INFRASTRUTTURE

 

Tutela del territorio

Relativamente ai problemi che sono connessi all’uso ed alla difesa del suolo, complicati in questi ultimi anni da repentini cambiamenti climatici sempre più estremi, si ritiene indispensabile che siano rispettati tutti gli accordi internazionali liberamente assunti dagli Stati, tesi a contenere e contrastare le conseguenti dinamiche negative.

In questo tempo alcune grandi potenze mondiali eludono o minacciano di eludere gli impegni assunti nella difesa del clima e dell’ambiente con i Trattati internazionali approvati, ad iniziare da quello di Parigi.

Si sollecita il Governo ad operare, in cooperazione con le diplomazie degli Stati Europei, perché gli Stati Uniti, la Cina e l’India ritrovino un accordo fondamentale per la salvaguardia del pianeta.

Così come la soluzione internazionale è certamente la base sulla quale costruire la necessaria cooperazione per sostanziare la ricerca scientifica e l’impegno operativo mondiale, è altrettanto opportuno che all’interno dei singoli paesi si attuino rigorose politiche per la manutenzione del territorio che non possono attendere tempi lunghi.

La libera circolazione di uomini e merci, la protezione paesaggistica, la difesa preventiva della sicurezza delle persone, non sono soltanto impegni necessari per sviluppare crescita economica e turistica locale, ma sono parte congruente dei piani mondiali di equilibrio e difesa della natura.

Si manifesta particolare preoccupazione per la crescita esponenziale di fenomeni franosi, smottamenti e crolli che nelle zone montuose e collinari italiane hanno raggiunto livelli critici, dimostrando peraltro una inadeguata legislazione sulle responsabilità dei poteri dello Stato centrale e di quello decentrato sul tema.

Infrastrutture urgenti e proposte

In riferimento al blocco degli investimenti nei Lavori pubblici che dal 2015, in modo particolare, hanno sacrificato la realizzazione di importanti opere quali il nuovo asse ferroviario ad alta velocità Palermo-Catania, l’asse autostradale Roma-Latina, il completamento dell’asse autostradale Cecina-Civitavecchia, dell’asse autostradale Jonico, di quello Orte-Mestre, del completamento dell’asse ad alta velocità Brescia-Verona-Vicenza-Padova, il completamento del Mo.SE a Venezia, tutte opere che o erano già state appaltate o potevano essere appaltate entro un anno, per un importo complessivo di 30 miliardi.

Si esprime il biasimo verso i governi che si sono succeduti motivando il blocco delle attività con l’uso di due distinti strumenti, il nuovo codice degli appalti e il “project review”.

Entrambi gli strumenti con la loro carica demagogica sono serviti a demonizzare le “grandi opere” e a giustificare la coperta stretta del finanziamento pubblico, provocato da misure tanto onerose quanto inefficaci per il contrasto all’impoverimento di una rilevante porzione della popolazione italiana.

L’abbassamento dei livelli di competitività ha provocato disoccupazione e mancata crescita. Nel settore delle costruzioni, che a pieno regime garantisce una crescita del 12% del PIL ed una occupazione di almeno 800.000 unità testimonia, assieme all’invecchiamento delle infrastrutture esistenti anche quello del Paese, che non è più in grado di rispondere alle esigenze del tempo che viviamo.

In questo ambito si è a favore del completamento dei lavori della TAV Torino-Lione, rispettando le leggi (la n° 71 del 2014, la n°1 del 5 gennaio 2017) ed i protocolli europei che sono alla base dei lavori in corso.

Si esprime netta contrarietà ai commi della legge finanziaria n.179 e 180, coi quali si costituisce una nuova tasck force , denominata “InvestItalia”, operante alle dirette dipendenze del Presidente del Consiglio dei ministri, che espropria il Parlamento e diversi dicasteri di poteri esecutivi, finanziari, di proposta e di controllo.

Si chiede l’abrogazione dei due commi e propone l’istituzione del Comitato per la Programmazione Economica dei Trasporti nella quale consentire alla società intermedia, sindacati e organismi datoriali del lavoro, ordini professionali Università di collaborare alla analisi dei progetti e di concludere con le sue osservazioni l’iter consultivo che già oggi viene svolto. L’abolizione del sistema del project review consentirà la definizione di tempi certi per la canterizzazione delle opere.

