ANARCO-SOCIALISTI DI FINE SECOLO

di Gustavo Buratti |

Un elenco di “sovversivi” del 1891

Nel mio archivio familiare ho trovato un manoscritto di due fogli protocollo per complessive otto facciate, non datato, riportante un “elenco di individui trovati annotati nelle carte e corrispondenze state sequestrate all’arrestato Caspani Antonio con le informazioni somministrate dalle rispettive autorità”. Non mi spiego la provenienza di tale documento; probabilmente doveva appartenere alla famiglia di mia nonna paterna, Casaccia (da Bioglio), a sua volta imparentata con i Monticelli di Torino. Nell’una e nell’altra famiglia erano infatti magistrati ed avvocati: avvocato Candido Monticelli, magistrato (padre di Carlo Monticelli (1), Andorno Micca 1875 – Torino 1952, giornalista antifascista schedato nel Casellario politico centrale 1896-1945) (2); avvocato Giuseppe Casaccia (1861-1915); avvocato Pierino Casaccia. Il riferimento al periodico “La nuova gioventù”, che si trova nella nota riguardante l’anarchico Ottavio Nannelli (erroneamente nominato “Mannelli”) “che dovrebbe veder la luce fra poco a Firenze” (infatti il primo numero uscì il 18 ottobre 1891, dopo aver superato difficoltà che dovevano essere note a chi aveva redatto la nota), nonché l’età dei personaggi, datano la redazione della nota al 1891, molto probabilmente all’estate di quell’anno.

Dell’Antonio Caspani, presso il quale tali nominativi furono rinvenuti, non sappiamo nulla; si può presumere che quei contatti fossero proprio in vista dell’uscita del periodico dei giovani anarchici, considerata la giovane età di molti di loro e le corrispondenze che saranno pubblicate dal settimanale, provenienti per la maggior parte proprio dalle località dove operavano i compagni del Caspani, i quali sono perlopiù riconducibili alla linea “radicale” del movimento anarchico, che comprendeva anche gli individualisti (come Angelo Mancini) e gli “espropriatori diretti” (come Rodolfo Pennicchi), il che conferisce una certa “omogeneità” al documento. È significativo inoltre notare come la “rete dei correligionari” (come li definisce l’autorità di polizia!) di questa “lista Caspani” sia estesa a tutta Italia, andando da Borgosesia a Marsala. Accanto a nomi noti (Giovanni Domanico, Carlo Monticelli, Lodovico Nabruzzi, Adamo Mancini) (3), ve ne sono altri poco conosciuti od addirittura ignoti agli storici del movimento operaio, ma che pur dovevano avere qualche rilevanza nell’organizzazione; per questo ritengo che il documento costituisca un interessante tassello per ricostruire il “mosaico” del movimento nel periodo praticamente clandestino, e l’ho corredato, per diversi personaggi, di note biografiche, raccogliendo le notizie da varie fonti; mentre, purtroppo, per gli altri l’unico riferimento rimane quanto riportato nel documento.

I “sovversivi” 

Elenco degli individui trovati annotati nelle carte e corrispondenze state sequestrate all’arrestato Caspani Antonio con le informazioni somministrate dalle rispettive autorità

Ferrarone Giacinto di Romualdo. Nato nel febbraio 1869 a Candelo. Dimora a Biella. Esercitò le professioni di disegnatore meccanico, scrivano e commesso. Lavorò presso le Ditte Poma e Prina, ma fu licenziato per le sue idee politiche sovversive professando egli dottrine socialistiche con accentuata tendenza anarchica. Riceve frequenti opuscoli, lettere e giornali dall’Italia e più specialmente dall’Estero. Non è però pregiudicato (4).

Cisi, non Cesi, Giovanni di anni 60, dimorante in Casale. È ben conosciuto come individuo di principi sovversivi, è presidente della Lega dei Lavoratori del Monferrato, che conta pochi affiliati ed ha per scopo la diffusione delle idee socialiste. È di poca istruzione e non ha molta influenza sulla classe operaia (5).

Dalmazzo Lobetti Angelo fu Francesco d’anni 65. Pensionato Governativo quale Computista. Dimorante in Govone. Professa idee contrarie alle attuali istituzioni e si crede abbia corrispondenza cogli affiliati del partito anarchico. È però ritenuto di buona condotta morale e non è ritenuto pericoloso.

Casissa Giovanni Salvatore fu Cristoforo di anni 27. Dimora ed è nativo di Trapani. Scrive pel giornale “Il Proletario” ed altri assai conosciuti e si tiene in continua corrispondenza con i gruppi anarchici del continente. Attualmente in carcere in espiazione di pena per attentato alla libertà del lavoro (6).

Azzaretti Antonio fu Natale di anni 32, sarto, nato a Palermo. Dimora a Marsala ed è ben conosciuto per le sue idee ultra sovversive e per la insistente velleità ad atteggiarsi a capo od almeno membro influente dei sodalizi comunisti anarchici facendone pubblica manifestazione persino nei pubblici uffici. È d’indole violenta petulante ed impulsiva. Fu condannato per ferimento grave e condannato per ribellione. Fa continua propaganda d’idee e stampe anarchiche, ma i suoi sforzi hanno poca presa tra le masse che nella Provincia di Trapani sono contrarie a moti inconsulti (7).

Paoletti Mario Giuseppe di Angelo, nato in Pesaro il 17 luglio 1851. Verniciatore. Dimora in Pesaro ed è uno dei capi del partito anarchico. Subì varie condanne e procedure per cospirazione, reati di stampa ed oltraggio ad agenti della forza pubblica. È ritenuto per influente e pericoloso. Ora è in miseria e vive disoccupato con qualche soccorso di correligionario (8).

Bianchi Onofri Desiderio detto Rossin, fu Carlo di anni 26, tessitore di Como. Dimora in Como ed è uno dei più pericolosi anarchici di quella città. Di carattere violento egli si tiene in continua relazione coi correligionari di altri paesi e non si lascia sfuggire occasione per far propaganda dei suoi principi sovversivi. Venne già arrestato e processato per la introduzione nel Regno di manifesti sovversivi, arrestato e processato in occasione del 1 maggio attuale e condannato per incitamento allo sciopero (9).

Bergamasco Giovanni di Carlo, nato in Pietroburgo il 1 gennaio 1863, possidente. Dimora in Napoli dal 1885, proveniente dalla Russia dalla quale era fuggito perché nichilista ardente, e dalla Svizzera ove si era legato con più noti settari. Fu sempre a capo di ogni movimento della parte anarchica e collabora nei giornali più violenti per principi sovversivi. Fu più volte processato e condannato e nell’aprile di quest’anno fu anche denunziato ed arrestato per associazione a delinquere ed attualmente in libertà provvisoria in attesa del giudizio (10).

Garavini Antenore di Forlì. È figlio di una Guardia Municipale di Forlì ed egli stesso è impiegato presso il Municipio di quella Città. È affiliato alla setta anarchica e ne è uno dei più caldi fautori, però non avendo mezzi, non si muove mai da Forlì e si limita a prendere parte al movimento anarchico di quella Città ed a fare propaganda (11).

