RIPENSANDO AL “MITE GIACOBINO” DI ALESSANDRO GALANTE GARRONE

di Marco Brunazzi

Prendendo a prestito la celebre definizione  riferita a e da Alessandro Galante Garrone, viene da chiedersi se non vi sia, nella politica e nella società d’oggi,  urgente bisogno di nuovi giacobini, sia pure miti (nel senso che non vogliono né debbono usare la ghigliottina). Giacobini da intendersi quindi come intransigenti difensori dei valori alti del repubblicanesimo storico e in particolare di quei principi di laicità che ne sono la cifra più caratteristica.

Non occorre essere biechi sovranisti per comprendere come la crisi degli stati nazionali si stia tirando appresso quella della democrazia rappresentativa e dei principi fondanti dello stato di diritto. E  con esso il suo corollario dell’eguaglianza di tutti di fronte alla legge e della subordinazione di ogni identità individuale e collettiva (religiosa, nazionale, etnica, professionale, sociale, culturale, dinastica, ecc.) a quella di cittadinanza costituzionalmente definita e garantita. Quella che Juergen Habermas aveva sintetizzato con la formula “la mia patria è la Costituzione”.

E di giacobini (miti, sì,  ma pur sempre intransigenti) ce ne sarebbe davvero bisogno in tempi come l’attuale,  nel quale ci si aggroviglia e accapiglia per rendere giustificabili le crescenti intrusioni nella sfera civile dei vari poteri religiosi, istituzionalizzati e non,  con le loro pretese di intangibilità ed esclusività, anche di fronte al patto di civile convivenza, definito ormai sprezzantemente come mero retaggio della cultura colonialistica dell’Occidente.

Ma se tutto ormai va giustificato nel segno della sacralizzazione dell’identità culturale, ebbene, rivendichiamo anche noi, Giacobini d’Occidente,  la specifica identità storica e culturale scaturita dall’Illuminismo e dalla Grande Rivoluzione.

Unicuique suum.