PERCHE’ C’E’ ANCORA LA MINACCIA FASCISTA

Interventi di Riccardo Lombardi, Aldo Aniasi, Leo Valiani, Giorgio Amendola

Trent’anni sono passati dalla conclusione vittoriosa della lotta di liberazione. La democrazia italiana in questo periodo è cresciuta ma si trova di fronte a gravi problemi di fondo che ne investono la struttura e che non sono soltanto conseguenza della difficile situazione economica. Perché le conquiste ottenute con la Resistenza e con l’eliminazione del regime fascista risultano oggi minacciate? Quali sono i motivi: della virulenta ripresa neofascista alla quale da tempo assistiamo? Sono stati commessi errori politici da parte delle forze che componevano, lo schieramento antifascistà?

Abbiamo rivolta questa domanda ai compagni Riccardo Lombardi e Aldo Aniasi, allo storico Leo Valiani, e a Giorgio Amendola del Pci. Ecco le loro risposte.

Riccardo Lombardi

La conclusione vittoriosa della Resistenza, non poteva instaurare,
«ipso facto» la democrazia, ma solo inaugurare, con un evento decisivo e irreversibile, un processo bisognoso di tempi lunghi per potersi pienamente dispiegare. Era certamente illusorio supporre che con quell’evento fossero estirpate le radici che avevano fatto proliferare la mala pianta; ma non fu illusione porre le premesse perché ciò potesse avvenire. A mio giudizio la sconfitta e l’eliminazione del «regime fascista» non significò, né lo poté, la sconfitta « del fascismo » cioè di quel grumo vischioso di debilità culturali, di frustrazione, di violenza che sedimenta in tutte le società (non soltanto in quelle arretrate) come forza subalterna disponibile per ogni disegno eversivo nei momenti di forte tensione innovativa. E’ ciò che si è verificato puntualmente in Italia, ove il fascismo, per lunghi anni fenomeno quasi folcloristico pur nel suo minaccioso potenziale eversivo, ha sviluppato una carica aggressiva in concomitanza e come reazione alla grande spinta democratica dalla fine degli anni 60 senza esprimere altro disegno che il servilismo abietto verso altrui disegni — interni e internazionali che fossero — purché disegno retrivo, conservatore reazionario. La lotta contro il fascismo non può perciò ridursi alle pur necessarie misure di polizia. Essa coincide con la lotta per l’avanzamento della democrazia, ciò che in Italia almeno è indistinguibile da una lotta coerente che punti a sbocchi socialisti.

E’ questa la ragione di una sorta di diffidenza verso manifestazioni antifasciste aventi un rituale taglio unitario troppo rivolto al passato più che al presepte per evitare di porre l’accento più sulle imprese di provocazione e di violenza del fascismo che, non sulla sua natura eversiva anche quando per avventura alla violenza non ricorre. Certamente errori, da parte delle forze politiche della Resistenza, furono compiuti e si continua a compierli. Superfluo ricordare le conseguenze di una epurazione ridicola e del resto difficile una volta consolidato il principio e la pratica della continuità dello Stato. Superfluo ricordare la sciagurata discriminazione antisocialista e anticomunista che ha deliberatamente inquinato di personale dotato di vocazione obiettivamente e spesso dichiaratamente fascista le strutture essenziali dello Stato. Superfluo ricordare la tolleranza accordata ad organizzazioni fasciste considerate come riserva di forze utilizzabili contro una supposta eversione di segno opposto.

Sono questi non errori, ma colpe di cui scontiamo oggi le conseguenze: senza di essi infatti la minaccia fascista non sarebbe stata di certo cancellata, ma essa non avrebbe mai potuto impunemente assumere le forme di terrorismo organizzato di questi anni.

Aldo Aniasi

Le domande che ci pone l’ «Avanti!» nel trentesimo anniversario della conclusione vittoriosa della lotta di liberazione sono tutte in negativo: esse pongono l’accento sulla Resistenza incompiuta, sulla Costituzione inattuata, sulle responsabilità per l’attuale stato di cose. Io vorrei ricordare perché nel ’43 prendemmo le armi contro i fascisti e gli invasori nazisti. Quella fu una scelta, necessaria e giusta per far riacquistare all’Italia la libertà e per porre su condizioni nuove la crescita dei nostro paese; e la caratteristica aperta di rivoluzione nazionale, popolare della Resistenza fu un motivo di grande soddisfazione per gli italiani oppressi da vent’anni di dittatura e può essere considerato oggi un richiamo alle forze unitarie che diedero vita alla stagione democratica che di lì a qualche anno si sarebbe concretizzata nella Repubblica e nella Costituzione.