Palandri, e non Valandri, Angelo fu Matteo, di anni 37, barbiere da Pisa. Dimora nel sobborgo di San Marco in Pisa ed è ben conosciuto per i suoi principi anarchici di cui cerca farne propaganda nel sobborgo in cui dimora. Non è però molto influente. Venne già condannato a tre giorni di carcere per furto.

Biagi Cesare di Giuseppe e di Borghi Rosa, di anni 23 da Siena, calzolaio. Dimora in Pisa ed è uno dei capi più attivi della setta anarchica. Di recente si fece promotore di un congresso di anarchici da tenersi in Siena ed al quale aveva invitato i correligionari delle Provincie toscane ma il congresso non ebbe luogo atteso lo scarso numero di adesioni giunte dalle provincie suddette.

De Angeli Giuseppe di Francesco, di anni 32, sarto, nato a Castelnuovo d’Asti. Dimora in Asti dove è ben conosciuto come uno dei più convinti anarchici del gruppo anarchico socialista di quella città. Egli fa pubblica pompa dei principi propri della setta, ma la sua umile condizione e la scarsa sua cultura, fanno sì che la sua influenza si estende solo ai più fanatici del ceto operaio.

Varalda Silvio fu Federico, di anni 40, droghiere di Vercelli. È affiliato alla setta anarchica, ma non ha influenza alcuna, né precedenti penali. Non è pericoloso né si allontana mai da Vercelli per fare propaganda.

Sassi, non Fassi, Enrico, fabbricante di carrozze in Borgosesia. È nativo di Novara e dimorante in Borgosesia da due anni. Appartiene alla setta anarchica e fa attiva propaganda dei principi sovversivi della medesima.

Daveggia Giuseppe, calzolaio di Livorno. È uno dei caporioni della setta anarchica di Livorno. È editore della pubblicazione “Un Comune socialista” del noto Rossi Cardias iniziatore della colonia socialista “Cecilia” al Brasile, e si tiene in continua corrispondenza con i correligionari del Regno e fuori (12).

Milanesi Virgilio di Livorno.È anch’esso uno dei caporioni della setta anarchica, e cura con attività la seconda edizione del volume “Vittime e pregiudizio” dell’anarchico Pasquale Pensa di Napoli, e quindi ha motivo anche per ciò di tenersi in continua corrispondenza con i correligionari del Regno e dell’Estero.

Pennicchi Rodolfo di Antonio, di anni 34, scalpellino, nato e domiciliato a Perugia. Appartiene alla setta anarchica ed è uno dei più caldi propugnatori delle idee della medesima. È solito di tenere corrispondenza con i Capi anarchici delle varie città d’Italia e recasi a congressi nell’interesse della setta. Prese parte anche al Congresso di Capolago. È di cattiva indole ed ama più l’ozio che il lavoro. Fu anche espulso dal Corpo dei pompieri del quale faceva parte da poco tempo. Gode non buona fama in pubblico. Il giornale al quale il Pennicchi alludeva in una sua cartolina diretta al Caspani Antonio dev’essere il giornale socialista anarchico “L’Umbria” che da poco tempo si pubblica in Perugia coi tipi della tipografia sociale sotto la direzione di Giovanni Damanico (vedasi informazioni in appresso), non sussistendo altra pubblicazione che sia nota a quell’autorità, né avendo il Pennicchi alcuna stamperia in proprio (13).

Pertusi Carlo fu Luigi di anni 31, residente a Vigevano. Non ha precedenti penali né ha mai dato occasione da avvalorare il sospetto che egli possa far parte della setta anarchica. Da quelle autorità però verrà sorvegliato e si sta in attesa delle ulteriori informazioni che si sono riservate di favorire.

Delsanto Stefano fu Francesco di anni 23, calzolaio da Spezia. Dimora alla Spezia dove è ben conosciuto quale pericoloso e scaltro anarchico attivissimo nel fare propaganda a favore della setta. Attualmente trovasi detenuto sotto l’imputazione di associazione di malfattori diretta a commettere furti.

Nava Luigi, Girola Enrico, Locatelli Giuseppe tutti di Milano. Appartengono tutti al partito anarchico, e quantunque siano a considerarsi ugualmente pericolosi, la figura più spiccata di essi è il Girola Enrico da lungo tempo affiliato alla setta. Di carattere presuntuoso ed ardito prende parte attiva in qualunque movimento e nel 1887 venne condannato a giorni 15 di carcere e lire 1.000 di multa per reato di stampa. Il Locatelli Giuseppe nell’anno 1889, fu condannato a sei mesi di carcere e lire 1.600 per associazione di malfattori e reato di stampa.

Domanico Giovanni di anni 36 da Rogliano (Cosenza). Dimora attualmente in Perugia dove si fa dirigere corrispondenza e giornali anarchici provenienti dall’Estero sotto il nome di Jean Domenico e non Damanico forse per errore del mittente. È uno dei più forti agitatori. Ammonito e condannato più volte anche per sequestro a lui operato di stampe sovversive. Venne anche arrestato con altri socialisti imputati di associazione a malfattori. Rifugiato prima in Svizzera e poi in America, rimpatriò nei primi del corrente anno e fondò in Perugia un giornale settimanale col titolo “L’Umbria”. È indicato dalle autorità di Perugia come uno dei più pericolosi anarchici. (Vedasi informazioni di Pennicchi Rodolfo) (14).

Santini Vittorio fu Giacomo, stagnino, di Terni. È individuo pericoloso. Ascritto alla setta anarchica è capace di istigare alla rivolta le masse operaie in seno alle quali fa una continua propaganda per acquistare nuovi affiliati al partito, sempre pronto a scendere sul campo dell’azione, allorquando ne fosse propizia l’occasione. Prese parte al congresso di Capolago come delegato della frazione anarchica di Terni. Ultimamente venne, insieme ad altri, arrestato a Terni sotto l’imputazione di associazione a delinquere, ma poi rimesso in libertà essendo stato dichiarato non farsi luogo a procedere per insufficienza di prove.

Carcera Carlo, di Rimini. È addetto alle officine della Stazione ferroviaria di Rimini. Ascritto da tempo alla setta anarchica si tiene in continuo carteggio con i correligionari d’Italia e fuori. È fanatico e molto esaltato pel partito e pronto a fare anche sacrifici pecuniari per venire in soccorso ai compagni.

Nabruzzi Lodovico, impiegato all’Ufficio Stato Civile di Ravenna. È il capo intellettuale di tutto il partito anarchico della Provincia di Ravenna perché il miglior ingegno se non l’unico che abbia il partito. È tenacissimo nei suoi propositi ed agitatore di prima forza. Si tiene in continua corrispondenza con i principali anarchici del Regno e dell’Estero, e si deve a lui l’impulso ricevuto da questo partito dal 1872 in poi. Ha riportato varie condanne per reati di stampa ed una per violazione di domicilio (15).

Nannelli Ottavio abitante in Firenze. È uno dei più temibili affiliati alla setta anarchica, ed uno dei più attivi agenti di propaganda. È intimo del noto Malatesta, e fa parte della redazione del Giornale anarchico “La Nuova gioventù” che dovrebbe veder la luce fra poco in Firenze. È individuo pericoloso ma non risulta che sia stato mai condannato (16).