Si esprime profondo sconcerto perché il Governo che nonostante le sue dichiarazioni non ha ancora provveduto affinché sia annullata la fallace, costosa ed inutile incorporazione dell’Anas nelle ferrovie dello Stato.

Si sostiene la necessità di procedere ad una revisione del sistema legislativo che sovrintende al sistema concessionario autostradale, al fine di realizzare un nuovo sistema coinvolgente il territorio, anche per il rispetto dovuto al titolo V°della Costituzione, l’Anas e le attuali società concessionarie, al fine di non disperdere il patrimonio di esperienza e conoscenza tecnica di tutti i lavoratori delle Concessionarie, rivedere il sistema di tariffe al fine di garantire nuove costruzioni, buona manutenzione e gestione degli apparati produttivi.

N.B. il documento che segue è la base su cui sono state redatte le note pubblicate precedentemente. Si ritiene utile la pubblicazione per favorire una più ampia riflessione in proposito.

Nonostante la grande vitalità e le eccellenti capacità creative individuali ed imprenditoriali l’Italia non è riuscita a saldare le ipoteche contratte nel passato, per sostenere crescita e welfare e sanare endemiche piaghe di illegalità.

La questione infrastrutturale italiana è la cartina al tornasole che evidenzia i punti maggiormente critici del sistema italiano:

-Debole attuazione di riforme strutturali in materia di finanza pubblica e di welfare;

-Pregiudizi ideologici e veti incrociati fra i diversi settori del sistema politico;

-Sistema della Politica trasformata, in cinque lustri, in “classe” sociale riottosa al vaglio elettorale;

-Aumento delle pastoie burocratiche, anche per il continuo indebolimento del sistema amministrativo dello Stato;

-Disfunzioni gestionali di tanta parte degli enti locali che hanno provocato serie difformità territoriali;

-Ambiguità ed oscillazioni della politica estera nonostante una diplomazia nazionale molto apprezzata nella rete mondiale;

-Penalizzazione evidente delle nuove generazioni conseguente all’accrescimento del debito pubblico che ha ridotto le capacità competitive del made in Italy.

Nell’ambito di una crisi che ha assunto contorni caratterizzati da una forte decrescita della quale non si vede la fine; da abbagli continui di possibili boom e di sottovalutazione della situazione reale.

La destra moderata tradizionale ha continuato a fare affidamento su vecchie “rendite di posizione”; la sinistra italiana, gravata dalla triplice crisi del 1992: il tracollo della Lira, la slavina di tangentopoli, il collasso cui fu indotta la prima Repubblica, non ha saputo sfuggire, al pari di altri partiti socialisti europei, alla richiesta presentata dai cambiamenti dei nuovi scenari per la individuazione di nuove strategie socio-economiche.

Non meraviglia la sussistenza di un fenomeno eccentrico e, a fronte di altre parti in Europea, dirompente, come quello di due destre che hanno dato vita a due distinti ed ibridi populismi che, unendosi al Governo, hanno frantumato la mappa geopolitica nazionale, indebolito le regole del sistema parlamentare, posto in discussione la democrazia rappresentativa, base fondante della nostra Costituzione.

La questione infrastrutturale è, dal Risorgimento, la metafora dello stato di salute della nazione. Mai, nel secondo dopoguerra, come a partire dal 2015, è stata persa di vista l’essenzialità delle opere pubbliche nel nostro paese, sia per diminuire la differenza competitiva con le altre nazioni, che è misurata attorno a 60 miliardi l’anno, sia per l’impatto positivo sulla crescita, quantificata -quando ha funzionato un corretto rapporto costruzioni-finanziamento- nel 12% del PIL.

Dal mese di aprile 2015 ad oggi, il comparto delle infrastrutture del nostro Paese ha subito l’inizio di un vero e misurabile blocco negli investimenti infrastrutturali nel nostro Paese.

