiche così chiaramente messe a fuoco: in un qualche tempo anche in Italia la scuola è stata un problema sentito come urgente da tutte le forze politiche e sociali del paese.
La nuova concezione antropologica permette a Mondolfo, anche lui per alcuni anni professore nei licei, di essere un membro attivo della Federazione nazionale degli insegnanti medi fondata a Siena nel 1902 e di partecipare ai dibattiti con articoli su “Critica Sociale” e con interventi a convegni. Non solo, ma essa gli consente di avere le idee chiare su un nodo che nel primo ventennio del Novecento è molto sentito tra gli intellettuali e i politici europei: il rapporto tra massa ed élites al potere. Mondolfo assegna fiducia e capacità autodirettive ai gruppi e alle collettività; senza questa fiducia egli crede che il valore democratico sia compromesso in partenza. E su questo punto si inserisce il confronto-scontro con Antonio Gramsci, prima giovane studente all’Università di Torino – dove forse segue il corso di filosofia tenuto da Mondolfo nel 1913-14 –, poi direttore del settimanale “L’Ordine Nuovo” e infine segretario del Partito comunista fino all’arresto da parte dei fascisti nel 1926. Ho voluto dedicare un certo spazio ai rapporti tra Mondolfo e Gramsci e tra Mondolfo e Piero Gobetti, non solo perché indicativi di modi diversi di considerare i fatti d’Italia e di Russia tra il 1917 e il 1921, ma anche perché pochi sanno che Mondolfo fu il ‘maestro’, se non reale almeno ideale, di Gramsci e fu colui che permise a Gobetti di pubblicare nel 1924 il suo La Rivoluzione Liberale.
Il terzo capitolo, «Il problema di rinnovamento sociale è un problema di rinnovamento psicologico», colloca Mondolfo a tu per tu con i fatti della rivoluzione bolscevica. Già nel 1919 egli prende le distanze dal leninismo e lo definisce «non marxismo». La rivoluzione bolscevica diventa l’occasione di analizzare quando le condizioni siano opportune per attuare una rivoluzione. Affinché quest’ultima sia vincente e duratura è necessario rivolgersi alla psicologia degli uomini, altrimenti, se essi non avranno compreso fino in fondo i motivi del cambiamento, saranno pronti a consegnarsi a un nuovo padrone. Risulta fondamentale in questo capitolo il ‘socialismo non violento’ di Mondolfo e la distinzione concettuale che egli propone tra ‘forza’ e ‘violenza’: la prima rimanda a una resistenza interna del singolo che riesce a resistere all’oppressione esterna e dunque è positiva; la seconda invece è un atto autoritario di coercizione esercitato su qualcuno.
In ogni caso le rivoluzioni più grandi e profonde, secondo Mondolfo, avvengono molte volte in maniera silenziosa e nascosta. Il suo estremismo fa sì che egli abbia sempre a cuore la dignità degli esseri umani e che giudichi violento qualsiasi atto o pensiero che neghi tale dignità. La radicalità dell’umanesimo viene proposta attraverso la mitezza delle riforme, la concezione gradualista della storia che considera vero rivoluzionario non tanto colui che fa tabula rasa del passato, ma colui che, dopo averlo compreso, lo supera. Nel 1968, quando i carri armati sovietici entrano in Cecoslovacchia, soffocando la primavera di Praga, Mondolfo pubblica dall’Argentina il suo secondo volume fondamentale: Umanismo di Marx. Il ‘ritorno all’uomo’ appare ora quanto mai provocatorio: l’Europa pare infatti schiacciata tra il totalitarismo sovietico e il Sessantotto dei giovani ribelli che esaltano lo strutturalismo francese di Althusser per un recupero della scientificità e del determinismo marxista, contrariamente agli scritti giovanili umanisti di Marx.
Ancora una volta il monito di Mondolfo è netto e preciso: occorre collocarsi ‘dalla parte dell’essere umano’. L’ondata strutturalista ha però il sopravvento e il suo umanismo appare ingenuo, romantico, poco scientifico. Se negli anni Cinquanta Togliatti aveva diretto la pubblicazione degli scritti di Gramsci e nobilitato il pensatore sardo a maestro di riferimento per la «via italiana al socialismo» – appoggiando la destalinizzazione avviata da Chruščëv, per una strategia politica riformista che mettesse da parte l’attività rivoluzionaria –, nel progetto di Togliatti non ci fu traccia di Mondolfo. È vero che questi non fu mai comunista, ma è anche vero che si deve a lui se la sinistra in Italia conobbe a fondo i testi di Marx. Oggi tutti sanno chi è Gramsci, pochi chi è Antonio Labriola, e quasi nessuno ha mai sentito il nome del filosofo di Senigallia.
