ECONOMIA E OCCUPAZIONE

Ricordo che nel documento conclusivo dell’incontro livornese si è fatta esplicito riferimento alle conseguenze del tutto prevedibili della economia 4.0.

In particolare si è sottolineato che accanto alle nuove opportunità che si schiudono in questa nuova fase dello sviluppo dell’economia vi sono alcune questioni che aprono scenari inquietanti: la grande concentrazione di capitali necessari e la fine del paradigma che ha attraversato gli ultimi due secoli per cui al crescere degli investimenti cresceva l’occupazione.

Oggi tutto fa pensare che non sarà più così e l’innovazione che seguirà espellerà gran parte della forza lavoro dal ciclo produttivo investendo anche le strutture di servizio.
Tutto ciò comporta una attenta ricerca su come assicurare una stabile occupazione e un reddito adeguato ai cittadini.

NB.
Su questo argomento, come anche in altre parti del documento, ci aiuta un contributo dell’economista Renato Gatti:

Le tematiche che la rivoluzione 4.0 pone all’attenzione di chi voglia governare questo processo sono:

1. La liberazione dal lavoro rendendo il processo produttivo più consono alla libertà dell’uomo. Essa perciò va promossa e incentivata.
2. Si richiede, in un primo tempo, un profondo arricchimento della qualità del residuo lavoro incentivando la professionalizzazione della mano d’opera e, preliminarmente, la riqualificazione delle professionalità esistenti. Corsi di riqualificazione e formazione professionale sono quindi da promuovere, prendendo in considerazione anche tutto il percorso della formazione scolastica.
3. (In un tempo più avanzato) la rivoluzione 4.0 comporterà una ristrutturazione del modo di lavorare, modo nel quale la robotizzazione e la digitalizzazione sostituiranno il lavoro umano fino a portare in uno scenario futuribile, ma non così lontano, alla scomparsa del lavoro come fattore della produzione.
4. In un mondo in cui tutto sarà prodotto dalle macchine nelle stesse quantità, o anche maggiori, e anche meglio; in un mondo in cui finisce il capitalismo fondato sul lavoro salariato, si pone come elemento primario trovare un nuovo modello redistributivo che non consideri più come parametro redistributivo il tempo di lavoro.

La proprietà dei mezzi di produzione in mano al capitale può trasformare il vecchio capitalismo in una nuova forma di schiavismo dove tutto viene deciso dal capitale. Oppure (come già anticipava il Nobel James Meade nel suo libro “EFFICIENCY, EQUALITY AND OWNERSHIP OF PROPERTY” del 1964) la socializzazione dei mezzi di produzione può rappresentare un percorso razionale per l’umanizzazione del processo e il prodotto sociale potrà essere redistribuito assumendo come parametro il contributo volontario che ciascuno vorrà dare alla comunità per raggiungere obiettivi sociali democraticamente scelti.

Come impostare concretamente questo percorso avendo come principio primario la liberazione del lavoro?

Incentivare e promuovere la rivoluzione 4.0

L’incentivazione data dal ministro Calenda alle imprese che investono in tecnologie 4.0, è un’operazione che va nel giusto verso. Il 12%, imprese che hanno investito in nuove tecnologie, anche grazie al super-ammortamento e all’iper-ammortamento, contribuiscono all’incremento del PIL e portano la bilancia commerciale in attivo, rilanciando, anche se in misura insufficiente, l’economia del nostro Paese.
Va sottolineato che se la bilancia commerciale è attiva ed il target 2 è invece negativo, sono i movimenti di capitale (le fughe dei capitali) a rovesciare il saldo.
Investendo con intelligenza nella rivoluzione 4.0 i 10 miliardi annui che sprechiamo con gli 80 euro in: miglioramenti alle infrastrutture informatiche, nella banda larga, nella hubizzazione della logistica energetica; insomma se invece di investire in una politica da “helicopter money” si fosse adottata una politica di investimenti pubblici con la visione di uno “stato innovatore” la politica economica ed i risultati sarebbero ben diversi.

La riqualificazione professionale

Indispensabile è l’incentivazione alla formazione del personale rivolta ad una riconversione verso una professionalità 4.0. Anche quì gli incentivi di Calenda che contribuiscono per il 40% ai costi di formazione e riqualificazione, vanno nel verso giusto.
Meno apprezzabile quanto si fa nella scuola; in Italia frequentano gli ITS 9.000 ragazzi, in Francia pare siano 250.000, in Germania 800.000. Con queste cifre si capisce perchè le imprese sono alla ricerca di personale digitalizzato da assumere e in un paese con la disoccupazione all’11% (quella giovanile sopra al 30%) non trovi risposte adeguate.

La redistribuzione del prodotto sociale

Su questo fronte, invece, non ci sono proposte, non solo da parte del governo, ma anche da parte di partiti, sindacati o intellettuali (salvo sporadiche eccezioni, in primis il prof. De Masi).
Qualcosa potrebbe scorgersi nella proposta di reddito di cittadinanza, anche se non si può fare a meno di osservare che la logica retrostante a quella proposta non nasce da una risposta alla rivoluzione 4.0, mentre è una evidente ricerca di consenso vuota di concreto substrato argomentativo.
Non parliamo poi della pioggia di bonuses che sono stati varati in questi ultimi anni. Sono interventi erogati senza progettualità e senza capacità di incidere positivamente sulla ripresa economica ispirati da una filosofia assistenzialistico-paternalistica di un’era ormai estinta.
Eppure, tra non molti anni, gli effetti della rivoluzione 4.0 in termini di liberazione dal lavoro, in termini di posti di lavoro distrutti e non sostituiti, in termini di scomparsa sempre più estesa del lavoro si porranno e potrebbe essere troppo tardi per affrontarli senza sconvolgenti uragani sociali.

La socializzazione dei mezzi di produzione

La socializzazione dei mezzi di produzione, facile a pronunciarsi, è invece molto difficile a realizzarsi in termini pratici. La proposta che segue nasce da alcune semplici considerazioni:

  • gli incentivi dati alle imprese non possono essere considerati come aiuti che lo Stato dà alle imprese affinché queste diventino più competitive a favore della redditività del capitale;
  • gli incentivi vanno invece considerati come un investimento che la comunità tutta fa nelle imprese che investono a beneficio di una crescita del sistema produttivo del Paese;
  • quegli incentivi non possono essere tradotti in minori imposte che le imprese debbono pagare e quindi in maggiori dividendi che possono essere distribuiti al capitale senza nessun meccanismo che garantisca che quegli utili siano reinvestiti in attività produttive anziché essere attratti dalle sirene della finanza;
  • quegli incentivi vanno invece considerati come apporto di capitale fatto dalla comunità che vanno accantonati in un fondo socializzazione che va ad incrementare il capitale sociale e come tale comporta tutti i diritti che una quota parte del capitale sociale ha, ovvero: partecipazione agli utili e presenza nella gestione aziendale come previsto nel titolo terzo della parte seconda della nostra Costituzione.
  • Tanto per essere pratici, ragionieristicamente, si procederà come segue: il calcolo delle imposte verrà calcolato come se non ci fossero gli incentivi “Calenda” ma la contropartita sarà: la cassa (o i debiti verso l’erario) per il minor importo dovuto grazie agli incentivi e il fondo di socializzazione per l’importo risparmiato grazie agli incentivi stessi.
  • Si possono prevedere altre forme di finanziamento di questi fondi di “socializzazione”; ad esempio ad aumenti salariali non monetizzati, ma destinati all’incremento di questi fondi o altre formule contrattualisticamente o legislativamente adottate.
  • Gli utili spettanti a questi “fondi socializzazione” gestiti da rappresentanti del mondo del lavoro e della comunità tutta, saranno statutariamente non distribuibili, ma saranno vincolati al reinvestimento essendo il loro scopo quello di aumentare il potenziale produttivo del sistema Paese.

Nel tempo, come prevedeva il piano Meidner, la proprietà sociale dei fondi di socializzazione si rafforzerà ed estenderà, diventando organo della comunità per la socializzazione dei mezzi di produzione.

Per l’occupazione è opportuno lanciare l’idea di un piano nazionale delle piccole opere.

Ricordo che in Italia siamo bravissimi nella realizzazione delle grandi opere, pessimi nel compito della manutenzione.

A titolo puramente esemplificativo sarebbe interessante un piano nazionale per:

– la manutenzione e la ristrutturazione degli edifici scolastici;
– il recupero, secondo un piano di rivitalizzazione dei centri storici, degli edifici esistenti;
– la manutenzione delle infrastrutture esistenti almeno per evitare i gravissimi incidenti recentemente accaduti come il cedimento dei ponti;
– la salvaguardia del territorio, dell’ambiente e il mantenimento e consolidamento del nostro patrimonio artistico-culturale anche in funzione delle grandi opportunità di sviluppo dell’economia e dell’occupazione offerte dal turismo.

Ovviamente, come già ricordato, dovremmo batterci per l’eliminazione dalla Costituzione del vincolo di pareggio del bilancio che deve essere osservato solo per le spese correnti e in Europa perché non sia considerato nel vincolo del 3% la spesa per gli investimenti.

– Un approccio antioligarchico e anti oligopolistico della finanza, che preveda un sistema con una pluralità di soggetti nel mercato con la presenza riequilibratrice dello Stato;

– un modello capace di coinvolgere in via prioritaria il risparmio e l’attività finanziaria verso la crescita della rivoluzione verde, attaverso una finanza sottoposta a disciplina e responsabilità nella funzione di alimento dell’innovazione e sviluppo;

– una nuova e responsabile presenza del capitale pubblico per stimolare gli investimenti tecnologici;

– la separazione tra credito commerciale e altre funzioni finanziarie;

– revisione del bail in: ciò in coerenza con l’art. 47 della Costituzione. Si propone di trasformarlo in bail out. Cioè la cauzione interna (dei correntisti) diventa cauzione esterna (cioè del fondo interbancario di garanzia, con le opportune modifiche normative, onde responsabilizzare le banche, tutte, a rilasciare affidamenti ragionevolmente puliti e a controllarsi a vicenda).
Cartolarizzazione dei crediti: obbligare chi vuol vendere sul mercato un credito finanziario a trattenere presso di sé una percentuale significativa del rischio. Si evita così l’incuria delle banche nel compito di analizzare il merito del credito dei diversi clienti poiché sanno di non poter più sbarazzarsi della totalità dei crediti stessi.

– Mettere sotto controllo i mercati dei derivati in particolare i credit default swap (Cds).

– Per quanto possa apparire illusorio o di difficile attuazione, si dovrebbe prevedere il totale o almeno un consistente parziale rimborso degli aiuti statali assicurati alle banche per i salvataggi dopo l’uscita dalla crisi finanziaria.

E’ sempre più urgente una riorganizzazione internazionale che armonizzi le politiche monetarie e macro-finanziarie in particolare sono auspicabili le seguenti riforme:

– L’eliminazione dei vincoli e delle condizioni che accompagnano i prestiti: esse sono restrittive dal punto di vista fiscale, aggravano le difficoltà del ciclo e allontanano il recupero dei Paesi in difficoltà;

– Il FMI deve incoraggiare la reintroduzione del controllo dei movimenti di capitali da parte di tutti i Paesi;
Vanno realizzate emissioni regolari di Diritti speciali di prelievo per i paesi a basso reddito e più in difficoltà che possano essere utilizzati a costo zero con copertura degli interessi, grazie alla vendita di una parte delle riserve auree del Fondo stesso e per l’attuazione di politiche anti-cicliche e di sviluppo nel lungo termine.

Privatizzazioni. E’ opportuno schierarci contro ulteriori privatizzazioni che rischiano di indebolire ulteriormente sia i centri di ricerca ed innovazione che ancora abbiamo, sia ogni altra residua possibilità di svolgere una credibile politica industriale, senza ottenere nemmeno, come i fatti dimostrano, una ricaduta positiva sulla riduzione del debito pubblico.

Un argomento che riguarda il rapporto fra lavoro e impresa sono i consigli di sorveglianza. La questione, con una denominazione diversa, allora si chiamavano consigli di gestione, è sempre stata all’ordine del giorno dei socialisti sia con la legge D’Aragona, sia con il progetto Morandi elaborato da Massimo Severo Giannini.
Oggi i tempi sono maturi per rilanciare un progetto simile in modo che sia possibile coinvolgere il modo del lavoro e l’impresa in un convergente impegno a sostegno dell’economia italiana e a difesa del principio della responsabilità sociale dell’impresa.