I cantieri hanno continuato a lavorare soltanto per le opere previste ed inserite nel Programma delle Infrastrutture Strategiche supportate dalla Legge Obiettivo. È stato completato l’asse autostradale Salerno – Reggio Calabria, il tratto ferroviario ad alta velocità Treviglio – Brescia e la tratta Lodi – San Giovanni della Linea C della metropolitana di Roma; sono proseguiti i lavori della Linea M4 della metropolitana di Milano, del tratto ferroviario ad alta velocità Genova – Milano (Terzo Valico dei Giovi) e quelli del nuovo tunnel del Brennero. Sono andati avanti, anche se lentamente, i lavori della Linea Uno della Metropolitana di Napoli e quelli dell’alta velocità Napoli – Bari. Si sono invece fermate tutte le iniziative operative relative ai lavori del nodo di Bari, al nuovo asse ferroviario ad alta velocità Palermo – Catania, al nuovo asse autostradale Roma – Latina (Pontina), al completamento dell’asse autostradale Cecina – Civitavecchia, all’asse autostradale Jonica, all’asse autostradale Orte – Mestre, al completamento dell’asse ad alta velocità Brescia – Verona – Vicenza – Padova, al completamento del Mo.SE a Venezia. Si tratta tutte di opere che o erano già state appaltate o potevano essere appaltate entro massimo un anno ed erano, in particolare, interventi, specialmente quelli bloccati, che avevano un importo globale di oltre 30 miliardi di euro. Questo blocco forzato trova ampia motivazione in due distinti strumenti: il nuovo Codice degli Appalti e il “project review” (cioè rivedere le soluzioni progettuali per non fare). Lo stesso blocco ha arenato i nodi logistici (porti, aeroporti e interporti), infatti – esclusi i circa 600 milioni di lavori avviati e in parte completati nell’aeroporto di Roma Fiumicino- negli altri nodi il valore dei lavori appaltati in questi ultimi quattro anni non ha superato i 500 milioni di euro.

Perché questo masochismo? Alla fine del Governo Gentiloni apparve chiara che la coperta stretta del finanziamento pubblico è stata usata non per coprire gli investimenti ma per distribuire le risorse ai lavoratori dipendenti con reddito complessivo non superiore ai 26 mila euro, per il tramite di un assegno di 80 euro fino al concorso di 11 miliardi, nel frattempo la disoccupazione ha falcidiato un reparto che impiegava annualmente 800.000 unità.

Oggi si dichiara che non lavorando più in questi interventi, che servivano davvero per la crescita del Paese, preferendo alle costruzioni la garanzia della manutenzione delle infrastrutture esistenti, si otterrebbero gli stessi risultati macro economici.

In vero mai, né prima delle Legge Obiettivo, né in vigore di questa, era stata annullata una simile finalità strategica. É però è stato chiarito che una parte del Paese, non necessariamente la più innovativa, sostiene che sia possibile la competitività, che genera lavoro, occupazione con la sola manutenzione, quando invece senza sviluppo il paese invecchia e non è più in grado di rispondere alle esigenze che caratterizzano il tempo presente; immaginiamoci il futuro.

Prendiamo ad esempio la polemica attualmente in essere sul proseguo dei lavori della TAV Torino-Lione.

L’asse ferroviario Torino – Lione, è esplicativo perché l’intervento ha già subito in più occasioni analisi costi benefici, addirittura a scala europea, prima nel 2004 nella definizione del Programma delle Reti Trans European Network (TEN – T) e poi nel 2013 (nel primo aggiornamento sempre delle Reti TEN – T). Rende per lo meno tristi il dover constatare che ancora oggi il Governo sottovaluta tre elementi: l’opera è supportata per il 40% da risorse comunitarie; l’accordo con la Francia è supportato da una Legge (la numero 71 del 2016) e la attuale linea oltre ad avere standard inadeguati è insicura al punto tale che il Governo francese intende chiuderla nei prossimi mesi. Quindi la scelta del nuovo percorso è una scelta obbligata. L’attuale blocco rappresenta solo un grave danno erariale; un danno che prima o poi qualcuno richiederà ai membri dell’attuale Governo.

Continuando con l’esempio eclatante della TAV ripensiamo alle dichiarazioni nella trasmissione Otto e Mezzo della Rete La 7, una decina di giorni fa, un Ministro della Repubblica, il Ministro di Grazia e Giustizia, secondo il quale:

-La linea ferroviaria Torino – Lione è una infrastruttura su cui passeranno solo treni merce;

-La linea ferroviaria Torino – Lione è un’opera che ha un costo di 20 miliardi ed è assurdo spendere 20 miliardi per ridurre solo di 20 minuti il tempo di collegamento tra Torino e Lione;

-Se i lavori della nuova linea partissero domani avremmo la disponibilità dell’opera tra 30 anni.

