ADDIO MATTEO: IL PD NON SOPPORTA PIU’ RENZI, RENZI NON SOPPORTA PIU’ IL PD

Però ci lascia nelle macerie che ha creato, con un partito “democratico” con lo statuto più antidemocratico che si sia mai visto dopo quello dei fascismi: il partito di un uomo solo al comando, in cui la direzione e l’assemblea non contano niente e conta qualcosa solo la segreteria, formata dai fedelissimi di quello che prese il potere proclamando la rottamazione dei suoi predecessori. Ma chi è stato il costituzionalista traditore, il politologo seguace del teorico delle elites (il consuocero di Einaudi che cominciò come sindacalista rivoluzionario per finire fascistone) che ha trasformato un bel partito dinamico e articolato, con seguito spontaneo in tutta Italia, nel partito di un uomo solo, e dei suoi scherani? Noi, entusiasti del PD , si discuteva della “forma partito”, e qualcuno sghignazzava “te la do io la forma… e il partito” . E ci sarà qualcuno dei candidati alla segreteria che porrà come programma il ritorno alla democrazia nel partito democratico? Per ora si è solo visto un affollarsi di candidati di serie B e C, che probabilmente pensano di garantirsi un posto almeno in assemblea nazionale, dato che nessuno sa chi vincerà e con quale criterio sceglierà i suoi uomini nella scarsamente utile direzione e nell’inutilissima assemblea nazionale.  Claudio Bellavita

Aprendo i giornali, due frasi hanno mandato Marco Minniti su tutte le furie. La prima è di Matteo Renzi: «Voi occupatevi del congresso, io sto con la società civile». La seconda è di Maria Elena Boschi: «A prescindere da chi vincerà, il partito va rifatto». Esponenti vicini all’ex ministro dell’Interno, ora ufficialmente candidato alla segreteria del Pd, la interpretano così: «Siccome Marco ha preso le distanze da Renzi, rifiutando il tutoraggio di Teresa Bellanova e insistendo sul fatto che lui non è il candidato di nessuno, ora l’entourage di Matteo non garantisce più il sostegno di voti che aveva promesso».

Un corto circuito che va a complicare ulteriormente uno scenario già di per sé molto intricato. Perché, a questo punto, il messaggio che arriva da quello che una volta era il Giglio Magico che aveva in mano il Paese, è chiaro: un vero candidato non ce l’abbiamo e quindi agiremo da battitori liberi. Non è un caso che, proprio nel giorno in cui Minniti lancia la sua candidatura sulle pagine di Repubblica, Sandro Gozi – ex deputato e sottosegretario, ora sherpa del gruppo Pd al Senato, una vera e propria riserva renziana – ribatte sul Messaggero che “i Dem hanno esaurito la propria missione ed è ora di andare oltre”.

Una frase che ricalca quella di un utente Facebook a cui, alcuni giorni fa, il “senatore di Scandicci” aveva tributato un emblematico “like”. E non è neppure un caso che i retroscenisti più vicini a Renzi stiano cominciando a riportare virgolettati sempre più espliciti sulla volontà dello stesso ex premier di trasformare in realtà il tanto spesso ipotizzato addio al Pd.

Nessuno dei possibili segretari si immagina un futuro zavorrato dall’ombra dell’ex premier e dei suoi pasdaran. Se così fosse, è la convinzione comune, meglio che ognuno vada per la sua strada

La prospettiva, però, che non scalda i cuori degli stessi renziani, o almeno non di tutti. Anche perché, come ha sottolineato Michele Anzaldi nei giorni scorsi, «quelli veri sono al massimo 16». Non certo l’esercito che molti descrivono. Di qui il vero motivo di tutti i tentennamenti, più ancora dei sondaggi non entusiasmanti sulla nuova “cosa”: Renzi non è affatto convinto che, se dovesse finalmente dare vita ad un soggetto ispirato alla macroniana En Marche (o a Ciudadanos in Spagna), siano poi in tanti disponibili a seguirlo. E non ha torto. Nelle chat renziane è tutto un invito alla prudenza. Nonostante i mal di pancia – legati soprattutto ad una possibile vittoria di Nicola Zingaretti – pochi pensano veramente che uscire dal Pd sia davvero la soluzione a tutti i problemi.

Anche chi preme perché Martina alla fine scelga di correre contro Minniti e Zingaretti (tra tutti Graziano Delrio e Matteo Orfini) sta lavorando affinché lo scontro non si riduca ad un derby tra renziani ed anti-renziani, che finirebbe per ridare centralità, ancora una volta, all’ex segretario. E non lo vuole neppure lo stesso Minniti, che non perde occasione per ribadire la sua autonomia, e che ha già rivolto un appello agli altri candidati “affinché, dopo le primarie, tutti garantiscano il proprio sostegno al vincitore”.

La realtà è che l’eventuale addio di Renzi non viene più percepito come una catastrofe. È la convinzione che stanno maturando in tanti all’interno del Pd, non solo tra i suoi oppositori

La realtà è che l’eventuale addio di Renzi non viene più percepito come una catastrofe. È la convinzione che stanno maturando in tanti all’interno del Pd, non solo tra i suoi oppositori. «Fino a che Matteo monopolizzerà la discussione – ci spiega un deputato che fino a qualche mese fa era considerato in maggioranza – non riusciremo mai a ricostruire un progetto serio. Ora lui dice che sta con la società civile, ma non perde occasione per muovere le sue truppe corazzate per randellare sui social chiunque si permetta di criticarlo. E pensare che ogni due per tre lamenta di essere stato danneggiato dal fuoco amico. E’ una strategia che finisce solo per danneggiare il Pd, altro che società civile».

La strada verso l’elezione del nuovo segretario del Pd è ancora molto lunga. Di qui al 3 marzo (la sempre più probabile data delle primarie) può succedere di tutto. Anche che la consultazione popolare non elegga nessuno (da statuto il nuovo leader, se non otterrà più del 50% dei voti nei gazebo, verrà eletto dall’Assemblea nazionale) e che si debba ricorrere ad un accordo tra due dei tre candidati principali. Molto del futuro del Pd dipenderà da come andranno la campagna congressuale, il congresso stesso e, soprattutto, le elezioni europee.

Ma una cosa è certa: con motivazioni politiche e programmatiche differenti, nessuno dei possibili segretari si immagina un futuro zavorrato dall’ombra dell’ex premier e dei suoi pasdaran. Se così fosse, è la convinzione comune, meglio che ognuno vada per la sua strada.

Fonte: Linkiesta