Una coltre spessa di oblio e di silenzio è calata su Mondolfo. E non vale portare a giustificazione la sua lontananza in Argentina, perché Umanismo di Marx è un chiaro esempio del fatto che il filosofo, se pur da Oltreoceano, aveva sempre continuato a dialogare con i fatti europei. Non solo: l’opera veniva pubblicata con una Prefazione di Norberto Bobbio, uno dei massimi esponenti dell’intellighenzia italiana, ma anch’egli riduceva l’umanesimo mondolfiano a uno «storicismo umanistico». Se da un lato non si può fare a meno di sottolineare un eccesso di ‘ragionevolezza’ nella posizione di Mondolfo, dall’altro ridurre la sua intera ricerca all’individuazione di un punto mediano fra gli opposti significa non restituire la complessità di un travaglio filosofico e politico che, per tutto il Novecento, ha tentato di superare l’alternativa tra positivismo da un lato e idealismo dall’altro.
Ricollocando al centro l’essere umano egli ha cercato di dimostrare la limitatezza sia del positivismo e del materialismo, che hanno appiattito l’individuo ai fatti economici in un determinismo che svuotava di senso la storia, sia delle posizioni idealiste e soggettiviste, che rendevano l’uomo spirito e volontà, del tutto sganciato dalla realtà materiale. In quest’ottica collocarsi dalla parte dell’uomo significava collocarsi nel rapporto tra uomo e uomo e nella dialettica uomo-ambiente. Certo è che egli resta ancorato a una concezione di ‘natura umana’ fortemente marxista, anche se corretta con Feuerbach, Rousseau e con lo studio degli autori appartenenti alla tradizione della filosofia moderna italiana: Leonardo, Bruno, Galilei, Vico. Questi erano gli strumenti che aveva per proporre un individuo non scisso tra mano e intelletto, tra coscienza e corpo.
Nel quarto capitolo, L’umanesimo nella sinistra del XXI secolo, attraverso le interviste a quattro noti intellettuali italiani, ho tentato di calare nella realtà culturale presente la ricerca di Mondolfo sottolineandone i limiti, ma soprattutto gli aspetti che possono essere sviluppati per un socia- lismo del XXI secolo. Un filosofo, un sociologo, uno storico-politico e uno psichiatra criticano, rielaborano e approfondiscono idee, categorie, concetti che possono oggi essere ripresi e declinati per leggere, e magari modificare, la contemporaneità. Se il limite dell’umanismo mondolfiano, come ben ci dicono Marramao e Pellicani, è di essere ancora troppo ottocentesco, legato a uno storicismo che non è più sufficiente per definire lo statuto di essere umano e la sua posizione nel mondo e nella natura, oggi è possibile proporre, attraverso la teoria di Massimo Fagioli, un ‘umanismo scientifico’ che definisce l’uomo a partire dalle nuove scoperte, in particolare in ambito biologico 4, fisico 5 e psichiatrico 6: al momento della nascita la luce giunge al cervello attraverso la rètina e attiva la sostanza cerebrale; il neonato annulla il mondo circostante e forma un’idea-immagine che costituisce la matrice del pensiero; un pensiero che quindi non si configura più come spirito (essendo trasformazione dal biologico), né come secrezione del cervello, né come ragione o linguaggio.
Lo psichico è ciò che caratterizza tutti gli esseri umani che sono uguali alla nascita.
Il socialismo del XXI secolo può quindi superare l’alternativa tra positivismo e idealismo, tra razionalismo e pensiero religioso e, rivendicando uguaglianza, libertà, ateismo e possibilità di trasformazione, schierarsi una volta per tutte dalla parte dell’essere umano. Forse così diventa possibile rispondere alla domanda di Giuseppe Tamburrano che, durante la nostra intervista, ci ha chiesto: «Perché voi giovani non ridate vita a un moderno socialismo di cui questo mondo – nella crisi del capitalismo – ha tanto bisogno?».
1 A. Del Noce, Il problema dell’ateismo, Il Mulino, Bologna 1964.
2 A. Del Noce, Il suicidio della rivoluzione, Rusconi, Milano 1978.
3 «L’eguaglianza a spese della libertà: un problema gigantesco cui nessuna delle grandi rivoluzioni, né quelle liberali, né quelle socialiste, ha saputo sinora dare una risposta»; N. Bobbio, Mondolfo e la rivoluzione russa, in E. Garin et al., Filosofia e marxismo nell’opera di Rodolfo Mondolfo, La Nuova Italia, Firenze 1979, p. 224.
4 Cfr. M.G. Gatti, Leggere la biologia e la vita umana, in “Il sogno della farfalla”, 2, 2008, pp. 5-9.
5 Per la scoperta dei fisici e dei fisico-chimici dell’Università di Bologna e del Politecnico di Milano, che hanno realizzato l’esperimento che mostra il momento in cui un fotone, la particella elementare di cui è fatta la luce, colpisce la rètina dell’occhio innescando la reazione foto-chimica che dà origine alla visione, si legga l’articolo di D. Polli et al., Conical intersection dynamics of the primary photoisomerization event in vision, in “Nature”, 467, 23 settembre 2010, pp. 440-443.
6 M. Fagioli, Istinto di morte e conoscenza (1972), L’Asino d’oro edizioni, Roma 2010.
E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete.