PROBLEMI ATTUALI DEL SINDACATO. CHE FARE?

di Sandro Antoniazzi  Fim-Cisl, Brescia

Quello di oggi è un incontro di riflessione, parliamo di idee. Parliamo di sindacato, ma non facciamo un discorso strettamente sindacale.

Il motivo è presto detto ed è evidente: la maggior parte dei problemi che ha il sindacato oggi nascono fuori dal sindacato e quindi dobbiamo capire cosa succede nel mondo circostante.

Una premessa. Quello che fate va certamente bene, ma a questo dovete dedicare il 90% del vostro tempo. Il 10% va dedicato al futuro, al domani. Prendiamo l’esempio della FIAT che produce e vende 40-50 modelli di auto, ma intanto ne sta preparando almeno altri 5 o 10 per gli anni prossimi e già pensa all’auto elettrica e senza guidatore. Ogni organizzazione funziona così. Questo è quello che dobbiamo fare anche noi.

I problemi nascono dal fatto che la società in cui viviamo è sempre più complessa. Ieri era più semplice. Più coesa, più unita e il sindacato e il lavoro contavano di più. Il posto del lavoro era centrale. Adesso non è più così.  L’aumento della complessità sociale comporta due conseguenze di cui noi oggi soffriamo:

1) nelle società complesse ci si specializza; ognuno è portato e spinto a dedicarsi alla propria funzione specifica (differenziazione funzionale). Ognuno è autonomo e diverso rispetto agli altri. Questa autonomia per la CISL è stata anche una scelta. Alle origini abbiamo scelto per un sindacato libero e democratico, invece del sindacato confessionale, cattolico. Sì, ma in questo modo abbiamo tagliato i legami con la chiesa. Poi giustamente abbiamo rivendicato l’autonomia dai partiti (avevamo una trentina di  deputati) con l’incompatibilità. In questo modo abbiamo tagliato i ponti col partito, ma direi anche con la politica.  Scelte giuste, per realizzare un sindacato autonomo, però scelte che portano alla separatezza e qualche volta a rinchiudersi in casa propria, ad isolarsi. E’ evidente che ora che siamo autonomi dobbiamo riprendere i rapporti, certo in modo nuovo. (Conclusione di questo primo punto: autonomia sì, separatezza e isolamento no).

2) La complessità comporta un altro problema serio. Le istituzioni sono fatte di due cose: di valori  e di attività (servizi, contratti,  tecniche). La complessità porta progressivamente a una scissione fra le due cose, favorendo la  attività specifica a sfavore dei valori. Le organizzazioni continuano a funzionare perché sono utili, servono, ma non riescono più a produrre “senso” (senso della propria vita, del proprio impegno sociale, del mondo), perché questa risposta di senso unitario, una realtà complessa se esiste, è molto difficile. In una recente indagine tra i lavoratori, condotta da studiosi affidabili, risulta che ciò che i lavoratori chiedono di più al sindacato è la “competenza”; come vedete siamo nel campo dell’attività/tecnica. Per quanto riguarda i valori mi sembra che molti lavoratori si orientino di più verso le nuove forze definite “populiste”; sono forze che propongono poche cose fondamentali, ma queste sono vissute come valori (si tratta di passioni che non hanno bisogno di grandi elaborazioni; è un po’, per analogia il modo con cui si crede alla propria squadra)- In poche parole la tecnica, la competenza al sindacato, i valori al partito nuovo. Ci credono molto, proprio perché c’è bisogno di qualcosa in cui credere. Noi siamo utili, ma ciò in cui si crede é altrove.

A complicare le cose si aggiungono due fatti oggi rilevantissimi, anch’essi propri di questa complessità: i mezzi di comunicazione che arrivando direttamente alle persone e in tempo reale scavalcano tutte le organizzazioni (è la cosiddetta disintermediazioni; c’è meno bisogno delle società intermedie) e l’individualismo. In parte l’individualismo è una risposta necessaria in questa situazione e in parte è una conquista di libertà, ma certamente incrina i rapporti sociali e rende tutto più difficile perché porta ad un uso personale di tutto.