Rumor Agostino di Venezia. È socialista conosciuto molto a Venezia dove ha riportato varie condanne per reati di stampa e per sottrarsi all’ultima consistente in parecchi mesi di reclusione rifugiavasi a Lugano dove trovasi tuttora.

Monticelli Carlo di Venezia. È ben conosciuto a Venezia come uno dei più fanatici socialisti. Tiene spesso conferenze anche nelle città limitrofe a Venezia, ma non si crede pericoloso. Fu però condannato varie volte per reati di stampa (17).

Cappellaro Amilcare di Luigi da Borgosesia. Dimora a San Pier d’Arena ove lavora in una conceria di pelli. Professa principi socialisti anarchici dei quali fa continua propaganda. È audace e intraprendente tenendosi in continua corrispondenza con vari gruppi anarchici del Regno. Per il passato fu anche collaboratore del giornale “La Rivolta” del quale riceveva parecchie copie che distribuiva fra gli affiliati. Prende parte a tutte le riunioni anarchiche che si tengono anche in altre città, ed in una parola è persona temibile sotto ogni rapporto (18).

Baraldi Siro, detto Ciro, fu Giovanni, di anni 21 nato a Sermide e domiciliato a Mantova. È il capo del partito anarchico di Mantova ed il principale istigatore. Si tiene in continua corrispondenza coi principali anarchici del Regno e riceve giornali sovversivi dall’Italia e dall’Estero. Fondò in Mantova il giornale “L’Amico del Popolo” che cessò dopo tre pubblicazioni per mancanza di mezzi. È fornito d’ingegno e di sufficiente istruzione. Ha fatto parte dell’ultima leva ed è stato riconosciuto abile, venne assegnato alla prima categoria che verrà fra breve chiamata sotto le armi.

Zani Giovanni di Giacomo, da Brescia. È conosciuto per uno dei più assidui frequentatori di comizi e riunioni pubbliche dove prende spesso la parola in senso socialista; è però indicato di carattere mite e flessibile e non è quindi a ritenersi pericoloso.

Testi Ciro fu Pietro, farmacista da Codignola. È anarchico e si occupa attivamente per propaganda a favore del partito. Fondò, a tale scopo, in Codignola il Circolo Socialista anarchico “Il Proletario” (19).

Bellometti Pietro di Federico da Brescia. Dimora in Brescia dove è ben conosciuto come affiliato alla setta anarchica, e sebbene faccia continua propaganda pure è ritenuto esser individuo di nessuna influenza e per nulla pericoloso.

Mancini Adamo, calzolaio, da Imola. È uno dei capi anarchici di Imola. È di carattere perverso, poco rispettoso verso le autorità e capace di commettere qualsiasi cattiva azione. È in corrispondenza con tutte le Società anarchiche d’Italia, Francia e Svizzera. Nel maggio 1882 fu ammonito per sospetto di reato in genere. Fu già condannato per oltraggio agli agenti della Forza pubblica e per reato di stampa. È intimo del noto Malatesta e pericoloso sotto ogni rapporto (20).

Note

1 Da non confondere con Carlo Monticelli, padovano, compreso in questa lista. 

2 Cfr. Piero Ambrosio (a cura di), I “sovversivi” e gli antifascisti della provincia di Vercelli schedati nel Casellario politico centrale (1896-1945), Borgosesia, Isr, 1986. 

3 Per questi si veda soprattutto Franco Andreucci – Tommaso Detti, Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico 1853-1943, Roma, Editori Riuniti, 1975-1979, ad nomen. 

4 Dal figlio Romualdo Ferrarone ebbi una cortese lettera (25 marzo 1968) da Torino, con le seguenti notizie: “Giacinto Ferrarone fu difatti mio padre, nato a Candelo il 24 febbraio 1869 figlio di Romualdo e di Luigia Ottina, morto a Torino il 22 novembre 1938. La salma trasferita a Biella nel cimitero urbano, dove riposano altri defunti della stessa famiglia. Da ragazzo, con la famiglia, si trasferiva a Biella da Candelo. Fece le prime scuole a Biella e si iscrisse alla Scuola Professionale di Biella che però abbandonò quasi subito. Spirito irrequieto, vivace, intelligente, buon oratore. Fu attratto dalle nuove idee di quei tempi. Seguace fin da principio del defunto deputato biellese avv. Luigi Guelpa. Iniziò da repubblicano e gradualmente giunse all’anarchia intellettuale, infine anche al fascismo in cui però egli vedeva la strada per la rivoluzione. Ebbe molte spiacevoli traversie e persecuzioni d’indole politica e poliziesca. Fu espulso dalla Svizzera e dalla Francia. Visse una dozzina d’anni a Londra dove lo lasciavano tranquillo e ritornò in Italia a seguito di un’altra espulsione dalla Rep. Argentina dov’erasi trasferito. 

Io, allevato dai nonni, ebbi assai scarsi contatti con mio padre che certo non mi era additato ad esempio. Potei conoscerlo meglio quando si stabilì a Biella, ma intanto erano passati molti anni e passati anche i bollori anarchici. Posso aggiungere, perché sulla scorta di questi indizi possa pervenire a qualche cosa di più concreto, che in due occasioni che soggiornò a Biella ebbe ottimi rapporti con il defunto avv. Corelio Cucco quando questi dirigeva un giornale di Biella che mi pare si chiamasse ‘Il Cittadino’ sul quale il Cucco pubblicava un articolo che riguardava mio padre, inoltre v’era una certa collaborazione con Pippo Ferrini ed altri per il giornale satirico umoristico ‘Il Pettine’ (mi sembra che così si chiamasse). Non ho mai sentito parlare di questo Cassani Antonio. Mio padre aveva naturalmente molti compagni”. 

Il Ferrarone fu per un certo periodo la figura più eminente degli anarchici biellesi (cfr. Angelo S. Bessone, Uomini, tempi e ambienti operai che hanno preparato Oreste Fontanella, Biella, Unione Biellese, 1985, pp. 190-191). La “Tribuna biellese” (14 marzo 1895) riferisce che subì un processo con l’imputazione di “furto continuato e truffa per avere nell’agosto 1894 derubato l’ing. Fedele Cerruti, presso il quale era impiegato, una catena d’oro, una lente e qualche libro”. Arrestato come anarchico nel Principato di Monaco, fu tradotto al confine prima che giungesse la domanda di estradizione per l’accusa di furto e poté sfuggire alla cattura, malgrado la condanna. Il mazziniano Giuseppe Ubertini scrive in una lettera senza data (cfr. archivio privato Ubertini) a Silvio Becchia del “ritiro privato del Ferrarone” temendo la proclamazione di Rinaldo Rigola in sua vece come capo degli anarchici biellesi. 
Coniugato con Mariuccia Albertini ebbe tre figli: Romualdo (socio della S. Reda & C., amministratore della S. A. Pettinature Lane di Vercelli), Maria e Letizia, proprietarie della ditta “Sorelle Ferrarone” di Torino. 
Alla sua morte, i due principali giornali di Biella pubblicarono entrambi il necrologio. “Il Popolo Biellese”, fascista, del 24 novembre 1938, scrisse: “È deceduto in questi giorni a Torino, dove si trovava da qualche tempo, il camerata ed amico Giacinto Ferrarone. La notizia della sua scomparsa è stata appresa con vero dolore in ogni ambiente dove era conosciuto e stimato in questa sua Biella ch’egli tanto amava e dalla quale si era allontanato per ragioni familiari a malincuore, ma dove ogni estate egli ritornava per trascorrere qualche ora lieta coi vecchi amici. Giacinto Ferrarone ebbe in gioventù una vita movimentatissima.

D’animo generoso, di temperamento insofferente alle ingiustizie, per il suo amore verso il popolo abbracciò negli anni giovanili le idee libertarie con la più sincera schiettezza ed il più assoluto disinteresse, pagando sempre di persona. Visse lunghi anni all’estero e quando tornò in Italia, nel dopoguerra, la sua ammirazione per il Duce lo condusse fin dai primi anni del Fascismo nelle nostre file. Ottimo camerata, allevò la famiglia inculcando ai figli l’amore al lavoro ed il sentimento patriottico. Intelligente, gioviale, buono, sapeva accattivarsi la simpatia di quanti lo avvicinarono. In quest’ora dolorosa noi porgiamo alla sua famiglia […] le più vive espressioni di cordoglio”. 
Sul cattolico “Il Biellese” (25 novembre 1938) leggiamo: “A Torino, dove da qualche anno aveva fissato la sua residenza, si è spento confortato dai crismi della Religione, il sig. Giacinto Ferrarone persona notissima nella nostra città. Dopo anni di permanenza all’estero in dipendenza anche delle idee audacemente libertarie abbracciate con fervore di chi sperava un nuovo soffio di giustizia e di armonia sociale, era ritornato e si era stabilito partecipando con solerte attività ed intelligenza alla vita commerciale ed a delle Associazioni di svago ed elevazione. I suoi funerali imponenti per largo intervento di conoscenti e di amici dissero ieri quanta simpatia e quanto affetto egli si fosse conquistato soprattutto con la cordiale giovialità del suo carattere […]”. 
Non è superfluo rilevare come il Ferrarone, ritenuto da anarchico un delinquente, cambiando idea diventi simpaticissimo e più che rispettabile… 

5 Giovanni Cisi. Il cognome divenne poi Cizi. Il nipote Mauro Coppo (Borgo San Martino, Al) e la vedova di Aldo Cizi, anch’egli nipote (Torino), non sono stati purtroppo in grado di fornire notizie; ricordano soltanto che il loro antico congiunto dovette patire molte ristrettezze a causa delle sue idee. 

6 Gian Salvatore Cassisa, (e non “Casissa”) nato a Trapani l’8 maggio 1862. Da giovane fu fervente propagandista anarchico e diresse “La Riscossa. Periodico settimanale politico letterario”, da lui fondato nel 1889 e poi divenuto “La nuova Riscossa. Voce dei lavoratori” nel 1890 (conservati nella Biblioteca Fardelliana di Trapani). Il periodico era ispirato dal noto agitatore anarchico Francesco Saverio Merlino. Nel 1890 il Cassisa scrisse un opuscolo su Francesco Sceusa e l’internazionale di Trapani; fu anche un apprezzato commediografo: le commedie ch’egli fece recitare nel teatro Garibaldi di Trapani sono perlopiù ispirate alla vita ed alle costumanze popolari: Il Paradiso dei poverelli, 1894; La Truvatura, 1895; Il cieco, 1900; La bella Catania, 1913; Don Patata, 1927. Attorno al 1900, Salvatore Cassisa si avvicinò alla corrente politica prettamente trapanese del “nasismo”, facente capo all’on. Nunzio Nasi (1850-1935, ministro delle Poste nel gabinetto Pelloux (1898-1903) e dell’Istruzione con Zanardelli (1900-1903), abbandonando quindi le posizioni anarchiche (cfr. Salvatore Costanza, Dizionario biografico dei Trapanesi, in “Trapani. Rassegna della Provincia”, a. XIV, n. 5 (giugno 1961); Id, La Stampa Trapanese di ieri e di oggi, Trapani, 1956, p. 28). 

7 Di Antonio Azzaretti non abbiamo trovato notizie. A Marsala visse sino agli anni quaranta un Vincenzo Azzaretti, inviso alla polizia fascista, anch’egli sarto di professione, comunista, il quale potrebbe essere un parente (figlio?) del sovversivo anarchico nominato nella nota di polizia oggetto di questo studio. 

8 Giuseppe Mariano (o Mario) Paoletti, di Angelo e Teresa Ricci. Nato il 16 luglio 1851 a Pesaro, dove visse, in via Canonica 3, e morì il 9 maggio 1895. Era coniugato con Corinna Soriani, nata a Pesaro il 28 maggio 1867 (matrimonio contratto in data 14 maggio 1891), da cui ebbe due figli: Teresita (nata a Pesaro il 22 gennaio 1892) e Virgilio (nato a Pesaro il 12 gennaio 1895). Due anni dopo la sua morte, la famiglia si trasferì a Milano (dati ricavati dall’anagrafe di Pesaro). 

9 Desiderio Bianchi Anfori (e non “Onofri”), detto “Rossin”. Nato a Como il 16 luglio 1864 da Carlo ed Agata Lanfranchi, celibe, di professione tessitore. Aderente al Partito operaio, sezione di Como. Oltre al procedimento penale citato nella lista dei sovversivi, con sentenza 17 dicembre 1881 del Tribunale di Como, è condannato a quattro giorni di arresto per “maliziosi danneggiamenti e per schiamazzi notturni”; con sentenza 1 dicembre 1882 della Pretura 2a di Como, è condannato a tre giorni di arresto “per furto campestre”. Quanto sopra si ricava dal certificato “casellario giudiziale” nel fascicolo del procedimento a carico del Bianchi Anfori e di Temistocle Prestinari, ambedue imputati di “minacce gravi commesse in Como il 1 maggio 1891 a danno del proprietario dell’omonima sartoria Pozzi Ettore, colpevole di non rispettare la festa del lavoro e di aver licenziato arbitrariamente un loro compagno: certo Rodari”. Il predetto fascicolo è conservato all’Archivio di Stato di Como, Fondo Tribunale, Procedimenti penali, cartella sentenze dal n. 246 al 280 (la sentenza citata è la n. 250), anno 1891. 
Le notizie sono state raccolte grazie alla collaborazione dello studioso del movimento operaio comasco Claudio Gitelli. Dall’ufficio Anagrafe del Comune di Como, abbiamo ricavato che Desiderio Bianchi Anfori, coniugato con Maria Roncoroni, è deceduto a Como il 14 agosto 1895. 

10 Giovanni Bergamasco. L’unica notizia riguardante questo singolare personaggio risulta da un suo intervento al VI Congresso del Psi (Roma 1900), con il quale si associa all’ordine del giorno Treves (cfr. Luigi Cortesi, Il Socialismo italiano tra riforme e rivoluzione 1892-1921, Bari, Laterza, 1969, p. 113). 

11 Antenore Garavini di Antonio ed Elettra Silvagni, nato a Forlì il 17 luglio 1872, coniugato con Maria Lucchi. Rimasto orfano di padre da piccolo, fu cresciuto con molte difficoltà e ristrettezze dalla madre. Non risulta che il padre sia stato una guardia municipale e ch’egli sia stato impiegato comunale. Entrò giovanissimo a lavorare in una farmacia; alla morte di un socio subentrò in società con il superstite ed al decesso anche di questi, ne liquidò gli eredi divenendo unico proprietario. Fu sempre controllato dal regime fascista, ma non fu perseguitato. Morì a Forlì il 10 febbraio 1938 (notizie avute dal figlio, Radio Garavani, e dal Comune di Forlì). 

12 “Rossi Cardias” è il dottor Giovanni Rossi (pseudonimo “Cardias”), veterinario utopista, promotore di “comuni” anarchiche dapprima nel Bresciano e poi in Brasile, nel territorio di Palmiera, Stato del Paranà, dove nel 1890 costituì la colonia anarchica sperimentale “Cecilia”, i cui coloni salparono da Genova il 20 febbraio 1892. L’esperimento, che comprendeva anche il superamento della famiglia tradizionale con il libero amore, si chiuse nel 1894. Il Daveggia fu dunque, a Livorno, tra i sostenitori e propagandisti dell’iniziativa. Su Giovanni Rossi si rimanda a F. Andreucci – T. Detti, op. cit., ad nomen. 

13 Rodolfo Pennicchi, di Antonio, scalpellino-marmista, nato a Perugia il 14 novembre 1857. Egli fu al centro di vari processi a Perugia ed era a capo di un gruppo di anarchici “espropriatori”. In particolare, nel 1890 è denunciato per “affissione di manifesti sovversivi” e “per eccitamento alla guerra civile”, ma subito rilasciato per godimento di amnistia; nel marzo 1892, dopo che tre giovani si sono scontrati con la polizia, subisce una perquisizione. Nel 1892 è responsabile della Sezione socialista anarchica “Carlo Cafiero”, strumento, in forma quasi clandestina, delle iniziative per “l’esproprio diretto”: occorre precisare che tale metodo di lotta è condannato dal Malatesta, bandito dal movimento ufficiale degli anarchici e pertanto praticato soltanto da alcuni gruppi di individualisti, relegati ai margini del movimento stesso. 

Nel 1893, accusato di fabbricare monete false, in ordine al crogiuolo trovato in casa sua in via Eremita 2, il Pennicchi precisa che se ne serviva “per fare le palle di fucile pizzicasbirri”, essendo lui cacciatore! Ugo Bistoni, nel suo ponderoso lavoro sulle Origini del Movimento Operaio nel Perugino (Perugia, ed. Guerra, 1982), riferisce molti fatti relativi al Pennicchi e sottolinea come le azioni di “esproprio diretto” del gruppo tendevano a procurarsi i mezzi per soccorrere le vittime della repressione padronale e per assicurarsi i mezzi per la propaganda dei principi libertari, mentre per gli inquirenti essi erano “dei delinquenti comuni e basta”. Gli “espropriatori” non trattenevano neanche un soldo per loro, versando invece tutti i proventi alla causa; molti di costoro, “per tutta la vita, tenevano con fierezza a dimostrare la loro dignitosa povertà”. Dopo 14 mesi di carcerazione, il 10 aprile 1894 Rodolfo Pennicchi ed altri due compagni sono giudicati dalla Corte d’assise di Perugia. Le condanne sono molto severe (al Pennicchi vengono comminati cinque anni, tre mesi e dieci giorni di reclusione, e la multa di 200 lire), ma più formali che altro, essendo rilasciati tutti e tre gli imputati per “effetto di amnistia”. Ai primi di maggio 1894 è rimesso in libertà. Del resto, avviene proprio in quel tempo che il direttore della Banca Romana, Bernardo Tanlongo, approfittando della concessione ottenuta dalla sua banca di emettere moneta, con quella regolare emette anche quella irregolare: ma, mentre il Pennicchi ed i suoi compagni finiscono in galera, per Tanlongo c’è la proposta di divenire senatore del Regno! 
Nel 1920 Pennicchi lascia Perugia, trasferendosi a Fabriano. Rientra il 1 1uglio 1923 a Perugia, dove muore il 1 dicembre 1929. 

14 Giovanni Domanico, nato il 18 (o 17) agosto 1855 a Rogliano (Cosenza) da Domenico e da Caterina Cardamone. Si tratta di un noto e discusso personaggio del movimento anarco-socialista. Figlio di un produttore e commerciante di vini, clericale giobertiano. Studente a Napoli, è discepolo di Giovanni Bovio e di Francesco De Sanctis; nel 1870 durante una dimostrazione studentesca anticlericale, è arrestato e in tale occasione conosce Errico Malatesta. Venuto a contatto con gli esponenti dell’Internazionale anarchica fonda nel suo paese (1872) una sezione dell’Internazionale, e per questo è ammonito dall’autorità di pubblica sicurezza nel 1874. Nel 1877 collabora con Emilio Covelli, al tempo della pubblicazione del periodico “l’Anarchia”; a Napoli aderisce all’Associazione internazionale dei lavoratori (anarchica rivoluzionaria) in contrapposizione al socialismo legale e pacifista. Nel 1878, tornato in Calabria, pubblica il primo periodico anarchico della regione, “Il Socialista” (costretto a cessare le pubblicazioni dopo solo due numeri, sequestrati). Sempre nel 1878, fonda una sezione dell’Internazionale a Rocca Imperiale; denunciato, subisce un processo ed è difeso dall’avvocato Francesco Saverio Merlino. Condannato, ripara in Svizzera, a Lugano, dove pubblica, con lo pseudonimo “Jeannetton”, l’opuscolo “Un ribelle”. In quell’anno, a Perugia sposa la sorella dell’anarchico Ruggero Maravalli, Giuseppina. Nel 1883 partecipa al II Congresso del Partito socialista rivoluzionario di Andrea Costa. Nel 1885 dà vita a Cosenza alla “Rivista calabrese”; a Napoli partecipa alla “Lega dei figli del lavoro”, al Circolo di studi sociali, alla Federazione anticlericale “Giordano Bruno”, alla segreta Alleanza repubblicana ed alla massoneria.

Nel 1887 ritorna in Umbria, frequentando un po’ tutti gli ambienti della sinistra: dagli anarchici e socialisti ai garibaldini ed ai mazziniani. Nel 1889 parte per l’Argentina dove impianta, a Buenos Aires, una filiale dell’azienda paterna, partecipando alla vita del movimento democratico e socialista argentino. Tornato a Perugia nel 1891, fonda con i repubblicani il settimanale “L’Umbria” e in quell’anno al congresso operaio di Milano rappresenta la corrente anarchica, così come al congresso di Genova, dove con Pietro Gori è la figura di maggior spicco; per diverbi con i repubblicani, si commiata da “L’Umbria”, giornale che cessa nel gennaio 1892, dopo aver aspirato ad essere l’organo ufficiale del Partito operaio. Nel giornale democratico “La Provincia dell’Umbria” (4 marzo 1892) prende le difese degli anarchici rispondendo a tono all’attacco del quotidiano padronale che li aveva definiti delinquenti verso i quali la magistratura era troppo benevola. Collabora a “La Plebe”, inizialmente stampata a Terni e poi a Firenze (1891-92), e poi alla “Tribuna dell’Operaio”, stampata a Prato dove il Domanico si trasferisce da Perugia il 1 dicembre 1892. Ritornato in Calabria, nel 1894 pubblica a Cosenza “Humanitas”; orientandosi verso il legalitarismo, l’anno seguente finanzia la pubblicazione del giornale socialista “L’Asino”, durato un solo anno. Ancora nel 1895 pubblica il settimanale “Avanti!” (20 novembre) fusosi poi con “Il Socialista”. Nel 1896 partecipa a Firenze al IV Congresso del Psi. Nel 1897 è candidato socialista nel collegio di Rogliano. Nel 1899 collabora alla “Rivista critica del socialismo”, di Merlino e della sua dissidenza, distaccandosi dal partito e legandosi sempre più alla massoneria. In quell’anno viene espulso dal partito con l’accusa di essere un informatore del governo; l’accusa si è poi dimostrata non priva di fondamento (cfr. Giuseppe Mari, Il caso Domanico: due documenti inediti di polizia, in “Movimento Operaio e Socialista”, a. XIX, n. 4, ottobre-dicembre 1973).

Nel 1908 è per pochi mesi a New York; nel 1910 pubblica a Prato (pseudonimo “Le Vagre”) un volumetto di memorie e, nel 1911, L’lnternazionale dalla sua fondazione al Congresso di La Chaux de Fonds e Concetto della rivoluzione socialista. Nel 1914, con la “figlia maritata al prof. [Antonio?] Renda” risiede a Napoli, via Tasso 254 (palazzo Avolio), dove dirige la rivista “Il Mondo massonico”. Interventista, il 26 luglio 1915 tiene a Cosenza una conferenza su “Pericolo pangermanista e doveri italiani”. Il 17 ottobre 1910 partecipa al III Congresso del Partito repubblicano, poiché “da socialista rivoluzionario, ora avendo mutato contegno, non è più il caso di considerarlo tale, ma repubblicano”. Il 16 aprile 1918 prende parte al Convegno antitedesco al Teatro Argentina a Roma, ritornando quindi a Napoli. Si riattiva la vigilanza poliziesca su di lui. In quell’anno, si legge nei rapporti, “va spiegando attività nel campo della Massoneria ed ha fondato un circolo ‘Il diritto umano’ (massoneria di rito scozzese misto) allo scopo di sostituirsi alla Massoneria ufficiale, da cui si differenzierebbe per un carattere più democratico e perché si riconosce anche alle donne il diritto di appartenervi. Attualmente i principali membri del circolo spiegano opera interventista”. Muore a Napoli il 21 marzo 1919 (cfr., anche per la bibliografia, F. Andreucci – T. Detti, op. cit., ad nomen; Pier Carlo Masini, Biografie di sovversivi compilate dai Prefetti del regno d’ltalia, in “Rivista Storica del Socialismo”, a. IV, 1961, n. 1314, pp. 573-623; per la sua attività in Umbria, U. Bistoni, op. cit., pp. 449-50 e passim.). 

15 Lodovico Nabruzzi, nato il 27 giugno 1846 a Ravenna da Ettore, chimico farmacista, e da Clotilde De Rossi, scrivano, ammogliato con Amalia Luigia Frignani, con due figli, residente a Ravenna. La madre fece parte della sezione femminile internazionalista del Fascio operaio di Bologna. 
Il Nabruzzi seguì studi giuridici e svolse attività come scritturale. Nel maggio 1870 entra a far parte della redazione del settimanale repubblicano ravennate “Il Romagnolo”; l’anno seguente si indirizza verso posizioni internazionaliste. Ha un intenso scambio epistolare con Bakunin, del quale condivide le idee. Nel 1872 partecipa alla fondazione del Fascio operaio, sezione di Ravenna; al fine di perorare l’adesione di Garibaldi alla corrente anarchica si reca a Caprera e quindi incontra Bakunin a Lugano. Nel 1872 è delegato da Garibaldi a rappresentarlo alla conferenza di Rimini. Nel 1873 il congresso della Federazione regionale italiana dell’Internazionale lo nomina membro della commissione di corrispondenza. Rifugiatosi a Lugano dopo il fallimento dei moti insurrezionali di Bologna, partecipa al congresso della Lega universale delle Corporazioni operaie (Ginevra, 31 agosto 1874) e apre a Lugano un’agenzia commerciale. Passato nelle file del socialismo legalitario, fonda nel 1875 la sezione del Ceresio, in aperta dissidenza con la corrente maggioritaria anarchica del movimento socialista italiano. A Lugano pubblica “l’Almanacco del proletario per l’anno 1876”. Nel 1876 passa in Francia, dove si impiega a Puteaux in una tintoria. Il 23 marzo 1878 a Parigi è arrestato insieme ad Andrea Costa, Tito Zanardelli ed Anna Kuliscioff per appartenenza all’Internazionale.

Espulso dalla Francia, ripara in Svizzera e quindi ritorna clandestinamente in Francia, dove nel 1879 collabora all’ “Egalité”, inviando articoli anche a “La Plebe” di Milano. Sottoscrive in Francia un manifesto Agli Oppressi d’Italia, spronando le masse lavoratrici all’insurrezione. Nuovamente espulso dalla Francia nel 1891, ripara in Svizzera. Ritornato in Italia, con il fratello Giuseppe è promotore di un comitato di sostegno per Amilcare Cipriani, imprigionato a Porto Longone. Nel 1883 è condannato a dodici giorni di prigione per reati di stampa. Fa parte del comitato organizzativo per il congresso di Capolago (46 gennaio 1891), dove si costituisce il Partito socialista anarchico rivoluzionario. Nel 1894 è proposto per l’assegnazione al domicilio coatto sotto l’accusa di cospirazione contro la sicurezza interna dello Stato, ma è prosciolto per insufficienza di prove. Nel 1904 è tra i promotori della costituzione di un comitato romagnolo di reduci ex garibaldini di Mentana. Si trasferisce a Genova da dove il 10 dicembre 1912, dimesso dal locale ospedale civile, è rimpatriato a Ravenna col foglio di via obbligatorio; prende alloggio nella locanda della Speranza e su di lui si riattiva la vigilanza della polizia. Il 12 settembre 1920 muore nel locale ospedale civile. Cfr. F. Andreucci – T. Detti, op. cit., ad nomen; P. C. Masini, art. cit., pp. 597-602. 

16 Ottavio Nannelli. Non abbiamo trovato notizie su di lui. Il giornale di cui si annuncia la pubblicazione, “La nuova gioventù”, uscì con il sottotitolo “Voce dei lavoratori” e con il motto “L’Anarchia è l’avvenire dell’umanità. Blanqui. La proprietà è un furto. Proudhon”. L’iniziativa dovuta a un gruppo di giovani fiorentini (tra i più attivi, oltre al Nannelli, Alfredo Gasparri, Narciso Morelli e Vittorio Del Cinque) aveva trovato una prima difficoltà fin dalla fase di progetto, nel rifiuto dei tipografi del circondario a stampare il giornale. L’ostacolo era stato superato con l’acquisto da parte di Narciso Morelli in una tipografia che fu gestita in proprio dal gruppo omonimo alla testata. Tra gli articoli di propaganda generica e di divulgazione popolare dei principi anarchici, spiccano quelli dedicati in particolare alla tematica antimilitarista. Emilio Sivieri corrisponde dalla Corsica (n. 6 del 29 novembre): Fra contadini (scene della vita corsa). Nelle corrispondenze ci sono notizie da Marsala (da Cassisa, Azzaretti?), da Pisa (da Palandri?), da Rimini (da Carcera?), da Biella (da Ferrarone?) e da poche altre località. In appendice pubblicava lo scritto Ai giovani, di Kropotkin. 
Il giornale usciva la domenica ed aveva il formato cm 26,5 x 39, quattro pagine su tre colonne. Il primo numero uscì il 18 ottobre 1891 e l’ultimo il 20 dicembre 1891 (cfr. L. Bettini, Bibliografia dell’Anarchismo, Firenze, 1972, pp. 83-84, che cita appunto tra i promotori del settimanale anche Ottavio Nannelli). 

17 Carlo Monticelli, nato a Monselice (Padova) il 25 ottobre 1857 da Martino e da Elisabetta Oliveti. Il padre, dirigente delle locali cave di pietra, fu attivo internazionalista. Giornalista. Nel marzo 1877 invita Andrea Costa nella città natale per fondarvi una sezione dell’Internazionale; con lui collaborano il padre ed il fratello Antonio. Si schiera subito con la corrente anarco-rivoluzionaria contro la fazione di orientamento legalitario. Nel 1878 collabora all’ “Avvenire” di Modena, diretto da Arturo Ceretti. Nel gennaio 1879 è arrestato con il padre ed altri, sotto l’accusa di eccitamento alla guerra civile e offese al re; è condannato dal Tribunale di Padova a tre mesi di carcere e a 50 lire di multa. In conseguenza di ciò il suo nome figurerà negli elenchi della Questura tra i possibili attentatori alla vita del sovrano. Rimane legato al Costa e firma la lettera programmatica Ai miei amici di Romagna, forse senza individuarne l’indirizzo possibilista. Nel 1880 partecipa al congresso di Chiasso come delegato del Veneto, aderendo alla linea favorevole all’astensionismo politico e ad una soluzione rivoluzionaria della prospettiva socialista. Sottoscrive con Amilcare Cipriani, Lodovico Nabruzzi ed altri il manifesto Agli oppressi d’ltalia (1880).

Aderisce al convegno straordinario dei socialisti anarchici del Veneto, tenutosi ad Abano (6 febbraio 1881), terminato con l’arresto di tutti i delegati. Tradotto nelle carceri di Milano, è rilasciato dopo alcuni mesi con un “non luogo a procedere”; raggiunge quindi Carlo Cafiero a Lugano. Pubblica una raccolta di poesie, Alla Rivoluzione, per la quale viene incriminato in Italia. Collabora alla “Favilla” di Gonzaga, dissentendo dalle tesi del Partito socialista rivoluzionario di Romagna. Nel 1882 fonda a Milano il settimanale anarchico “Tito Vezio”, di orientamento anarco-comunista, ma favorevole a candidature parlamentari di protesta socialista. Il “Tito Vezio”, dopo quindici sequestri, deve cessare le pubblicazioni il 9 aprile 1883. Monticelli, per sfuggire alla condanna di ventotto mesi di carcere, ripara in Svizzera e quindi a Parigi, dove si mantiene lavorando come sarto. 
Nel 1885 inizia la collaborazione all’ “Intransigente” fondato a Venezia da E. Castellani. Ritornato in Italia, fa parte della redazione de “Il Piccolo”, quotidiano socialista, e al settimanale “In Marcia!”. Nel 1880 muta il suo indirizzo ideologico. Da comunista anarchico (cfr. la sua lettera del 1887 al periodico “Combattiamo!”), invita gli operai a partecipare alla vita pubblica (conferenza di Monselice del settembre 1888) e accetta la candidatura alle elezioni amministrative di Venezia. A Genova, al congresso di fondazione del Partito dei lavoratori italiani, pur non condividendo la tesi degli anarchici-rivoluzionari, non approva la scissione e si ritira, non partecipando né al congresso degli anarchici (sala Sivori) né a quello dei socialisti (via Pollaioli, dove pur si era recato con Filippo Turati). Partecipa tuttavia al II Congresso del Partito dei lavoratori italiani a Reggio Emilia (8-10 settembre 1893), sostenendo, in polemica con Turati, il dovere di salvaguardare le finalità rivoluzionarie del socialismo; propone ed ottiene che il nuovo partito si chiami “Partito socialista dei lavoratori italiani”. Nel settembre 1895 è arrestato e condannato a cinque giorni di carcere in seguito alla repressione governativa scatenatasi contro le organizzazioni socialiste (egli era aderente alla sezione della Federazione socialista veneta, disciolta dalle autorità nell’agosto 1894). Dal 1894 segretario della Camera del lavoro di Venezia, abbandona la carica quando l’amministrazione comunale moderata interrompe i sussidi all’organizzazione operaia (1896). Partecipa al V Congresso nazionale del Partito socialista (Bologna, 1820-settembre 1897). Redattore dell’ “Avanti!”, dal 1912 collabora pure all’ “Azione cooperativa”, proponendo l’evoluzione al socialismo delle cooperative di produzione e di lavoro. Muore a Roma nell’agosto 1913. Autore di diverse pubblicazioni. Cfr. F. Andreucci – T. Detti, op. cit., ad nomen; Archivio di Stato di Milano, cartelle 84, 129; Archivio di Stato di Venezia, Prefettura; Archivio del Museo del Risorgimento di Milano, N. reg. 44346. 

18 Amilcare Cappellaro fu Luigi, nato a Borgosesia (intorno al 1853). “Conciatore in pelli e chincagliere, nullatenente, domiciliato a Borgosesia (1894), trasferitosi a Sampierdarena. Connotati: altezza 1.60, corporatura regolare, capelli neri, naso regolare, occhi castani scuri, segni speciali: ha l’occhio sinistro opaco, portamento alquanto trascurato, espressione fisionomica fiera, abbigliamento abituale piuttosto civile. Il Cappellaro appartiene ad agiata famiglia, è sfornito di qualsiasi cultura. È amante della vita oziosa e vagabonda, di carattere prepotente ed ostinato. Ribelle al genitore, abbandonò la famiglia quando appena toccava i venti anni. Fu al Brasile, e poi ritornò in Italia e fu a Genova ed a Sampierdarena ove rimase per parecchi anni. Nel Regno fu varie volte arrestato e per misura di P.S. obbligato a rimpatriare. Non ha sofferto in Italia condanne ma non gode buona reputazione, e fu espulso dalla Svizzera. Anni or sono ereditò dal padre circa lire diecimila, ma egli dissipò in breve tempo questa sostanza. Trae la propria sussistenza lavorando da conciapelli, ma più spesso facendo da venditore ambulante di chincaglieria. Appartiene al partito anarchico, e si ritiene possa classificarsi tra gli uomini d’azione” (rapporto del 4 luglio 1894, scheda della Prefettura di Novara n. 3241). 

