INFO DATI IN ATTESA DELLA CONFERENZA PROGRAMMATICA DI RIMINI

Fonte: sbilanciamoci.org I nostri numeri sull’Italia Questa sezione si propone di fornire strumenti di semplice lettura e comprensione per restituire in modo quanto più possibile immediato una vasta mole di informazioni rilevanti su ciò che succede e su come si vive oggi in Italia. Qui sotto verranno visualizzati alcuni grafici, accompagnati da brevi testi di commento, che sono stati selezionati con il duplice obiettivo di gettare una luce sulle tendenze in atto in Italia e di fotografare i problemi e le sfide più urgenti da affrontare nell’immediato futuro. I grafici indagano la condizione del nostro paese rispetto agli anni passati o al confronto con gli altri Stati europei: organizzati rispettando la partizione dei diversi capitoli della Controfinanziaria di Sbilanciamoci!, presentano e riassumono molti dati economici, sociali e ambientali, dal sistema fiscale all’occupazione, dal mercato del lavoro al reddito e al welfare. In altri termini, i grafici che seguono sono idealmente pensati come tappe di un percorso che inquadra e attraversa le diverse priorità che dovrebbero stare al centro dell’agenda politica di un paese attento alla giustizia economica e sociale, all’equità fiscale, alla sostenibilità ambientale. Cominciando proprio da quello che Sbilanciamoci! da sempre propone: il buon utilizzo della spesa pubblica. FISCO E FINANZASempre più indebitati… Le ricette di austerità adottate in Europa per rimettere in ordine innanzitutto i conti pubblici dei paesi della cosiddetta “periferia” (Grecia, Spagna, Italia, Portogallo) non danno i frutti sperati. L’andamento del rapporto debito/Pil, uno degli indicatori guida su cui si fondano queste misure, anziché ridursi e rientrare nei limiti imposti dal Trattato di Maastricht (60%), fa registrare un aumento proprio quando e dove avrebbe dovuto ridursi. Ed è così che in Italia, dal 2007 al 2017, il rapporto debito/Pil passa dal 99,8 al 131,2%. Senz’altro una buona ricetta… per un fallimento annunciato. …senza essere spendaccioni L’Italia ha la cattiva fama di essere un paese “spendaccione” e dalle finanze pubbliche disastrate. Ma basta dare uno sguardo al dato sul rapporto deficit/Pil per capire come nel 2017 l’Italia abbia fatto registrare un livello di deficit (l’indebitamento netto che comprende anche la spesa per interessi) pari a -2,4%: un livello inferiore rispetto a quello di molti altri paesi europei e della stessa media europea. Maledetti interessi Se si guarda al dato del saldo primario – cioè la differenza tra entrate e uscite di un paese, esclusa la spesa per interessi – l’Italia risulta addirittura uno dei paesi più virtuosi del continente, con un avanzo primario pari all’1,5%, molto superiore alla media europea (1%). Altri grandi paesi dell’Unione (Francia e Spagna in primo luogo) fanno registrare invece avanzi primari peggiori. Questo significa che sul deficit italiano grava in larga misura la cospicua spesa per interessi che il nostro paese si trova a dover sostenere ogni anno. Il made in Italy è fuori moda Molte delle politiche economiche e monetarie perseguite in Europa hanno lo scopo di rendere le economie europee più “competitive”, in base al principio secondo cui dalla crisi si esce incrementando le esportazioni, cioè diventando tutti un po’ più tedeschi. Nonostante questi “buoni” propositi, la quota di mercato delle esportazioni italiane nel mondo si riduce nettamente rispetto ai livelli pre-crisi: assistiamo infatti alla riduzione delle esportazioni sia dei beni (dal 3,6 nel 2007 al 2,9% nel 2017) sia dei servizi (dal 3,4 nel 2007 al 2,1% nel 2017). Sempre in attesa di crescere L’andamento del Pil del nostro paese, con lo stop alla timida ripresa registrato dall’Istat nell’ultimo trimestre, rivela l’incapacità di uscire dalla crisi del 2007-2008 e di attestarsi su un vero sentiero di crescita. Al di là dell’instabilità che caratterizza questo andamento, sono due i dati che risaltano agli occhi: da un lato, la perdita di valore del Pil italiano rispetto al 2007, dall’altro il ruolo giocato in questo risultato negativo dalla componente della domanda interna. Insomma, l’assenza di reali politiche di sostegno e stimolo alla domanda aggregata pesa come un macigno sulla crisi del paese e sulle sue prospettive di ripresa. La gara al ribasso delle tasse alle imprese Grazie al mercato comune e alla concorrenza fiscale gli imprenditori europei riescono a spuntare trattamenti fiscali sempre più favorevoli. La forte diminuzione della tassazione media dei redditi d’impresa fra il 2002 e il 2017 – ad esempio, in Italia dal 40,3 si passa al 27,8%, in Germania dal 38,3 al 30,2% – mostra come in tutta Europa si sia avviata una gara al ribasso sulla tassazione delle imprese. Non solo dunque maggiore flessibilità sul mercato del lavoro (leggasi meno diritti per i lavoratori), ma anche meno tasse per le imprese con l’illusione di scongiurare il rischio delle delocalizzazioni e attrarre occupazione. La grande fetta invisibile dell’economia italiana 209,8 miliardi di euro, il 13,8% del Pil: a tanto ammonta nel 2016 (ultimo dato disponibile) la stima dell’economia non osservata in Italia, derivante dalla somma tra il volume dell’economia sommersa (a sua volta costituita in grandissima parte da sotto-dichiarazione e lavoro irregolare) e il volume delle attività illegali. Il peggioramento del dato rispetto ai livelli del 2013 dimostra l’inadeguatezza delle politiche messe in atto finora per contrastare evasione fiscale, lavoro nero e criminalità organizzata. E per recuperare, al contempo, ingentissime e preziose risorse per le casse statali. La favola della spesa pubblica elevata In ampi strati dell’opinione pubblica e del ceto politico regna la convinzione che la spesa pubblica italiana sia tra le più elevate in Europa: una spesa improduttiva e fonte di sprechi, da tagliare a colpi di spending review e privatizzazioni. Tuttavia, numeri alla mano, questa convinzione si rivela ampiamente infondata. La spesa pubblica complessiva italiana è pari infatti nel 2015 a 828 miliardi di euro, a fronte dei 1.243 della Francia, dei 1.334 della Germania, dei 1.104 del Regno Unito: in termini di spesa reale pro-capite, il nostro paese, con 13.630 euro nel 2015, è pienamente in linea con la media dell’Unione Europea a 28 paesi (13.645), facendo peraltro registrare valori nettamente inferiori rispetto al 2007 (14.524 euro). POLITICHE INDUSTRIALI, LAVORO E REDDITO, PENSIONI Non è un paese per lavoratori I numeri sulla disoccupazione in Italia mostrano un paese ancora incapace di creare lavoro, …