Apriamo una parentesi sui valori originari della CISL, In sostanza la scelta della CISL era una scelta per la democrazia e per un sistema economico libero, ma con una forte presenza pubblica. Allora queste scelte, con i corollari sindacali: no alla legge sindacale, contrattazione aziendale, comitati di produttività,ecc,  erano sostanziali e distinguevano la CISL. Ci davano identità.Ma oggi la democrazia non è un carattere distintivo: siamo tutti democratici. E anche l’idea dell’economia mista, regolata, con la globalizzazione è andata del tutto persa. Dunque i valori CISL sono evaporati; ci rimangono i valori generali del sindacato, che però  vanno rinnovati. Conclusione di questo secondo punto: non possiamo vivere solo di tecnica, di competenza, dobbiamo avere dei valori che sono da ridefinire, da ricostituire, anche perché i valori originari della Cisl non sono più sufficienti per esprimere “senso”  oggi.

Per comprendere la situazione è bene anche risalire un po’ alla nostra storia, almeno a quella più recente. Fermiamoci agli ultimi decenni. Quello che qui ci interessa è la fine della classe operaia e di tutto il mondo che ci ruotava attorno: stati, partiti, ideologie, programmi che per 150 anni hanno avuto la supremazia nel movimento operaio. Anche da noi i partiti “operai” hanno avuto un grande rilievo e non dimentichiamo che la CGIL, che si richiama a questo mondo, rimane tuttora il sindacato maggioritario.

Questa preminenza ci ha creato tanti problemi in passato, ma anche ora, che è in crisi,  ci lascia in eredità due problemi non di poco conto:

La scomparsa del partito comunista e socialista e di ciò che significavano per le masse, ha lasciato un vuoto notevole – una vera voragine  – che non è stato riempita da nessun sostituto minimamente significativo,

In compenso molte persone che provengono da quell’esperienza non credono più al comunismo, ma nella loro mente rimangono tante idee, immagini, concetti, orizzonti che risalgono a quella concezione. Sono come i resti di un terremoto, che bisogna asportare per poter ricostruire. Siamo ancora almeno in parte in questa fase. Certo non tutto il passato è da buttare, ma quello che va salvato deve comunque rientrare in una concezione nuova.

Se guardiamo anche a un mondo più vicino a noi, quello cattolico sociale, le cose non sono andate molto diversamente. Da quando è scomparsa la DC, la Chiesa si è praticamente ritirata dalla politica e dall’ attività nei confronti della società. L’azione sociale dei cattolici è amplissima (guai se non ci fosse), ma è molto rivolta ad attività come la Caritas, il volontariato, le cooperative sociali, cioè a un livello di base più diretto, più caritativo. Di questo poco risale a livello politico e del lavoro. Certo poi abbiamo dei discorsi ad alto livello, ma modesta è la loro ricaduta nella vita delle persone. Dunque alla scomparsa delle forze comuniste ha corrisposto un ritiro dell’impegno cattolico nel mondo politico e del lavoro.

Questo è un po’ il quadro della situazione. Che cosa si può fare?

C’è una risposta ragionevole che è di molti: facciamo bene il nostro lavoro e fermiamoci lì, perché per il resto possiamo fare poco, si tratta di problemi troppo grandi che non dipendono da noi. La risposta è giusta, ma insufficiente, perché non è in grado di rispondere a nessuno dei problemi di cui abbiamo parlato e le nostre difficoltà cresceranno.

Al contrario sono fra quelli che penso che il sindacato possa e debba fare molto. Ci sono 3,5 miliardi di lavoratori nel mondo; pensate che si possa cambiare il mondo senza di loro?

Per affrontare questi problemi abbiamo bisogno di un movimento del lavoro adeguato e che sia all’altezza dei problemi.  Parlo di movimento del lavoro che vuol dire il sindacato, ma anche altre forze, politiche, sociali, culturali, movimenti che si muovono nella stessa direzione.