“Dal 1902, epoca in cui espatriò per l’America, non diede più contezza di sé nemmeno a suoi parenti, per la quale ragione ignorasi l’attuale dimora all’estero” (ivi, aggiunta in data 24 luglio 1905). “Nel restituire a codesto On. Ministero l’unica scheda biografica redatta nei confronti dell’anarchico in oggetto segnato, pervenuta a questo Ufficio per tramite della R. Prefettura di Novara, pregiomi comunicare che da informazioni assunte presso i parenti, risulta deceduto nel 1906 a Porto Allegre (Brasile), ma il suo decesso non venne comunicato ufficialmente all’Ufficio di Stato civile del Comune di Borgosesia. F.to Il Prefetto” (lettera della Prefettura di Vercelli, prot. n. 2535, 22 giugno 1929-VII, al Ministero dell’Interno). 
Oltre ai cenni biografici ricavabili dai documenti sopra citati, sappiamo che il Cappellaro fu collaboratore del veterinario Giovanni Rossi (“Cardias”) nella fondazione della colonia sperimentale anarchica “Cecilia” nello Stato Paranà del Brasile (cfr. nota 10). Al riguardo. v. Utopie und Experiment. Studien und Berichte von Dr. Giovanni Rossi (“Cardias”) nebst Artikeln von […] A. Cappellaro […], Zürich, Verlag A. Santftleben, 1897, dove appunto tra i nomi dei collaboratori si cita l’anarchico valsesiano. Si vedano anche, di Giovanni Rossi, le Noterelle di viaggio e di colonizzazione, pubblicate in “La geografia per tutti”, rivista di Bergamo (1891). 

19 Ciro Testi, di Pier Leopoldo e di Cristina Ancarani, nato a Cotignola (Ra) il 20 aprile 1865. 
Fin dall’epoca dei suoi studi universitari a Bologna, il giovane Testi è attratto dagli insegnamenti di Bakunin. Il 12 settembre 1888 si costituisce a Cotignola la Sezione socialista rivoluzionaria, annunciata con un manifesto (pubblicato dal periodico “La Rivendicazione” del 29 settembre 1888) alla cui stesura partecipa anche Ciro Testi. A lui deve attribuirsi anche la fondazione del Circolo “Il Proletario”. Si scatena subito la polemica con i repubblicani, condotta dal Testi con lo pseudonimo “Pellaccia”, che il repubblicano Elvidio Bentini sfida a duello; la sfida non è raccolta e la lite si compone, almeno formalmente, grazie a pacieri di entrambe le parti che invitano all’unione contro il nemico comune costituito dalla “reazione imperante”. Il circolo socialista si presenta da solo alle elezioni amministrative, rifiutando ogni alleanza, ed è pesantemente sconfitto (ottobre 1889). Malgrado tale scoraggiante risultato e l’invito della Federazione di Ravenna a trovare un’intesa con i repubblicani, il Circolo “Il Proletario” persiste nella sua linea “isolazionista”, non partecipando alle elezioni politiche del 23 novembre 1890 e dell’8 marzo 1891, subendo anche l’abbandono di alcuni aderenti che non condividono la linea del Testi, e che passano ai repubblicani. Il periodico “La rivendicazione” riporta il dibattito pubblicando le lettere di Testi (cfr. i numeri del 25 ottobre 1890 e del 24 gennaio 1891). 

Laureatosi in farmacia a Bologna, dal 1893 gestisce la locale farmacia dell’Ospedale, pur continuando a partecipare attivamente alla lotta politica, accrescendo la sua popolarità. I suoi nemici cercano di eliminarlo offuscandone l’onorabilità: la fazione monarchico-agraria locale lo denuncia strumentalizzando una tacita intesa tra il farmacista e l’amministrazione della Congregazione di carità proprietaria della farmacia: il dottor Testi, avendo diritto al rimborso dovutogli per la preparazione di medicinali, se ne rivaleva sull’affitto dovuto. Il pretore di Lugo gli dà torto e il 26 dicembre 1900 lo condanna al pagamento di lire 140 per gli importi indebitamente trattenuti. Disgustato, dopo aver pubblicamente protestato contro le trame dei suoi nemici, il dottor Testi lascia Cotignola trasferendosi a Faenza (1902) e poi a Russi (Ra). Coniugato a Elettra Marnini, è confortato in quel periodo dalla nascita del figlio Leopoldo (che diverrà medico condotto a Poggio Renatico, nel Ferrarese). A Cotignola, dopo sommosse di piazza represse anche con l’intervento dell’esercito, la giunta monarchico-agraria è travolta e l’amministrazione passa alla lista unitaria repubblicana e socialista che riconosce pubblicamente l’ingiustizia patita dal dottor Testi, il quale riottiene l’incarico di farmacista (1909), che manterrà sino alla sua morte (26 ottobre 1926). Risiede in via Farini 28 e, rimasto vedovo, si risposa con Argia Bucchi (1912) dalla quale avrà un secondo figlio (1916), Giulio (maestro elementare). 

Il 6 maggio 1921 le squadre fasciste di Lugo e di Cotignola irrompono nella sede del Partito socialista, devastandola; ma non trovano la bandiera che il dottor Testi, prevedendo il peggio, aveva già nascosto nella propria abitazione così che, alla Liberazione, nel 1945, potrà essere riconseguata dalla vedova alla rinata sezione. Cfr. Michele Bassi, Testi dott. Ciro, scheda n. 21 per la Biblioteca comunale “L. Varoli” di Cotignola, dattiloscritto, 26 gennaio 1987; Luigi Casadio, Cronache di Cotignola (1849-1945), prefazione dell’on. Arrigo Boldrini, Imola, Grafiche Galeati, 1973; “La Rivendicazione”, periodico conservato nella Biblioteca comunale di Forlì. 

20 Adamo Mancini, nato a Imola il 6 febbraio 1859 da famiglia di modesta condizione. Frequentò per qualche tempo una scuola tecnica, formandosi poi da autodidatta una discreta cultura; calzolaio. Andrea Costa presentò un’interpellanza alla Camera dei deputati contro un manifesto affisso dal Mancini nel 1885, definendolo “uno dei più colti operai d’Italia”; processato a Firenze, scontò tre anni di reclusione. Nel 1890 organizzò la sezione anarchica di Imola, emigrò poi per qualche tempo in Francia apprendendone la lingua, per cui mantenne la corrispondenza con i compagni francesi che visitò per incarico della federazione a Marsiglia, Parigi, Cannes, recandosi anche a Londra ed a Bruxelles. Redattore dei giornali imolesi “Plebaglia” e “La Rivendicazione”, nel 1893 fu direttore della “Propaganda” che gli costò un processo per reato di stampa e tre anni di domicilio coatto. Nel 1895 mentre si trovava a Ponza, apprese di essere stato eletto consigliere comunale, ma rifiutò di collaborare con un’amministrazione “socialarda”, isolandosi in una posizione di anarchico individualista anche dopo esser tornato libero nella sua città. Continuò a scrivere pubblicando articoli, numeri unici, opuscoli soprattutto contro i socialisti (cfr., per es. Dall’internazionalismo di Andrea Costa al cortigianesimo di Leonida Bissolati, Imola, 1914). Nel 1914 aderì al Fascio libertario imolese e fedele alle proprie idee libertarie visse poi appartato sino alla morte avvenuta il 18 gennaio 1928. Cfr. F. Andreucci T. Detti, op. cit., ad nomen; Adamo Mancini, Memorie di un anarchico, Imola, Coop. tip. Paolo Galeati, 1914. 

“l’impegno”, a. XIII, n. 3, dicembre 1993 
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