SOTTO IL TOTEM DELLA GOVERNABILITA’ L’OLIGARCHIA DEI NOMINATI

di Enzo Paolini, Felice Besostri | Legge elettorale. La riforma proporzionale è l’unico antidoto allo svuotamento plebiscitario di partiti e istituzioni, uniti solo nel sostegno al capo di turno e incapaci di confronto Forse l’imbarazzante discussione sulla prescrizione, quella sul cosiddetto «decreto – sicurezza» con la sua impressionante serie di violazione di principi umanitari e infine lo spettacolo sulla manovra generato dalla palese inadeguatezza o peggio dall’indifferenza dei parlamentari governativi rispetto al senso delle istituzioni e alle norme della Costituzione italiana sono lo spunto per fare uscire la discussione sulla legge elettorale dal cono d’ombra nel quale il dibattito l’ha posizionata come aspetto marginale e, in fondo, ritenuto non decisivo per le sorti del Paese. Errore di prospettiva, perché la mancanza di una classe dirigente vera, capace, che, al netto delle ideologie (o anche delle semplici idee) possa governare con autorevolezza e competenza è il vero problema del nostro Paese e, per quel che conta (o potrebbe contare), del Pd e della sinistra in genere, cioè della parte politica che più di ogni altra ha bisogno di una selezione democraticamente qualitativa dei suoi «quadri». È perciò il momento della riflessione. Hanno iniziato su queste colonne con un taglio politico acuto e condivisibile Michele Prospero, Massimo Villone e Alessandro dal Lago. Proviamo noi a intervenire nel dibattito guardando alla genesi del problema, cioè la legge elettorale e la selezione del personale politico. Il cosiddetto «rosatellum» (cioè la legge vigente che ha prodotto l’attuale parlamento), è basato su liste bloccate nella quota maggioritaria, non consente il voto disgiunto (in sostanza blocca – o condiziona – anche la parte proporzionale). In concreto quindi produce un parlamento per più di due terzi nominato dai (sedicenti) leader di partito, cioè la «casta», una categoria che mediante gargarismi demagogici e generici sull’interesse pubblico è dedita alla coltivazione del proprio esclusivo interesse privato consustanziato nella permanenza sulla poltrona istituzionale sempre degli stessi e comunque di persone senza alcun legame con gli elettori. Dopo le elezioni del 4 marzo scorso questo effetto, visibile, sgradevole e respingente per quanto riguarda le truppe di Forza Italia e Pd sembra meno appariscente per Lega e M5S. Ciò si spiega con il fatto che la Lega – nonostante sia stato un grumo di governo nel ventennio berlusconiano – viene percepita per il suo atteggiamento sempre apparentemente antisistema, come un partito di opposizione e comunque rigeneratosi dopo il disastroso declino di Bossi, mentre il M5S, composto tutto da facce nuove, compensa la inesperienza (in taluni casi la palese inadeguatezza) con la non compromissione in un passato istituzionale che i partiti di prima hanno reso nauseabondo e non commendevole. A una più attenta e profonda disamina questo fenomeno si rivela – però – inquietante e foriero, nel medio/lungo termine, di guai ancora più rilevanti per la tenuta democratica del sistema e per la Repubblica, perché la centralità del Parlamento non è effettiva, poiché i Parlamentari non sono quelli previsti dall’articolo 67 della Costituzione, cioè rappresentanti della Nazione, senza vincolo di mandato, che esercitano la funzione con disciplina e onore, come impone l’articolo 54 Cost. Questo perché il meccanismo di nomina per la composizione delle Camere contrabbandato per elezione ha polverizzato gli organismi intermedi di rilievo costituzionale finalizzati a promuovere, favorire, organizzare la dialettica e il confronto necessari per scegliere, cioè per «eleggere». Quando il percorso che ha come approdo un ente rappresentativo di interessi comuni (il Parlamento ne è il più alto esempio ma il discorso vale in generale) non prevede stazioni di verifica e neanche la propulsione del consenso, ma soltanto la chiamata diretta del capo, gli organismi intermedi – cioè i partiti nella loro alta dimensione di elaborazione sociale – non avendo la loro naturale funzione di selezione si svuotano e rimangono solo come contenitori di aspiranti a occupare una carica in cambio di una fidelizzazione al cosiddetto leader (peraltro temporalmente limitata fino al momento in cui il leader stesso ha la forza di assicurare la permanenza sulla poltrona, poi si cambia partito). La parabola del Pd è l’esempio più tragico di questo fenomeno, che rende evidente anche il fallimento del mito delle «primarie» o «parlamentarie fai da te» come evento distintivo se non addirittura salvifico per la vita democratica di un partito. Al contrario, la verticalizzazione del rapporto tra base e dirigenza e il silenziamento delle voci di dissenso prosciuga il terreno fertile della discussione, che è l’humus sul quale si sviluppa e si rigenera periodicamente un sistema forte nelle sue istituzioni e nei gangli vitali delle dinamiche sociali. Una situazione particolarmente grave in Italia nel Pd – che infatti si è ridotto a non riuscire più neanche a tenere un congresso per palese assenza di contenuti – in cui la presentazione del dissenso, della fazione, come elemento negativo a fronte dell’unità, di pura facciata o ottenuta con espulsioni, come valore indiscutibile e vincente. Sotto questo totem è stata sacrificata la ricchezza delle idee come motore di crescita di una comunità. Come se lo scopo delle elezioni – o più in generale della politica – fosse solo stabilire chi ha vinto la sera stessa del voto e non invece quello di comporre prima assemblee rappresentative di tutti e consentire dopo alle diverse forze politiche di confrontarsi per stabilire le alleanze giuste per governare al meglio. Esattamente il contrario dell’idea di «chi vince prende tutto». L’ingovernabilità degli ultimi anni è stata determinata proprio da questo: dalla tendenza dei capi al cosiddetto decisionismo allergico e indifferente a critiche o dissenso e dallo loro incapacità culturale e politica di sfruttare il confronto per migliorare e crescere nelle azioni di governo: il vero banco di prova di un cambiamento non parolaio. Questo metodo, applicato ad esempio alla pervicace volontà di imporre una riforma costituzionale impresentabile da tutti i punti di vista senza ascoltare consigli, suggerimenti, critiche costruttive e pareri di giuristi e studiosi tutti bollati come «gufi», è stato sonoramente bocciato dagli italiani e ha fatto perdere una intera legislatura. Possono dire gli autori, pure provvisti di maggioranze enormi, di aver assicurato «governabilità»? È …

