PREGIUDIZI E CONTRADDIZIONI DELLA SINISTRA

L’ultimo intervento di Lombardi nel giugno del 1984, a pochi mesi dalla sua morte: individuare le cause del raffreddamento del dialogo, Riccardo Lombardi tenne il suo ultimo discorso pubblico a Roma il 29 giugno 1984, al Convegno di “Socialismo Oggi” su “Il PSI e l’alternativa riformista”. Poche settimane prima, aveva anticipato la sostanza delle sue considerazioni in una conversazione con Simona Colarizi, pubblicata su”Socialismo Oggi”, che riproduciamo integralmente.

Nel clima di tensione tra comunisti e socialisti di queste ultime settimane, l’alternativa sembra farsi sempre più lontana. Riccardo Lombardi, leader storico del PSI, mi guarda sorridendo: di rotture, di lacerazioni, di momenti di crisi è intessuta tutta la storia della sinistra italiana, fin dal lontano 1921, e lui ne è stato uno dei protagonisti. Oggi, di nuovo, PSI e PCI sono divisi; la polemica è aspra. Tuttavia, l’attuale dissenso è solo l’aspetto più appariscente e formale del problema complessivo.
Se la strategia dell’alternativa, come proiezione nel futuro, si è allontanata, dice Lombardi, bisogna individuare cause più profonde del raffreddamento del dialogo tra i due partiti. Oggi, la proposta dell’alternativa non è più sostenuta da un’impostazione progettuale e culturale sufficiente a darle credibilità e quindi successo. L’alternativa fu lanciata in un periodo di svolta nel sistema economico e nella società italiana, che aveva messo in crisi gli equilibri di governo tradizionali.

Era un’occasione, per la sinistra, di intervenire come protagonista diretta e di porre con forza la questione dell’alternanza democratica, candidandosi a governare il cambiamento in atto. Un’occasione che non si può ancora considerare perduta dalla prima formulazione di questa strategia, dell’alternativa sembra rimanere solo un’eco sbiadita. Il processo di trasformazione non si è arrestato; anzi, prosegue velocemente, palesando sempre più il ritardo politico a gestirlo e il ritardo culturale a interpretarlo. E’ questo il nodo della questione.

Entrati in crisi molti dei parametri consolidati attraverso i quali si valutava nel passato una politica di sinistra, socialisti e comunisti palesano una carenza progettuale che, secondo Lombardi, trova in alcuni pregiudizi – li chiama dei veri “tabù” – un importante ostacolo.
Il primo pregiudizio sta nella persuasione che il progresso tecnico (informatica, elettronica, telematica) crei inevitabilmente disoccupazione. Ciò non è necessariamente vero:”Un effettivo progresso tecnico continuativo che renda anche la produzione competitiva, e sia motore propulsore per l’economia, ha bisogno di essere garantito dalla piena occupazione non solo per ragioni di consenso sociale, ma anche per le esigenze della stessa produttività. Il francese Rosan Vallon ha scritto recentemente che la “disoccupazione è nella testa dei decideurs, non è iscritta nei rapporti di produzione”. Insomma, la disoccupazione trae origine nell’incapacità di concepire una politica di piena occupazione”.

Il secondo pregiudizio è quello della fine della fine dello stato assistenziale, dello stato-provvidenza. “Io non nego“, dice Lombardi, “che oggi l’accelerazione delle spese sociali sia più rapida di quella della produzione, col rischio di arrivare in futuro ad un momento in cui neppure tutta la produzione nazionale sarà sufficiente a pagare i servizi sociali. Ciò nonostante non penso che l’unica ricetta sia quella di Reagan: abolire lo stato sociale. La questione vera, che la sinistra non ha il coraggio di porre, è che non possono continuare a coesistere valori elevati di salario diretto e salario indiretto, cioè i servizi dello stato assistenziale; questa sovrapposizione diventa insostenibile da qualunque regime, ivi compreso quello socialista”. Del resto, quanto sta succedendo nel mondo del lavoro in materia di evasione degli oneri sociali ce lo dimostra: il lavoro nero, il sommerso, il parziale, il sottobanco, il lavoro a domicilio, ecc.
Poi c’è un terzo pregiudizio, quello dell’austerità, la cui sola parola suscita il timore di una catena di restrizioni insopportabili. Si tratta di un falso problema: una politica di austerità non significa diminuzione delle risorse, ma uso diverso delle risorse. Per dirla con uno slogan: “consumare di più, ma consumare diversamente”. Si deve puntare alla qualità per far si che le eventuali restrizioni di reddito vengano largamente compensate da un miglioramento qualitativo della vita.

