NOAM CHOMSKY, LA LISTA DELLE 10 STRATEGIE DELLA MANIPOLAZIONE

Noam Chomsky ha elaborato la lista delle 10 strategie della manipolazione attraverso i mass media. 1 – La strategia della distrazione L’elemento primordiale del controllo sociale  è la strategia della distrazione che consiste nel deviare l’attenzione del pubblico dai problemi importanti e dei cambiamenti decisi dalle élites politiche ed economiche, attraverso la tecnica del diluvio o inondazioni di continue distrazioni e di informazioni insignificanti. La strategia della distrazione è anche indispensabile per impedire al pubblico d’interessarsi alle conoscenze essenziali, nell’area della scienza, l’economia, la psicologia, la neurobiologia e la cibernetica. Mantenere l’Attenzione del pubblico deviata dai veri problemi sociali, imprigionata da temi senza vera importanza. Mantenere il pubblico occupato, occupato, occupato, senza nessun tempo per pensare, di ritorno alla fattoria come gli altri animali (citato nel testo “Armi silenziose per guerre tranquille”). 2 – Creare problemi e poi offrire le soluzioniQuesto metodo è anche chiamato “problema- reazione- soluzione”. Si crea un problema, una “situazione” prevista per causare una certa reazione da parte del pubblico, con lo scopo che sia questo il mandante delle misure che si desiderano far accettare. Ad esempio: lasciare che si dilaghi o si intensifichi la violenza urbana, o organizzare attentati sanguinosi, con lo scopo che il pubblico sia chi richiede le leggi sulla sicurezza e le politiche a discapito della libertà. O anche: creare una crisi economica per far accettare come un male necessario la retrocessione dei diritti sociali e lo smantellamento dei servizi pubblici. 3 – La strategia della gradualità Per far accettare una misura inaccettabile, basta applicarla gradualmente, a contagocce, per anni consecutivi. E’ in questo modo che condizioni socioeconomiche radicalmente nuove (neoliberismo) furono imposte durante i decenni degli anni ‘80 e ‘90: Stato minimo, privatizzazioni, precarietà, flessibilità, disoccupazione in massa, salari che non garantivano più redditi dignitosi, tanti cambiamenti che avrebbero provocato una rivoluzione se fossero state applicate in una sola volta. 4 – La strategia del differire Un altro modo per far accettare una decisione impopolare è quella di presentarla come “dolorosa e necessaria”, ottenendo l’accettazione pubblica, nel momento, per un’applicazione futura. E’ più facile accettare un sacrificio futuro che un sacrificio immediato. Prima, perché lo sforzo non è quello impiegato immediatamente. Secondo, perché il pubblico, la massa, ha sempre la tendenza a sperare ingenuamente che “tutto andrà meglio domani” e che il sacrificio richiesto potrebbe essere evitato. Questo dà più tempo al pubblico per abituarsi all’idea del cambiamento e di accettarlo rassegnato quando arriva il momento. 5 – Rivolgersi al pubblico come ai bambini La maggior parte della pubblicità diretta al gran pubblico, usa discorsi, argomenti, personaggi e una intonazione particolarmente infantile, molte volte vicino alla debolezza, come se lo spettatore fosse una creatura di pochi anni o un deficiente mentale. Quando più si cerca di ingannare lo spettatore più si tende ad usare un tono infantile. Perché? “Se qualcuno si rivolge ad una persona come se avesse 12 anni o meno, allora, in base alla suggestionabilità, lei tenderà, con certa probabilità, ad una risposta o reazione anche sprovvista di senso critico come quella di una persona di 12 anni o meno” (vedere “Armi silenziosi per guerre tranquille”). 6 – Usare l’aspetto emotivo molto più della riflessione Sfruttare l’emozione è una tecnica classica per provocare un corto circuito su un’analisi razionale e, infine, il senso critico dell’individuo. Inoltre, l’uso del registro emotivo permette aprire la porta d’accesso all’inconscio per impiantare o iniettare idee, desideri, paure e timori, compulsioni, o indurre comportamenti. 7 – Mantenere il pubblico nell’ignoranza e nella mediocrità Far si che il pubblico sia incapace di comprendere le tecnologie ed i metodi usati per il suo controllo e la sua schiavitù. “La qualità dell’educazione data alle classi sociali inferiori deve essere la più povera e mediocre possibile, in modo che la distanza dell’ignoranza che pianifica tra le classi inferiori e le classi superiori sia e rimanga impossibile da colmare dalle classi inferiori”. 8 – Stimolare il pubblico ad essere compiacente con la mediocritàSpingere il pubblico a ritenere che è di moda essere stupidi, volgari e ignoranti … 9 – Rafforzare l’auto-colpevolezza Far credere all’individuo che è soltanto lui il colpevole della sua disgrazia, per causa della sua insufficiente intelligenza, delle sue capacità o dei suoi sforzi. Così, invece di ribellarsi contro il sistema economico, l’individuo si auto svaluta e s’incolpa, cosa che crea a sua volta uno stato depressivo, uno dei cui effetti  è l’inibizione della sua azione. E senza azione non c’è rivoluzione! 10 – Conoscere gli individui meglio di quanto loro stessi si conoscono Negli ultimi 50 anni, i rapidi progressi della scienza hanno generato un divario crescente tra le conoscenze del pubblico e quelle possedute e utilizzate dalle élites dominanti. Grazie alla biologia, la neurobiologia, e la psicologia applicata, il “sistema” ha goduto di una conoscenza avanzata dell’essere umano, sia nella sua forma fisica che psichica. Il sistema è riuscito a conoscere meglio l’individuo comune di quanto egli stesso si conosca. Questo significa che, nella maggior parte dei casi, il sistema esercita un controllo maggiore ed un gran potere sugli individui, maggiore di quello che lo stesso individuo esercita su sé stesso. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

GLI SCHERZI DEL POTERE, DALL’ANTIPOLITICA ALLA PARTITOCRAZIA QUALUNQUISTA

di Franco Astengo | Svolto l’apprendistato come forza portante dell’antipolitica basata sul regime del Capo, i candidati scelti attraverso il “like” del web, le espulsioni dei dissidenti in base alla logica di un rispetto assoluto dei “valori” enunciati dalle misteriose fonti di origine del Movimento, i 5 stelle di governo hanno scoperto presto lo “spoil sistems” applicando addirittura con ferocia il criterio dell’appartenenza nelle scelte di sottogoverno a tutti i livelli (appartenenza per la quale comunque non si va tanto per il sottile quanto a precedenti e sotto questo aspetto si notano particolari anche clamorosi soprattutto in RAI). Naturalmente chi li ha preceduti tra “gigli magici” e “cene eleganti” non aveva sicuramente brillato per criteri di competenza e merito (merito: una parola molto difficile da applicare) nelle scelte di questo tipo e non ci troviamo certo nella condizione di rimpiangerne l’operato. In ogni caso il metodo nell’occupazione del potere da parte di questi neo-giacobini da salotto e da balcone ha avuto però fin qui un andamento impressionante: in testa ai desideri naturalmente la RAI, ma nulla è sfuggito dall’ISTAT al Consiglio Superiore di Sanità fino all’Agenzia del Farmaco e quant’altro, così come avevamo già avuto occasione di osservare la formazione immediata di “cerchi magici” nei Comuni dove i 5 stelle si sono trovati nella ventura di amministrare. Naturalmente, in questo clima, è sempre molto facile trovare epigoni dall’illustre curriculum (magari costruito a tavolino) disponibili sul classico “mercato delle vacche”. Ci troviamo quindi dentro ad un pieno ritorno dentro a quella realtà, tanto deprecata, che fu definita come “partitocrazia”. Di seguito si dedica allora a questi neo-puristi della politica la prima definizione di “partitocrazia” apparsa sulla scena della scienza politica italiana; così tanto per ricordare e ripetere, come ci è capitato già di affermare in altre occasioni: “nihil sub sole novum”.  Torniamo a Giuseppe Maranini, sano reazionario e inascoltato profeta dell’avvento del “tiranno senza volto”: la partitocrazia. Nel 1963 Maranini lanciava questo tremendo atto d’accusa: “Senza dubbio la moralità pubblica è infima, l’educazione è pessima. Ma come la moralità e l’educazione possono migliorare, finché operi un sistema politico-amministrativo così caotico e irresponsabile, e dunque tanto diseducativo? Finché nella paralisi della giustizia e nell’assenza di ogni responsabilità politica e amministrativa, proprio gli interessi più solidali e le necessità più moralmente giustificate, debbano affidarsi, per non soccombere, a quella stessa tecnica di ricatto e di intimidazione di cui fa scuola la dominante pirateria politica?”. La partitocrazia è un male antico connaturato al nostro sistema politico al punto da aver accompagnato la vicenda unitaria del nostro Paese. Da quando Ruggero Bonghi, Francesco De Sanctis, Marco Minghetti l’analizzarono nel profondo, nella seconda metà del XIX secolo, la partitocrazia ha convissuto e convive con le istituzioni in modo da essere considerata elemento permanente del paesaggio politico italiano, fino a connotarsi come una sottile forma di totalitarismo, oppressiva e invadente. La partitocrazia è connaturata a una democrazia poco vitale nella quale il cittadino conta sempre meno: una “democratie sans peuple”, Sosteneva Maranini che il problema della lotta alla partitocrazia è da un lato un problema di liberazione dei partiti da elementi inquinanti e, dall’altro, un problema di liberazione dello Stato. Tanto la prima che la seconda, aggiungeva, “sono possibili solo con una radicale revisione delle nostre leggi. Tale revisione può sembrare utopistica e assurda: ma tante tirannie sono cadute, e anche la tirannia partitocratica cadrà”. Ecco dove sbagliava Maranini:  “La partitocrazia cadrà il giorno nel quale tutto il Paese sarà diventato consapevole della natura del male e della sua tragica gravità; cadrà il giorno nel quale tutti sentiranno l’illegittimità di un’autorità fondata solo sulla frode e le rifiuteranno ossequio; cadrà il giorno nel quale ciascuno si renderà conto del rapporto di casualità che intercede fra i mille problemi particolari che angustiano la sua vita privata d’ogni giorno e questa cancrena della vita pubblica. Solo un moto di opinione, d’irresistibile forza, potrà imporre quelle forme legislative che strapperanno il potere dalle mani dei suoi attuali illegittimi detentori (di ogni partito). Ma quel moto sicuramente si produrrà”. Che Maranini avesse  punti di ragione allora come oggi è incontestabile ma sbagliava circa la caduta della partitocrazia. Non aveva però previsto che fosse proprio quel moto apparente che si è presentato in Italia sotto le vesti dell’antipolitica generasse nuova partitocrazia. Una partitocrazia senza parlamento: una vera e propria “beffa storica” , quasi una “frode di massa” quella alimentata dal Movimento 5 stelle, con l’aggiunta di aver messo assieme un meccanismo di  gigantesco “voto di scambio”, al riguardo del quale oggi emergono tutte le difficoltà di concretizzazione con i relativi rischi di ribaltamento nel qualunquismo. In sostanza: un movimento 5 stelle portatore di una inedita forma di “partitocrazia qualunquista”. Il risultato sarà quello del sorgere di una nuova antipolitica oppure si procederà spediti verso l’occupazione totalitaria del potere:logico sbocco di queste situazioni molto simili a ben note vicende sud-americane? Come si concilierà questa “nuova partitocrazia” con la democrazia diretta e idee strampalate come quelle del “referendum propositivo” sarà altra materia da analizzare. Nel frattempo non si può non notare come  ci sia spazio per un’ampia riflessione che probabilmente dovrebbe essere rivolta ancora nella direzione degli studi che aveva portato avanti  Maurice Duverger e dedicati in particolare all’analisi dei sistemi di partito e ancora al rapporto tra i sistemi di partito e i consessi elettivi, così come sarebbe necessario riaffermare (ancora una volta!) i principi portanti della democrazia parlamentare così come contenuti nel testo della Costituzione Repubblicana. Gli gli esiti evidenti della degenerazione dell’antipolitica italiana in una forma partitocratica consentono di rilanciare il tema dell’organizzazione del sistema partendo dal ruolo dei partiti, come soggetti di promozione e selezione della rappresentanza politica perché il rischio che stiamo correndo adesso è davvero quello, già paventato da altri, di un vero e proprio “dissolvimento” del sistema politico italiano. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il …

NON DISOBBEDIENZA CIVILE, MA ADEMPIMENTO DI TUTTI OBBLIGHI LEGALI CHE SI ASSUMONO COL GIURAMENTO COME SINDACO

Testo predisposto dal gruppo di lavoro coordinato dall’avv. Felice Besostri del Coordinamento per la Democrazia Costituzionale e garante di Attuare la Costituzione. In seguito all’entrata in vigore del decreto sicurezza a fronte di disposizioni di sospetta incostituzionalità e contrarietà al senso di solidarietà e umanità, come già il divieto di sbarco di persone salvate in mare, mai formalizzato in provvedimento pubblici e motivati in deroga espressa a vincolanti convenzioni internazionali, alcuni sindaci, in prima linea quelli d Napoli e Palermo hanno manifestato la loro contrarietà. Non poteva essere diversamente avendo giurato in forma pubblica e solenne di osservare lealmente la Costituzione. Con questo testo si da sostegno e argomenti ai Sindaci che ne vogliano seguire l’esempio. Il Sindaco presta giuramento nella prima seduta del Consiglio Comunale davanti al Consiglio ai sensi dell’articolo 50, c. 11, del D.Lgs. 18.08.2000, n. 267 Art. 50. Competenze del sindaco e del presidente della provincia 1. Il sindaco e il presidente della provincia sono gli organi responsabili dell’amministrazione del comune e della provincia. 2. Il sindaco e il presidente della provincia rappresentano l’ente, convocano e presiedono la giunta, nonché il consiglio quando non è previsto il presidente del consiglio, e sovrintendono al funzionamento dei servizi e degli uffici e all’esecuzione degli atti. 3.-10. 11. Il sindaco e il presidente della provincia prestano davanti al consiglio, nella seduta di insediamento, il giuramento di osservare lealmente la Costituzione italiana. 12. [NOTA: La disposizione di legge presenta analogie, anche nella forma cerimoniale con quanto previsto dalla Costituzione per il Presidente della Repubblica “ART. 91.Cost. Il Presidente della Repubblica, prima di assumere le sue funzioni, presta giuramento di fedeltà alla Repubblica e di osservanza della Costituzione dinanzi al Parlamento in seduta comune. La formula completa del giuramento è stabilita di norma nello Statuto Comunale, previsto dall’art. 6 T.U.E.L. approvato con il d.lgs n. 267/2000, cui l’art. 128 Cost. vigente al momento dell’entrata in vigore dava particolare rilievo come legge generale della Repubblica, tanto che come ricorda il T.U.E.L all’art.1 c. “4. Ai sensi dell’articolo 128 della Costituzione le leggi della Repubblica non possono introdurre deroghe al presente testo unico se non mediante espressa modificazione delle sue disposizioni”.