CONFERENZA PROGRAMMATICA “SOCIALISMO XXI” – RIMINI 2019

Care compagne e cari compagni. La Conferenza Programmatica di Socialismo XXI si terrà l’8, 9 e 10 febbraio 2019 a Rimini, presso lo Yes Hotel Touring. I lavori della Conferenza saranno concentrati soprattutto nei giorni di sabato 9 e domenica 10. Il venerdì sera si terrà una riunione per definire gli ultimi dettagli organizzativi. Il sabato: tavoli tematici (12) per consentire un ampia discussione ed ascoltare le riflessioni di compagne e compagni sui temi sociali, economici e politici presenti e futuri e sulle prospettive del Socialismo nel XXI secolo. Domenica mattina seduta plenaria, interventi degli ospiti e presentazione dei documenti dei gruppi di lavoro. A seguire discussione ed adozione del documento politico conclusivo della Conferenza. Domenica pomeriggio: costituzione dell’Associazione Socialismo XXI ed alla nomina dei gruppi dirigenti pro tempore. Fraterni saluti e Sempre Avanti! verso Rimini Il Comitato dei Garanti YES HOTEL TOURING – RIMINI PACCHETTI PRENOTAZIONE SOGGIORNO: Scegli una tra le seguenti opzioni (il prezzo a persona) 1. SISTEMAZIONE IN YES HOTEL TOURING 4 STELLE PACCHETTO 2 NOTTI camera doppia € 169,00PACCHETTO 1 NOTTE camera doppia € 102,00PACCHETTO 2 NOTTI camera Doppia Uso Singola € 199,00PACCHETTO 1 NOTTE camera Doppia Uso Singola € 132,00 2. IN ALTERNATIVA YES HOTEL RAIMBOW 3 STELLE SUPERIORE PACCHETTO 2 NOTTI camera doppia € 149,00PACCHETTO 1 NOTTE camera doppia € 89,00PACCHETTO 2 NOTTI camera Doppia Uso Singola € 165,00PACCHETTO 1 NOTTE camera Doppia Uso Singola € 105,00 Il Pacchetto comprende: Pensione Completa c/o Hotel Touring + Bevande incluse durante i pasti + Pranzo del 10.02.2019 + Ingresso alla piscina coperta e riscaldata (Touring) Tassa di soggiorno + Iva e Imposte incluse GARAGE INTERNO Yes Hotel Touring € 3.00 al giorno Si prega di prenotare entro il 20 gennaio Per informazioni rivolgersi al compagno nostro tour operator Giuliano Sottani 055853606 – 3371257727 g.sottani@caterinademedici.com La prenotazione dovrà essere fatta direttamente all’albergo YES HOTEL TOURING RIMINI Viale Regina Margherita 62 – telefono 0541373005 – commerciale.touring@yeshotels.it  Referente Sergio. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LA QUESTIONE SOCIALISTA E QUEL PARTITO CHE MOLTI NON VOGLIONO

di Antonino Martino | E’ tempo di parlare senza ipocrisie della questione socialista e di quel partito che molti non vogliono. Chi è che non vuole oggi un partito del Socialismo del XXI Secolo, una riunificazione, su basi nuove di un partito di tal genere, attraverso una vera “Epinay” socialista? Non lo vuole certamente nessun esponente del Pd, dato che nessuno, fino ad ora, ha avuto il coraggio nemmeno di proclamarsi socialista. Non lo vuole abbastanza chi celebra un congresso che da solo, come tutte le esperienze politiche fino ad ora in campo, non può bastare, seppure importante, a risolvere il tema di un partito del Socialismo del XXI secolo largo, includente tutte le sensibilità e tendenze politiche che hanno animato il nostro campo in questi anni. Ma lo vuole ancora di meno, chi fa convegni dove auspica listoni di tutte le forze che si richiamano al Socialismo Europeo. Non perché fare una lista del Pse non sarebbe ottima cosa, ma perché non si capisce perché in Europa siamo tutti socialisti e poi in Italia invece, ci inventiamo “sigle”  e “siglette” ogni volta per non costruire la Sezione Italiana del Partito del Socialismo Europeo. Come pure non lo vuole, questo partito, chi proclama che serva un nuovo partito Eco Socialista, e poi, al posto che lanciare una fase costituente, con una strada prestabilita, che si concluda con un congresso vero, convoca assemblee più o meno aperte, più o meno già preimpostate e preconfezionate. Al fondo, e qui c’è un dato antropologico che però non si può non esplicare se non si vuole ricadere nell’ipocrisia, un partito così non lo vogliono due tipi di dirigenti politici molto presenti nel campo della sinistra in Italia: da una parte quei dirigenti che per venti anni hanno detenuto le direzioni politiche dei disastri della sinistra post prima Repubblica, inanellando fallimenti, perpetuando una liturgia sempre uguale a sé stessa, perché temono che qualcuno oggi non sia più disposto a rivedere l’ennesimo, noioso film; dall’altra parte non lo vogliono quella generazione di dirigenti quarantenni, che hanno scelto di accodarsi ad uno di quei dirigenti che detenevano il comando di cui sopra, rinunciando alla costruzione di una proposta politico-ideale autonoma, coltivando una fedeltà tipica di altri contesti ma non certo di una sana politica e che oggi scalpitano perché attendono il loro turno in sala proiezioni, ovviamente per mettere in scena lo stesso film, ovviamente con gli stessi fallimenti, ma stavolta da registi e non da portatori di pop corn. Tutto ciò deve finire e personalmente, io vado a Rimini anche per questo: per contribuire a creare le condizioni, affinchè si arrivi ad avere un forza autonoma, dove chiunque davvero voglia un partito del Socialismo del XXI secolo, nel quale si possa sentire a casa. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

DAL CAOS AL SOCIALISMO

di Dario Allamano | Negli scorsi giorni un autorevole compagno socialista che stimo ha pubblicato sulla pagina del gruppo Liberalsocialisti una riflessione sul socialismo, in quel testo c’è una frase che mi ha colpito molto:  “E poi, tutti quei gruppi e tutta quella orgia di sigle socialiste, niente non sono che una Babele da utilizzare per soddisfare interessi personali e di gruppo.” E’ una frase che non condivido. Dopo dieci anni di vita del Gruppo di Volpedo, che detto per inciso è stato il primo gruppo socialista nato al di fuori del PSI, ho seguito con attenzione tutta la diaspora socialista e posso dire posso dire di conoscerla molto bene. E’ vero che alcune sigle sono nate per soddisfare l’egocentrismo di alcuni compagni, utili per contrattare il proprio interesse immediato, quasi controfigure del PSI nenciniano, ma la gran parte dei gruppi e delle associazioni, dei circoli che sono sorti sono invece figli di un bisogno profondo di molti socialisti e socialiste, mantenere viva la memoria e tenere alta la bandiera del socialismo in Italia, senza interessi personali. E’ un movimento un po’ caotico, privo di un Progetto Comune, ma è un caos positivo, dal quale, se si vogliono comprendere le motivazioni, si può giungere ad una sintesi politica in grado di ricostruire l’Idea di un Socialismo innovativo e rinnovato. La politica dei cento fiori non può essere liquidata con parole sprezzanti, è la politica di chi, con sforzo continuo e disinteressato, ha provato a costruire tanti piccoli villaggi per dare ricovero a chi casa non aveva. Il nostro lavoro deve essere quello di portare a sintesi le riflessioni che questi piccoli villaggi hanno sviluppato in questi anni. Rimini 2019 ha questo obiettivo, e gli organizzatori della Conferenza Programmatica non mirano ad un seggio ma alla COSTRUZIONE di un nuovo grande villaggio del Socialismo nel XXI secolo, e chiedono la collaborazione di tutti coloro che saranno disponibili a condividere questo sforzo. Tutti noi che abbiamo tenuto alta la bandiera del Socialismo in Italia, e quando dico tutti intendo anche i compagni e le compagne del PSI, dobbiamo essere consapevoli di un fatto, a sinistra c’è un vuoto e nessuno sa come riempirlo, solo i socialisti hanno gli strumenti, la storia e la cultura per dare vita ad un qualcosa di antico ma molto, molto moderno, il Partito del Socialismo in Italia, unico argine vero alla deriva individualista, conservatrice e reazionaria, che è cresciuta in questi anni. Sempre Avanti verso Rimini e poi verso la Epinay del Socialismo Italiano. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

GIUSEPPE SCALARINI, UNA PENNA PUNGENTE. DALL’OSTILITA’ ALLA GUERRA DI LIBIA ALLA DIFESA DI TRIESTE ITALIANA

di Walter Galbusera | Il Taccuino di Walter Galbusera,  Presidente Fondazione Anna Kuliscioff Giuseppe Scalarini (Mantova, 29 gennaio 1873 – Milano, 30 dicembre 1948), ebbe una vita intensa e difficile. Disegnatore, giornalista e scrittore, socialista di fede e liberale di spirito, visse da protagonista i grandiosi movimenti politici e sociali a cavallo tra il XIX° e il XX° che accompagnarono l’emancipazione delle masse proletarie. Iniziò a scrivere nei giornali socialisti mantovani, per approdare nell’ottobre del 1911 alla redazione dell’Avanti! di Milano dove rimase fino al 1926, quando il fascismo soppresse la libertà di stampa. Difficile trovare nelle vignette in bianco e nero una capacità comunicativa, un grado di sintesi, un’inventiva inesauribile pari alla sua, basata sulla pura potenza del disegno. La sua “penna pungente” si oppose con intransigenza all’intervento in Libia e alla Prima guerra mondiale, di cui intuì la “tremenda modernità” distruttrice (fino ad allora inimmaginabile) di uomini e cose. I suoi avversari erano i borghesi, gli agrari, i militaristi, i profittatori di guerra e i preti che spesso contrapponeva alla figura di Cristo. Così come lo furono anche i socialisti “interventisti” in Libia e nella “Grande Guerra”. Combatté il fascismo da cui subì violenze e persecuzioni: aggredito, confinato e poi privato del diritto di firmare disegni o scritti. In un’Italia con milioni di analfabeti o semianalfabeti i disegni di Scalarini avevano il valore di articoli di fondo che quotidianamente su “l’Avanti!” ribadivano l’identità politica e sociale del giornale. La sua fu una figura limpida, coerente con le convinzioni che maturava e conseguente negli atteggiamenti e nei giudizi. Il suo acceso senso di ostilità pregiudiziale alla guerra lo portò a non fare sconti a nessuno. Neppure ad Ivanoe Bonomi, (unico politico italiano a ricoprire l’incarico di capo del governo prima e dopo la Seconda guerra mondiale) coetaneo e conterraneo e del quale era stato amico e compagno stretto di lotta politica. La condanna morale di Scalarini è netta: Bonomi, Bissolati ed altri ex socialisti sono passati dal socialismo alla borghesia. Nel 1921 compaiono le vignette più amare contro colui che era stato quasi come un fratello: Bonomi capo di un Governo che ha come alleati e simpatizzanti il Re, Don Sturzo e i fascisti ed è asservito al pescecane capitalista, Bonomi vestito da squadrista che uccide il Bonomi socialista, Bonomi in camicia nera che, armato di un nodoso randello, esegue la pena di morte nei confronti di un socialista. Quando il fascismo diviene dittatura a Scalarini è impedito di firmare qualunque cosa, si tratti di un disegno o di un articolo. L’astio di Mussolini nei suoi confronti è ancora molto forte. Il duce è rimasto profondamente colpito dalla vignetta dell’Avanti! pubblicata nel lontano 23 novembre 1914 in cui l’ormai ex direttore del quotidiano socialista viene presentato come un Giuda che accoltella il PSI, rappresentato da Gesù. Ironia della sorte, si tratta di una delle rare vignette in cui Scalarini disegna Mussolini. Serrati, allora direttore dell’Avanti! aveva dato l’ordine di ignorare del tutto l’odiato ex direttore. Scalarini per sopravvivere collabora ad alcune riviste, tra cui il Corriere dei Piccoli con disegni rigorosamente non firmati e pubblica nel 1930 un libro per bambini, Le avventure di Miglio”, firmato dalla figlia.Negli ultimi giorni della Repubblica di Salò riceve la visita di Carlo Silvestri, un vecchio compagno socialista che ora collabora con Mussolini e che gli porta i saluti del suo vecchio direttore. Scalarini li accetta e lascia a Silvestri un messaggio: “Non porto rancore……” Dopo il 1945 si occupa anche di illustrazioni pubblicitarie, attività già svolta negli anni in cui lavorava all’Avanti! prima del 1926. Ebbe tra l’altro una breve collaborazione con la “Pirelli” e lavorò alla realizzazione del logo pubblicitario del panettone Alemagna. Dopo la lunga notte del fascismo Giuseppe Scalarini torna con la sua tradizionale firma a rebus prima su l’Avanti! poi nel febbraio del 1947 su Mondo nuovo, quotidiano del PSLI, e disegna dal marzo all’agosto 1947 per la nuova testata dello stesso partito L’Umanità. Successivamente dall’aprile del 1948 all’agosto dello stesso anno ancora per l’Avanti! Il tratto della sua penna è quello di sempre. Il messaggio è trasmesso con chiarezza ed efficacia, gli argomenti sono in parte quelli di un tempo, ma non mancano i temi di attualità in un paese che cerca di risollevarsi dalla catastrofe in cui è piombato. In primo luogo, il pericolo di una nuova guerra, resa ancora più terrificante dagli ordigni nucleari. Scalarini riprende anche immagini simili a quelle di trent’anni prima e rappresenta la guerra come un enorme ragno con in capo la corona reale, che tenta di catturare nella sua tela una donna vegliante su una culla.Un altro tema che ritorna prepotentemente di attualità è quello della miseria e della disoccupazione (un proletario morente in una casa poverissima che si raccomanda alla moglie: “un funerale semplice, senza fiori”) accompagnato dalla denuncia dei nuovi pescecani che non conferiscono il grano agli enti pubblici incaricati della raccolta, ma alimentano la borsa nera. La figura di Gesù, in cui Scalarini identifica i valori del socialismo, si oppone alla gerarchia cattolica che fiancheggia la Democrazia Cristiana (“il prete politicante scaccia Cristo dalla Chiesa”, oppure “il falegname socialista ammonisce: nessun padrone!”). Appaiono anche i temi politici di maggiore attualità del secondo dopoguerra. Colpisce l’insistenza di Scalarini nel richiamare la questione di Trieste, del Moncenisio, di Briga e Tenda. Sono tutti territori che in parte l’Italia ha già perso a vantaggio della Francia o che, come Trieste, rischia di consegnare alla Jugoslavia. Nei disegni di Scalarini la perdita di Trieste, che “dall’esame del sangue risulta italiana”, vorrebbe dire l’amputazione di un ramo importante dell’albero che rappresenta l’Italia. L’ostilità nei confronti degli sloveni e di Tito è netta e rasenta il disprezzo quando disegna il confine tra i due paesi, costituito da due negozi: dalla parte italiana c’è una libreria, da quella slovena un negozio di polli. Oppure quando presenta gli sloveni con rozzi tratti somatici di lombrosiana memoria. Non è nazionalismo quello di Scalarini, ma la convinzione irremovibile che senza Trieste, parte integrante della storia e della …

SI PUO’ FARE A MENO DELL’UOMO?

di Paolo Mastrolilli – New York per La Stampa | «Quindi la sua soluzione preferita sarebbe fare a meno degli esseri umani?». Quando gli faccio questa domanda, il premio Nobel Daniel Kahneman resta un momento interdetto. Sorride, perché capisce che si tratta di una provocazione, ma poi l’accetta: «Sì, in un certo senso, sì. Naturalmente gli esseri umani restano al centro del nostro universo, e hanno ruoli insostituibili da svolgere. Però non c’è dubbio che gli algoritmi siano più saggi e più bravi di noi quando si tratta di prendere delle decisioni». Kahneman è una delle menti più brillanti in circolazione, incaricato di illuminare il futuro e la strada da seguire per favorire l’innovazione.  Siamo al Lincoln Center di New York, invitati a partecipare al World Business Forum. Poi Kahneman sale sul palco ed esordisce: «Ho conosciuto una ragazza che sapeva leggere in maniera fluente a 4 anni, E ora è all’ultimo anno del corso di laurea ad Harvard. Secondo voi qual e il suo grade point average?» (ossia lo strumento con cui si misura quanto va bene in media uno studente nei suoi corsi). Dopo qualche secondo arrivano le prime risposte dalla platea, e Kahneman si mette a ridere: «Avete sbagliato tutti. E sapete perché? Avete espresso un giudizio istintivo, senza possedere o usare alcun dato. Nessuno di voi, ad esempio, sa quale incidenza statistica abbia sul rendimento universitario di una persona it fatto che sapesse leggere già a 4 anni. E’ un errore molto comune, che noi esseri umani commettiamo in continuazione. Forse un marito può capire l’umore della moglie dopo la prima frase di una conversazione telefonica, questo ve lo concedo. Ma per il resto le nostre intuizioni sono quasi sempre sbagliate, anche se ci piace credere il contrario».  La platea dei manager rumoreggia, ma sotto sotto si consola nella certezza che se fosse stata provvista dei dati necessari, avrebbe scelto la risposta giusta. Allora Kahneman infierisce: «Abbiamo studiato anche questa ipotesi, che aveste i dati a disposizione. Ebbene, quando fornisci gli stessi dati a un algoritmo e a un essere umano, nel 70% dei casi l’algoritmo dà la risposta giusta, negli altri c’è il pareggio, e in rarissime occasioni l’essere umano prevale. La verità scientifica oggettiva è che l’algoritmo è più saggio e più bravo di noi nel prendere le decisioni.  Naturalmente ci sono scelte che competeranno sempre agli umani, ma sono destinate a diminuire con l’avanzare dell’intelligenza artificiale. E sarà un bene per tutti». Andate a spiegarlo a chi oggi mette in discussione il ruolo degli esperti, e quindi della conoscenza, affidandosi invece al proprio istinto. Anche perché la ragione di questa carenza nel giudizio da parte degli esseri umani, oltre all’incapacità di elaborare i dati, è sorprendente. «Sapete perché la gente non cambia idea su cose fondamentali come la politica o la religione?».  La platea risponde sicura: «Per la solidità degli argomenti su cui basa le proprie convinzioni». Allora Kahneman sferra il colpo finale: «No, gli argomenti non c’entrano nulla. Lo abbiamo studiato. In genere prima prendiamo le nostre posizioni, e poi andiamo a cercare i motivi per giustificarle. Ciò accade perché le nostre convinzioni non sono radicate nella logica degli argomenti, ma nella nostra comunità, la nostra storia, i nostri affetti e le persone di cui ci siamo sempre fidati. Non riusciamo mai a liberarci da questo rumore di fondo. Perciò noi sbagliamo, e l’algoritmo invece ha sempre ragione. Dobbiamo mantenere il controllo, ma in futuro diventerà sempre più difficile non ascoltarlo». SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE E IL LAVORO