Tre imperdonabili falsità. Un “Falso ideologico”, che è un atto di debolezza del Movimento 5 Stelle incapace a motivare il blocco di una opera che gode di due supporti formali:

-Una legge del Parlamento italiano (la 71 del 2016) che all’articolo 1 recita:

“Il Presidente della Repubblica è autorizzato a ratificare l’Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica francese per la realizzazione e l’esercizio di una nuova linea ferroviaria Torino-Lione, con Allegati, fatto a Roma il 30 gennaio 2012”;

-Un provvedimento approvato dal Consiglio e dal Parlamento della Unione Europea che ha varato nel 2013 il Corridoio Comunitario “Mediterraneo”; uno dei nove Corridoi che rappresenta il tessuto connettivo dell’intero assetto comunitario e al cui interno è inserito il nuovo segmento ferroviario Torino – Lione.

Aver nominato una Commissione formata da sei membri, di cui 5 presenti nello stesso studio professionale del Professor Ponti, e cinque dei sei tutti schierati con i No TAV, come ammesso dallo stesso Professor Ponti è una barzelletta raccontata su una nuvola di sconfortata paura, di anomala psicosi di un Movimento che non sa come mantenere impegni assunti col proprio elettorato.

Se il Ministro della Giustizia è colpevole di falso ideologico certamente lo è anche il ministro Toninelli che, seppur avesse difficoltà di lettura certamente non può non aver ascoltato dai dirigenti del ministero cui presiede che non ci sono spazi per analisi costi benefici (per di più taroccate), né per project review, né per ripensamenti su un’opera che è stata abbondantemente filtrata ed ha avuto una istruttoria lunga quasi trenta anni.

Mai nella storia repubblicana è stata raggiunta una soglia così indifendibile di mistificazione di una scelta programmatica democraticamente condivisa ed accettata da Parlamenti nazionali e comunitari.

Il Movimento 5 Stelle ha solo un atto da seguire con la massima urgenza: il Governo chieda l’abrogazione della Legge 71 del 2014 e solo così, nella sede giusta, il Parlamento, scopriremo quale peso democratico ha il Movimento 5 Stelle, quale peso democratico ha la Lega. E scopriremo anche chi pagherà gli inevitabili danni erariali.

Non sarà inutile riflettere anche sull’interventismo del Governo su una materia oramai esclusivamente comunitaria e sull’ulteriore isolamento italiano nel contesto Europeo.

I danni creati in questi primi sei mesi di Governo possono diventare irreversibili ed il nostro Paese perdendo in pochissimo tempo il suo ruolo, il suo peso nell’assetto produttivo internazionale può far peggiorare le condizioni del mondo del lavoro non soltanto quello connesso alle costruzioni.

In realtà la Legge di Stabilità, votata a scatola chiusa dal Senato alla vigilia del Natale, riserva più di qualche sorpresa.

I commi 179 e 180, chiariscono in modo analitico le finalità di una nuova task force che praticamente diventa il motore unico delle azioni strategiche infrastrutturali del Paese.

-Comma 179. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri è istituita e disciplinata una struttura di missione per il supporto alle attività del Presidente del Consiglio dei ministri relative al coordinamento delle politiche del Governo e dell’indirizzo politico e amministrativo dei Ministri in materia di investimenti pubblici e privati e nelle altre materie di cui al comma 180, denominata «InvestItalia», che opera alle dirette dipendenze del Presidente del Consiglio dei ministri,

-Comma 180. A InvestItalia sono attribuiti i seguenti compiti:

a) analisi e valutazione di programmi di investimento riguardanti le infrastrutture materiali e immateriali;

b) valutazione delle esigenze di ammodernamento delle infrastrutture delle pubbliche amministrazioni;

c) verifica degli stati di avanzamento dei progetti infrastrutturali;

d) elaborazione di studi di fattibilità economico-giuridica di progetti di investimento in collaborazione con i competenti uffici del Ministero dell’economia e delle finanze;

e) individuazione di soluzioni operative in materia di investimento, in collaborazione con i competenti uffici dei Ministeri;

f) affiancamento delle pubbliche amministrazioni nella realizzazione dei piani e programmi di investimento;

g) individuazione degli ostacoli e delle criticità nella realizzazione degli investimenti ed elaborazione di soluzioni utili al loro superamento;

h) elaborazione di soluzioni, anche normative, per tutte le aree di intervento di cui al presente comma;

i) ogni altra attività o funzione che, in ambiti economici o giuridici, le sia demandata dal Presidente del Consiglio dei ministri.

