DUE LEGGI DI REVISIONE COSTITUZIONALE

di Felice Besostri |

La maggioranza giallo-verde-nera ha presentato, con firme rappresentative ed autorevoli o, due progetti di legge costituzionale come attuazione del contratto di governo, da qui la loro importanza politica, che si accompagna a quella istituzionale/ordinamentale, poiché riguarda la materia costituzionale:

a) alla Camera la proposta di “Modifica all’articolo 71 della Costituzione in materia di iniziativa legislativa popolare” (A.C. n. 1173);

b) al Senato la proposta di “Modifiche agli articoli 56 e 57 della Costituzione, in materia di composizione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica” (A.S. n. 515).

Il primo merita di essere discusso, il secondo una netta opposizione parlamentare e politica nell’opinione pubblica per quanto sia indottrinata e avvelenata da ostilità alla casta e alla politica: dovrebbero capire che se si riducono i parlamentari, si risparmia, ma il popolo, cui appartiene la sovranità (art. 1.2 Cost.), come corpo elettorale conterà sempre meno, se non potrà scegliersi liberamente e personalmente i parlamentari (art. 48.2 Cost.) in un numero che consenta la rappresentanza del pluralismo politico. Dal Porcellum al Rosatellum, le leggi elettorali incostituzionali con le quali abbiamo eletto quattro legislature consecutive nel 2006 (XV), 2008 (XVI), 20I3 (XVII) e 2018 (XVIII) i parlamentari sono stati nominati, con poca attenzione alla loro qualità da cupole dei partiti, che hanno il monopolio delle candidature ex art. 14 dpr n. 361/1957, malgrado che in violazione dell’art. 49 Cost. non siano libere associazioni di cittadini per determinare democraticamente la politica nazionale, ma, con la scomparsa dei partiti di massa ed ideologici della prima repubblica, ma comitati elettorali al servizio di interessi economici, quando non personali dei loro capi.

La mancata attuazione della Costituzione è sempre all’origine dei mali, cui si vuole porre rimedio con nuove modifiche, che spesso sono la toppa peggiore del buco, per tradurre in italiano un’efficace espressione veneta. La Costituzione vigente prevede all’ «Art. 71 l’iniziativa delle leggi appartiene al Governo, a ciascun membro delle Camere ed agli organi ed enti ai quali sia conferita da legge costituzionale. Il popolo esercita l’iniziativa delle leggi, mediante la proposta, da parte di almeno cinquantamila elettori, di un progetto redatto in articoli». Non ci sarebbe stato bisogno d’altro, se i disegni di legge d’iniziativa popolare fossero stati tempestivamente esaminati, portati nelle Commissioni parlamentari competenti e approvati, emendati o respinti, invece di ammuffire negli archivi.

Tutt’al più disciplinando i tempi con modifiche ai Regolamenti parlamentari, come ha fatto il Senato nella passata legislatura, ma con entrata in vigore da questa, con l’Articolo 74 Disegni di legge d’iniziativa popolare e disegni di legge d’iniziativa dei Consigli regionali del nuovo Regolamento. L’art. 71 Cost. non pone alcun limite di contenuto ai disegni di legge d’iniziativa popolare, che possono essere anche in materia costituzionale ed elettorale e nelle stesse materie sottratte al referendum abrogativo dall’art. 75 Cost., cioè le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali.

Due problemi richiedevano e richiedono interventi su norme della Costituzione l’introduzione di referendum di indirizzo e/o propositivi e i quorum per considerarli approvati. Il nodo è l’art. 75 Cost. che prevede solo il referendum abrogativo al primo comma e al quarto che “La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi”. Il difetto di questo quorum ò che avvantaggia gli oppositori in minoranza perché favorendo l’astensionismo invece che il voto contrari o si sommano ai non partecipanti al voto. Tuttavia era semplice risolvere il problema abbassando il quorum di partecipazione ai votanti alle ultime elezioni, come era previsto dall’art. 15 del ddl costituzionale Renzi Boschi, una delle poche norme che avrebbe potuto essere approvata, ma era uno specchietto per le allodole.

Tuttavia ritengo che la soluzione migliore non sia quella di un emendamento del piddino Ceccanti accettato dalla relatrice 5 stelle di ridurre al 25% degli aventi diritto, meglio la maggioranza assoluta calcolata sui votanti alle ultime elezioni per la Camera dei Deputati. Si tratta di un messaggio il 25% evoca comunque una minoranza, mentre in democrazia vige il principio della maggioranza, di norma e purché il risultato sia conforme a Costituzione.

A mio avviso le norme costituzionali devono poter essere scolpite nel marmo ed essere di principio.

In questo senso per introdurre il referendum propositivo, ma anche quello altrettanto importante di indirizzo di introdurre poche parole nei commi 1 e 2 dell’art. 75 Cost.:

“È indetto referendum popolare di indirizzo e propositivo, nonché per deliberare l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge, quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali.

Non è ammesso il referendum abrogativo per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali.

La diminuzione del numero dei parlamentari a 400 alla Camera e 200 al Senato è ora demagogia pura, per risparmiare i costi della politica è detto nella relazione illustrativa. Se il numero è fatto per risparmiare perché non ridurre i deputati a 200 e i senatori a 100? O perché non abolire il Parlamento? Con quella diminuzione non avremmo i parametri di rapporto tra elettori ed eletti di Germania e Francia i paesi a noi più vicini in Europa come dimensione: basterebbe diminuire i nostri parlamentare del 10% e le loro indennità di un terzo per ottenere lo stesso risparmio, ma un Parlamento più rappresentativo. Ma l’argomento delle indennità ancora tabù: è più semplice prendersela con gli ex parlamentari o i loro coniugi superstiti, persone prive di ogni potere e additate al vituperio collettivo.

Sul ddl costituzionale, che estende la democrazia diretta –Commissione Affari Costituzionali della Camera– introducendo dei limiti alle materie oggetto di referendum propositivo e allo strapotere dei comitati referendari. Vi era una pericolosa contrapposizione tra proponenti e il Parlamento, se osava approvare un testo differente da quello proposto: un referendum praticamente obbligatorio tra due testi dall’esito incerto in assenza di un quorum di partecipazione. Finché non avremo un testo definitivo è inopportuno dare per scontato un esito finale.

In Spagna i testi di legge sono preceduti dai motivos de la ley, in cui sono enunciati gli obiettivi della legge, se questi fossero obbligatori per ogni proposta referendaria, sarebbe semplice per la Corte Costituzionale o la Corte di Cassazione stabilire se gli obiettivi dei proponenti fossero stati traditi e ammettere un referendum su due testi alternativi, come in Svizzera, che era il modello ispiratore della proposta di legge.

E’ un bene che su proposte di revisione costituzionale ci sia un ampio consenso, ma purché, non sembri paradossale, non si raggiungano i 2/3 per evitare la stessa possibilità di un referendum confermativo ex 138 Cost.: l’improvvida approvazione con più dei due terzi delle Camere delle modifiche sull’equilibro  obbligatorio di bilancio, mi ha convinto che il consenso costituzionale è un bene, ma non deve essere eccessivo. A meno che il referendum confermativo non diventi obbligatorio.