[1] Il sindaco è una pubblica funzione, per la quale ex art. 54 Cost. è previsto di prestare giuramento, che detta prescrizioni di carattere generale per i cittadini e per chi esercita pubbliche funzioni, che tutti dovrebbero scolpirsi nel cuore e nella mente: “art. 54. Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge” [2]. Chi non rispetta il giuramento è uno spergiuro, quindi persona capace di venir meno a un giuramento fatto, una persona sleale e pertanto priva di onore. Una delle formule più frequenti è la seguente: “«Giuro di osservare lealmente la Costituzione Italiana, le leggi della Repubblica e l’ordinamento [Statuto] del Comune e dì agire per il bene di tutti i cittadini». Ogni sindaco nell’assumere come ufficiale di governo le decisioni in ordine all’anagrafe faccia in premessa espresso riferimento alla formula di giuramento statutaria come risultante dal processo verbale della prima seduta del Consiglio.  Per esempio a Napoli lo Statuto nel testo approvato dal Consiglio Comunale con deliberazione n. 1 del 16.10.’91 (BURC del. 14.01.’92 – V suppl. al n. 2 del 13.01 e s.m.i- fino alla deliberazione consiliare n. 7 del 20 marzo 2017 con ripubblicazione, per la sola parte modificata, sul BURC n. 51 del 26.06.2017) non prevede una formula Statutaria di giuramento e pertanto nella seduta di insediamento del18 luglio 2016 il Sindaco De Magistris ha dichiarato: “Giuro di essere fedele alla Repubblica e di osservare lealmente la Costituzione italiana.” Nel Comune di Palermo lo Statuto Comunale, che si apre con un Preambolo che definisce la città: “Antica capitale della Sicilia e del Mediterraneo, città d’arte e di cultura, fondata intorno al suo porto, Palermo è da sempre stata punto d’incontro e di scambio fra storie, culture, razze e uomini diversi. Richiamandosi a questa tradizione, gli uomini e le donne di Palermo si riconoscono nel ruolo che lastoria oggi assegna alla loro città, quello di luogo di frontiera fra l’Europa e il Sud del mondo e affermano la loro piena e convinta adesione ai valori della pace e della tolleranza”. Al Titolo I – Principi definisce all’art. 1 Principi fondamentali. 1. Il Comune di Palermo, ente autonomo entro l’unità della Repubblica italiana, ispirandosi ai principi sanciti dalla Costituzione, rappresenta la comunità che vive nel suo territorio, ne tutela i diritti, ne promuove la crescita morale, civile, sociale e culturale, riconoscendosi nei principi di solidarietà, pace, libertà, giustizia ed eguaglianza. Presupposto di una più civile convivenza è l’adempimento dei doveri di solidarietà da parte dei cittadini. 2. Il Comune promuove la piena affermazione dei diritti inviolabili della persona e garantisce uguaglianza di trattamento alle persone e alle formazioni sociali senza distinzione di sesso, età, razza, lingua, fede religiosa e condizione sociale. 3. In conformità a questi principi, il Comune attua specifiche azioni positive volte a rimuovere gliostacoli che impediscano una piena, consapevole e autonoma realizzazione di ogni individuo,rivolgendosi in particolare alle fasce di popolazione più deboli e svantaggiate. 4. Il Comune opera per responsabilizzare tutti i soggetti al rispetto delle leggi. Nello Statuto non si rinviene una formula di giuramento, ma all’art. 2 del Regolamento del Consiglio si specifica che tutti i consiglieri prestano giuramento con la seguente formula “Giuro di adempiere alle mie funzioni con scrupolo e coscienza nell’interesse del Comune e in armonia con gli interessi della Repubblica e della Regione”. Nellaprima adunanza del Consiglio Comunale del giorno 7 Agosto 2017 il Sindaco Leoluca Orlandoha prestato il giuramento di rito di osservare lealmente la Costituzione. In appendice sono riportate le norme essenziali ordinamentali [1] Un articolo che invece di essere rafforzati nel senso che le leggi generali dovessero essere approvate con una maggioranza qualificata, creando così ina categoria intermedia tra le leggi …

STORIA DELL’UNIONE SINDACALE ITALIANA

di Ugo Fedeli | La Storia dell’USI dal 1912 al 1922 Essa viene subito, per importanza dopo la Confederazione Generale del Lavoro. La sua creazione avviene per opera di quelle stesse forze che si erano trovate all’opposizione al congresso costitutivo della Confederazione del Lavoro. Erano le forze proletarie che : “intendevano salvare e sorreggere l’autonomia del sindacato. Autonomia minacciata d’essere travolta dal nuovo dispotismo politicantistico”. Nel 1906, quando si tenne a Milano il Congresso della Resistenza e ne uscì la Confederazione Generale del Lavoro, uno dei punti più controversi fu quello che doveva stabilire i rapporti fra le Camere del Lavoro, le Federazioni di Mestiere e il nuovo organismo. Al Congresso di Milano, i relatori e i sostenitori della tesi della creazione della Confederazione del Lavoro, organo centrale e centralizzatore, furono gli operai Verzi e Rossi, sostenuti da Quaglino e Reina. L’opposizione sindacalista a quel Congresso era capeggiata da Branconi, ferroviere, segretario dell’organizzazione dei ferrovieri del “Riscatto Ferroviario”. I rivoluzionari sindacalisti, posti in minoranza, abbandonarono il Congresso e si riunirono a parte costituendo un gruppo di minoranza. Nominato un Comitato di 5 membri per il disbrigo delle funzioni di collegamento, affidarono al ferroviere Branconi e all’organizzatrice Ines Oddone Bitelli il compito di compilare un numero unico dove fossero esposti i loro punti di vista, le loro direttive e tutte le ragioni a sostegno delle loro tesi e posizioni.. Questo gruppo di minoranza – che, dopo il congresso che si terrà a Parma nel 1907, prenderà il nome di “Comitato d’Azione diretta”- aveva fra i suoi aderenti anche Alceste De Ambris, già segretario della Camera del Lavoro di Parma e provincia, che diverrà uno degli agitatori più in vista e quotati della futura Unione Sindacale Italiana. L’iniziativa di riunire a Congresso tutte le forze dissenzienti della Confederazione del Lavoro, verrà appunto dalla Camera del Lavoro di Parma e Provincia che, in data 23 ottobre 1907, diramava la seguente circolare: “Il Congresso Provinciale delle Organizzazioni Operaie del parmense – presenti le rappresentanze di 458 Leghe con più di 31 mila iscritti e le rappresentanze delle Camere del Lavoro di Ferrara (40 mila iscritti) e di Piacenza (12 mila iscritti) – deliberava nella sua seduta del 20 corrente di sospendere ogni adesione alla Confederazione Generale del Lavoro in seguito all’atteggiamento da questa assunto, incaricando, in pari tempo, la sottoscritta Commissione di convocare subito un Convegno delle Organizzazioni che non convengono coll’attuale indirizzo della Confederazione, per deliberare d’accordo il da farsi. Ben sapendo che voi dividete in proposito le nostre idee, vi comunichiamo che la C.E. di questa Camera del Lavoro ha deciso d’indire il Convegno sopraccennato per il giorno 3 novembre p.v. invitandovi a parteciparvi con almeno un vostro rappresentante. Non abbiamo bisogno di dirvi quale e quanta necessità vi sia d’intenderci sulla vitalissima questione che forma oggetto del Convegno. Essa interessa tutto il proletariato italiano ed è divenuta oramai di attualità urgente, dopo la riunione di Firenze – nella quale si negava ogni autonomia alle organizzazioni – e dopo il tradimento compiuto dalla Confederazione a danno dei Ferrovieri . Crediamo superfluo ogni incitamento: se non volete perpetuare uno stato di cose indecoroso e dannoso per tutti dovete aderire al Convegno da noi indetto e fare qualunque sacrificio per parteciparvi. Attendiamo ad ogni modo una immediata risposta. Saluti fraterni”. Il Convegno di Parma Il 3 Novembre 1907 ha luogo il Convegno di Parma nel grande salone della Camera del Lavoro. Il numero dei soci rappresentati ammonta a 201.168. Vi sono rappresentate 16 Camere del Lavoro: Parma, Ferrara, Piacenza, Brescia, Savona, Spezia, Ancona, Bologna, Vicenza, Gallarate, Piombino, Empoli, Sestri Ponente, Como, Cesena; 2 Sindacati e Federazioni: Sindacati Ferrovieri Italiani e Federazione lavoranti delle Pelli; 19 Leghe e Sezioni di Mestiere di Torino, Roma, Alessandria, Imola, Salviola, Venegono Inf., Milano, ecc. e 16 altre organizzazioni. Il problema centrale della discussione riguarda i “rapporti colla Confederazione del Lavoro”. Aprendo il Convegno il leader sindacalista Alceste De Ambris sottolineerà che il tradimento della Confederazione del Lavoro nella nota questione dei ferrovieri (adesione dei ferrovieri allo sciopero generale proclamato a Milano dopo l’eccidio di Ponte Pietrasanta, e l’abbandono, da parte della Confederazione del Lavoro, dei ferrovieri alle rappresaglie governative) fu il fatto occasionale che indusse la Camera del Lavoro di Parma a convocare il congresso, ma le ragioni profonde che contribuirono a decidere i sindacalisti a prendere l’iniziativa, stavano nella decisione adottata in un Convegno tenuto a Firenze fra la Confederazione Generale del Lavoro e i rappresentanti del Partito Socialista, che, esautorando le organizzazioni locali, togliendo ad esse qualsiasi autonomia ai propri movimenti, ed avocandone l’iniziativa e la direzione, le subordinava agli interessi elettorali del Partito Socialista. Queste ragioni bastavano per richiedere una presa di posizione netta e precisa da parte di tutto il movimento operaio. Nella sua relazione il De Ambris, dopo aver sottolineato la lotta impegnativa che la Camera del Lavoro di Parma aveva sostenuto nel 1907 e che si riassumeva in 34 scioperi di categoria, uno sciopero generale agrario ed uno sciopero di protesta, “tutti vittoriosi, non una eccettuata”, diceva: “Cosa sarebbe avvenuto se la Confederazione avesse dovuto prendere l’iniziativa o dare il nulla osta a tali agitazioni? Si sarebbe sicuramente verificato l’identico caso dei ferrovieri, Devesi incominciare coll’affermare la completa autonomia delle organizzazioni sindacali da qualsiasi partito politico, e che alle organizzazioni locali sia riservata la più ampia libertà d’azione e non devesi mai permettere che pochi uomini le facciano da padroni legiferando e disponendo a loro talento della volontà del proletariato. Perciò, data l’attuale situazione della Confederazione del Lavoro, si deve vedere se sia più utile l’entrata in massa nella Confederazione per trasformarla, oppure se si debba creare un nuovo organismo indipendente della Confederazione attuale”. Nello svolgersi della discussione risulteranno ben evidenti due punti di vista. 1) Quello proponente l’entrata in massa nella Confederazione del Lavoro per riconquistarla, 2) Quello di creare un organismo nuovo. Un accordo generale non essendo possibile per l’una o l’altra soluzione, con l’intento di mantenere l’accordo fra gli organismi aderenti, il Congresso accettava un compromesso votando la …

LEGGE DI BILANCIO 2019: UNO STRALCIO DI SALUTE

di Aldo Ferrara | Già da alcuni anni lo spulcio delle Leggi Finanziarie aveva evidenziato  finanziamenti a Strutture Sanitarie Private come i Policlinici Universitari Privati – in Italia solo il Policlinico A. Gemelli ed il Campus BioMedico- l’Istituto Gaslini di Genova e l’Istituto Bambino Gesù di Roma. I complessivi 87 milioni /anno suggerivano una disparità tra strutture del Sistema Sanitario Nazionale, convenzionate e pagate dal Sistema Sanitario Regionale e strutture private più privilegiate, in pratica per doppio finanziamento come Ente pubblico e come Ente privato. Nel Volume “Quinto Pilastro il tramonto del SSN” edito nel 2016, evidenziammo queste problematiche. Per molto meno, nel 1968  il II Governo Moro di Centro-Sinistra si dovette dimettere per finanziamenti alla Scuola Materna, allora prevalentemente curiale e privata. E così a pag. 141 in avanti del volume si manifestarono dette perplessità: Non mancano altrettante perplessità per alcuni finanziamenti“indirizzati”, a far tempo dalla legge di stabilità del 2014,legge 27 dicembre 2013, n. 147, ad aziende ospedaliere Universitarie. Il Comma 221 indirizza un Finanziamento dell’Istituto Gaslini di Genova (Istituto Pediatrico di Ricovero e cura a carattere Scientifico): Comma 221. Per ciascuno degli anni 2014, 2015 e 2016 è autorizzata la spesa di 2 milioni di euro a favore dell’Istituto Giannina Gaslini di Genova. E il comma 377 si indirizza in favore dei policlinici universitari gestiti direttamente da università non statali di cui all’articolo 8, comma 1, del decreto legislativo 21 dicembre 1999, n. 517, è disposto, a titolo di concorso statale al finanziamento degli oneri connessi allo svolgimento delle attività strumentali necessarie al perseguimento dei fini istituzionali da parte dei soggetti di cui al citato articolo 8, comma 1, il finanziamento di 50 milioni di euro per l’anno 2014 e di 35 milioni di euro annui per ciascuno degli anni dal 2015 al 2024, la cui erogazione é subordinata alla sottoscrizione dei protocolli d’intesa, tra le singole università e la regione interessata, comprensivi della definitiva regolazione condivisa di eventuali contenziosi pregressi. Il riparto del predetto importo tra i policlinici universitari gestiti direttamente da università non statali é stabilito con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della salute. Finanziamento Ospedale pediatrico Bambino Gesù. L’Ospedale pediatrico Bambino Gesù per il 2014 riceve un finanziamento di 30 milioni, in base al comma 378 (legge di stabilità 2014, n. 147 del 27 dicembre 2013) che reitera il finanziamento di 30 mln all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, art. 33, comma 33, della Legge stabilità n.183 del 12 novembre 2011. La genesi di questo finanziamento risale alla Legge Finanziaria 30 dicembre 2004, n. 311, comma 164 con cui lo Stato “… concorre al ripiano dei disavanzi del SSN per gli anni 2001-2-3. A tal fine è autorizzata, a titolo di regolazione debitoria, la spesa di 2.000 milioni di euro per l’anno 2005, di cui 50 milioni di euro finalizzati al ripiano dei disavanzi della regione Lazio per l’anno 2003, derivanti dal finanziamento dell’ospedale “Bambino Gesu”. L’esame del Documento della Legge Finanziaria 2019 (Tab. 1) prevede pochissime righe per la Sanità in appresso documentate. Ora si deduce che, se non vengono esplicitate o riferite cancellazioni, i Capitoli di spesa pregressi vengono, salvo smentita dell’ultima ora o riferimenti ad hoc posti in qualche codicillo, reiterati, come diceva la Finanziaria del 2015, dal 2015 al 2024. Deduco per transitività che anche quest’anno il Governo giallo-verde-nero continuerà a pagare le Istituzioni Private, in larga misura di appartenenza curiale. Se mi sbaglio…mi corriggeerete! e se non mi sbaglio il Premier Conte si è incontrato con il Pontefice vis-a-vis, qualche giorno addietro! Fonte: Aldo Ferrara  Quinto Pilastro, il tramonto del SSN, Bonfirraro, 2016 SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

ODIO IL CAPODANNO! FIRMATO ANTONIO GRAMSCI

Ogni mattino, quando mi risveglio ancora sotto la cappa del cielo, sento che per me è capodanno. Perciò odio questi capodanni a scadenza fissa che fanno della vita e dello spirito umano un’azienda commerciale col suo bravo consuntivo, e il suo bilancio e il preventivo per la nuova gestione. Essi fanno perdere il senso della continuità della vita e dello spirito. Si finisce per credere sul serio che tra anno e anno ci sia una soluzione di continuità e che incominci una novella istoria, e si fanno propositi e ci si pente degli spropositi, ecc. ecc. È un torto in genere delle date. Dicono che la cronologia è l’ossatura della storia; e si può ammettere. Ma bisogna anche ammettere che ci sono quattro o cinque date fondamentali, che ogni persona per bene conserva conficcate nel cervello, che hanno giocato dei brutti tiri alla storia. Sono anch’essi capodanni. Il capodanno della storia romana, o del Medioevo, o dell’età moderna. E sono diventati così invadenti e così fossilizzanti che ci sorprendiamo noi stessi a pensare talvolta che la vita in Italia sia incominciata nel 752, e che il 1490 0 il 1492 siano come montagne che l’umanità ha valicato di colpo ritrovandosi in un nuovo mondo, entrando in una nuova vita. Così la data diventa un ingombro, un parapetto che impedisce di vedere che la storia continua a svolgersi con la stessa linea fondamentale immutata, senza bruschi arresti, come quando al cinematografo si strappa il film e si ha un intervallo di luce abbarbagliante. Perciò odio il capodanno. Voglio che ogni mattino sia per me un capodanno. Ogni giorno voglio fare i conti con me stesso, e rinnovarmi ogni giorno. Nessun giorno preventivato per il riposo. Le soste me le scelgo da me, quando mi sento ubriaco di vita intensa e voglio fare un tuffo nell’animalità per ritrarne nuovo vigore. Nessun travettismo spirituale. Ogni ora della mia vita vorrei fosse nuova, pur riallacciandosi a quelle trascorse. Nessun giorno di tripudio a rime obbligate collettive, da spartire con tutti gli estranei che non mi interessano. Perché hanno tripudiato i nonni dei nostri nonni ecc., dovremmo anche noi sentire il bisogno del tripudio. Tutto ciò stomaca. Aspetto il socialismo anche per questa ragione. Perché scaraventerà nell’immondezzaio tutte queste date che ormai non hanno più nessuna risonanza nel nostro spirito e, se ne creerà delle altre, saranno almeno le nostre, e non quelle che dobbiamo accettare senza beneficio d’inventario dai nostri sciocchissimi antenati. Antonio Gramsci, 1 gennaio 1916, Avanti!, edizione torinese, rubrica Sotto la Mole. Fonte: Internazionale SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

PIETRO NENNI, IL RICORDO DI RINO FORMICA

di Rino Formica | Era il 2 giugno 1960, festa della Repubblica. Si era nel pieno della crisi del Governo Tambroni e Nenni convocò il Comitato centrale del Partito per offrire alla DC una soluzione democratica ai rischi di una drammatica involuzione politica. Fu durante quel Comitato centrale che Raniero Panzieri, il leader teorico del movimentismo, interruppe le conclusioni di Nenni, gli contestò la “malattia del capo” e lo accusò di voler riportare il Psi con il suo revisionismo ideologico, alla situazione pre-1921. Panzieri così si rivolse a Nenni: “Credi tu, compagno Nenni, che l’esperienza della generazione che va da te a Morandi a noi più giovani sia stata inutile?” Nenni così rispose: “No, però la sintesi che cercavamo delle due esperienze, la socialista e la comunista, non l’abbiamo trovata e tra il ’55 e il ’56 abbiamo sbattuto il muso contro le contraddizioni che credevamo di aver risolto”. Nenni attraversò il novecento, il secolo delle ideologie dense ed impietose, nella consapevolezza che i sistemi di idee hanno la forza per offrire delle visioni del mondo, ma non sempre riescono a sanare la rottura tra il dominio del totale ed il rispetto della frantumazione e dell’individuale. Fu così che Nenni accettò i vincoli delle alternative secche imposte dalle ideologie, ma seppe anche riservare all’azione il compito creativo di forzare il corso delle cose al fine di modificare l’equilibrio delle forze in campo. L’ideologia imponeva la rigidità delle parole: padrone (democrazia/dittatura, socialismo/capitalismo, mercato/pianificazione, fascismo/comunismo). Al contrario, l’azione politica manovrata e variabile serviva a ridare forma a