Fu allora, nell’occasione del confronto sulla Carta costituzionale, che noi socialisti riprendemmo e impostammo un discorso preciso sull’indipendenza nazionale, sulle libertà e sui diritti civili, sul diritto allo studio ed al lavoro, sulla democrazia nelle Istituzioni, sulle autonomie locali. Questa impostazione di fondo che a noi derivava da una duplice politica, è stato il filo rosso conduttore delle nostre battaglie di questi trent’anni di lotte. Lotte che hanno chiamato spesso in prima fila, in difesa delle istituzioni e delle conquiste democratiche della lotta partigiana, proprio quelle forze che con più impegno si erano battute per la rinascita del paese nella libertà e nella democrazia: ma lotte spesso dure, che sono costate sangue di lavoratori, che ci impongono certamente, a trent’anni dalla Liberazione, un ripensamento critico di quanto in questo arco di tempo è accaduto.

Abbiamo sbagliato, non abbiamo capito, abbiamo sottovalutato? Le forze (o meglio, parte delle forze) che componevano nel 1945 lo schieramento antifascista hanno commesso degli errori? Non si tratta di mandare, condannare o assolvere, secondo immagini dantesche, questa o quella forza politica: certo é che ci sono delle responsabilità precise per quanto non è stato realizzato in questi anni, e noi le abbiamo denunciate queste responsabilità, Ma quando esse facevano riferimento a responsabilità nazIonali (DC, destre, capitalismo nazionale, pubblico e privato) sta quando esse avevano intrecci con il capitalismo internazionale. Ma un ripensamento critico e positivo di quanto non è stato fatto, dei pericoli che corra no le istituzioni democratiche, della ripresa neofascista ci impone di guardare anche ai limiti della nostra azione: alla sopravvalutazione del «vento del nord» rispetto alle forze conservatrici, al ritardo con cui ci siamo collocati rispetto al movimento. E la prova, le prove più eclatanti di questi ritardi delle forze politiche rispetto alle esigenze, alla maturazione delle masse popolari ce le hanno date nel 1968 e nel 1969 gli operai delle fabbriche e gli studenti delle università: fu un campanello di allarme quello, un invito a riguardare al passato, uno stimolo a battersi con rinnovato impegno per portare a compimento la Resistenza.

Certo l’Italia di oggi è profondamente diversa da quella del 1945 e sarebbe ingiusto affermare che nulla sia stato fatto. Ma è stato fatto troppo poco, per ragioni complesse che possono essere spiegate solo ripercorrendo la storia italiana degli ultimi trent’anni. Bisogna allora dire che dopo la Repubblica e la costituzione è venuta quella che potremmo definire la restaurazione: la casta burocratica che aveva sostenuto il fascismo si è alleata con il capitalismo più retrivo, con le forze politiche moderate, soffocando e respingendo le forze nuove che si battevano per una democrazia sostanziale, al punto che per molti anni la Resistenza fu ignorata, celebrandola ma svuotandola del suoi contenuti di libertà e di progresso sociale. La Resistenza fu tenuta lontana dalla scuola, dall’informazione. I partigiani furono spesso perseguitati, trascinati davanti al tribunali per fatti di guerra ed ermarginati dalla pubblica amministrazione, dalla polizia, dall’esercito.

Dopo gli anni bui della restaurazione è però maturata una più forte coscienza popolare; si è rafforzato un nuovo fronte antifascista, democratico e popolare che ha saputo isolare chi tentava la via dell’eversione. Questo fronte non si è posto solo l’obiettivo della difesa della democrazia e della libertà, ma anche traguardi di profondo rinnovamento sociale. Ecco perché, dopo trent’anni, la Resistenza è ancora attuale. La democrazia italiana ha bisogno di ritrovare; lo spirito della Resistenza. I problemi di fondo che investono Il nostro paese sono di tale portata che non possono essere certo risolti con formule di ripiego: occorre una grande tensione politica e morale, occorre ritrovare lo spirito creativo della lotta di Liberazione, occorre rafforzare la fiducia nel compito storico e politico del partito socialista e nella sua funzione di difesa degli interessi delle masse lavoratrici.

Leo Valiani

Gran parte delle conquiste dell’insurrezione del 25 aprile 1945 fu liquidata già l’anno dopo. Tutte le leve di comando dello Stato e della società vennero restituite a coloro che le avevano detenute durante il regime fascista. L’epurazione antifascista, fu cancellata di fatto nel 1946- 47; formalmente con un decreto legislativo del febbraio 1948. Essa era stata male impostata Ma da principio, non essendo accompagnata dalla decadenza delle leggi fasciste e dalla loro sostituzione con leggi democratiche. L’Assemblea Costituente medesima si limitò ad iscrivere nella carta costituzionale i principi del rinnovamento; non li tradusse in organiche riforme legislative, Nelle prime due legislature successive non ci fu una maggioranza riformatrice. Dal 1958 questa esiste, almeno sulla carta. Ma quasi tutte le riforme che sono state votate sono risultate tecnicamente mal congegnate.

Nel frattempo, il dilagare delle correnti nei partiti e l’indisciplina dei gruppi parlamentari hanno inceppato il meccanismo legislativo già in partenza troppo lento per effetto del sistema bicamerale (con rappresentanza proporzionale, o quasi, nelle elezioni di ambo i rami del parlamento) e dell’eccessiva mole della materia che deve essere regolata da leggi mentre molta parte d’essa potrebbe essere affidata alla competenza di decreti ministeriali. La crescita pletorica e la contemporanea perdita d’efficienza della burocrazia hanno fatto il resto. Il colpo di grazia l’hanno dato l’esodo indiscriminato dei dirigenti e, più ancora, l’inflazione che ha lasciato le amministrazioni senza i mezzi necessari non solo per innovare, ma semplicemente per gestire normalmente la cosa pubblica.

Il fascismo è insito nelle strutture economico-sociali e amministrative ereditate dal passato. Il loro mancato rinnovamento e la mancata eliminazione dei fascisti, vecchi e nuovi, dalle leve di comando sono gli elementi d’incubazione del neo-fascismo. E’ vero che l’Italia è molto più industrializzata oggi dl come non fosse al tempi di Mussolini. Ma, parallelamente all’industrializzazione, lo Stato e la società si sono fatti più corporativi di come non fossero all’epoca delle corporazionifasciste.

La Camera del fasci e delle corporazioni è stata sostituita da un parlamento democratico, le cariche dirigenti nelle confederazioni degli industriali e degli agrari, nei sindacati operai e così via dicendo sono state rese elettive, ma la procedura corporativa è rimasta e s’è anzi rafforzata ed estesa. La politica economica dello Stato, e della mano pubblica, il cui terreno d’azione è immensamente più vasto che non nel passato, sono determinate non da una lucida e coerente visione dell’interesse generale, ma dalle pressioni degli interessi corporativi di volta, in volta più potenti.

E’ vano contrapporte a questa sgradevole realtà dei miraggi come quello dell’autogestione democratica. L’autogestione, nelle condizioni odierne dell’Italia, che non sono quella d’una rivoluzione proletaria socialista, rafforzerebbe i corporativismi localistici ed aziendali. La via del risanamento suppone la restituzione dello Stato alla sua funzione di tutore dell’interesse generale. La debolezza dello Stato ha fatto naufragare ogni tentativo di programmazione e rende vacillante la stessa democrazia politica. Bisogna rafforzare lo Stato democratico repubblicano, rafforzandone anzitutto l’anti fascismo (con una nuova, più severa legislazione contro le minacce neofasciste e, in attesa, con una molto più dura applicazione delle leggi esistenti ), ma rafforzandone altresì l’autorità nei confronti di tutte le spinte alla disobbedienza, al disordine, agli egoismi, anche di categoria o di gruppo, all’evasione fiscale, all’espatrio del capitali, al sottogoverno, alla corruttela, all’assenteismo.

Pensare di poter agire efficamente solo su alcuni problemi, senza curarsi degli altri è un’illusione. Lo Stato democratico-repubblicano deve far rispettare le sue leggi in tutti i campi, altrimenti, alla lunga (com’è accaduto), sarà disobbedito dovunque. Per farle rispettare, deve renderle realmente applicabili, non controproducenti. Lo Stato antifascista deve essere uno Stato forte, non uno Stato debole. A ciò si richiede, naturalmente, l’unità dell’antifascismo. Nella sua disunione è da ravvisare la ragione prima dell’involuzione in atto da quasi un trentennio.

Giorgio Amendola

La formulazione delle domande sottintende un giudizio negativo sul trenternnio repubblicano. Ritengo che simile giudizio non sia valido. Il trentennio repubblicano è stato un periodo di grande avanzata democratica e di progresso economico e civile del popolo italiano. La crisi in corso non può annullare il valore delle conquiste compiute. Il voto del 12 maggio 1974 ha tornito dimostrazione di quanto sia mutata l’Italia. Le conquiste della Resistenza si riassumono nei crollo del regime fascista, nella eliminazione della monarchia, nella fondazione della Repubblica e nella approvazione di una Costituzione democratica di contenuto socialmente avanzato. Non sono conquiste da sottovalutare. Esse hanno posto le premesse di un processo, certamente difficile, che ha allargato nel nostro paese la partecipazione popolare alla vita politica. Ed è il grado di partecipazione popolare il vero metro per giudicare la solidità delle istituzioni repubblicane. A mio avviso, oggi l’Italia è il paese più vivo e politicamente preparato di tutta l’Europa occidentale.

Ed è proprio la forza del movimento democratico, l’unità, sindacale, la presenza unitaria delle correnti democratiche in tanti campi della vita nazionale, che spiega i forsennati e sempre rinnovati tentativi della reazione e del fascismo. Il fatto che il fascismo sia costretto a ricorrere alle più vigliacche forme di terrorismo, indica quanto siano ristrette le possibilità, di cui può disporre sui terreno della manovra politica, e nella conquista di una propria base di massa. Certo la Resistenza non poté eliminare le radici del fascismo, che affondano nel sottosuolo della società italiana, in un passato di dominazioni straniere, nella mancanza di uno Stato nazionale indipendente, nella lunga esistenza di uno stato temporale della Chiesa, nel miope egoismo del vecchi ceti privilegiati, in un antico costume di servilismi, di particolarismi egoistici, di cinici trasformismi.

Perché le radici del fascismo venissero completamente eliminate, bisognava Mutuare una profonda riforma nazionale (politica, sociale, morale). Questa riforma è in larga parte mancata per le ben note vicende politiche, ed anche per la presenza in Italia di influenze straniere (in particolare quella dell’ imperialismo americano). L’errore principale commesso dalle «forze che componevano lo schieramento antifascista», cioè il CLN, è stato quello di rompere la propria unità. Naturalmente si può discutere a lungo sulle responsabilità, che per questa rottura spettano a questa o a quella parte. Non è questa la sede per riprendere una polemica i cui termini sono ben noti. Ma non si possono dimenticare i guasti profondi provocati dalla rottura dell’unità nazionale, né disconoscere l’esigenza di una reale unità antifascista, sulla base di un programma di riforme e di risanamento anche morale (eliminazione del vergognoso sistema del sottogoverno) per trarre il paese dalla crisi e salvaguardare e consolidare le conquiste della Resistenza, quello che non si può accettare è che si riprenda, in questa occasione, la trita polemica sulle pretese «occasioni perdute», e sulle responsabilità che per questa ipotetica, incapacità spetterebbero, naturalmente, al PCI, a Togliatti, alla svolta dl Salerno, eccetera, come se gli altri partiti di sinistra, cioè il PSI ed il Partito d’Azione, con i loro esasperati massimalismi combinati con gli opportunistici cedimenti, non avessero responsabilità alcuna.

Ma le più recenti ricerche storiche (il libro di Clambino) indicano che queste famose «occasioni» non vi furono. Le forze della Resistenza erano assai limitate, e giunsero alla prova in grave stato di impreparazione culturale e di disorganizzazione. Sono riuscite ad aprire nelle vecchie mura della conservazione sociale una breccia, attraverso la quale è avanzato, lentamente e con molte difficoltà, il progresso del paese. Adesso si potrà andare avanti tanto più speditamente, se non ci si fermerà a guardare addietro con vano senso di frustrazione, se si trarrà da quella grande lotta incitamento a combattere sempre di più e sempre meglio, cioè nell’unità delle forze democratiche ed antifasciste.

Tratto dall’Avanti! 25 Aprile 1975