di Ugo Fedeli |
La Storia dell’USI dal 1912 al 1922
Essa viene subito, per importanza dopo la Confederazione Generale del Lavoro. La sua creazione avviene per opera di quelle stesse forze che si erano trovate all’opposizione al congresso costitutivo della Confederazione del Lavoro. Erano le forze proletarie che :
“intendevano salvare e sorreggere l’autonomia del sindacato. Autonomia minacciata d’essere travolta dal nuovo dispotismo politicantistico”.
Nel 1906, quando si tenne a Milano il Congresso della Resistenza e ne uscì la Confederazione Generale del Lavoro, uno dei punti più controversi fu quello che doveva stabilire i rapporti fra le Camere del Lavoro, le Federazioni di Mestiere e il nuovo organismo. Al Congresso di Milano, i relatori e i sostenitori della tesi della creazione della Confederazione del Lavoro, organo centrale e centralizzatore, furono gli operai Verzi e Rossi, sostenuti da Quaglino e Reina.
L’opposizione sindacalista a quel Congresso era capeggiata da Branconi, ferroviere, segretario dell’organizzazione dei ferrovieri del “Riscatto Ferroviario”.
I rivoluzionari sindacalisti, posti in minoranza, abbandonarono il Congresso e si riunirono a parte costituendo un gruppo di minoranza. Nominato un Comitato di 5 membri per il disbrigo delle funzioni di collegamento, affidarono al ferroviere Branconi e all’organizzatrice Ines Oddone Bitelli il compito di compilare un numero unico dove fossero esposti i loro punti di vista, le loro direttive e tutte le ragioni a sostegno delle loro tesi e posizioni..
Questo gruppo di minoranza – che, dopo il congresso che si terrà a Parma nel 1907, prenderà il nome di “Comitato d’Azione diretta”- aveva fra i suoi aderenti anche Alceste De Ambris, già segretario della Camera del Lavoro di Parma e provincia, che diverrà uno degli agitatori più in vista e quotati della futura Unione Sindacale Italiana.
L’iniziativa di riunire a Congresso tutte le forze dissenzienti della Confederazione del Lavoro, verrà appunto dalla Camera del Lavoro di Parma e Provincia che, in data 23 ottobre 1907, diramava la seguente circolare:
“Il Congresso Provinciale delle Organizzazioni Operaie del parmense – presenti le rappresentanze di 458 Leghe con più di 31 mila iscritti e le rappresentanze delle Camere del Lavoro di Ferrara (40 mila iscritti) e di Piacenza (12 mila iscritti) – deliberava nella sua seduta del 20 corrente di sospendere ogni adesione alla Confederazione Generale del Lavoro in seguito all’atteggiamento da questa assunto, incaricando, in pari tempo, la sottoscritta Commissione di convocare subito un Convegno delle Organizzazioni che non convengono coll’attuale indirizzo della Confederazione, per deliberare d’accordo il da farsi.
Ben sapendo che voi dividete in proposito le nostre idee, vi comunichiamo che la C.E. di questa Camera del Lavoro ha deciso d’indire il Convegno sopraccennato per il giorno 3 novembre p.v. invitandovi a parteciparvi con almeno un vostro rappresentante.
Non abbiamo bisogno di dirvi quale e quanta necessità vi sia d’intenderci sulla vitalissima questione che forma oggetto del Convegno. Essa interessa tutto il proletariato italiano ed è divenuta oramai di attualità urgente, dopo la riunione di Firenze – nella quale si negava ogni autonomia alle organizzazioni – e dopo il tradimento compiuto dalla Confederazione a danno dei Ferrovieri .
Crediamo superfluo ogni incitamento: se non volete perpetuare uno stato di cose indecoroso e dannoso per tutti dovete aderire al Convegno da noi indetto e fare qualunque sacrificio per parteciparvi.
Attendiamo ad ogni modo una immediata risposta. Saluti fraterni”.
Il Convegno di Parma
Il 3 Novembre 1907 ha luogo il Convegno di Parma nel grande salone della Camera del Lavoro. Il numero dei soci rappresentati ammonta a 201.168. Vi sono rappresentate 16 Camere del Lavoro: Parma, Ferrara, Piacenza, Brescia, Savona, Spezia, Ancona, Bologna, Vicenza, Gallarate, Piombino, Empoli, Sestri Ponente, Como, Cesena; 2 Sindacati e Federazioni: Sindacati Ferrovieri Italiani e Federazione lavoranti delle Pelli; 19 Leghe e Sezioni di Mestiere di Torino, Roma, Alessandria, Imola, Salviola, Venegono Inf., Milano, ecc. e 16 altre organizzazioni.
Il problema centrale della discussione riguarda i “rapporti colla Confederazione del Lavoro”.
Aprendo il Convegno il leader sindacalista Alceste De Ambris sottolineerà che il tradimento della Confederazione del Lavoro nella nota questione dei ferrovieri (adesione dei ferrovieri allo sciopero generale proclamato a Milano dopo l’eccidio di Ponte Pietrasanta, e l’abbandono, da parte della Confederazione del Lavoro, dei ferrovieri alle rappresaglie governative) fu il fatto occasionale che indusse la Camera del Lavoro di Parma a convocare il congresso, ma le ragioni profonde che contribuirono a decidere i sindacalisti a prendere l’iniziativa, stavano nella decisione adottata in un Convegno tenuto a Firenze fra la Confederazione Generale del Lavoro e i rappresentanti del Partito Socialista, che, esautorando le organizzazioni locali, togliendo ad esse qualsiasi autonomia ai propri movimenti, ed avocandone l’iniziativa e la direzione, le subordinava agli interessi elettorali del Partito Socialista.
Queste ragioni bastavano per richiedere una presa di posizione netta e precisa da parte di tutto il movimento operaio.
Nella sua relazione il De Ambris, dopo aver sottolineato la lotta impegnativa che la Camera del Lavoro di Parma aveva sostenuto nel 1907 e che si riassumeva in 34 scioperi di categoria, uno sciopero generale agrario ed uno sciopero di protesta, “tutti vittoriosi, non una eccettuata”, diceva:
“Cosa sarebbe avvenuto se la Confederazione avesse dovuto prendere l’iniziativa o dare il nulla osta a tali agitazioni? Si sarebbe sicuramente verificato l’identico caso dei ferrovieri,
Devesi incominciare coll’affermare la completa autonomia delle organizzazioni sindacali da qualsiasi partito politico, e che alle organizzazioni locali sia riservata la più ampia libertà d’azione e non devesi mai permettere che pochi uomini le facciano da padroni legiferando e disponendo a loro talento della volontà del proletariato. Perciò, data l’attuale situazione della Confederazione del Lavoro, si deve vedere se sia più utile l’entrata in massa nella Confederazione per trasformarla, oppure se si debba creare un nuovo organismo indipendente della Confederazione attuale”.
Nello svolgersi della discussione risulteranno ben evidenti due punti di vista.
1) Quello proponente l’entrata in massa nella Confederazione del Lavoro per riconquistarla,
2) Quello di creare un organismo nuovo.