A InvestItalia può essere assegnato un contingente di personale, anche estraneo alla pubblica amministrazione, dotato di elevata qualificazione scientifica e professionale. Per lo svolgimento dei compiti di InvestItalia è autorizzata la spesa di 25 milioni di euro annui a decorrere dal 2019.

Senza dubbio nella corsa alla approvazione della manovra i Ministri Toninelli, Tria, Di Maio, Costa e Bonisoli non si sono accorti che sono scomparse, in modo sostanziale, le funzioni e le competenze dei loro Dicasteri.

Questo giusto accentramento contrarrà i tempi istruttori legati alla approvazione dei progetti e, soprattutto, annullerà i lunghi contradditori, le lunghe contrapposizioni all’interno di singoli Dicasteri e tra i vari Dicasteri.

Rimane ora solo una delicata problematica: evitare che nella costruzione di una simile struttura si sottovaluti la categoria della qualità professionale. Sarebbe un peccato disegnare la scatola e riempirla con livelli professionali non adeguati. A tale proposito è bene ricordare che l’aggiornamento delle Reti TEN – T e la definizione delle opere da inserire del Programma comunitario 2021 – 2027 avverrà in un contesto comunitario non facile e carico di antagonismi davvero preoccupanti.

Ancora una volta, per cattive o lucide strategie, la Sinistra italiana è chiamata ad osservare da spettatrice ad una modifica sostanziale dei poteri istituzionali di promozione e controllo. 33 anni or sono il governo Craxi istituì il Comitato per la Programmazione Economica dei Trasporti, per supportare in modo organico tutte le iniziative progettuali legate al sistema infrastrutturale del comparto trasporti. Questo organismo dopo appena un anno fu eliminato perché ridimensionava e in parte annullava le competenze di alcuni Dicasteri. Era invece un’idea brillante perché tendeva a ricomporre la disarticolazione delle competenze, restituendo alla democrazia rappresentativa una oggettiva possibilità di realizzazione dei programmi.

Oggi il compito fondamentale dell’allora Comitato per la Programmazione Economica dei Trasporti è stata affidata ad una Agenzia dipendente da Palazzo Chigi.

Allora le Facoltà di Ingegneria, Economia, Architettura fornivano al paese un vivaio invidiabile di esperti dei Trasporti. Oggi ascoltare il Ministro Bonafede piuttosto che Toninelli o Di Maio o Fraccaro o pseudo economisti, crea depressione.

Eppure dinnanzi alla evidente contraddizione di chi propugna la decrescita infrastrutturale e nello stesso tempo propone una Agenzia per rimuovere ostacoli alla realizzazione delle Opere, appare necessario aprire una luce, invogliare un dibattito, costringere una sinistra passiva a coinvolgere quella società intermedia che, basata sul lavoro, ha resistito come ha potuto al logorio di vecchi e nuovi populismi.

Senza la partecipazione dei sindacati, dell’associazionismo sociale del mondo del lavoro sia laico che cattolico, non vi sarà spazio per una riorganizzazione programmatica della sinistra senza complessi che i tempi nuovi impongono.

Il crollo genovese di una parte del ponte Morandi, il caos organizzato che pretende una miracolosa ricostruzione in tempi sufficientemente futuri da superare un paio di elezioni, il tentativo di risolvere i complessi problemi che regolano il sistema concessionario autostradale attraverso politiche declaratorie e chiaramente inefficaci impongono una riflessione ulteriore sulla riorganizzazione del sistema autostradale , difficile ma non impossibile, la fine dell’ assurdo assorbimento dell’Anas nelle Ferrovie dello Stato, la ristrutturazione virtuosa di una nuova territorialità nella politica di infrastrutturazione stradale che coinvolga effettivamente Regioni ed Enti locali.