di Gaetano Arfè | Ho dato inizio alla mia milizia politica nel 1942 aderendo a un piccolo gruppo clandestino di ‘Italia Libera‘, che faceva capo a un libraio di Napoli, Ettore Ceccoli, originariamente comunista, amico di mio padre, socialista, devoto al culto di Benedetto Croce, frequentatore abituale della sua libreria. Con Croce egli mi procurò un incontro nel corso del quale ebbi preziosi consigli, scrupolosamente seguiti, di letture risorgimentali, tra cui lettere dal carcere di Silvio Spaventa: l’idea dell’antifascismo come ‘secondo Risorgimento’ mi è venuta, precocemente di là, quando mi trovai anch’io a fare un breve assaggio di galera. Ricordo questo piccolo episodio perché, al di la del caso personale, mi pare indicativo dei modi attraverso i quali si poteva diventare giellisti: una educazione vagamente e genericamente socialista, indirizzata, al momento della scelta, da un ex-comunista, fervido credente della crociana religione della libertà. Ho partecipato poi alla Resistenza nelle formazioni Giustizia e Libertà dell’Alta Valtellina. Saltai l’esperienza del Partito d’Azione per aderire nel maggio del ’45 al Partito Socialista, seguendo questa volta la tradizione familiare, ma rimanendo in rapporti di collaborazione assai stretta con gli azionisti e per essi in particolare, ritornato nella mia Napoli, con Francesco De Martino. Seguii Saragat nella sua scissione e a darmi la spinta decisiva fu un discorso di Tristano Codignola, fortemente critico nei confronti del comunismo, che prendeva le mosse dal libro di Koestler, Buio a mezzogiorno. Presto, però, giunsi alla convinzione che alla rivendicata e conquistata autonomia dal Partito comunista corrispondeva una non voluta, ma ineluttabile, subalternità alla Democrazia Cristiana e rientrai così nella casa madre in coincidenza con la confluenza in essa della maggioranza del Partito d’Azione, guidata da Riccardo Lombardi. Ricordo l’emozione che provai quando lessi il testo del discorso col quale egli annunciava e motivava la confluenza nel Partito Socialista. Alcune frasi, non più rilette, mi sono rimaste impresse nella memoria: tra esse quella del ‘crisma’, della sacra unzione, che ciascun azionista si sarebbe portato addosso per tutta la vita. Considero tra i maggiori privilegi che mi siano toccati quello di essere stato legato come a padri o fratelli maggiori a uomini – rammento solo alcuni di quelli scomparsi – come Gaetano Salvemini, Ferruccio Parri, Piero Calamandrei, Ernesto Rossi, Riccardo Lombardi, Tristano Codignola, Piero Caleffi, Luciano Bolis, Giuliano Pischel, Enzo Enriques Agnoletti, Altiero Spinelli, Franco Venturi, Manlio Rossi Doria. Ho tra i miei ricordi più cari quello di un compagno, tra i meno noti e tra più nobili, che a questo gruppo appartenne, Nello Traquandi, il solo uomo capace di intimidire Salvemini con uno sguardo di disapprovazione, il quale volle, a suggello di un’amicizia che ancora mi riempie di commosso orgoglio, che io lo accompagnassi in una delle sue visite alle tombe di Trespiano, a salutare, mi disse, Carlo e Nello, quasi a presentarmi a loro. Tutto questo mi consente di sottrarmi alla regola, oggi tornata di moda, che sterilizza la ricerca storica in nome di una presunta scientificità, liberandola anche dall’impegno alla riflessione che perennemente ritorna su se stessa, via via adeguando la nostra capacita di intendere la storia al perenne maturare della nostra coscienza. Andrò ancora oltre dicendo che scrivo non già nelle vesti di storico, ma di chi è stato partecipe, tra gli ultimi e i più modesti, di una storia che ha avuto i colori dell’epopea e l’andamento di una chanson de geste, la storia di uomini che non trionfarono mai, ma che non furono mai vinti e che del loro operare hanno lasciato un segno incancellato e incancellabile. E’ un fatto che mentre la seconda generazione giellista, la mia, si viene anch’essa estinguendo, gruppi di giovani si vanno formando per i quali Giustizia e Libertà non è una sigla depositata negli archivi, ma un motto che indica le ragioni per le quali la vita è degna di essere vissuta. Poco meno di sessant’anni sono passati dalla morte di Carlo Rosselli e circa mezzo secolo dalla scomparsa del Partito d’Azione che fu, per breve stagione, l’incarnazione del movimento di Giustizia e Libertà. Il ciclo storico dell’antifascismo militante si è chiuso e si è chiusa con esso una fase della storia della nostra repubblica. Non si è spento il dibattito sulla tradizione giellista e azionista, anzi, al contrario di quanto è avvenuto per altri movimenti politici, esso è trapassato dal piano storiografico a quello ideologico e politico. Quanto forte sia la carica di questo dibattito e quanto ancora calato esso sia nella ‘battaglia delle idee’ lo prova il fatto che di volta in volta Rosselli è stato presentato come il precursore di un liberal-socialismo pudibondo – sia detto con tutto il rispetto per la persona – alla Giuliano Amato; come il costruttore di una ideologia da ‘utili idioti’, che ha fatto del giellismo e dell’azionismo la maschera del frontismo comunista – si è inventata nelle accademie la formula un po’ goffa, da agit-prop più che da studiosi, di Gramsci- azionismo-; come l’ispiratore remoto – e qui siamo alla faziosità sfrontata e canagliesca – delle brigate rosse. Una rassegna critica e ben ragionata di tali interpretazioni costituirebbe un contributo di notevole interesse alla storia delle sub-ideologie politiche del nostro tempo. Vero è che nella tradizione giellista coesistono e convivono in connessione dialettica motivi contraddittori che non sono meramente ideologici, che esprimono contraddizioni reali, a volte laceranti, le quali necessariamente si riflettono in chi nella storia in divenire intende incidere. Basti solo pensare che la formazione del gruppo dirigente di GL avviene nei brevi anni che vedono l’avvento di Hitler nella acquiescenza delle democrazie e delle socialdemocrazie; la sedizione franchista di fronte alla quale, da solo, si schiera dalla parte del governo legittimo, facendo gravare, però, attraverso i partiti comunisti una pesante e a volte fosca ipoteca sulla pericolante repubblica aggredita dal fascismo internazionale, mentre contemporaneamente esplode a Mosca, in forme ripugnanti, il terrorismo staliniano, mentre le democrazie preparano la vile e miope capitolazione di Monaco. Nella notte che seguì la conclusione del congresso di Venezia del 1957, nelle lunghe ore di attesa dei risultati, Nenni, che Rosselli …
Leggi tutto “GIUSTIZIA E LIBERTA’: LA STORIA DI UOMINI CHE NON TRIONFARONO MAI, MA CHE NON FURONO MAI VINTI”