LA “TERZA” REPUBBLICA E IL SOCIALISMO DEL III MILLENNIO: COME FARE LA DIFFERENZA

di Giambattista Coltraro* |

La vita che scorre ogni giorno sotto i nostri occhi, ci vede crescere, maturare, cambiare, trasformare: non si ferma, ci avverte invece che comunque vada, sarà domani, si andrà Avanti in un modo o in un altro. In questo nostro tempo, che scivola via più veloce che mai, il modo con cui si procede, però, non è irrilevante: il modo fa la differenza fra stare bene o finire male, salvarci tutti o lasciarci abbandonare, vivere in pace o combattere in guerra, rischiando la morte.

L’esperienza pratica ci dice infatti che, quando si vuole ottenere qualcosa da se stessi o da qualcun altro, perché si ha in testa di raggiungere un obiettivo preciso, un risultato concreto, non è importante soltanto determinare l’oggetto della richiesta, cioè quello che si intende conquistare, ma anche e soprattutto il modo con cui ci si propone, insomma come lo si domanda.

Spesso sentiamo parlare con buon senso di “meriti e bisogni”, come cardini di un sistema democratico, economicamente efficiente e politicamente efficace. Sulla scorta della riflessione di Dworkin, forse sarebbe però il caso di centrare il focus della discussione sul rapporto fra abilità (o talenti) e necessità (o bisogni). 

Il termine merito indica una soluzione a prima vista ragionevole, ma sostanzialmente fuorviante rispetto alla visione complessiva di una società solidale, che non si basa esclusivamente sulla competizione darwiniana, ma che si fa carico di chi è rimasto indietro, degli ultimi e dei più poveri soprattutto.
La logica meritocratica infatti è eminentemente retributiva e quindi conservatrice, disconosce la mera casualità che governa la distribuzione dei talenti e delle opportunità.

Proprio per questi motivi sarebbe maggiormente significativo considerare la virtuosità del talento, del suo riconoscimento, della sua promozione, della sua particolare posizione nell’organizzazione del lavoro, la cui preminenza rispetto alla generalità delle competenze va associata ad una maggiore responsabilità politica, economica e sociale.
Nel cuore di questa premessa pulsa l’anima di una collettività equilibrata, armoniosa e pacifica, che riconosce il valore dell’intelligenza, premia l’impegno, consente lo sviluppo integrale della personalità e perciò si ispira ad un principio di partecipazione alle spese dello Stato antitetico alla flat-tax, perchè retto razionalmente dalla progressività delle imposte sulla base di un’effettiva capacità contributiva.

Il flusso delle notizie che ci travolge costantemente ci avvisa dell’imminente avvento di un mondo altro, denso di trasformazioni e di peggioramenti, una sorta di anticipo dell’altro mondo, cui siamo tutti ineluttabilmente destinati.

Immersi in questa corrente che ci spinge verso l’alto mare, sembra che la pavida cautela dell’indifferenza stia guidando la rotta di una navigazione a vista, incerta se l’approdo più prossimo sarà nel porto chiuso dell’autoritarismo, protetto dalla violenza, dalle forzature e dal silenzio complice del terrore, oppure nel porto sicuro del diritto, sorretto dalla volontà popolare e dalla ragionevolezza delle istituzioni pubbliche.

In tale clima di tempesta che volge alla burrasca si profila all’orizzonte il pericolo di un incontro mostruoso che lega le insidie dei rancori con i movimenti della rabbia, minacciando quell’ordinario svolgersi della vita quotidiana, che ci fa considerare normali molte possibilità acquisite con la fatica del tempo e la stabilità della pace, e altrettante libertà combattute contro il pregiudizio bugiardo e la cattiveria dell’ignoranza.

La realtà dei nostri giorni è una storia che si ripete come quando sotto il ventennio disgraziato del fascismo l’urlo della massa si accordava col culto della nuova casta, fondendo cesarismo e populismo nel gusto vigliacco della crudeltà.

Quando pure il cambiamento non rappresenta che un modo come un altro per nascondere la vergogna del tradimento, quando anche i vaffanculi sembrano vestiti con l’abitino dei paraculi, quando persino gli ebetini hanno lasciato il posto agli abatini del progresso, nuovi don Abbondio di una vecchia religione, ciò che marca la differenza sta nella fedeltà ai valori comuni, alla tradizione dell’impegno, alla terra di uno Stato, che non è una patria di nessuno.

Essere patrioti oggi vuol dire innanzitutto sentirsi fieri perché cittadini della Repubblica e responsabili del nostro futuro collettivo, che poggia la propria base nella partecipazione e nell’adempimento dei doveri inderogabili stabiliti dalla Costituzione sin dal suo art. 2, che ci richiama tutti alla solidarietà nazionale, politica, economica e sociale.

La difesa della nazione, come luogo della nascita e culla dello sviluppo, passa prima di tutto dal contributo indispensabile di ogni suo abitante e quindi dal mantenimento della legalità, di quel valore per cui tanti hanno pagato il prezzo del loro sangue nel contrasto alla criminalità da parte dell’antimafia in tempi recenti, nella lotta partigiana dell’antifascismo e prima ancora nei conflitti per la liberazione dal dominio straniero e l’unificazione del territorio italiano.

Per questo onorare la conquista dell’indipendenza e della sovranità popolare è già patrimonio saldamente condiviso dalle comunità locali e dai singoli, che non hanno messo in dubbio l’esistenza dell’Unità d’Italia, né la sua tutela e protezione, garantita inoltre dall’adesione a organismi internazionali come l’Onu e il Consiglio d’Europa e dal sogno di una possibile Federazione Europea più democratica e attenta ai bisogni dei suoi cittadini.

Di fronte alla concretezza delle difficoltà dei nostri tempi servono perciò risposte più giuste, ossia adeguate a risolvere necessità che sono complesse e delicate da trattare senza abbandonare nessuno nel deserto degli esodati, dei diseredati e dei reietti.

Occorre però allo stesso tempo rimanere consapevoli che queste soluzioni si ottengono con la fatica e le intelligenze già presenti in Italia, che non è una mera espressione geografica ma una realtà vivente e un attore politico che sa stare al pari degli altri sullo scacchiere internazionale, senza bisogno di facili asservimenti all’uno o all’altro leader del momento, ma con tutta la dignità di un Paese libero e di una nazione che è prima di tutto uno Stato di diritto in uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia.

È perciò attraverso una rigorosa applicazione del tenore delle norme, nella piena padronanza del sistema giuridico, che si rafforza e vivifica la natura delle nostre istituzioni, adattandole con sensibilità e tatto alle modificazioni dell’ambiente circostante in una metamorfosi e osmosi continua che muta l’aspetto della loro forma senza stravolgere le ragioni della loro stessa essenza con oscuri e ingannevoli infingimenti.

Così una ricezione dinamica dello spirito costituente, della sua duttilità caratteristica e del respiro della costituzione materiale traduce quotidianamente il metodo democratico della partecipazione secondo le condizioni della sussidiarietà in uno stile di vita, nel modo di essere noi cittadini, liberi e informati, oltre le mode, i miti e le vanità che passano e spesso portano al fallimento.

Il richiamo della coscienza all’autoresponsabilità non veicola dunque un moralistico scivolamento nelle mollezze del paternalismo, quanto piuttosto riconosce l’insostituibile apporto di ciascuno al presidio della libertà, della giustizia e di tutti i diritti fondamentali, esistenti davvero soltanto dentro la cornice della solidarietà e della reciprocità fra tutte le persone con pari dignità sociale.

Non a caso è la mediazione popolare fra cultura della democrazia e senso di umanità il messaggio da diffondere in alternativa ai pericoli delle derive liberticide e delle oligarchie anarchiche, sfuggenti ed occulte.

In questo senso la pratica della trasparenza, unita alla virtù di discorsi sinceri che parlano chiaro alle orecchie della gente, consolida innovando la grammatica della convivenza civile e facilita sostenendolo il progresso nel benessere, nella salute e nella conoscenza.

Nella Rivoluzione digitale, dell’automazione e dell’informatizzazione, una più evoluta competenza sociale, emotiva e razionale si raggiunge a scuola e con la pedagogia dell’amicizia, con una scienza più umana che educa alla comprensione e alla simpatia, utile a migliorare sostanzialmente la nostra qualità di vita e ad alimentare un diffuso sentimento di fiducia, che semplifica e sveltisce gli impegni di tutti i giorni in un clima costruttivo di laboriosità.

Il rispetto della legge si raggiunge infatti con l’educazione civica, che è in primo luogo formazione alla cittadinanza e alla tutela dei propri diritti a partire dal diritto alla vita e al lavoro nell’onestà, senza la paura di dover subire le ansie e le angosce provocate dalla giungla dei soprusi e dei ricatti morali, causa di danni economici e psicologici incalcolabili.

In questa fase di svolta chissà se alle picconate di antica memoria saranno preferibili quei colpi vigorosi che connotano d’efficacia un buon massaggio cardiaco salva-vita!Sta di fatto che il cuore della nostra società sarebbe certamente meno affaticato, se riprendesse il ritmo regolare delle pulsazioni e guidasse le nostre scelte al posto delle crisi di nervi di qualche esasperato.

Il senso della politica, come fondamento della società del convivere, della civiltà del benessere, della comunità di destino e di vita, deve orientare gli indirizzi da assumere per occuparsi del bene comune, dei bisogni delle città, delle esigenze dei cittadini.

Se stare insieme vuol dire preoccuparsi delle necessità degli altri, questa tensione morale per il benessere collettivo deve guidare la rotta dell’azione politica, che è governo della complessità.
Sembra spesso invece che sia considerato preminente perseguire interessi individuali o ristretti.

La giustizia sociale sembra essere impiegata come cosmetico per mascherare l’astiosa vanità di una cerchia vecchia e imbellettata. Ed è anche vero che risulta arduo ridefinire pure i contorni della coscienza di classe, quando nella mente di quattro pensionati di lusso è considerato legittimo sottopagare i giovani lavoratori perché si ritengono ignoranti e non abbastanza qualificati.

Oggi la questione sociale è prima di tutto una condizione generazionale e di contesto familiare, le elezioni ci dicono che di borghesotti imbolsiti, cresciuti nella bambagia, che spiegano quant’è bella la povertà se ne può fare sostanzialmente a meno. Occorre ripensare, progettare e realizzare concretamente un’alternativa all’esistente, se si ha in mente di agganciare il progresso dell’innovazione e della partecipazione per migliorare sensibilmente la qualità di vita delle persone in carne ed ossa.

Costruire ogni giorno legami di vita buona, tessere trame di solidarietà, stabilire reti sociali limpide, sono queste le infrastrutture necessarie, a cui ogni comunità che voglia dirsi civile non può rinunciare.
L’impegno è una passione che non si spegne, la volontà di scommettersi dipende da ciascuno.

Sulla scorta degli insegnamenti di Margaret Mead possiamo coltivare una fondata fiducia nella viralità positiva delle opere buone , “non dubitiamo mai che un piccolo gruppo di individui coscienti ed impegnati possa cambiare il mondo. Ed è proprio questo  ciò che è sempre accaduto”.

Da questa virtuosità procreativa, dalla fecondità spontanea della gente comune bisogna allora ripartire per cogliere le sfide del prossimo decennio che sta per iniziare.

Agli albori degli anni venti occorre riconquistare la capacità di leggere il presente con occhi nuovi, con menti fresche, con volti giovani e appassionati che non temono di incontrare le sfortune della vita, ma che hanno il coraggio di costruire insieme.

Non dalle divisioni ma dalla volontà comune di tornarsi a parlare con parole che ci parlano di noi  può prendere forma e corpo la differenza.Quella differenza che è la cifra distintiva della migliore tradizione politica italiana. Una differenza che non è distanza, distacco e dispersione.

Una differenza che dà spazio alla diversità dei singoli in un racconto collettivo della società, che riconosce nella solidarietà il sussidio e l’aiuto reciproco come amuleto delle sventure e quale pietra angolare della conoscenza e dello sviluppo. Il discorso socialista del III millennio parta da qui e dalle persone, ma non si limiti a questo. E qui sta la vera svolta: chi crede nel valore della democrazia e della politica, non può limitarsi a prospettare ad una società frantumata il sogno della lotteria di una candidatura.

Chi ha a cuore le sorti della Repubblica e del bene comune, conosce le insidie delle soluzioni calate dall’alto e si impegna invece a proteggere quei meccanismi decisionali e quelle procedure necessarie, che sono insostituibili all’interno di un partito sinceramente ispirato al metodo democratico.Non basta raccogliere cittadini sparsi, ma occorre la fatica del riunirsi, l’impegno di ascoltarsi, la volontà di partecipare e progettare, custodire e consolidare una società più giusta e più equa per tutti.

Il socialismo del nuovo millennio può ritrovare nelle ragioni della speranza la via per un altro avvenire dell’Umanità.

Su questo percorso serve incontrarsi a metà strada, predisponendo quelle infrastrutture di persone, utili ai giovani per poter accedere ad un mondo migliore autonomamente e senza debiti di riconoscenza, e necessarie anche per i più esperti, perché padroneggiando i ferri del mestiere possono evitare che di punto in bianco torni a spadronneggiare l’ennesimo apprendista stregone.

Restiamo Umani!

* già VicePresidente Nazionale F.U.C.I.

già Delegato di Assemblea F.N.G.