Un accordo generale non essendo possibile per l’una o l’altra soluzione, con l’intento di mantenere l’accordo fra gli organismi aderenti, il Congresso accettava un compromesso votando la creazione di un “Comitato di Resistenza” che doveva coordinare l’azione dei sindacalisti.
Durante il dibattito, il primo punto di vista, per l’entrata in massa nella Confederazione del Lavoro, sarà sostenuto da Michelino Bianchi e soprattutto da Edmondo Rossoni, che sintetizzerà il suo punto di vista in un ordine del giorno, respinto, che suonava così:
“I rappresentanti di oltre 200.000 organizzati, convenuti a Parma il 3 Novembre 1907 per discutere sull’opera svolta recentemente dalla Confederazione del Lavoro a danno dei ferrovieri, constatato l’asservimento della Confederazione al P.S.I. consacrato nel Convegno di Firenze.
Deliberano che tutte le organizzazioni proletarie entrino in massa nella Confederazione stessa e reclamino al più presto possibile la convocazione di un Congresso Nazionale, nel quale il proletariato decida e stabilisca alfine che i propri organismi di mestiere devono svolgere la propria azione all’infuori e al di sopra di ogni Partito e scuola, ispirandosi a concetti rigidi nella lotta di classe mediante la quale soltanto si potrà arrivare alla completa liberazione dei lavoratori da ogni sfruttamento e parassitismo economico e politico”.
L’altro punto di vista, accettato, che proponeva la creazione di un Comitato di Resistenza, sarà a sua volta riassunto, in un Ordine del giorno concordato Badiali – De Ambris.
In esso si diceva:
“I rappresentanti di oltre 200.000 lavoratori organizzati d’ogni regione d’Italia, convenuti a Parma constatano che l’indirizzo assunto dalla Confederazione Generale del Lavoro non corrisponde in alcun modo all’interesse ed al sentimento del proletariato italiano, poiché i dirigenti di essa con aperta violazione statuaria, ne hanno legate le sorti a quello di un partito politico e pretendono di farne un organismo accentratore, con intenti di conservazione, coartando la libera iniziativa delle organizzazioni aderenti ed impedendo costantemente ogni affermazione di virile volontà collettiva, nella presunzione di dover essi imporre la loro legge alla massa, in luogo di essere gli esponenti ed i coordinatori del pensiero e dell’azione di questa – e perciò – mentre negano risolutamente alla Confederazione Generale del Lavoro, così com’è composta, il diritto di dirsi legittima interprete e rappresentante del proletariato che più volte ha dimostrato di seguire concetti ben diversi cui si ispira la Confederazione:
Riaffermano:
1) Che l’organizzazione operaia deve accogliere nel suo seno quanti intendono combattere la lotta per la sparizione del salariato e del padronato, all’infuori di ogni scuola o partito politico;
2) Che la maggiore autonomia e la più completa libertà d’iniziativa deve essere lasciata alle organizzazioni locali o di categoria per movimenti di resistenza che le riguardano;
3) Che i dirigenti della organizzazione sindacale possono considerarsi soltanto come il Comitato Esecutivo della collettività operaia e non come i legislatori ed i padroni di questa;
4) Che deve essere speciale incarico dei dirigenti coordinare le forze e gli intenti per sanzionare mediante l’azione diretta – culminante in supremi momenti nello sciopero generale- la volontà proletaria sia nella difesa che nella protesta o nella conquista;
Deliberano
di costituire un Comitato Nazionale della Resistenza, con incarico preciso di raggruppare tutte le organizzazioni italiane che – seguendo la direttiva tracciata nel presente ordine del giorno – intendano svolgere, d’accordo, un’azione comune di lotta incessante all’odierno ordinamento capitalistico con tutti quei mezzi – nessuno escluso – che la pratica sindacale ha indicati come efficaci per indebolire ed eliminare la classe e lo stato borghese.
Il Comitato Nazionale della resistenza – la cui composizione verrà determinata dal presente convegno – ha pure l’incarico di attuare praticamente le deliberazioni prese dal convegno stesso, funzionando come organo esecutivo e consultivo per tutte le organizzazioni che ad esso fanno capo”.
Fra la concezione e la tattica sindacale alla quale s’ispirava la Confederazione Generale del Lavoro, e quella dalla quale prendeva le mosse l’Unione Sindacale Italiana, non vi erano semplici vedute tattiche diverse ma era diversa la concezione stessa del sindacato.
Per i sindacalisti:
“Il sindacato era il novello principio direttivo d’una civiltà che non è l’ampliamento n’è l’estensione di quella borghese in cui viviamo, ma di essa è l’esclusione e l’eliminazione – in questo flusso dialettico del suo fatale divenire, si arricchisce di una propria vita, d’un proprio self-governement, e fa esso stesso, insofferente di tutelatrici autorità superiori, la propria politica” e dei suoi moti e metodi di azione.
E per conoscere i compiti e le funzioni spettanti al Comitato Nazionale della Resistenza e per potervi scorgere i punti di eventuale contrasto e di differenziazione dei compiti e delle funzioni spettanti al Comitato Centrale della Confederazione del Lavoro ci è indispensabile conoscere lo Statuto/regolamento che ne ordinava il suo funzionamento. In esso si stabiliva:
1) “Il Comitato Nazionale della Resistenza si compone di una Giunta esecutiva di 3 membri scelti fra gli organizzati nella Camera del Lavoro di Bologna e di un Consiglio con un rappresentante per ognuno delle Camere di Piacenza, Parma, Ferrara ed Ancona, più un rappresentante del Sindacato dei ferrovieri quando e dove questo aderisca ufficialmente.
2) E’ suo mandato di dar corso a quanto venne deciso dal convegno di Parma (3 novembre 1907) preparando per l’epoca che le organizzazioni aderenti interpellate per referendum riterranno più opportuno un Congresso Nazionale della Resistenza fra tutte le organizzazioni d’Italia.
Il Congresso ove se ne presenti la necessità -potrà essere convocato d’urgenza d’iniziativa del Comitato.
3) Per il suo funzionamento le organizzazioni aderenti contribuiscono con una quota fissa di centesimi uno per ogni iscritto e per semestre. La prima quota dovrà essere versata entro il corrente mese di novembre e sarà ritenuta saldo dell’anno 1907.
4) La sede del Comitato Nazionale della Resistenza è Bologna”.
Il susseguente congresso sindacalista si terrà a Bologna nel 1910.
In questa occasione esso assume una importanza ed una caratteristica particolare. Si potrebbe dire che i Congressi che si tengono siano due, tanto gli scopi che il tono del dibattito sono diversi. Uno sarà di esponenti teorici del sindacalismo, tratterrà di questioni d’ordine teorico e polemico, ed attualmente si direbbe “ad alto livello”. Alle discussioni parteciperanno personalità come Enrico Leone ed Arturo Labriola. Il secondo sarà un Congresso di attivisti, di militanti del movimento operaio e dedicherà i suoi lavori alla soluzione dei problemi pratici e tattici della lotta sindacale.
Terminata la riunione dei “teorici”, ebbe inizio quella degli organizzatori sindacali, dei rappresentanti di leghe e di Camere del Lavoro.
Il loro compito era di precisare gli scopi ed i compiti pratici del nuovo Comitato, che in seguito alle nuove deliberazioni del Congresso si trasformava da Comitato Nazionale dell’azione diretta in Comitato della Resistenza, un secondo passo verso la costituzione di un vero e proprio organismo sindacale a carattere nazionale.
Scopo ed azione di questo secondo Comitato è di coordinare le forze sindacali rivoluzionarie aderenti alla Confederazione e di collegarle con le organizzazioni rimaste indipendenti.
Dalle esposizioni “teoriche” e dalle impostazioni pratiche dell’azione, risultavano talmente diverse le concezioni sull’attività sindacale e sulle funzione ed i compiti stessi spettanti al sindacato da parte delle tendenze prevalenti nella Confederazione Generale del Lavoro e quelle dei sindacalisti del Comitato d’Azione Diretta perché si potesse, come qualcuno proponeva, entrare nella Confederazione Generale del Lavoro ed andare avanti sulla via delle lotte in una efficiente coabitazione in un unico organismo, delle due forze sindacali.
Infatti prevalse la seconda soluzione. Passarono però altri due anni di lotte famose per il Comitato di Resistenza e per le Camere del Lavoro sindacaliste ad esso aderenti, prima che un organismo sindacalista a carattere nazionale sorga.
Nel 1908 ha luogo un grandioso sciopero a Parma. Seguono gli scioperi agricoli nelle provincie di Ferrara, Modena, Piacenza, Bologna, e nelle Puglie. Quello degli operai metallurgici di Milano e Torino.
Il Comitato di Resistenza organizza grandi manifestazioni contro le imprese coloniali e la guerra libica.
In occasione della guerra per la conquista della Libia, avviene una prima frattura nel movimento sindacalista tra i “teorici” del sindacalismo, sostenenti la legittimità delle guerre coloniali, e le masse raccolte nelle organizzazioni sindacali che le combattevano. I teorici sindacalisti più noti, Arturo Labriola e Paolo Orano ed altri ancora, rinnegando tutte le premesse antimilitariste, si trovarono tra i sostenitori dell’impresa libica.
Arriviamo così al 1912 ed al Congresso di tutte le organizzazioni operaie aderenti al “Comitato della Resistenza” convocato a Modena.
Il Congresso Costitutivo dell’Unione Sindacale Italiana (Modena 23-24-25 Novembre 1912)
Sono presenti 154 congressisti della Confederazione del Lavoro.
Su questa questione sono sempre fronte a fronte due punti di vista diversi:
1) Uno è contrario all’approfondimento della scissione ed è per la entrata in messa nella Confederazione per conquistarla dall’interno continuandovi l’opera di propaganda d’idee e di tattica sindacalista.
Questa tesi sarà sostenuta dal rappresentante della Camera del lavoro di Gallarate e di Ferrara e dai delegati Ines Oddone Bitelli, Furio Pace, Barano e Paolo Campi.
2) L’altro punto di vista sarà sostenuto soprattutto dal fratello di Alceste De Ambris (che non sarà presente a questo Congresso perché profugo in Svizzera, in seguito ad una condanna riportata per lo sciopero di Parma, così come al Congresso mancherà anche l’altro organizzatore di primo piano, Armando Borghi, a sua volta profugo in Francia per una condanna riportata per la pubblicazione di un articolo antimilitarista) Amilcare de Ambris, rappresentante della Camera del Lavoro di Mirandola, Filippo Corridoni, Nencini, Pagani, Attilio Sassi, Alberto Meschi, Gregorio, Guberti, De Dominicis.
Il De Ambris ed i suoi partidari sostenevano la necessità della creazione di un nuovo organismo nazionale che rappresentasse tute le organizzazioni operaie di tendenza sindacalista rivoluzionaria.
Ines Oddone Bitelli ed il suo Gruppo erano contrari alla creazione di due centrali operaie, perché questo avrebbe portato a pericolose lotte interne, lotte e contrasti che inevitabilmente sarebbero sorte fra i lavoratori dei due diversi organismi.
Polemizzando con i suoi avversari, essa sosteneva che, se i sindacalisti avessero creata una nuova centrale sindacale, domani avrebbero potuto crearla i repubblicani e gli anarchici, con quanto danno, non è il caso di dimostrarlo. Proponeva quindi di riconfermare al Comitato il carattere di coordinatore della minoranza sindacalista in seno alla Confederazione.
Di promuovere l’entrata nella Confederazione stessa di tutte le organizzazioni che si trovavano fuori.
D’impegnare gli organizzatori sindacalisti a dimostrare sul terreno pratico la supremazia del sindacato, vero strumento della lotta di classe rispetto al sindacato riformista.
Amilcare De Ambris sosteneva invece l’impossibilità di fare un lavoro efficace sul terreno rivoluzionario, restando e entrando nelle fila della Confederazione del Lavoro. Tullio Masotti, altro sostenitore della tesi scissionista, sosteneva che la Confederazione del Lavoro era nata da un inganno, e per i rivoluzionari, essendosi lasciati giocare, non era più possibile riparare quel primo errore se non con la scissione. L’Ordine del giorno conclusivo proponente una nuova centrale sindacale suonava così:
“Il Congresso Nazionale dell’Azione Diretta, riafferma anzitutto il principio dell’Unità operaia necessaria al proletariato per completare le sue conquiste e conseguire i suoi destini;
Rileva che la Confederazione Generale del Lavoro, come non ha saputo fin qui realizzare l’Unità, si dimostra evidentemente incapace di realizzarla nel futuro per la sua tendenza sempre più spiccata a diventare un vero e proprio partito parlamentare, chiuso ed esclusivista, tanto da negare alle organizzazioni che non vogliono accettare senza discussione i dogmi politici e sindacali imposti da quella minoranza che fortuito caso e non senza traccia di frode si è impossessata di essa;
Ritiene superfluo e improduttivamente dilatorio in base all’esperienza degli ultimi anni insistere ancora nella risoluzione adottata al Governo sindacale tenuto a Bologna il 12 Dicembre 1910 (nel quale venne deliberato un tentativo unitario con l’entrata nella Confederazione delle forze sindacaliste; tentativo che i riformisti impedirono, rifiutando l’adesione alla Confederazione del Lavoro della Camera del Lavoro di Parma, e di altre) risoluzione resa inutile dal contegno della Confederazione Generale del Lavoro che ha rifiutato – con settario abuso mal mascherato da cavilli procedurali – l’adesione delle più notevoli e meglio organizzate forze sindacaliste; riconosce che un vero organismo di unità Operaia non può esistere in Italia se non si ispira ai principi dell’indifferenza di fronte a tutte le confessioni religiose, della neutralità di fronte a tutti i partiti politici, e dell’autonomia sindacale;
Delibera quindi;
in omaggio a questi criteri di dar vita ad un nuovo organismo nel quale d’accordo con tutte le forze operaie organizzate – estranee alla Confederazione Generale del Lavoro – sia possibile realizzare seriamente la realizzazione dell’Unità Proletaria Italiana, sulle indicate basi dell’aconfessionalismo, dell’apoliticismo di partito e dell’autonomismo sindacale.