Partiamo da noi, dal sindacato. Penso che dovremmo impegnarci su tante cose, ma innanzitutto tre mi sembrano importanti e decisive, sono questioni che fanno parte del ridare “senso” alla nostra azione:

1) occorre una nuova idea del lavoro. (Dire nuova idea non significa scrivere un documento, fare una dichiarazione;  vuol dire esprimere nella pratica una concezione diversa). Per oltre un secolo il concetto dominante è stato quello del lavoro “produttivo”, da cui derivava il ruolo della classe operaia, che rappresentava  i produttori e giustificava le loro ambizioni future). Questa idea era in parte legata alla situazione di un tempo e in parte all’ideologica che la sosteneva. Oggi non sta più in piedi. Il lavoro a Milano è per l’88% terziario, in termini marxisti “improduttivo”. Il problema è che la produzione è sempre più un processo sociale complesso e articolato, cui partecipa il lavoro si può ben dire dell’intera società (la scuola e la sanità non sono meno importanti della fabbrica).

Oggi conta sempre di più il lavoro relazionale, il lavoro di cura, il lavoro di conoscenza  in prevalenza fuori dalle fabbriche, ma man mano entra anche nelle fabbriche. Accanto al lavoro degli operai, il lavoro pubblico, del commercio, dei servizi, della sanità, dello welfare, sono altrettanto importanti e di pari dignità. La nostra visione del lavoro oggi deve essere più ampia di ieri e quindi deve rivalutare tanti lavori, considerati improduttivi o riproduttivi, messi ai margini. Questa è una rivoluzione culturale da cui poi devono derivare concreti risultati sociali.

2) E’ necessario un impegno di grande rilievo in tema di partecipazione. Questo non è un miglioramento contrattuale tra gli altri. Questa è una prospettiva politica sindacale; la più importante prospettiva per i prossimi anni. Realizzare più libertà nel proprio lavoro è un avanzamento della democrazia. Se non c’è la lotta di classe quale è la possibilità di cambiare le cose? Il modo è una democrazia più avanzata, una democrazia sostanziale la chiamava Dossetti, democrazia progressiva la chiamavano i comunisti, democrazia comunque trasformativa. Non si tratta solo di gestire l’esistente, si tratta di cambiarlo. La partecipazione diffusa è una proposta di democrazia sostanziale, un passo avanti importante nella condizione dei lavoratori ma anche per la società. Non è una cosa facile, non è un fatto naturale, richiede preparazione e formazione da parte dei lavoratori.

3) C’è una grande disarticolazione del mondo del lavoro; compito del sindacato è tenere insieme tutti. Non possiamo limitarci a quelli che sono più facilmente organizzabili. Dobbiamo tendere a coprire e difendere tutti i lavoratori. L’unità dei lavoratori è una condizione essenziale per poter parlare di movimento del lavoro. Se pensiamo a quanti lavori oggi non sono tutelati, a tutte le piccole aziendine, ai lavoratori indipendenti ma che sono lavoratori come tutti gli altri, agli immigrati, ecc…   appare subito evidente quanto lavoro c’è da fare. Pensiamo ai riders per i quali ora interviene il governo e a Milano, Torino, Bologna sono intervenuti i Comuni, più del sindacato.

Non possiamo portare avanti le battaglie da soli. Abbiamo bisogno della politica. E’ finita l’idea che la classe operaia sia il soggetto deputato a cambiare il mondo. Qualcuno allora pensa che non ci sia più niente da fare (è quello che è successo e che in larga misura sta avvenendo). Se la realtà è molto più complessa, occorrono tante forze diverse ma convergenti. La classe operaia non è il soggetto che cambia il mondo, ma il movimento dei lavoratori è uno dei soggetti che può cambiare il mondo. Non è l’unico, non è il salvatore del mondo, ma è essenziale. E va sottolineato che non si tratta di gestire l’esistente, ma di cambiarlo.