di Luciano Trapanese | UN’OPINIONE CATASTROFICA L’evoluzione dell’intelligenza artificiale, quale si può prevedere già adesso, è semplicemente esplosiva. Spariranno prima i lavori di routine. Ma questo non è il futuro. E’ già oggi. Entro il 2040 i software faranno la metà dei nostri compiti. Nel 2060, tutto. Tra qualche anno questo articolo verrà scritto da un robot. Non è solo un mio problema: l’intelligenza artificiale sarà a breve in grado di fare qualsiasi tipo di lavoro. Anche il vostro. Molto presto. Il World Economic Forum ha previsto che entro due anni cinque milioni di posti saranno andati in fumo nel mondo occidentale. Mentre entro il 2030 la metà dei lavori di routine (dalla commessa di un negozio, all’impiegato di banca, al conducente di bus e così via), non avrà più bisogno di umani. Nel 2040 spariranno altri mestieri: chirurghi, scrittori, ingegneri, operai edili, avvocati, giudici, operai edili, agenti di polizia…). Nel 2060 l’intelligenza artificiale sarà in grado di svolgere qualsiasi tipo di attività. Sarà l’anno zero. Nel frattempo, in questo passaggio, e nell’attesa che si realizzi un nuovo tipo di società (evidentemente non più basata sul lavoro), sarà una apocalisse di disoccupazione. Sarà inevitabilmente un passaggio traumatico, assai più doloroso e definitivo della rivoluzione industriale. Eppure, il dibattito politico – in Italia soprattutto – ignora la questione. In fondo, che ci frega: è il futuro, conta il presente. Il problema è che gli effetti della IA sono già qui. Il resto è dietro l’angolo. Anzi, c’è chi si spinge anche oltre. Kai Fu Lee, ex dirigente di Microsoft e Google e importante investitore in start up di IA, pensa che in dieci anni sarà sostituito dai software il 50 per cento dei lavori umani. Dieci anni… Una corsa folle: chi vince prende tutto Direte: è fantascienza. Vi sbagliate. L’evoluzione degli ultimi anni è stata impressionante. E gli investimenti per l’intelligenza artificiale sono aumentati in modo esponenziale. In prima linea Stati Uniti (tutta la Silicon Valley) e la Cina (in primis il governo), hanno stanziato centinaia di miliardi. L’Unione Europea conta di investire nei prossimi anni trenta miliardi. La sola Francia tre. L’Italia zero. E Putin ha dichiarato: . E infatti, chi arriva primo o più avanti, vince il banco. Un business da 6mila miliardi di dollari, tre volte il Pil italiano. A proposito di reti neurali e apprendimento automatico: in un interessante articolo il collettivo americano Mother Jones spiega gli stupefacenti progressi di questa tecnologia. Lo riassumiamo e semplifichiamo per i profani (noi per primi). Molti di voi avranno usato in questi anni Google traduttore. Fino a pochi mesi fa le traduzioni erano infarcite da frasi senza senso. Bisognava tradurre il traduttore. Provate ora: sono al limite della perfezione. Il motivo? L’intelligenza artificiale. Ma cosa è accaduto? Per anni l’hardware ha seguito una curva di crescita precisa: potenza ed efficienza sono raddoppiate ogni due anni. I recenti miglioramenti nello sviluppo di algoritmi software ha reso questa evoluzione esplosiva. Nei primi 70 anni dell’era digitale siamo passati da un software per la contabilità a uno capace di prenotare treni, aerei e monitorare le condizioni atmosferiche. Ma tutto questo, rapportato alle capacità di un cervello umano era davvero poca cosa. Nel 2025, inizieremo però a vedere progressi consistenti. Nel 2035 le macchine avranno la capacità di un quinto del nostro cervello. E dopo un decennio la corsa sarà finita. Il salto di qualità nella corsa all’intelligenza artificiale è arrivato qualche anno fa, con le reti neurali artificiali e l’apprendimento automatico. Un altro esempio, per capirci: nei primi computer che hanno battuto a scacchi maestri come Kasparov e Fisher venivano inserite le strategie di migliaia e migliaia di partite diverse. In base a quelle poi affrontavano gli umani. Con l’apprendimento automatico i nuovi software giocano da soli, per giorni, elaborando schemi, tattiche e partite. E diventano molto più forti e lo fanno molto più in fretta dei loro predecessori. Ora applicate questo schema su tutto e avrete un piccolo squarcio sulle possibilità di evoluzione dell’intelligenza artificiale. Molto più radicale della rivoluzione industriale Molti esperti continuano a sostenere che le evoluzioni della tecnologia hanno sempre portato una riduzione dei posti di lavoro per crearne subito dopo molti di più, migliorando le condizioni di tutti. Sarà vero, ma quello che preoccupa è la fase di passaggio: questi trenta, quaranta anni di “apocalisse occupazione”. Cosa accadrà, come verrà gestita? E inoltre, l’affermazione non è del tutto esatta. Con la rivoluzione industriale i treni hanno sostituito i cavalli, i telai i tessitori a mano, e così via. Ma poi c’è sempre stato bisogno dell’uomo, che con quelle macchine ha solo incrementato la capacità produttiva e il benessere. Invece in questo caso l’intelligenza artificiale sostituirà del tutto l’attività umana. I software saranno più efficienti, instancabili, non pretenderanno stipendi e diritti sindacali e non commetteranno errori (o comunque saranno meno fallibili degli uomini). La soluzione possibile è il reddito universale, che in pratica non modifica il nostro lavoro, lo esclude del tutto. Una rivoluzione che impone un completo ripensamento dello stato sociale, della nostra etica, della nostra completa esistenza. E che ripropone un tema sollevato, ma in una versione completamente antistorica, in questa campagna elettorale: il reddito universale (e non di cittadinanza). E non a caso proprio i più importanti capitalisti di questi anni, i colossi della tecnologia della Silicon Valley, sono i più grandi sostenitori del reddito universale. Sanno bene, evidentemente, che il contraccolpo delle loro innovazioni avrà come vittime tutti noi, loro consumatori. Ci sembra che il tema sia di una rilevanza assoluta. Eppure la nostra classe dirigente si spacca su articolo 18, Jobs act, Legge Fornero (tutta roba presto archeologica), ma non ha la minima visione del futuro prossimo, che riguarda noi, i nostri figli, le future generazioni. Quello che preoccupa non è solo l’assenza di una qualsiasi discussione pubblica su questi temi, ma il sospetto che la questione venga del tutto trascurata. E non per scelta, ma per ignoranza. Fonte: nuovatlantide.org SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia …

DIRITTI UMANI E GUERRA

di Franco Astengo | In un momento di grande smarrimento generale sul piano etico, culturale e politico può valer la pena cercare di suscitare attenzione verso il settantesimo anniversario della Dichiarazione Universale dei diritti umani adottata dalle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948. In questi giorni si sono moltiplicate le celebrazioni e gli interventi su questo tema ma pare essere stato posto in secondo piano il senso critico con il quale ci si dovrebbe confrontare con questa ricorrenza notando che: 1) Appare in sicuro ribasso (proprio per dirla con un eufemismo) proprio il ruolo delle Nazioni Unite, ormai ridotte a pallida comparsa in una fase in cui le idee universalistiche appaiono dimenticate e si sta ricomponendo con violenza il primato della geopolitica con tutti i rischi che ben si possono prevedere e ricordando come la guerra sia rimasta comunque presente ininterrottamente sulla scena della storia ; 2) Si rileva una evidente discrasia tra alcune delle proposizioni che sono espresse nella dichiarazione e la mancata applicazione di norme adeguate sul piano legislativo nei vari Paesi . Non pensiamo soltanto a quelli giudicati come governati da regimi illiberali senza dimenticare che siamo giunti al punto di teorizzare la “democrazia illiberale”. Non solo gli USA stanno tenendo atteggiamenti ostili, ma anche Cina e Russia, alcuni membri dell’Organizzazione per la cooperazione islamica, l’Arabia Saudita, alcuni paesi dell’Unione africana e nell’Unione Europea a Polonia, Austria, Ungheria si sta aggiungendo anche l’Italia dopo l’approvazione della cosiddetta “legge sicurezza”. Nel nostro Paese si è anche riaperto, in negativo, il dibattito sul reato di tortura la cui regolamentazione legislativa era arrivata a compimento soltanto nel 2017. L’Italia, ricordiamolo è anche il paese di Genova G8 2001; 3) Emergono, nel quadro generale, le limitazioni nel campo delle libertà pubbliche dalle norme antiterrorismo e il totale mancato rispetto dei diritti dei migranti; 4) Si mantengono ancora in quasi tutti i campi evidenti disparità nel rapporto tra donna e uomo nonostante che il preambolo della dichiarazione sancisca definitivamente l’uguaglianza tra i sessi. 5) A questo va aggiunto che l’incipiente crescita economica nei cosiddetti paesi del terzo mondo ha dissodato le società contadine portando a 244 milioni i migranti internazionali nel 2018. Il 3,3% della popolazione mondiale risiede in un paese diverso da quello in cui è nata, per la maggior parte priva dei diritti elementari. Tornando alla Dichiarazione appaiono di particolare interesse gli articoli dal 4 al 21, dedicati ai diritti civili e politici, divieto della schiavitù (vedi migranti raccoglitori nel Sud Italia ad esempio), della tortura (caso Cucchi), di ogni trattamento inumano e degradante (Abu Grahib, Guantanamo), diritto di ciascuno ad avere una personalità giuridica e una cittadinanza, a non essere detenuto arbitrariamente (Cile, Argentina, Grecia, Turchia, Spagna come esempi nel corso del tempo), a un processo equo davanti a un tribunale indipendente e imparziale. Questa parte della dichiarazione stabilisce anche il diritto di cercare asilo fuori dal proprio Paese: l’Italia recepì questo punto attraverso l’articolo 10 della Costituzione, oggi violato dal già citato “decreto sicurezza”. Gli articoli dal 22 al 27 sono dedicati, invece, ai diritti economici, sociali e culturali: se pensiamo, sotto quest’aspetto, alle condizioni materiali di vita e di lavoro nella quale versa la maggior parte della popolazione mondiale non possiamo che constatare il clamoroso fallimento della Dichiarazione. Soprattutto però sono mancati i due presupposti fondamentali per poter sviluppare una strategia di adempimento del quadro di diritti enunciato nella Dichiarazione: 1) Il primo punto si colloca attorno al tema dell’uguaglianza posto sul piano delle dinamiche economico- sociali. Se si scindono le due questioni, dei diritti e dell’eguaglianza, si rischia di cadere, come spesso accade, in un’astrattezza indeterminata che finisce con il giustificare il perpetuarsi dell’ingiustizia e dello sfruttamento. 2) Il tema della guerra è rimasto all’ordine del giorno dell’agenda internazionale nel corso di questi anni e adesso si presente come punto dirimenti di una situazione quanto mai delicata a livello planetario. La spesa militare mondiale nel 2017 ha raggiunto il nuovo record di 1.739 miliardi di dollari, il 2,3% del PIL mondiale. Le grandi potenze sono in prima fila a mostrare i muscoli con parate e proclami che vent’anni fa sarebbero sembrati parte di un romanzo su di un futuro distopico. In questo 2018 la Russia ha schierato 300.000 uomini in una esercitazione militare che è risultata la più imponente dal 1981,dai tempi cioè della “dottrina Breznev”, ed era l’URSS. XI Jinping chiede alle forze armate cinesi di “essere in grado di vincere qualsiasi guerra”. Attraverso la PESCO l’Unione Europea chiede di “aumentare periodicamente e in termini reali i bilanci per la difesa”. Gli USA stanno ragionando su testate nucleari a basso potenziale: un’arma della potenza pari alla metà di quella sganciata su Nagasaki che fece 70 mila morti. Non tira proprio una bella aria, insomma, se la prima economia del mondo s’interroga sul come dotarsi di un’arma “estrema ma credibile” com’è stato definito un ordigno capace da solo di massacrare 35.000 persone. E’ quello della guerra il vero nodo scorsoio al quale è impiccata qualsiasi possibilità di strategia dei diritti. In conclusione l’elenco dei teatri di guerra presenti nel pianeta: (Aggiornato dall’autore rispetto a quello pubblicato da warnews.it e da hiik.de) Aceh Aceh è una provincia autonoma dell’Indonesia, situata nell’estremità settentrionale dell’isola di Sumatra. Dal 1976 è teatro di una guerra tra i ribelli del Movimento Aceh Libero (GAM) e l’esercito indonesiano. I morti, secondo le fonti più accreditate, sono almeno 12mila ma altre fonti parlano di 50mila, o addirittura 90mila. Afghanistan Osama Bin Laden è stato giudicato il responsabile degli attentati dell’11 settembre 2001 contro le Twin Towers e il Pentagono. La reazione degli USA e dei loro alleati è stata di abbattere il regime del Mullah Omar e dei Talebani, accusati di nascondere Bin Laden. Nonostante la morte del leader talebano, il conflitto procede da 17 anni, e i morti sono più di 110.000, la maggior parte dei quali civili. A oggi metà della popolazione afghana vive sotto il controllo dei talebani oppure in un’area contesa al governo di Kabul dagli estremisti islamici. …

A MILANO LA PRIMA BIBLIOTECA STORICA SOCIALISTA

Dopo quasi dieci anni la Biblioteca storica di Critica Sociale sta per vedere la luce nella sede del Centro Internazionale di Brera, l’ex Canonica della Chiesa di San Carpoforo risalente all’800 d.C. I lavori di recupero e manutenzione sono stati approvati dagli uffici del Comune di Milano e avranno inizio tra pochi giorni, già prima di Natale. Si tratta di un successo particolarmente significativo, di tenacia e di autofinanziamento. Ma soprattutto è un succcesso il poter realizzare una Biblioteca socialista nel cuore di Milano, inserita nel circuito Bibliotecario pubblico. Una Biblioteca unica in Italia che custodisce le matrici dell’identità socialista, quali la Critica Sociale e l’Avanti!, sia in collezioni cartacee che digitali, il fondo dell’archivio Matteotti-Magno, scritti editi ed inediti di Giuseppe Mazzini, opuscoli della prima propaganda socialista garibaldina, e migliaia di volumi dagli anni ’20 alla fine del ‘900. Vale la pena dare un’occhiata al carosello di immagini dei documenti linkati, per rendersi conto dell’ambizioso progetto in gestazione dal 2010 e oggi finalmente giunto nella sua fase esecutiva. L’inaugurazione al pubblico è prevista per il prossimo Primo Maggio 2019. Fonte: criticasociale.net SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it