Il Congresso fa però invito alle organizzazioni che accettano quest’ordine di idee di aderire senz’altro al nuovo Istituto Unitario lasciandole libere di tenere verso gli organismi nazionali esistenti quell’atteggiamento che crederanno più conveniente ai fini della conservazione dell’unità locale”.
Messe ai voti le due mozioni, Bitelli e De Ambris, risultarono a:
DE AMBRIS voti 42.114
BITELLI voti 28.856
Astenuti voti 6.253
Era così nata l’Unione Sindacale Italiana.
Come sua sede fu scelta Parma e a suo organo ufficiale il periodico “L’Internazionale” pubblicato per qualche tempo dal Comitato della Resistenza, poi dalla Camera del Lavoro di Parma.
Comitato Centrale dell’U.S.I.
Il suo Comitato Centrale risultò composto da:
Amilcare De Ambris
C .del L. di Mirandola
Tullio Masotti
C. del L. di Parma
Giovanni Bitelli
C. del L. di Ferrara
Fulvio Zocchi
C. del L. di Bologna
Filippo Corridoni
C. del L. di Bologna
Alberto Meschi
C. del L. di Carrara
Giuseppe Di Vittorio
C. del L. di Cerignola
Riccardo Sacconi
C. del L. di Piombino
Cesare Rossi
C. del L. di Piacenza
Livio Ciardi
C. del L. di Milano
Agostino Gregori
C. del L. di Ferrara
Assirto Pacchioni
C. del L. di Genova
Vittorio Brogi
C. del L. di Torino
A proposito del pericolo di una guerra, venne accettato dal Congresso un ordine del giorno presentato da Filippo Corridoni che affermava:
“Il Congresso delle organizzazioni operaie rivoluzionarie, in vista della oscura situazione internazionale che presenta la minacciosa probabilità d’una conflagrazione europea;
- Richiama il proletariato al dovere di opporsi ad ogni costo e con tutti i mezzi al fratricida macello cui lo si vorrebbe mandare in omaggio ad interessi che riguardano soltanto la classe nemica;
- Invita i sindacati aderenti a promuovere manifestazioni pubbliche e a prestare il loro concorso a tutti quei movimenti nazionali ed internazionali che fossero per sorgere, accentuandone il carattere in senso risolutamente rivoluzionario;
- Dà mandato al Comitato Centrale di prendere le iniziative ed i provvedimenti che le circostanze consiglieranno qualora la minaccia di una conflagrazione europea dovesse diventare più concreta ed imminente”.
Nella sua relazione Amilcare De Ambris aveva enunciati alcun punti programmatici del nuovo organismo che è necessario conoscere. Egli affermava tra l’altro;
“Non è soltanto una questione di metodo che ci divide dai riformisti. Il diverso metodo è determinato dal fatto che essi mirano ad uno scopo diverso.
Noi vogliamo lo sviluppo integrale, completo, autonomo del sindacato operaio fino a farne l’elemento costitutivo principale e l’organo direttivo della nuova società dei produttori liberi ed eguali per la quale combattiamo. Essi intendono che il sindacato non abbia da essere che uno strumento per i miglioramenti parziali ed illusori, che la classe operaia può ottenere dalla benevolenza della classe padronale e dall’intervento statale, che dalla propria forza rivolta ad una audace conquista. La vera trasformazione sociale – essi intendono – che debba essere compiuta nello Stato e dallo Stato, con una serie di misure legislative e con una estensione sempre crescente dei poteri dello Stato che dovrebbe arrivare a sostituirsi al capitalismo privato, avocando a se la dirigenza di tutta la produzione, di tutto lo scambio, nonché la distribuzione della ricchezza.
Quale punto di contatto vi è fra questa concezione statolatra ed autoritaria del divenire sociale, e la concezione sindacalista antistatale e libertaria? Nessuna.
Noi andiamo dunque, per opposta via, ad una meta opposta a quella dei riformisti. Noi vogliamo annullare il potere oppressivo della Stato; essi vogliono moltiplicarlo, fino a farne il regolatore supremo di tutta la vita sociale.
Noi miriamo alla conquista dell’autonomia e della libertà integrale dei gruppi produttori e dell’individuo in seno a questi gruppi; essi mirano ad instaurare la più terribile tirannia che abbia visto il mondo”.
Principi che saranno poi ribaditi nella parte programmatica dello Statuto accettato, che fra l’altro dice:
“Non è superfluo ricordare che – da quando l’organizzazione operaia ha preso un’importanza preponderante nel movimento sociale – si sono tosto manifestati due modi essenzialmente diversi per intendere l’azione sindacale. Ciò ha prodotto per logica conseguenza il crearsi di due forme diverse d’organizzazione ed il sorgere, in pratica, di due sindacalismi: il sindacalismo riformista ed il sindacalismo rivoluzionario”
Quali fossero le caratteristiche dell’uno e dell’altro, noi qui accenneremo solo a grandissimi punti, seguendo quanto alcuni oratori sono andati esprimendo durante i loro interventi congressuali:
“Il sindacalismo-riformista-politicante, accentratore, burocratico, pacifista, adoratore delle grosse casse produce naturalmente una organizzazione senza iniziativa, snervata, egoista, corporativista, divisa e sfiduciata nelle sue forze, illusa di ottenere dal gioco dei partiti quel che non sa strappare con la propria energia. Questo nella pratica del presente. Ma è lecito prevedere un altro danno pel futuro, poiché se con una simile organizzazione si arrivasse a trasformare la società, noi non avremmo quella società di liberi ed eguali ch’è il nostro sogno radioso; ma una società ancor composta da servi. Con la sola differenza che in luogo degli attuali padroni, il proletariato avrebbe sul collo una oligarchia di funzionari sindacali e di politicanti con l’etichetta sindacalista.”
Il sindacalismo rivoluzionario:
“che vuole abilitare il proletariato ad aver fede solo nelle proprie forze, e non attendere nessun benefizio all’infuori della sua azione direttamente esplicata. Così si toglie implicitamente al lavoratore il feticismo legislativo e si mette il sindacato in condizioni di neutralità tra i partiti politici, che gli sono estranei del tutto, non esclusi quelli che si dicono socialisti. Il proletariato deve sapere che tanto avrà quanto saprà conquistare e che non può e no deve chiedere a chicchessia se non alla sua volontà ed alla sua unione (….).”
Ancora e per riassumere: “Il sindacalismo rivoluzionario antipoliticante, decentratore, autonomista, libertario, non burocratico, combattivo, non idolatra dei mezzi finanziari, forma nel presente un’organizzazione ricca di iniziativa, vigile, audace, con un forte sentimento di classe, fiduciosa delle proprie forze, senza illusioni parlamentaristiche; e pel futuro prepara l’avvento di una società in cui non vi siano nuovi padroni in sostituzione degli attuali; ma una uguaglianza, una libertà che non siano soltanto parole vuote di significato; ma realtà concrete.”
A sottolineare ancora più quelli che erano principii informativi della nuova organizzazione, nel 1913, l’Unione Sindacale lanciava ai lavoratori di tutta Italia un manifesto nel quale si diceva:
“E’ una vecchia gloriosa bandiera quella che risolleviamo. Essa copre l’opera paziente della preparazione e si spiega nelle audacie sante alla rivolta, il suo drappo si tinge col sangue dei martiri e non si sbiadirà nei languidi colori della pace sociale. Vessillo di speranza e di battaglia. All’ombra sua si raccolgono solo i forti cui non impaurisce il sacrificio, i combattenti che sanno affrontare la lotta con gioia.