Infine l’ultimo tabù che le sinistre hanno timore ad affrontare: la difesa del posto di lavoro. “Anche in questo caso”, dice Lombardi, “si tende a sfuggire dal problema reale: la necessità di farsi carico della mobilità del lavoro, che è un’esigenza iscritta proprio nei processi di trasformazione in atto nel sistema economico. Organizzare e governare il lavoro è un onere a cui la sinistra non può sottrarsi se non vuole che anche questa volta prevalgano distorsioni e forme perverse a danno delle masse lavoratrici, ma anche a danno dell’economia di tutto il paese”.
Se questi sono i tabù che ostacolano l’elaborazione di un progetto di governo alternativo della sinistra, ci sono però anche pregiudizi politici da rimuovere e da superare. Non è facile trascinare Lombardi su questo terreno, cos’ cerca proprio di provocarlo. Cito una frase di Nenni del 1945: “Socialisti e comunisti sono alleati o sono nemici. Non c’è via di mezzo”.

Lombardi mi risponde in maniera altrettanto lapidaria: “Quanto più si è vicini, tanto più, per evitare confusioni, per non essere assorbiti e condizionati, si tende a marcare gli elementi di diversità”. Basterebbe, dice, considerare quanto è avvenuto e avviene tra le diverse sette di una stessa confessione.
La ricerca della propria identità da parte dei socialisti e dei comunisti che sono forze vive e attive in una società a sua volta in movimento, si pone come un processo continuo. E dinamico è dunque il loro confronto che non può non avere anche fasi di scontro e di tensione. Questa dialettica non è, per Lombardi, un fatto negativo: “Io ho sempre pensato che la divisione nella sinistra sia un elemento positivo. Non dico l’ostilità permanente; ma la pluralità delle posizioni, la specificità delle singole vicende arricchiscono il patrimonio della sinistra e finiscono col diventare una ricchezza comune ai due partiti”.

La sinistra si impoverisce solo quando la capacità di elaborazione politica delle sue componenti diminuisce, e ciascuna tende ad arroccarsi su posizioni di consolidamento dell’esistente.
Socialisti e comunisti appaiono oggi preoccupati soprattutto di preservare il terreno di consenso già acquisito, caso mai di ampliarlo, finalizzando a questo la propria strategia. Possiedono appunto strategie di potere assai più che linee progettuali riconoscibili. Concorrenti nel reclutamento di adesioni nel paese, PCI e PSI, proprio perché si somigliano, si sentono maggiormente minacciati l’uno dall’altro, e si difendono accentuando la polemica reciproca. La competizione, di per sé stimolante, racchiusa in questo orizzonte, diventa sterile. E’ nel campo progettuale che i due partiti dovrebbero lanciarsi reciprocamente una sfida per dar corpo e sostanza alla strategia di governo delle sinistre.

Il richiamo alla vicenda passata del primo centro sinistra viene spontaneo. Anche se oggi la situazione è diversa, rimane il fatto che l’ostilità tra socialisti e comunisti esplode sempre nel momento in cui il PSI assume responsabilità di governo. E’ una reazione facilmente spiegabile, sostiene Lombardi: i comunisti intuiscono che, nonostante la loro superiorità numerica, i socialisti eserciterebbero un’indiscutibile egemonia culturale e politica in un governo di sinistra. Nell’ipotesi di un governo di collaborazione tra le sinistre, sarà la tradizione della democrazia socialista a prevalere, sarà cioè la politica riformatrice iscritta nella storia del PSI, non (o troppo di recente) in quella del PCI. Del resto, il partito comunista sta da molti anni attraversando una profonda crisi di identità; il patrimonio della tradizione comunista è in parte dissolto, e anche se il PCI esita a compiere alcuni passi, la sua fisionomia è profondamente mutata.

Altro che la “mutazione genetica” attribuita da qualcuno al PSI! E’ logico che questa incertezza di sé pesi negativamente sulla capacità di elaborazione politica, e si rifletta in un moto di difesa esasperato, specie in una situazione obiettivamente difficile.
Lo abbiamo detto all’inizio: il momento attuale non è di agevole lettura. Quanto più i partiti della sinistra si affannano nella ricerca di una politica, tanto più si accentua la crisi di rappresentanza, il distacco tra società civile e poteri politici. Il che vale anche per i sindacati, perché non ci sono dubbi che lo scontro di oggi sui punti della scala mobile nasce soprattutto da un ritardo dei vertici sindacali ad interpretare le esigenze nuove del mondo del lavoro. Tanto è vero che si è accentuata la tendenza, da aperte dei sindacati, a delegare ai partiti l’elaborazione di una politica. Cos’ come per un lungo periodo fu il sindacato a esercitare la supplenza dei partiti! Ma la confusione di compiti e di ruoli che non si è mai dimostrata feconda nel passato, cade oggi in un momento di incertezza generalizzata.

La pretesa del PCI, o di chiunque altro, a rappresentare la maggioranza delle masse lavoratrici è in stridente contrasto con la diffusa crisi di fiducia dei lavoratori nelle loro organizzazioni, che è poi peculiare a quel distacco o disincantamento della popolazione verso i partiti.
Come vedi” dice Lombardi, “si ritorna di nuovo al discorso iniziale. Le risposte che la sinistra offriva in passato appaiono oggi inadeguate alle domande emergenti da una società nuova, estremamente variegata e parcellizzata. La scomposizione in atto nel sistema coinvolge le tradizionali classificazioni sociali; nuove stratificazioni e nuove aggregazioni si sono venute formando nel tessuto sempre più complesso della società. Bisogna saperle riconoscere; bisogna soprattutto offrire soluzioni flessibili, decentrate e suscettibili del massimo di autogestione da parte degli interessati”. Lombardi a questo proposito dimostra con riferimenti precisi come, per esempio, una riduzione dell’orario di lavoro a prescindere dal vantaggio economico per ipotesi riconosciuto, sarebbe di dubbia efficacia sulla qualità della vita, se regolata da una normativa uniforme.

Insomma, il socialismo è diventato più difficile. O forse, nella crisi delle ideologie che caratterizza la nostra epoca, si va perdendo il significato stesso di socialismo?
“Naturalmente Lombardi non è d’accordo. La caduta delle ideologie è un elemento positivo se inteso nel senso del superamento di quanto di mistificatorio c’era in ogni ideologismo esasperato. Certamente il messaggio palingenetico, messianico di cui le ideologie sono state portatrici nel passato, proprio per la sua estrema semplicità – la promessa di un “paradiso in terra” – costituiva un fattore di grande mobilitazione delle masse. Ma, una volta liberato dagli elementi mitici, il socialismo non ha perduto né la sua forza di attrazione, né la sua capacità di convincimento.
Il progetto di una società socialista ha ancora oggi alcuni fondamenti ineliminabili: dal punto di vista economico, la centralità del profitto e del valore di scambio deve essere sostituita da quella del valore d’uso; insomma, produrre per il consumo della popolazione, non per massimizzare il valore di scambio. “Sono concetti semplici e non sono neppure così rivoluzionari. Quanto poi l messaggio politico che oggi esprime il socialismo, a me pare molto bella questa definizione: “Una società socialista è quella nella quale a ciascun individuo sia data la massima possibilità di influire sulla propria esistenza e sulla costruzione della propria vita”.