La maggior parte dei problemi che dobbiamo affrontare richiedono anche un intervento politico. Basta guardare ai dati recenti: i documenti unitari richiamano gli artt.39 e 46 della Costituzione per affrontare il tema della rappresentanza e della partecipazione aziendale, il programma azienda 4.0 sostiene gli interventi sulla tecnologica e la formazione, la detassazione ha favorito lo welfare e qualche sperimentazione partecipativa, si parla di salario minimo e di forme di reddito garantito per far fronte alla frammentazione, …

Ma se guardiamo a tanti temi di battaglia del lavoro, oltre ai tre già accennati, ritorna il medesimo discorso. Basti pensare a temi quali:

  • la diseguaglianza
  • la riduzione dell’orario di lavoro
  • un diverso rapporto tra lavoro  e non lavoro (compreso il riequilibrio del lavoro a casa)
  • la lotta per un lavoro dignitoso per tutti
  • la lotta per la formazione permanente
  • la lotta per lo sviluppo della seconda economia
  • i temi di dimensione mondiale.

L’idea di un progresso che non sia solo materiale.

Non c’è problema oggi che non richieda una sponda o un intervento di carattere politico. Ciò richiede un partito o più partiti che abbiamo un riferimento e un rapporto solido con il lavoro, partito/partiti con cui confrontarsi autonomamente.

E’ difficile per me pensare a un partito di centro sinistra che non abbia un rapporto, una base nel lavoro. Si può immaginare un ambito di incontro neutrale, terzo,  dove si delineano i temi prioritari da affrontare e si elaborano orientamenti e contenuti essenziali lasciando poi a ognuno di operare autonomamente.

Questi processi se non isolati ma continui devono andare al di là della soluzione di singoli problemi, ma devono inserirsi in una prospettiva di crescita della democrazia sostanziale, che deve sempre di più costituire uno dei nostri grandi valori. Noi non siamo genericamente democratici, siamo dei democratici avanzati, siamo dei democratici trasformativi, siamo tra coloro che fanno avanzare la democrazia.

Analoghi discorsi andrebbero fatti per altri soggetti; prendiamo ad esempio il movimento delle donne che ha conquistato una grande influenza nei decenni recenti, Le posizioni che hanno sul lavoro sono molto distanti dalle nostre. Chiaramente uno sforzo di convergenza sarebbe importante per entrambi.

E pensiamo a un tema importante come è quello dei cattolici. Non mi permetto certo dei giudizi in materia, ma che ci sia un minor impegno per il lavoro da parte della chiesa è una situazione di fatto. La chiesa vive nel mondo e pertanto soffre degli stessi problemi di tutti: la fede diventa più individuale/personale (dunque più esigente), anche la chiesa trova  difficoltà  nel dare un ”senso”all’intera vita degli uomini in una società complessa.

E’ difficile chiedere molto alle parrocchiale quali sono già sovraccariche di problemi per loro conto; sono un po’ come la scuola dell’obbligo, garantiscono una base elementare comune a tutti. Ma oggi è richiesto di più e questo di più nel mondo adulto comprende certamente il  lavoro; dunque che la chiesa riprenda un serio impegno per i l lavoro  è tanto nell’interesse della chiesa quanto nostro.

Per concludere. Ho elencato soprattutto problemi su cui c’è lavoro da fare per molti anni. Non c’è da aver paura di quello che succede; qualche difficoltà attuale non deve spaventarci. Il mondo non va avanti in modo rettilineo.

Ma il sindacato mantiene una grande funzione insostituibile, di cui c’è un grande bisogno per i prossimi secoli. Stiamo dunque tranquilli. Bisogna invece pensare in grande. Direi più in grande di quelle cose che ci creano preoccupazioni oggi.

Abbiamo bisogno di un grande movimento sindacale e del lavoro per affrontare il mondo d’oggi.

Dobbiamo raccogliere l’eredità di Carniti, che è stato un grande sindacalista di una grande epoca sindacale, e continuare la battaglia, oggi più difficile, ma non meno importante e non meno  meritevole di essere combattuta.