E’ l’insegna della I° Internazionale, quella che risolleviamo compagni!
Quanti sentono la vergogna dello avvenimento presente, quanti nutrono ancora fede nei destini del proletariato, vengano con noi, in questo esercito di liberi che vuol muovere verso le rosse aurore della Rivoluzione Sociale.
Viva l’organizzazione operaia!
Viva l’Unione Sindacale Italiana!
L’Unione Sindacale Italiana assunse presto grande importanza, soprattutto in alcuni centri agricoli riuscendo ad ingaggiare lotte veramente colossali e più di una volta – prima della guerra del 1914 – a realizzare scioperi generali in tutta Italia paralizzanti il paese per diversi giorni.
Nel corso del 1913 vennero sostenuti nuovi scioperi agricoli nel Ferrarese e nelle Puglie, lo sciopero generale dei metallurgici e dei gasisti a Milano. A Carrara, in seguito alla serrata delle Cave da parte degli industriali, i lavoratori del marmo si trovarono impegnati in una dura e lunga lotta, dalla quale uscirono vittoriosi. Nel frattempo vennero create nuove Sezioni a Sestri Ponente, a Bari, a Cerignola, Rovigo, Mantova, Cremona, ecc.
Verso la fine del 1913 ha luogo il secondo Congresso dell’U.S.I.
Il II° Congresso dell’Unione Sindacale Italiana (Milano 4 -5 – 6 – 7 Dicembre 1913)
Il Congresso si apre nel salone dell’Arte Moderna sito in via Campo Lodigiano. Sono presenti 191 Congressisti rappresentanti 1003 Leghe e 98.037 organizzati. Leghe ed organizzati così ripartiti:
Città | Leghe | Iscritti |
Parma | 345 | 20.055 |
Milano | 28 | 17.367 |
Bologna | 177 | 10.316 |
Modena | 92 | 9.640 |
Carrara | 43 | 8.400 |
Vi sono rappresentate inoltre molte Camere del Lavoro con i rispettivi Segretari:
Piacenza – Giuseppe Sartini
Piombino – Riccardo Sacconi
Minervino Murge – Giuseppe Di Vittorio
Carrara – Alberto Meschi
Parma – Alceste De Ambris
e molte altre.
Vi era inoltre rappresentata l’Unione Sindacale Milanese con Filippo Corridoni, Gaetano Gervasio ed altri compagni. Per le organizzazioni della Liguria era presente Antonio Negro.
Fra gli argomenti importanti all’ordine del giorno vi è quello riguardante il metodo dello sciopero generale, relatore Armando Borghi. La lunga relazione fu riassunta, dopo un vasto dibattito, in una risoluzione presentata dallo stesso Borghi, nella quale si affermava che:
“lo sciopero generale è uno dei mezzi più efficaci di difesa e di conquista per i lavoratori, miranti alla vittoria definitiva della classe lavoratrice con l’espropriazione della classe capitalistica”.
Un altro problema discusso è quello riguardante l’antimilitarismo, problema sempre di primo piano in ogni Congresso. in una risoluzione riassuntiva si afferma che tutte “le organizzazioni aderenti sono permeate di un rigido spirito antimilitarista ed antipatriottico, e che anche in questo campo è necessario esercitare energicamente la missione antistatale del proletariato.”
Infine si decideva di trasferire la Sede dell’U.S.I. a Milano, dove era sorta da qualche tempo una importante e molto combattiva Unione.
L’impostazione rivoluzionaria della famosa “settimana rossa” del giugno 1914 sarà soprattutto opera di questo organismo, che riuscirà a smuovere anche la Confederazione Generale del Lavoro.
La crisi del 1914
Con il 1914 viene la conflagrazione europea e, nonostante le affermazioni antimilitariste formulate nei due precedenti Congressi, diversi degli organizzatori dell’Unione Sindacale si schierano a favore di un intervento anche dell’Italia nel conflitto a fianco della Francia e dell’Inghilterra.
Saranno i fratelli Alceste ed Amilcare De Ambris, Michelino Bianchi, Tullio Masotti, Cesarino Rossi, Edmondo Rossoni, Filippo Corridoni ecc.
Ma la posizione in favore della guerra di questi dirigenti non corrisponderà a quella delle masse. per chiarire la posizione e stabilire la linea di azione dell’organizzazione operaia, per i giorni 13 e 14 Settembre 1914 viene convocata una riunione del Consiglio Generale dell’Organizzazione.
In favore dell’intervento dell’Italia nella guerra parlano Alceste De Ambris, Tullio Masotti, Livio Ciardi ed altri. A loro risponde soprattutto Armando Borghi, rilevando che “dalla guerra avrebbero tratto tutti i vantaggi non già i lavoratori, ma i padroni, la monarchia.”
Borghi si meraviglia che dei rivoluzionari, fino al giorno prima esperti nel denunciare le frodi delle diplomazie e degli Stati, oggi si offrano garanti delle promesse, – il valore delle quali ognuno sapeva – , delle stesse diplomazie e degli stessi Stati.
A conclusione delle discussioni che si erano svolte molto animatamente, è accettato un ordine del giorno presentato dal Segretario della Camera del Lavoro di Carrara, Alberto Meschi, nel quale venivano riaffermati i principii antimilitaristi ed antistatali che dovevano informare il movimento operaio, seguente la direttiva sindacalista:
“Il Consiglio Generale dell’U.S.I. esprime la fiducia che il proletariato di tutti i paesi belligeranti e neutrali sappia ritrovare in se stesso lo spirito di solidarietà di classe e le energie rivoluzionarie per profittare dell’inevitabile indebolimento delle forze statali e della crisi generale derivante dalla guerra stessa per una azione comune intesa a travolgere gli stati borghesi e monarchici che in questa guerra furono per un cinquantennio i coscienti e cinici preparatori. Delibera che gli organi direttivi ed il giornale si uniformino a tali concetti.”
Messi in minoranza, Alceste De Ambris e Tullio Masotti, già segretari, presentarono le loro dimissioni.
A Segretario generale venne nominato Armando Borghi e la Sede dell’U.S.I. trasferita a Bologna. Il giornale “L’Internazionale” cessa di essere l’organo ufficiale dell’U.S.I. per ritornare alle sue vecchie funzioni di settimanale della Camera del Lavoro di Parma. In sua sostituzione, il 17 Aprile 1915, si pubblica a Bologna il nuovo giornale organo ufficiale dell’U.S.I. “Guerra di Classe”
Nell’immediato dopoguerra l’Unione Sindacale Italiana riprende attivamente la sua opera. Si formano Sezioni ed Unioni dappertutto, i suoi militanti prendono parte – e non poche volte ne sono gli animatori – a tutte le grandi agitazioni del momento, ma è solo nel Dicembre del 1919 a Parma che l’U.S.I. riesce a tenere il suo terzo congresso ed il primo del dopoguerra.
Il III° Congresso dell’Unione Sindacale Italiana (Parma 20 – 21 – 22 – 23 Dicembre 1919)
Sono rappresentate le seguenti Camere del Lavoro: Bologna (Mura di Lame), Modena, Piacenza, Sestri Ponente, Samperdarena, Verona, Carrara, Tolmezzo, Piombino, Pisa, Viareggio, Terni, Bari, Cerignola, Minervino Murge.
Sono poi presenti le Unioni Sindacali di Milano, Brescia, Ferrara, Torino, La Spezia, Firenze, il Sindacato Nazionale Metallurgico, il Sindacato Nazionale Minatori, i Marinai di Fano ecc. con un totale di 300.000 organizzati.
Diversi sono i problemi in discussione. Tra i più importanti quello riguardante i “Consigli di Fabbrica”.
L’eco dei Consigli Operai (Soviet) di Russia, Germania ed Ungheria, aveva avuto grande risonanza tra le masse operaie nei grandi centri industriali d’Italia, soprattutto a Torino. Il relatore su questo problema era un operaio torinese Ennio Matta che faceva parte dei Comitati di Studio creati a Torino attorno al giornale comunista “Ordine Nuovo”. A conclusione della vasta discussione viene accettata la seguente risoluzione:
“Il Congresso dichiara tutta la sua simpatia ed incoraggiamento a quelle iniziative proletarie, come i Consigli di Fabbrica, che tendono a trasferire nella massa operaia tutte le facoltà d’iniziativa rivoluzionaria e ricostruttiva della vita sociale, mettendo però in guardia i lavoratori da ogni possibile deviazione per la escamotage riformista contro la natura rivoluzionaria di tali iniziative, contrariamente anche alle intenzioni avanguardiste della parte migliore del proletariato.
Invita questa parte del proletariato specialmente a considerare la necessità di preparazione delle forze di attacco classista-rivoluzionario, senza di che non sarebbe mai possibile l’assunzione della gestione sociale da parte del proletariato.”
La posizione dell’organizzazione di fronte alla situazione generale ed agli avvenimenti rivoluzionari di Russia in particolare, sarà precisata in una dichiarazione riassuntiva, nella quale si dichiarava:
“Il Congresso dell’U.S.I. saluta ogni passo in avanti del proletariato e delle forze politiche verso la concezione del socialismo negante ogni capacità negativa e ricostruttiva alla istituzione storica tipica della democrazia borghese che è il Parlamento, cuore dello Stato.
Considera la concezione Sovietistica della ricostruzione sociale antitetica dello Stato e dichiara che ogni sovrapposizione alla autonomia e libera funzione dei Soviet di tutta la classe produttrice, va considerata dal proletariato come un attentato allo sviluppo della rivoluzione ed alla attuazione dell’eguaglianza nella libertà.”
Il Congresso riconfermava a suo Segretario generale Armando Borghi ed a sua collaboratrice la poetessa Virgilia D’Andrea, ed a dirigente del Sindacato Nazionale Metallurgico verrà chiamato Alibrando Giovannetti. La Sede dell’U.S.I. sarà trasferita a Milano, dove vi rimarrà fino a quando le orde fasciste la distruggeranno.
L’occupazione delle fabbriche
Il 1919 ed il 1920 sono gli anni che, per le agitazioni prodottesi in tutto il paese, caratterizzarono il tormentato periodo del primo dopoguerra.
Le lotte operaie tese a portare ad aumenti salariali ed a migliori condizioni generali e di vita, non sono mai facili. I vecchi metodi si presentano come armi spuntate; per riuscire ad ottenere qualche risultato si deve ricorrere a metodi sino ad allora non applicati su larga scala; sono l’ostruzionismo e l’occupazione delle fabbriche da parte degli operai. Uno dei primi episodi di occupazione di fabbrica l’avremo in Liguria, a Sestri Ponente.
Dopo un certo periodo di ostruzionismo, il 16 Febbraio 1920 i metalmeccanici di Sestri Ponente occupano le loro fabbriche, ed in seguito per solidarietà con questi lavoratori, l’agitazione si estende ai metallurgici di Cornigliano (Genova) che a loro volta occupano le fabbriche.
L’occupazione dura pochi giorni, dal 16 al 20 Febbraio, ma l’esperimento dei metallurgici aderenti all’Unione Sindacale ha grandi effetti morali.
Qualche mese dopo sono gli operai piemontesi delle fabbriche tessili di Torino Pellice e di Ponte Canavese, poi vengono gli operai di Napoli che occupano le officine metallurgiche di Miani e Silvestri.
Quando gli operai metallurgici di tutta Italia vorranno evitare una disfatta certa delle loro agitazioni ingaggiate in campo nazionale per il rinnovo del contratto di lavoro, nell’agosto 1920, dovranno occupare tutte le fabbriche.
L’agitazione dei metallurgici d’Italia si trascinava già da qualche tempo quando il 21 Agosto 1920 la F.I.O.M. ed il Sindacato Nazionale dei Metallurgici aderente all’Unione Sindacale Italiana dichiaravano l’inizio della lotta ostruzionistica in tutte le officine meccaniche, metallurgiche e nei cantieri navali. Passarono alcune settimane senza grandi risultati.
Di fronte al pericolo che il prolungarsi dell’ostruzionismo venga ad affievolire lo spirito di lotta degli operai, il Sindacato metallurgico aderente all’U.S.I. (segretario Alibrando Giovannetti) lancia un “Appello alle maestranze”, mettendole in guardia del pericolo che correva la riuscita dell’agitazione. Esso diceva:
“A noi è sembrato non adeguato alla gravità del momento ed alla formidabile resistenza padronale questa forma di lotta che può prolungarsi all’infinito, stancare le masse, affievolire il loro spirito combattivo, esautorare le loro energie senza però colpire la classe industriale in modo decisivo. L’ostruzionismo può anche indurre gli industriali alla pronta repressione con la serrata generale o parziale, che rende più difficile la presa di possesso delle officine da parte dei lavoratori quando ad essi verrà impedito l’accesso con la forza pubblica concentrata nei punti voluti del padronato”…….
“…..Potremmo attendere ancora qualche giorno l’esito dell’esperimentato ostruzionismo, non oltre. la lotta deve essere, secondo noi, di breve durata e che seriamente e gravemente colpisca nei suoi interessi la classe padronale….”
“La presa di possesso delle fabbriche da parte dei lavoratori deve compiersi simultaneamente e con prontezza, prima ancora di essere cacciati con la serrata, e difenderla poi con tutti i mezzi e con tutte le forze di cui dispone il proletariato organizzato”.
“….Noi siamo decisi a fare entrare nella lizza anche i lavoratori delle altre industrie e dell’agricoltura. Alle altre organizzazioni, quindi, il dovere di prendere posizione, di tenersi pronte all’attacco coll’arma al piede.”
In una riunione tenutasi a Sestri il 29 Luglio veniva approvato il seguente ordine del giorno, sempre a proposito dell’agitazione metallurgica:
“considerato che lo sciopero non è attuabile nelle contingenze attuali di fronte all’atteggiamento degli industriali che hanno interesse ad esautorare le energie proletarie; che l’ostruzionismo incontra diverse difficoltà pratiche;
Considerato che per fronteggiare energicamente e con prontezza la resistenza padronale si debba ricorrere ad ogni mezzo e soprattutto alla simultanea e generale invasione delle fabbriche da parte degli operai”.
I pericoli indicati nell’appello dell’U.S.I. erano facili previsioni. Infatti, la mattina del lunedì 31 Agosto, le officine Alfa-Romeo di Milano chiudevano i battenti e facevano occupare lo stabilimento dalla forza pubblica.
Da questo episodio ha inizio la famosa occupazione delle fabbriche del Settembre 1920.
Il Comitato Esecutivo dell’U.S.I. nella sua Relazione Morale presentata al Congresso Nazionale che terrà a Roma nel Marzo 1922, a proposito dell’occupazione della fabbrica, precisa il suo punto di vista e la sua posizione.
“La partecipazione attiva, febbrile dell’U.S.I. nella epica battaglia metallurgica, come corpo di avanguardia rivoluzionaria, è nota al proletariato d’Italia ed anche all’estero.
Sono conosciuti pure i primi atteggiamenti irriducibilmente classisti ed intransigenti sia durante le discussioni preliminari come nel corso della prima fase della lotta.
In merito alla famosa pregiudiziale sulle condizioni dell’industria, l’U.S.I. fu chiara ed esplicita. Considerato che il “sistema economico vigente, basato, non sugli interessi della collettività umana e produttrice, ma su quelli individuali con esclusione quasi assoluta dei veri produttori – gli operai – è la causa prima dei continui perturbamenti della vita industriale, economica e politica della società, i lavoratori non hanno quindi nessuna responsabilità –delle conseguenze or liete, or funeste di questo ordinamento sociale; non possono tener conto in nessun modo delle condizioni dell’industria monopolizzata e gestita da coloro che considerano gli operai come merce, anziché come uomini che hanno diritto di vivere e di godere il frutto del proprio lavoro.”
E conseguente a queste premesse l’U.S.I. si rifiutò di intervenire alla oziosa e dilatoria discussione sulle condizioni dell’industria, reale o artificiosamente create con dati falsi e con le elucubrazioni degli esponenti le industrie più speculative e bacate d’Italia, come venne poi constatato attraverso gli scandali dell’Ilva, dell’Ansaldo e della Banca di Sconto.
Ma il compito più importante e grave che l’U.S.I. s’impose in quel grandioso movimento fu quello di precederlo e di incanalarlo imprimendogli un carattere quale la situazione eccezionale esigeva di fronte all’aperta e dichiarata posizione di attacco del capitalismo; carattere cioè di vera guerra guerreggiata senza esclusione di colpi e fino alle ultime conseguenze.
L’ultimo Congresso dell’Unione Sindacale Italiana, tenuto prima che il fascismo distruggesse tute le organizzazioni operaie, si tenne a Roma del 1922. Esso assunse importanza perché non si tracciarono solo bilanci retrospettivi, né si rimase ad ammirare il cammino fatto e che cosa si era realizzato, ma si cercava di precisare alcune posizioni ideologiche e tattiche; si riguardavano i rapporti internazionali per vedere se si doveva andare con o contro l’Internazionale Sindacale Rossa creata a Mosca, oppure se si dovevano indirizzare i propri sforzi per la creazione di una nuova Internazionale.
Soprattutto – e questo è il lato particolarmente interessante del Congresso – si prospetta una nuova riorganizzazione di tutto il movimento, colla creazione di una struttura sindacale basata su i Sindacati di Fabbrica.
Il IV° Congresso dell’Unione Sindacale Italiana (Roma 10 – 11 – 12 Marzo 1922)
Il IV° Congresso dell’U.S.I. si tiene con molto ritardo ( tre anni dopo il III°), a causa della situazione eccezionale nella quale si trovavano tutte le organizzazioni operaie in Italia, ma che specialmente ha colpito l’U.S.I. fin da quando nell’Ottobre del 1920 si vide arrestati i dirigenti, il proprio ufficio di segreteria generale, e al suo Consiglio Generale le fu persino impedito di svolgere i suoi lavori, quando era stato convocato a Bologna.
Le Camere del Lavoro e le Unioni Sindacali rappresentate a Roma sono: Andria, Arezzo, Bologna, Bari, Brescia, Carrara, Casteggio, Cerignola, Cesena, Fano, Ferrara, Gazzada, Genova, Imola, Livorno, Lucca, Luzzara, Milano, Minervino Murge, Modena, Napoli, Parma, Piacenza, Piombino, Elba, Maremma, Pisa, Pistoia, Riomaggiore – Genova, Roma (Fascio Sindacale d’Azione Diretta), Sampierdarena, San Giovanni Valdarno, Savona, Santa Sofia, Serravezza, Sestri Ponente, La Spezia, Suzzara, Taranto, Terni, Torino, Vada Ligure, Venezia, Verona, Vicenza, Viareggio.
Vi sono varie questioni importanti in discussione, e la prima a discutersi è quella riguardante i rapporti internazionali: aderire o no all’Internazionale di Mosca.
Vi sono due tendenze, una rappresentata da Nicola Vecchi e Giuseppe Di Vittorio, sostenenti l’adesione, l’altra, da Alibrando Giovannetti, Armando Borghi, Nencini ecc. contrari all’adesione alla Centrale di Mosca, e per una nuova Internazionale sindacale l’A.I.T. (Internazionale Operaia Rivoluzionaria) che da poco era stata creata a Berlino. A conclusione della discussione sono presentate due risoluzioni, una di Nicola Vecchi che dice:
“Il IV° Congresso dell’U.S.I. chiamato a discutere ed a deliberare sulla questione dei rapporti tra U.S.I. e le organizzazioni internazionali: considerato che i deliberati del Congresso Costituente dell’Internazionale Sindacale Rossa tenutosi a mosca nel Luglio dello scorso anno, con cui si stabiliscono i rapporti di collaborazione che debbono intercorrere fra l’Internazionale Sindacale e l’Internazionale Politica, non ledono in alcun modo l’autonomia ed indipendenza dei Sindacati:
che nessuna deliberazione del citato Congresso impedisce che accordi, di volta in volta, possano essere presi con altri partiti politici; delibera di dare la propria adesione all’Internazionale dei Sindacati Rossi.”
Più lungo e circostanziato è quello presentato da Giovannetti, contrario a tale adesione e che a votazione avvenuta raccoglierà la maggioranza.