ciò che l’ideologia deformava e mutilava. Una lucida ossessione segnò la vita di Nenni: cambiare il quadro istituzionale, mutare gli equilibri sociali, accelerare i tempi del cambiamento con il sostegno creativo del movimento.All’interno di queste coordinate Nenni individuò nel principio di unità il punto non eliminabile per dare concretezza alla lotta politica. Nenni fu unitario per l’intero corso della sua vita. Fu unitario nel ‘21-‘26 quando si battè per l’unità antifascista. Fu unitario nell’emigrazione in Francia quando approdò all’unità tra riformisti e massimalisti. Fu unitario nella sinistra con i Fronti popolari anni ’30. Fu unitario quando negli anni ’60 volle sanare la frattura di Palazzo Barberini per influire sul revisionismo comunista. I processi unitari che Nenni auspicò o fallirono in parte o non produssero gli effetti positivi sperati. A questo tormento Nenni dovette aggiungere il dramma delle lacerazioni socialiste. Le scissioni dei riformisti nel 1923, di Palazzo Barberini del 1947, del PSIUP del 1964 e dell’unificazione nel 1969. Su i processi unitari falliti e sui danni provocati dalle scissioni, le ricerche storiche sono numerose e non sempre serene e veritiere. Nella comunità degli storici del ‘900 politico, ha prevalso la tendenza militante. Essa non poteva non partire che dalla frattura più significante e lacerante del movimento socialista: la separazione nel 1921 a Livorno dei comunisti dai socialisti. Da questo evento comincia una lotta di eliminazione a sinistra che ha conosciuto momenti di tregua (la lotta antifascista, i fronti popolari, le emergenze nazionali) e che è proseguita negli anni della costruzione dello Stato repubblicano sino alla grande slavina degli anni ’90. Come riuscì Nenni a compiere il miracolo di tenere ferma la prospettiva della ricomposizione unitaria della frattura di Livorno senza ammainare la bandiera dell’autonomia di pensiero e di azione del socialismo italiano? Nenni guardava il quadro internazionale e lo proiettava su lo schermo della vita nazionale. In questa contingenza si immergeva in forma totale ma non in maniera definitiva. Restava attento ad ogni mutamento della realtà per poter spostare l’asse della sua attenzione. Angelo Tasca che conosceva la storia umana e politica di Pietro Nenni, così sintetizzò questa espressione di arte e di scienza politica: “Il matrimonio di Nenni con l’ideologia è un matrimonio di stima. Con l’azione è un matrimonio d’amore”. Se Nenni non avesse avuto questa capacità di saper legare il principio di unità alle espressioni di ribelle autonomia, non avrebbe potuto donare alla sua Patria la Repubblica, l’incontro storico di governo tra radicalità socialista e popolarismo cattolico ed una politica estera di pace fuori dalle trappole del pacifismo unilaterale. I primi 25 anni di storia repubblicana coincidono con il ciclo sempre ascendente della vita nazionale. Nell’avanzare della situazione generale del Paese c’è lo spostamento in avanti della frontiera del movimento della sinistra italiana. Il decennio 1959-1969 fu il più felice periodo della Repubblica. Esso fu segnato dall’incontro di Governo fra Moro e Nenni. Fu rotto l’incantesimo del continuismo, della lenta evoluzione e della immodificabilità del carattere nazionale. Si provò che era possibile formare una maggioranza riformista tra cattolici e socialisti; che la politica poteva guidare il processo di secolarizzazione della società e che le forze politiche erano in condizioni di liberare la società civile. Ma cosa soffocò questo processo virtuoso? Certamente le resistenze conservatrici e l’ostilità della sinistra non coinvolta, ma fu il rifiuto delle burocrazie partitiche e sindacali ad utilizzare il vento che soffiava nella società per introdurre dosi rilevanti di revisionismo nel pensiero e nella dottrina dei partiti per operare un profondo rinnovamento generazionale nelle classi dirigenti. Il pensiero vecchio fu rispolverato e la cooptazione dei fedeli sostituirono il rinnovamento radicale. Ma questa è un’altra storia. Per ora ci preme rilevare che l’incontro di due strategie (quella dell’allargamento delle basi popolari dello Stato in Moro, e quella del riscatto sociale delle masse sofferenti di Nenni) fu il momento topico della Repubblica. Solo una ostile storiografia dominante ha coperto di ombre e di polvere il periodo ’59-’69. Nenni con il suo ultimo scritto su Almanacco Socialista il 1 gennaio 1980 aveva ammonito:” L’anno ’80 in cui entriamo e il decennio che con esso si apre saranno decisivi. Tutto è in questione, tutto è posto di fronte all’alternativa di rinnovarsi o di perire”. Non possiamo conoscere il suo severo giudizio sul trentennio che abbiamo vissuto senza la Sua guida, ma riteniamo di non aver tradito la Sua grande lezione umana e politica. Tre sono i punti fermi del Suo insegnamento: 1) L’unità è una immensa risorsa, ma se è unità formale …