“Il IV° Congresso dell’U.S.I. premesso che l’U.S.I. ha da molti anni con fede ed entusiasmo spiegato un’attività febbrile per la riorganizzazione delle forze proletarie internazionali sul terreno dell’azione diretta rivoluzionaria ispirandosi alla I° Internazionale dei lavoratori;
Ritenuto che il blocco internazionale di queste forze non si è potuto conseguire per il carattere esclusivamente di partito dato prima alla III° Internazionale, quindi alla Internazionale dei Sindacati Rossi strettamente legata al Partito Comunista ed a questo resa subordinata in tutta la sua attività sindacale e politica;
Richiamandosi ai principi ed ai metodi del sindacalismo rivoluzionario antipoliticante, antiautoritario, antiaccentratore e per l’assoluta autonomia dei sindacati dagli aggruppamenti politici; delibera di subordinare l’adesione dell’Internazionale sindacale alle seguenti condizioni:
1) Azione diretta e rivoluzionaria di classe per l’abolizione del padronato e del salariato;
2) Esclusione assoluta di qualsiasi legame con l’Internazionale Comunista e con qualsiasi altro partito o aggruppamento politico, e completa autonomia ed indipendenza sindacale da questi organismi di parte;
3) Esclusione dall’Internazionale sindacale di quei sindacati o aggruppamenti sindacali maggioritari che aderiscono all’organizzazione gialla di Amsterdam, anche se per tramite di Federazioni professionali;
4) Limitazione dell’attività e della direzione dell’Internazionale sindacale ai problemi e nell’azione di carattere internazionale;
5) Intese eventuali e temporanee con altre organizzazioni sindacali e politiche proletarie potranno essere stabilite volta per volta, per determinate azioni internazionali d’interesse della classe lavoratrice;
da mandato al Comitato Esecutivo di prendere accordi con le organizzazioni sindacaliste di tutto il mondo per organizzare saldamente una internazionale sindacalista, nel caso previsto che l’I.S.R. si rifiuti di accettare le suesposte ed irrevocabili condizioni.”
Un altro problema importantissimo era quello dell’Unità Proletaria. Vi era chi proponeva di sciogliere l’U.S.I. per aderire alla Confederazione Generale del Lavoro, tesi sostenuta dai due neo deputati protesta, Angelo Faggi e Giuseppe Di Vittorio ed altri, che rappresentavano la maggioranza, che come Gaetano Gervasio ammettevano la possibilità solo di accordi di unità temporanea ed a base di direttive classiste e rivoluzionarie. La risoluzione presentata da quest’ultimo diceva:
“Il Congresso dell’U.S.I. ritenuto che l’unità delle forze sindacali proletarie d’Italia non può essere che il risultato di un accordo sincero e spontaneo delle masse lavoratrici organizzate sul terreno della lotta di classe e dell’azione diretta con obiettivi rivoluzionari escludendo ogni intromissione di partiti e gruppi politici ed ogni forma di collaborazione con la classe borghese;
considerato che tutti i passati tentativi di unità proletaria fallirono per l’opposizione sistematica della frazione social-riformista, la quale tende alla sua egemonia sul proletariato per una politica di collaborazione sindacale, parlamentare e governativa, con la classe dominante;
considerato inoltre che nelle condizioni odierne del movimento operaio l’Unione Sindacale Italiana è l’unica organizzazione massima che ha mantenuto inalterate le proprie posizioni classiste e rivoluzionarie; delibera:
1) Che gli eventuali rapporti con la Confederazione Generale del Lavoro e con altri organismi sindacali siano a base di intese per questioni contingenti e per la difesa della libertà e delle conquiste proletarie;
2) Che ogni iniziativa di fusione dei vari organismi sindacali generali potrà essere assecondata informandosi ai criteri su esposti;
3) Che le organizzazioni locali e nazionali (Camere del Lavoro, sindacati professionali o d’industria, ecc.) attualmente autonomi o già facenti parte dell’U.S.I. possono aderire a questa senza altra condizione che l’osservanza del suo statuto e delle decisioni dei suoi congressi.”
Anche un altro problema è largamente discusso. Esso riguarda l’adozione di una nuova struttura organizzativa, basata sui Sindacati di fabbrica. Non era una novità in quanto per la loro affermazione i sindacalisti italiani dell’U.S.I. si battevano già da tempo. Il propugnatore della nuova forma organizzativa era il noto sindacalista Alibrando Giovannetti. Il suo pensiero veniva riassunto in una lunga mozione collegata ad uno schema di ordinamento sindacale di carattere locale (Sindacato di Fabbrica e nazionale, sindacato d’industria). Essa è troppo importante perché non sia presa in considerazione. In essa si diceva:
“Premesso che i lavoratori delle industrie sono costretti nella grande maggioranza ad essere riuniti per necessità di lavoro nella fabbrica o nell’azienda qualunque sia il loro mestiere o professione, la loro categoria e condizione, tutti cooperando ad ottenere un unico genere di produzione:
ritenuto che la struttura della organizzazione sindacale del proletariato debba essere basata sulla fabbrica o azienda e sull’industria affinchè possa rispondere agli scopi immediati di difesa e di conquista proletaria ed ai fini di emancipazione completa della classe lavoratrice dal dominio economico e politico del capitale:
Considerato che tale forma di organizzazione operaia basata sulla fabbrica e sull’industria risponde alle esigenze della vita moderna del lavoro e crea di fatto il nucleo operaio produttore e gestore della fabbrica, che dovrà compiere il processo storico del passaggio della forma capitalistica di produzione a quella sociale dei sindacati di lavoratori attraverso l’espropriazione e la presa di possesso delle fabbriche da parte dei sindacalisti:
Constatato che nelle organizzazioni aderenti all’U.S.I. si è già iniziata da tempo un’opera tendente alla trasformazione delle Leghe professionali in sindacati locali e nazionali d’industria:
Rilevato però che tale compito, per varie e complesse ragioni, non è stato ancora completamente assolto, DELIBERA di impegnare formalmente le Camere del Lavoro e Unioni locali a riorganizzare le leghe ed i sindacati dove non l’hanno ancora fatto, sulle seguenti basi:
a) costituzione del sindacato tra gli operai di ciascuna fabbrica o azienda;
b) aggruppamento locale dei vari sindacati operai di fabbrica, per ciascuna industria;
c) costituzione di un unico sindacato d’industria in quei centri nei quali il numero degli operai di ogni officina o azienda è esiguo;
d) adesione di fatto e di diritto dei sindacati locali all’organizzazione nazionale d’industria conservando l’autonomia dei sindacati medesimi per ogni e qualsiasi attività e per i movimenti che non interessano più industrie diverse o più centri industriali, o che rivestono un carattere generale di classe;
DEMANDA agli organi esecutivi dell’U.S.I. l’incarico di far funzionare quei sindacati Nazionali d’Industria che per ragioni diverse hanno dovuto sospendere la loro attività e di creare gli altri sindacati che raggruppano le forze proletarie d’ogni industria non ancora organizzate nazionalmente:
APPROVA lo schema di organizzazione dei sindacati allegato alla relazione lasciando in piena facoltà delle organizzazioni locali di adottare con quei temperamenti che da esse possono essere reputati necessari.”
In realtà, dopo l’andata al potere dei fascisti, nell’ottobre 1922, le attività sindacali erano difficilissime, e quasi impossibile il semplice riunirsi. L’U.S.I. ebbe quasi subito le sue Sedi e le Camere del Lavoro distrutte, imprigionati o costretti a fuggire all’estero i suoi migliori militanti, essa fu costretta a cessare ogni attività in Italia.
Emigrata anche la sua Segreteria in Francia – come faranno anche alcuni militanti della C.G.L. – cercherà di svolgere all’estero quell’opera che doveva mantenere vivo tra i numerosissimi emigrati il senso della libertà e della dignità dell’uomo, il senso di responsabilità in ogni lavoratore.
Fonte: unionesindacaleitaliana
E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete.