GIORGIO RUFFOLO: “SONO SODDISFATTO CHE SI VADA AGLI STATI GENERALI, MI INFASTIDISCE L’IMBARAZZO VERSO IL SOCIALISMO ITALIANO. RAPPRESENTA UN SECOLO DI STORIA”

di Giorgio Ruffolo | In questi anni a sinistra non è cambiato nulla. Ne è la riprova uno dei tanti articoli (questo è del 1998) che stiamo riproponendo rispolverandoli dall’archivio. Si sono prodotte situazioni che sono andate nella direzione opposta alla ricostruzione della sinistra italiana di ispirazione socialista. Il senso della riproposizione di questo articolo verte nel rimarcare, appunto, tutti i fallimenti di questi anni. E’ illusorio pensare che il “piccolo compromesso storico” che ha generato il pd da una parte e gli “arcobaleni” dall’altra siano la continuazione storica e politica di quello che furono i due soggetti politici rappresentanti il Movimento Operaio ovvero il Psi e il Pci. Anche in questi giorni osserviamo articoli con panegirici di parole, quando semplicemente definire ciò che manca oggi in Italia è una grande forza SOCIALISTA! … Avrei diritto al copyright. Scherza l’on. Giorgio Ruffolo, economista, esponente dell’area socialista. E stato lui un anno fa a parlare di «Stati generali» della sinistra. Ora che l’appuntamento è fissato per metà febbraio a Firenze può esserne soddisfatto. Quella sarà la pista di decollo del nuovo partito della sinistra a cui da tempo stanno lavorando D’Alema e altri protagonisti della sinistra fra cui Ruffolo. Onorevole dopo tanti rinvii questa sembra la volta buona. La «Cosa 2» dopo tante oscillazioni e frenate ora dovrà uscire dal generico e assumere i contorni precisi di nuovo partito della sinistra che ha l’ambizione di diventare più grande e più forte di quanto oggi la sinistra non sia. Ne è contento? «Certo. Sarei più contento se poi ne nascesse effettivamente la Costituente. Senza passare per il terrore perché abbiamo già dato». Battute a parte però le polemiche è i mal di pancia non mancano. «E come l’ingresso dell’Italia nella moneta unica. Quando non ci credeva nessuno sembrava che tutto fosse pacifico, invece la prospettiva diventa concreta e imminente allora vengono i mal di pancia soprattutto di quelli che ne avevano creduto, né avevano voluto. E così anche nei riguardi di questa impresa storica. All’inizio c’è stata indifferenza e incredulità. E adesso che l’appuntamento è fissato vengono fuori conflitti, tensioni, reticenze, rigetti e paure che non si erano manifestati nella fase di incredulità. E una cosa abbastanza naturale e va fronteggiata senza sfuggire ai contrasti». Appunto le tensioni, le incomprensioni. Giuliano Amato andrà a Firenze, ma ha anche detto che non se la sente di stare con chi, il riferimento è soprattutto per i pidiessini, pensa che il passato dei socialisti sia vergognoso. E un tasto spinoso che evoca tanti rancori. «Penso che Amato abbia molte, valide ragioni. Per quanto riguarda il tema della rimozione del socialismo italiano credo che abbia ragioni da vendere. Nessuno vorrebbe partecipare ad un partito ad un’impresa politica nella quale ha l’impressione di essere tollerato, perdonato o assolto da qualche cosa che non ha commesso e della quale non si sente in alcun modo responsabile. E soprattutto nessuno vi vorrebbe entrare se non fosse riconosciuto, con chiarezza e senza masticare le parole, la tradizione della quale è portatore». Si riferisce a episodi in particolari? «Qualche volta quando si parla di socialisti c’è la traccia di un imbarazzo che un socialista non può tollerare. Non può si parlare di socialista senza aggiungere azionista, laico, cattolico, cristiano, progressista, liberale. E ridicolo che questo aggettivo che rappresenta cento anni di storia debba essere sempre velato da cortine eufemistiche. Non possiamo essere presentati in pubblico se non abbiamo un corteo di accompagnatori. Siamo un pò infastiditi di questo C’è una cosa che si chiama socialismo, di cui i comunisti sono stati partecipi per un terzo del percorso e che e parte integrante della storia della sinistra e dell’Italia, che non può essere messa in un’insalata nizzarda con tante altre cose per poter essere commestibile». Amato riconosce che il vertice del Pds ha fatto grandi passi in avanti e che le ostilità seminai vengono dalla base. C’è una strada per colmare questo divario? «Nei percorsi innovativi c’è sempre distanza tra chi sta all’avanguardia, e sono soprattutto le vette più illuminate della classe dirigente e chi ancora e legato non soltanto ai miti, ma anche ai rancori. Questo non sorprende. Però è tanto più necessario che chi ha la responsabilità di guidare illumini gli strati più sordi e non li lasci alloro rancori. E quindi importanti che un’azione di chiarimento ci sia. Il fatto che sul socialismo italiano ci sia silenzio non aiuta quelli che hanno maggiori riserve ad uscire dal loro stato di diffidenza e ostilità. Non aggiunge nulla e toglie molto a questa nuova esperienza politica nella quale si entra se ci si è liberati dalle scorie di un passato che è passato, ma che non deve essere dimenticato. Per potere mettere in archivio la storia bisogna poterla chiarire, spiegare». Questo e un percorso che non si può fare dall’oggi al domani. «Indubbiamente. Infatti io sono molto critico nei riguardi di quelli che dicono che bisogna ancora aspettare. Ma aspettare che cosa? Un chiarimento si fa insieme. E dei tutto illusorio pensare che rinviando questa scadenza di Firenze si possa agevolarne ti percorso e il compimento. Al contrario. Più si rinvia e più i muri diventano alti e le barriere si fanno invalicabili. Non so se questo nuovo partito si farà e si farà come lo vorrei. Ma sono convinto che se non si farà o si farà male non saranno i socialisti o gli ex socialisti ad esserne colpiti. Sarà la sinistra intera che perderà l’occasione di costituire una forza pari per robustezza ed ampiezza, a quella degli altri grandi partiti della sinistra europea. Torniamo alle critiche di quei socialisti che guardano ancora con diffidenza all’idea di fondare, insieme al Pds e ad altre forze della sinistra, un partito più grande e più forte della sinistra. Quanto di queste critiche condivide e non condivide? «Mi trovo d’accordo con quanti fanno questo ragionamento. Ma come ? C’è un Pds che è l’erede del Pci, che abbiamo avuto sempre dall’altra parte quando il riformismo e la socialdemocrazia erano da loro considerate …

“CI SEDEMMO DALLA PARTE DEL TORTO VISTO CHE TUTTI GLI ALTRI POSTI ERANO OCCUPATI” B.BRECHT

  di Aldo Potenza – Presidente Nazionale di Socialismo XXI |   Dopo il voto espresso in Parlamento sulla riduzione dei Parlamentari viene la voglia di ricordare ciò che scrisse Bertolt Brecht. Purtroppo ciò accade perché, approfittando del sonno della memoria dei cittadini italiani, si assumono provvedimenti che sono il frutto della cultura neo liberale, quella cultura che ha influenzato l’azione parlamentare e politica dei partiti sin dal 1975 a seguito del rapporto promosso dalla Trilaterale “Crisis of governability e crisis of democracy“. Forse serve ricordare ciò che è scritto in quel rapporto. La crisi delle istituzioni democratiche viene attribuita all’attivismo “sociale che lo Stato alimenta nel farsi dispensatore dei servizi – il welfare state sortisce l’effetto di debilitare l’autorità dello Stato” “Nell’analisi della Trilaterale, le democrazie che hanno il baricentro nel Legislativo anziché nell’Esecutivo (ossia quelle parlamentari) sono per loro natura più esposte a produrre uno stato caricato di funzioni sociali, proprio perché la loro tenuta dipende fortemente dal consenso” sociale. “Proposte basate sul principio delle uguali opportunità rendono il Governo meno forte” “Secondo la Trilaterale, questo fenomeno è una aberrazione della democrazia e un circolo vizioso che può essere interrotto solo correggendo il sistema istituzionale, la governabilità diventa un obiettivo da imporre a una società recalcitrante” occorre intervenire ” per correggere l’eccesso di partecipazione, scoraggiare o delegittimare i movimenti di protesta”. “Il declino della partecipazione non è soltanto desiderabile, ma il segno della funzionalità del sistema: l’apatia è indice di buona salute delle istituzioni democratiche.” Purtroppo questa idea della governabilità è evidentemente la naturale alleata alla critica della democrazia parlamentare e ha fatto strada anche in diverse forze politiche anche della sinistra italiana. Ne consegue che tagliare la rappresentanza parlamentare è cosa giusta; ridurre la partecipazione dei cittadini alle scelte politiche, anche; limitare la possibilità della rappresentanza parlamentare alle minoranze è assolutamente indispensabile; evitare che il Parlamento sia la sede vera delle decisioni politiche è l’auspicio della Trilaterale. CHIARO ORA IL DISEGNO PERSEGUITO CON LA VOLGARE DEMAGOGICA PROPAGANDA SUL TAGLIO DELLE POLTRONE ? (N.B. le parti virgolettate sono tratte dal libro “La vera seconda Repubblica” di Urbinati e Ragazzoni) SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LA SINISTRA E’ UN DESIDERIO

di Giuseppe Genna | INCOMBE UN BIG BANG. CON L’URGENZA DI FIGURE IBRIDE E DI UNA FORZA ANTICA: IL SOCIALISMO La storia della sinistra non è la storia di un fenomeno omogeneo. Forse non è nemmeno una storia, quanto la ricapitolazione di un esodo: un intero popolo in esodo finisce per scorgere soltanto di spalle ciò in cui crede, perché il suo volto non lo si può vedere. Ci si chiede chi ha compiuto in questi anni la ricapitolazione: quale parola, sia pure delirante, è stata davvero pronunciata? Dove risiede la teoria che, in quanto è tale, pretende di non farei conti con nessun realismo, ma non per questo definisce un’utopia? Bisogna morire di realismo capitalista? Che problemi abbiamo con il desiderio sfrenato, che si esprime dove non esiste principio di realtà? Sembra oggi che pensare l’utopia sia un peccato mortale. In ciò si manifesta il principale tra gli effetti di un’abnorme alienazione di ehi avrebbe il diritto e il dovere di desiderare senza fine. Cosa potrebbe essere la sinistra, se non desiderare senza fine? Oggi la sinistra risulta essere la lotta alle disuguaglianze. Si tratta di un errore identitario e di un’insufficienza teorica. Si dovrebbe dire al limite che la sinistra è non lotta, ma distruzione delle disuguaglianze. Ciò stava già nella definizione di Pietro Nenni, per cui il socialismo è ciò che porta avanti chi è nato indietro, ma già Bettino Craxi, nel 1966 parlava di «socializzazione dei processi decisionali e di estensione della partecipazione democratica come metodo del sociali-smo moderno. Si può estendere questo allargamento di orizzonte. E dunque affermare che la sinistra non esiste. Essa non c’è. Non ha rappresentazione, se non illusoria. In particolare, quando sortisce una rappresentazione governativa di sé uccide all’istante se stessa. Ciò non significa che esiste una sinistra più pura quando si sta fuori dal governo delle cose, ma piuttosto che la caratteristica quasi soprannaturale della sinistra, il suo enorme potere, coincide con la sua inesistenza. Il suo non esserci è la sua potenza. La sua predicazione non si basa su nessuna scrittura. La sinistra è la sua stessa reinvenzione. La sinistra è ciò che tutela e promulga le istanze delle comunità. Questo è il centro di ciò che si dice sinistra. La sinistra ha dunque il centro dentro di sé. Cosa significa questa definizione cosi perentoria? Significa che la sinistra è l’interfaccia vuota che ha per compito di proteggere le istanze delle comunità, di farsi invadere da esse e di promuoverle. Il vuoto della sinistra è un eccesso di potenza, che non coincide con nessun contenuto e soprattutto non esprime nessun imperativo. Essa è un’interfaccia vuota, il che non significa che non agisca. Se l’interfaccia intercettasse e difendesse le istanze non delle, ma della comunità, avremmo la destra. Un’unica comunità, principalmente quella nazionale, a partire dall’unificazione del mondo in un assunto. in una tradizione cogente – ecco la destra. La sinistra è invece ciò che lascia il libero gioco al divenire, dal quale emergono le Istanze che va a rappresentare. Di quali istanze si tratta? Che cosa sono le comunità? Qui si gioca non tanto la critica, ma l’abolizione psichica delle imposizioni dell’intero sistema capitalistico, che si fonda sull’inoculazione dei bisogni. Le comunità sono infatti tali perché esprimono un desiderio e solo in base a quello presentano bisogni. Il rapporto tra popolo e sinistra sì definisce dunque in questa prospettiva: moltissime comunità pretendono che i propri desideri, non i propri bisogni. vengano difesi e promossi. cioè rappresentati, dall’interfaccia che è nata per farlo. In questo punto la sensazione e il senso della delega di rappresentanza ritrovano una vita vivente e intensa, poiché ogni individuo e ogni collettività sono molto legati a chi rappresenta il loro desiderio. Le comunità vengono responsabilizzate. Non sono entità passive, da andare a recuperare stando nei territori. Sono i territori che hanno già da subito il centro a disposizione e questo centro è la sinistra, che raccoglie le loro istanze. Per promuoverle dove? L’interfaccia della sinistra sta tra le comunità e lo Stato. Quale dottrina dello Stato è pensata ed espressa negli ultimi decenni? Cosa si ritiene che sia lo Stato? Ci si limita qui a dire che lo Stato è in due modi, entrambi letterali: lo Stato è ciò che è stato e inoltre è lo stato mentale che si definisce statuale. Per quanto compete ai contemporanei, se non altro in Italia, da quando essi sono nati c’è sempre stato lo Stato. Non hanno mai vissuto privi di Stato e non hanno mai deciso di costruirlo o di inventarlo. Lo Stato è l’eterno presente dei contemporanei. Soltanto l’io ha una simile persistenza. L’io delira e lo Stato fa altrettanto. Si pensa di mangiare grazie all’io, si ritiene di vivere grazie allo Stato. Se viene sottratto un atomo all’io, l’uomo vacilla, e casi pure se viene abolito un singolo ingranaggio dello Stato. A questo incrocio davvero cruciale si pone ciò che scrisse Aldo Moro nel 1943: «La Patria è certo il nostro io, ma non il piccolo io angusto. che si chiude ad ogni considerazione, ad ogni rispetto, ad ogni amore degli altri, ma l’io che si fa, energico e pieghevole, memore di sé ed attento alla vita di tutti, incontro agli altri, e afferma e nega, cede e s’impunta, sicché nel vasto gioco delle azioni di tutti sorga, in libertà e come frutto di libertà, il volto storico della Patria. La tirannia comincia là dove il piccolo io, rotto ogni vincolo di fraternità e di rispetto, dimentico di quella sublime umiltà che fa l’individuo uomo, la sua particolare visione eleva ad universale. Allora la Patria è morta: quella sua grandezza augusta, che è nell’accogliere ogni voce, ogni palpito, ogni gioia, ogni sofferenza dei suoi figli, è spenta». Ciò che definisce Aldo Moro non è la patria: è la sinistra. La sinistra è un’interfaccia tra i desideri delle comunità e lo Stata lo Stato è ciò che soddisfa le istanze delle comunità. Se non le soddisfa, è un problema per le comunità: o si alienano …

ANOMALIE A SINISTRA – DISCUTERE E UNIRE

di Gino Giugni | In questo numero del 1996 de “Le ragioni del Socialismo”, mensile diretto allora da Emanuele Macaluso, fu pubblicato un articolo di Gino Giugni , il quale intervenne nel dibattito aperto dalla rivista sulle prospettive della sinistra e sulla diaspora socialista. A distanza di 23 anni la situazione della sinistra italiana nel suo complesso è divenuta a dir poco ancora più paradossale e avvilente. Con un Pd partito liberal e con la Questione Socialista tutt’ora irrisolta. La natura non fa salti, e meno che mai accetta fughe in avanti. E in questa trappola rischia davvero di cadere l’alternativa tra partito democratico o dell’Ulivo e ipotetico partito socialdemocratico, punto di arrivo del grande travaglio del socialismo italiano: un travaglio che dura, a dir poco, dal lontanissimo giorno della scissione di Livorno. E’ risultato evidente che l’area dell’Ulivo, come ha dimostrato lo scarto positivo di quest’ultima rispetto all’esito proporzionale, gode di un vantaggio. Ma non è affatto detto che il modulo della coalizione, quello che ha presieduto alle positive sorti dell’Ulivo stesso, conduca ad una coincidenza necessaria tra quest’ultimo e l’area del partito che occupi, nell’ambito della coalizione stessa, la posizione di sinistra. Quest’ultima corrisponde oggi, la si chiami come si vuole, al modulo della socialdemocrazia. Ed essa poggia su consistenti basi. In primo luogo, vien da considerare l’organizzazione compatta e capillare che si è formata intorno al Pci, e che già dopo la Liberazione era divenuta patrimonio proprio, contestato debolmente, ed un po’ anche irresponsabilmente, dal Psi di allora. E’ una constatazione che va messa in primo piano: le solide e profonde radici di quello che fu all’origine un partito della Terza Internazionale hanno potuto attraversare un’autentica mutazione genetica (mai tale espressione fu impiegata così a proposito) grazie alla scelta di darsi un’organizzazione di massa, capace di resistere e, in larga misura, di manifestarsi poco sensibile al mutamento ideologico che veniva a svolgersi per lo meno dagli anni Sessanta in avanti. In secondo luogo, l’appello europeo dovrebbe operare come una spinta alla “normalizzazione” rispetto alla anomalia italiana, costituita dal venir meno di una rappresentanza socialista nelle istituzioni europee e determinata dal collasso del partito socialista, ormai scomparso anche dalla scena parlamentare. Le anomalie, da questo punto di vista, alla fine dei conti sono due, simmetriche tra loro: ossia, la scomparsa dell’entità socialista o socialdemocratica e il consolidamento egemonico, nell’ambito della sinistra, di quella anomala creatura che è il Pds, partito di fisionomia ben radicata nella realtà politica italiana, ma tuttora non assimilabile a nessuno dei modelli europei, o almeno a quelli dell’Europa occidentale, e forse unico nel suo genere: ed infatti l’accostamento a partiti postcomunisti, all’Est ma anche all’Ovest, sarebbe approssimativo e ingannevole. L’anomalia italiana occulta una realtà non decifrabile a prima vista. Quanti pensano ad una tabula rasa, o alla Storia che viene riscritta ex novo, si pongono fuori da ogni realistica interpretazione di vicende umane. Il Pds custodisce una sua memoria collettiva, di cui è anzi tutore molto geloso. Ma il passaggio che si tende a rimuovere è quella parte di quella storia che appartiene al “passato di un’illusione“, per usare qui la fortunata espressione di Furet. E questo passato è quello del Pci, che ad esso non può contrapporre l’artificio di un nuovismo ideologico, impiantato sul tronco di qualche pianta esotica, oppure sulla ricerca di una filosofia indigena che potrebbe nutrirsi anch’essa di una generosa e nuova illusione. Il tentativo più rigoroso compiuto negli anni Sessanta e Settanta fu quello che venne banalizzato nella definizione di cattocomunismo, e che in termini volgarizzati si espresse nell’idea di una “diversità” e di una separatezza in gran parte costruita sull’impervio impianto di una etica esclusiva di partito. A questa ipotesi “autoctona” o “indigena” è possibile invece opporne un’altra, quella che ci dovrebbe far entrare pienamente nell’area politica ma, prima ancora, in quella culturale della socialdemocrazia europea. Beninteso: la stessa terminologia “socialdemocrazia” allude ad una realtà tutt’altro che semplice e semplificabile. La socialdemocrazia in versione europea, oltre ad assumere identità diverse in ragione di percorsi storici propri, è in realtà un crogiolo, un crocevia in cui si ritrovano culture diverse; è, se vogliamo, una spugna la cui efficacia è stata dimostrata dalla capacità di assimilare esperienze diverse, dal pensiero sociale di varie appartenenze confessionali, fino alle grandi realizzazioni del liberalismo, da Roosevelt a Beveridge. La via orientabile a superare l’anomalia italiana è costituita, pertanto, invece dall’innesto della corposa realtà del postcomunismo italiano sulle antiche radici del socialismo e principalmente sulla memoria collettiva e storica segnata dalla appartenenza comune dei due partiti storici. Non è qui in gioco il tema, pur non trascurabile, del recupero di energie, quadri, appartenenze che si chiamarono un tempo socialiste senza ulteriori qualificazioni. Né è in questione in questa sede il tema delle varie diaspore da cui il socialismo italiano è uscito letteralmente distrutto. La diaspora socialista presenta vari aspetti, tra loro difficilmente ricomponibili, alcune delle quali che vanno dalle appartenenze nuove, visibilmente incompatibili con l’identità socialista, e interpretabili soltanto attraverso il modulo della mutazione genetica, fino al transito verso la destinazione finale in cui si comprendano le due sponde postcomuniste. E’ un aspetto che merita attenzione. Ma quello che interessa in questa sede, per rispondere alla domanda posta all’inizio, è se il percorso innovativo dovrà essere scelto nella ricerca della via tutta nuova di una identità diversa che riesca a procedere innanzi rispetto alla tradizione postcomunista e a quella non meno profondamente solcata nella nostra storia, del cattolicesimo democratico, o se riterrà di appoggiarsi al dato di una continuità interrotta, ma visibile nella nostra storia come nella nostra appartenenza geografica. Sono due strade legittime e rispettabili. Ma, forse, la prima di esse, l’Ulivo che tutto copre e comprende, potrebbe assomigliare un pò al sogno dei grandi navigatori, che partirono per buscar el poniente por el levante. E infatti, approdarono in terre nuove. Ci scoprirono l’America, ma la popolazione indigena ne pagò un caro prezzo. SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei …

LEGGE ELETTORALE: RESTITUIRE IL DIRITTO DI SCELTA AGLI ELETTORI

di Silvano Veronese – Vice Presidente di Socialismo XXI | Battersi per una legge effettivamente rappresentativa e perciò “proporzionale” senza soglia e con le preferenze e che non discrimina tutta una serie di partiti c.d. minori con meccanismi insensati tipo i “piccoli collegi” alla spagnola, rappresenta una grande e sana battaglia politica che “Socialismo XXI” deve portare avanti (possibilmente non da solo) nel Paese e fra la gente comune a cui sfuggono certi pericoli per la democrazia. Dopo il voto dell’altro ieri in Parlamento del ddl costituzionale di riduzione del numero dei parlamentari (ma non dei loro benefits), l’ipotesi ventilata da ambienti della nuova maggioranza di favorire una nuova legge elettorale che, per contenere il possibile proporzionale, dovrebbe fissare una soglia minima del 5 % per ottenere seggi, produce notevolmente gli spazi di rappresentanza a pochissimi partiti a scapito di più partiti (quelli minori). Per di più si parla di ridefinire i collegi elettorali portandoli, come in Spagna, a piccole dimensioni con pochi deputati da eleggere e non si parla di recupero dei “resti” a livello nazionale o interregionale. Così facendo molti, ma molti, voti (e votanti) resterebbero privi di rappresentanza in parlamento, con tanti saluti al criterio (o al valore) della rappresentatività delle due Camere. Un “vulnus” per la democrazia rappresentativa che non può essere sottovalutato così come è stato invece sottovalutato l’aspetto della riduzione dei parlamentari senza che ci sia nel contempo la volontà di riformare i regolamenti di funzionamento delle due Camere che già oggi lavorano e legiferano poco per interminabili lungaggini procedurali che producono via via scarse le presenze ai lavori di deputati e senatori un domani ciò potrebbe procurare ulteriore criticità’ mettendo così – più di ora – l’azione legislativa nelle mani del Governo e marginalizzando il ruolo del Parlamento che dovrebbe rappresentare invece la “sovranità popolare” (come da Costituzione). SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

AL CAMPUS EINAUDI CONVEGNO SULLA REGRESSIONE DELLA DEMOCRAZIA IN ITALIA

  di Claudio Bellavita – Socialismo XXI Piemonte |   Il 10 e 11 ottobre un convegno dell’Istituto di Scienza della Politica sulla regressione della democrazia in Italia. Nonostante quanto si sbraccino i sostenitori del maggioritario, si sta affermando un regime di oclocrazia. Che veniva così definita da Polibio 25 secoli fa: Le fonti classiche Il termine oclocrazia è formulato per la prima volta nelle Storie di Polibio, specificamente fra i frammenti del Libro VI. La discussione dello storico greco si inserisce in una più ampia disamina della sua teoria ciclica delle forme di governo. Così si esprime infatti l’autore: Finché sopravvivono cittadini che hanno sperimentato la tracotanza e la violenza […], essi stimano più di ogni altra cosa l’uguaglianza di diritti e la libertà di parola; ma quando subentrano al potere dei giovani e la democrazia viene trasmessa ai figli dei figli di questi, non tenendo più in gran conto, a causa dell’abitudine, l’uguaglianza e la libertà di parola, cercano di prevalere sulla maggioranza; in tale colpa incorrono soprattutto i più ricchi. Desiderosi dunque di preminenza, non potendola ottenere con i propri meriti e le proprie virtù, dilapidano le loro sostanze per accattivarsi la moltitudine, allettandola in tutti i modi. Quando sono riusciti, con la loro stolta avidità di potere, a rendere il popolo corrotto e avido di doni, la democrazia viene abolita e si trasforma in violenta demagogia […]. Per quanto mi riguarda direttamente, ricordo un grande dibattito su AperTo sulla “forma partito”, mentre nessuno ha ancora sollevato il problema che la democrazia è sparita dal “partito democratico”, dove l’unico potere degli iscritti (per ora) è di scegliere tra tutti i candidati alla segreteria i 3 da sottoporre al voto dei passanti. Saranno poi questi 3 a designare direttamente o attraverso i sodali da loro scelti, tutti gli organi di partito, fino ai direttivi di sezione. E siccome sono troppo vecchio per sopportare di essere preso in giro, non rinnovo la tessera. La democrazia è anche sparita negli altri partiti, in alcuni, come Forza Italia, non è mai esistita. Esiste solo il voto in rete del M5S, trattato con ignorante disprezzo dai “teorici della politica” in attesa di premi in parlamento, e che invece andrebbe approfondito anche a livello delle garanzie, ma che comunque mi sembra meglio dei congressi a applausometro.   SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

LA COSTITUENTE SOCIALISTA E LA NASCITA DEL PARTITO SOCIALISTA UNIFICATO

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA SCUOLA DI DOTTORATO Humane Litterae DIPARTIMENTO Scienza della Storia e della Documentazione Storica CORSO DI DOTTORATO STUDI STORICI E DOCUMENTARI (ETÀ MEDIEVALE, MODERNA, CONTEMPORANEA) CICLO XXVI La questione della politica estera nel dibattito interno al Partito socialista unificato. Dal progetto di unificazione alla nuova scissione: 1964 – 1969 M-STO/04 Tesi di dottorato di: Eleonora Pasini Matr. n. R09045 ANNO ACCADEMICO 2012-2013   CAPITOLO PRIMO 1.5 La Costituente socialista e la nascita del Partito Socialista Unificato Nel gennaio del 1966 cadde il governo Moro a causa della mancata approvazione del disegno di legge istitutivo della scuola  materna  statale.  Iniziò, così, una fase difficile per la vita politica italiana che si risolse dopo un mese di lunghe trattative riaffidando allo stesso dirigente democristiano, l’incarico  di  formare  il  nuovo  governo  nel  quale  Nenni  ricoprì  nuovamente  la  carica  di vicepresidente. Questo nuovo scenario politico accelerò  il processo di unificazione.  I due partiti socialisti di fronte alla grave crisi di governo assunsero, infatti, un atteggiamento comune che rafforzò il loro legame “Le segreterie del Psi e del Psdi e i presidenti dei gruppi parlamentari dei due partiti hanno proceduto ad un ampio esame della situazione politica […] Le due delegazioni hanno registrato una piena concordanza di vedute sia sui motivi e sulle responsabilità della crisi, sia sull’atteggiamento da tenere per promuoverne la soluzione”70. La stretta collaborazione e la comune presa di posizione dei due partiti diede nuovo slancio al progetto, ed iniziative più concrete furono intraprese  dai  due  partiti. Nella primavera del 1966 il segretario del Psdi, Mario Tanassi, inviò alla Direzione del Psi una lettera nella quale si proponeva la costituzione di un Comitato unitario per l’unificazione socialista a livello di organi dirigenti nazionali dei due partiti guidato da “una ferma volontà di tutti i militanti del Psdi di porre fine, con l’unificazione, alla lunga e travagliata vicenda del movimento socialista italiano”, considerata: “obiettivo immediato, preliminare da realizzare”. Il Comitato avrebbe avuto, inoltre, il compito di vagliare tutti i problemi ancora presenti e procedere alla preparazione di un documento ideologico e programmatico. La lettera si concludeva con la convinzione che “attraverso il vostro ed il nostro impegno appassionato, coraggioso e responsabile sia possibile conseguire rapidamente l’unificazione socialista”71. La proposta fu esaminata dai dirigenti del Partito socialista italiano  nella  seduta del Comitato centrale convocato per il 22 marzo. In questa sessione si predisposero le manovre per procedere verso l’unificazione ed il dibattito si rivelò molto accesso poiché emersero le forti contraddizioni ed i limiti che ancora circondavano il progetto di unificazione. Il segretario del partito, Francesco De Martino, nella sua relazione, dopo aver valutato in modo soddisfacente la soluzione adottata per la crisi di governo, affrontò il tema dell’unificazione esponendone i caratteri e le questioni più importanti che il nuovo partito avrebbe dovuto affrontare. Il segretario del Psi rispose, inoltre, alla proposta formulata dal  segretario del Psdi Tanassi, esponendo in  modo molto chiaro i modi per giungere alla realizzazione di tale progetto. “Per quanto riguarda i modi di attuazione, propongo di accogliere l’idea di costituire un comitato comune dei due partiti, Psi e Psdi nelle forme che sembreranno più opportune e che vanno anche precisate tra i due partiti. Propongo altresì: • di ribadire e rafforzare l’azione comune anche alla base, in modo di interessare al processo di unità socialista tutti i militanti ed il maggior numero possibile di lavoratori, di cittadini, di intellettuali, di tecnici; • costituire vari organismi e commissioni, nei quali si affrontino e si dibattano i temi indicati e gli altri ancora, che si riterrà utile; estendendoli anche alla periferia; • chiamare a questo lavoro non solo esponenti del Psi e del Psdi ma anche altri gruppi e personalità interessate al rilancio del socialismo ed in grado di dare ad esso un contributo; • investire ampiamente i partiti e l’opinione pubblica del dibattito, in modo che il processo unitario non sia un fatto di vertice, ma un grande fatto popolare; • allo stesso fine, oltre che discussioni di base promuovere convegni nazionali; • al termine di tale impegnativo lavoro e nel ragionevole tempo che sarà necessario, procedere alla convocazione di una grande assemblea nazionale socialista, costituita dai rappresentanti del Psi e del Psdi, nonché di altri gruppi aderenti, nella quale assemblea cui si potrebbe riconoscere il carattere di una costituente, fare il bilancio del lavoro compiuto e procedere alla redazione definitiva dei documenti costitutivi del partito unificato, da sottoporre infine ai rispettivi congressi”. De Martino concluse il suo intervento con la speranza di poter iniziare questo processo mantenendo l’unità interna al proprio partito, per la quale non aveva mai smesso di lottare tenacemente, ponendola come premessa necessaria e fondamentale per realizzare nel modo migliore e giusto l’unificazione. Questo suo intento, che riteneva indispensabile, lo portò in più occasioni a scontrarsi  anche con Nenni,  il  più fermo sostenitore dell’iniziativa. “Occorre costruire qualcosa di nuovo, ma anche solidamente in modo da resistere alle dure lotte che ci attendono. E per questo è essenziale cominciare con l’unità di noi stessi, senza disperdere nulla di quanto ci ha unito o ci unisce, di quanto dovrà ancora unirci nell’avvenire”72. Nenni, intervenendo nel dibattito, confermò l’esigenza di accelerare  il  processo di unificazione considerata ormai necessaria ma soprattutto pronta,  anche  in seguito alla convergenza di posizioni prese dai due partiti socialisti davanti alla crisi di governo. Il leader socialista chiarì, inoltre, l’obiettivo da raggiungere ed il metodo da seguire per procedere nel modo giusto verso la conclusione del processo. “E’ bene sottolineare ancora una volta che, con il dibattito sui contenuti dell’unificazione il Comitato centrale non è posto di fronte al frontespizio di un libro interamente da scrivere, ma trae le conseguenze di premesse che ha posto da almeno dieci anni in qua e prende il via da una precisa indicazione dell’obiettivo da raggiungere e del metodo da seguire. L’obiettivo è stato indicato dal 36° Congresso nel rilancio del socialismo e delle forze socialiste a tutti i livelli. Il metodo è stato anch’esso indicato ed è quello …

RESOCONTO DELL’ASSEMBLEA DELLE COMUNITA’ SOCIALISTE CREMONESI

Assemblea Aperta del 5 ottobre 2019 – Sala del Circolo Filodrammatici – Cremona Saluto ai presenti e di chi non ha potuto partecipare per impegni precedentemente assunti nella stessa data quali: il Segretario PSI di Lodi Andrea Caserta, il coordinatore per il nord Italia di Socialismo XXI Alberto Leoni, Sergio Denti espone il documento delle comunità socialiste cremasca cremonese e casalasca. Tommaso Anastasio interviene con la sua relazione per una costituente delle comunità socialiste cremonesi autonoma ed a raggio d’azione prettamente territoriale. Altri interventi: Roberto Biscardini (cofondatore di “Socialisti in Movimento”), Enrico Vidali (direttore della storica testata “Eco del Popolo” fondata nel 1889 da Bissolati), Renato Bandera,Maurizio Quirico (iscritto al PSI e vicino a Socialisti in Movimento Treviglio), Virgino Venturelli. — Scopo di questo documento, che abbiamo promosso riprendendo considerazioni lette e condivise, in altre iniziative analoghe, è quello semplicemente di rafforzare le forze favorevoli alla ricostruzione di una  rinnovata, rappresentativa e autonoma forza del socialismo italiano. Lo abbiamo pensato soprattutto rivolto ai giovani nati dopo il 1989 e la fine della prima Repubblica, per la maggioranza dei quali gli ideali del socialismo italiano, non sono propriamente noti, a differenza magari delle vicende che hanno cancellato il PSI storico, dal panorama politico attuale. [Un po’ di storia] Il PSI trae la sua origine storica e ideologica dal Partito Socialista Italiano, nato a Genova nel 1892. Esso fondava in sé l’esperienza socialista sia di ispirazione riformista che marxista. I principali promotori della formazione del PSI furono, tra gli altri, Filippo Turati, Claudio Treves e Leonida Bissolati. La prima scissione del PSI avviene nel Congresso di Livorno del 1921. Dopo che Lenin aveva invitato il PSI a conformarsi ai dettami dei 14 punti dell’Internazionale Socialista e ad espellere la corrente riformista di Turati, i comunisti di Bordiga e Gramsci, in minoranza, escono dal Congresso e fondano il Partito Comunista Italiano. Nel 1922 la corrente riformista di Turati viene espulsa dal Partito per la collaborazione data ai partiti borghesi nel risolvere la crisi di Governo del 22’, che aprirà le porte al Fascismo. Turati fonda il PSU (Partito Socialista Unitario), che nel 1930, in Francia, nel pieno dell’esilio fascista, si riunificherà con i massimalisti, guidati dal giovane Pietro Nenni. Nel 1943 rinasce a Roma il Partito Socialista di Unità Proletaria (PSIUP) che raggruppa una parte consistente di personalità influenti della sinistra italiana antifascista, come il futuro presidente della Repubblica Sandro Pertini. Il nuovo segretario sarà Pietro Nenni. Il PSIUP durante la Resistenza partecipa attivamente al Comitato di Liberazione Nazionale e si avvicina in particolare al Partito Comunista Italiano con una politica di unità d’azione volta a modificare le istituzioni in senso socialista. Questa politica viene osteggiata dalla destra del partito guidata da Giuseppe Saragat, preoccupato che le divisioni interne alla classe operaia potessero favorire l’ascesa di movimenti di destra autoritaria, come era avvenuto nel primo dopoguerra con il fascismo. In occasione del referendum istituzionale del 2 giugno del 1946, il PSIUP è uno dei partiti più impegnati sul fronte repubblicano, al punto da venire identificato come “il partito della Repubblica”. Il 10 gennaio 1947 il PSIUP riprende la denominazione di Partito Socialista Italiano (PSI). Il cambio di nome avviene nel contesto della scissione della corrente socialdemocratica guidata da Giuseppe Saragat (scissione di palazzo Barberini), il quale darà vita al Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (PSLI), e marcherà una profonda distanza dai comunisti (ormai definitivamente agganciati allo stalinismo sovietico). Il PSI invece, proseguirà sulla strada delle intese con il PCI, e con quest’ultimo deciderà anche di fare un fronte comune, il Fronte Democratico Popolare, in vista delle elezioni dell’aprile 1948. Dopo la sconfitta elettorale del 1948, la lista del Fronte Democratico Popolare non verrà più riproposta, ma il PSI resta alleato col PCI, all’opposizione, per ancora molti anni. Una svolta importante nella storia del PSI è costituita dal Congresso di Venezia del 1957, quando, in seguito all’invasione sovietica dell’Ungheria e alla rottura col PCI, il partito comincia a guardare favorevolmente all’alleanza con i moderati: si rafforza il nesso socialismo-democrazia e il PSI abbandona i legami con il blocco sovietico. Nel 1963 il PSI entra definitivamente al Governo, con l’esecutivo guidato da Aldo Moro, dando avvio alla stagione del “centrosinistra”. Dopo lo squilibrio elettorale alle amministrative del 1972 tra PCI e PSI , la segreteria del Partito nel luglio 1976 passa da De Martino a Bettino Craxi, vicesegretario e membro di punta della piccola corrente autonomista di Pietro Nenni. Nell’agosto del 78’, viene pubblicato “Il Vangelo Socialista”, con il quale si sancisce la svolta ideologica, con lo smarcamento dal marxismo, appannaggio di un percorso culturale distinto da quello del PCI e che prende le mosse da Proudhon evolvendosi col socialismo liberale di Carlo Rosselli. Nel 1985, dopo gli anni di partecipazione al Pentapartito, il PSI di Bettino Craxi rimuove la falce e il martello dal proprio simbolo per rimarcare la sua intenzione di costruire una sinistra alternativa e profondamente riformista guidata dal PSI e non più egemonizzata dal PCI. L’elettorato premia questa scelta: la percentuale di consensi infatti sale dal 9,8% ottenuto nel 1979 fino a toccare il picco del 14,3% nel 1987. Con la caduta del muro di Berlino dell’89, reputando imminente una conseguente crisi del Partito Comunista Italiano, Craxi inaugura l’idea della “Unita Socialista” da costruire insieme con il fidato Psdi e nella quale coinvolgere anche ciò che nascerà dalle ceneri del PCI. Come previsto, infatti, il PCI viene sciolto e gli ex comunisti confluiranno nel più moderato e riformista PDS. I primi riscontri elettorali da parte del PSI paiono incoraggianti, poiché alle elezioni regionali del 1990 i socialisti si portano al 18% come media nazionale. Nel 1992 scoppia lo scandalo di Tangentopoli, che colpisce prevalentemente Bettino Craxi ma mette in crisi tutti i partiti della cosiddetta Prima Repubblica. Il partito cambia rapidamente molti segretari fino al definitivo sfaldamento in tante parti. Schiacciato dall’offensiva giudiziaria e da una feroce campagna giornalistica, il PSI si scioglie definitivamente con il 47° congresso il 13 novembre 1994 presso l’Auditorium del Palazzo dei Congressi di Roma. …

MOZIONI PRESENTATE AL XIX CONGRESSO NAZIONALE DEL PSI

Roma (1-4 ottobre 1922) Mozione massimalista Il Congresso, constatando come nonostante tutti gli sforzi unitari fatti dal Partito e i tentativi di armonizzare i diversi pensieri sulla tattica in una unica azione di disciplina, si è affermata, nella organizzazione socialista, una tendenza con propria disciplina, allo scopo confessato di condurre il Partito alla collaborazione con la borghesia e all’accettazione delle attuali istituzioni; constatando come a questo scopo, nettamente confessato, si siano accompagnati atti concreti per effettuarne la realizzazione, in dispregio ai tassativi divieti e ai deliberati dei Congressi e della opposizione della Direzione del Partito, e segnatamente i seguenti: 1 – manovre intese a partecipare alla soluzione della crisi ministeriale, promettendo eventuali appoggi a indirizzi di Governo; 2 – dichiarazione di autonomia del Gruppo parlamentare; 3 – invio di un rappresentante del Gruppo al Quirinale per indicare al re il modo di risolvere una crisi di Gabinetto; 4 – propositi chiaramente manifestati di provocare localmente o nazionalmente la costituzione di blocchi elettorali politici ed amministrativi coi Partiti borghesi; 5 – pubblicazioni in cui si ricusano precedenti atti politici per i quali soltanto era possibile la comune permanenza in un solo Partito; 6 – pubblica denuncia di pretese responsabilità della sola maggioranza del Partito nello scatenarsi della reazione; 7 – voti e atti intesi alla partecipazione ad un Governo cosiddetto migliore; 8 – propositi ed opere per deviare il movimento proletario dal suo indirizzo classista; constatando finalmente che il manifesto pubblicato dalla frazione collaborazionista, il voto del Convegno di Milano del 10 settembre e la mozione da essa presentata al Congresso sono in pieno, deciso, inconfutabile contrasto con le direttive segnate al Partito da tutti i Congressi, da Reggio Emilia del 1912, a Milano del 1920 e violano fondamentalmente il programma stesso del Partito, votato a Bologna dal Congresso del 1919 e confermato da allora in tutti i susseguenti congressi; per questi motivi il Congresso delibera: 1 – Tutti gli aderenti alla frazione collaborazionista e quanti approvano le direttive segnate nel manifesto e nella mozione anzidetta, sono espulsi dal Partito Socialista Italiano; 2 – Le Sezioni, i Gruppi di compagni, i singoli, ecc., che, pur avendo contribuito ad apportare attività o deleghe non conformi alla presente mozione, abbiano tratto dalle discussioni il convincimento che le decisioni proposte in questa mozione siano conformi all’interesse classista del proletariato, sono invitati a richiedere la propria iscrizione nel Partito ricostituito. Mozione unitaria Il XIX Congresso straordinario del Partito Socialista Italiano mentre rinvia ai Congressi ordinari la discussione sopra questioni di metodo e di astratti propositi di frazioni che oggi ne confessano la immediata inattuabilità preoccupato invece degli eccezionali avvenimenti odierni e delle condizioni in cui trovasi il Partito di fronte al proletariato nella grave ora presente; del suo dovere, anche dove la reazione medioevale è pienamente trionfante, di non permettere che essa abbia a trovare compagni dispersi in gruppi acefali e antagonistici immancabilmente sorti dallo sminuzzamento del Partito ma per quanto è possibile in forza compatta, ad opporre il programma di una società socialista a quello illogico e antistorico, nonché improduttivo e infecondo, di un nuovo feudalesimo e di una nuova servitù riaffermando, mentre ripudia dal suo seno ogni regressiva tendenza operaista, che l’azione sindacale e di classe è ormai immedesimata in quella politica, sia che il Partito ha la funzione di conservare i beni morali e materiali svolgendo l’azione come può spettare solamente a un forte partito politico centro dell’unità delle forze lavoratrici per la immancabile riscossa; mentre riconferma l’indirizzo di politica internazionale fin qui seguita, diretta a tutelare efficacemente e prontamente l’azione di quei gruppi che si propongono di accordare tutto il proletariato oggi diviso, in un’unica vera e potente Internazionale, condizione necessaria a difendere in modo definitivo le conquiste sindacali nei confronti della progressiva reazione, ad annullare i trattati di pace imperialisti e a debellare il pericolo imminente di nuove guerre; passa all’elezione del suo Comitato centrale affidandogli la facoltà di mezzi ai detti fini e di disciplinare rigorosamente uomini e organismi in modo da ottenere la più stretta unità di azione. La votazione diede i seguenti risultati: Massimalisti voti  32.100 Unitari  voti  29.119 Rassegnato, Turati così espresse il rammarico degli esponenti della mozione riformista: «Noi ci separiamo da voi: o, forse più esattamente (non vi sembri una sottigliezza), voi vi separate da noi. Comunque ci separiamo. Accettiamo l’esito della votazione.» Terminò con queste parole: «Accomiatiamoci al grido augurale di “Viva il socialismo!“, auspicando che questo grido possa un giorno – se sapremo esser saggi – riunirci ancora una volta in un’opera comune di dovere, di sacrificio, di vittoria!» Il 4 ottobre 1922 Turati diede quindi vita insieme a Giacomo Matteotti, Giuseppe Emanuele Modigliani e Claudio Treves al Partito Socialista Unitario, di cui Matteotti fu nominato Segretario. Treves assunse la direzione del periodico La Giustizia, la cui sede venne trasferita da Reggio Emilia a Milano e divenne l’organo ufficiale del nuovo partito. Nelle file del PSU confluirono inoltre i due terzi del gruppo parlamentare socialista.   SocialismoItaliano1892E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete. www.socialismoitaliano1892.it

SIGNIFICATIVI PASSI VERSO L’UNIFICAZIONE

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA SCUOLA DI DOTTORATO Humane Litterae DIPARTIMENTO Scienza della Storia e della Documentazione Storica CORSO DI DOTTORATO STUDI STORICI E DOCUMENTARI (ETÀ MEDIEVALE, MODERNA, CONTEMPORANEA) CICLO XXVI La questione della politica estera nel dibattito interno al Partito socialista unificato. Dal progetto di unificazione alla nuova scissione: 1964 – 1969 M-STO/04 Tesi di dottorato di: Eleonora Pasini Matr. n. R09045 ANNO ACCADEMICO 2012-2013   CAPITOLO PRIMO 1.4 Significativi passi verso l’unificazione Il dibattito precongressuale socialista si svolse alquanto confusamente. Furono presentate le Tesi della maggioranza, la Lettera ai compagni ed, inoltre, la mozione della minoranza, contraria all’unificazione. Le votazioni procedettero, così, in modo complicato poiché in alcuni casi si votava solo per le Tesi della maggioranza, in altri solo per la Lettera ed in altri ancora per i due  documenti insieme.  Nelle  assemblee la maggioranza, raccolta intorno a Nenni e De Martino, raggiunse circa l’80% di consensi. Alla vigilia del congresso le posizioni del leader socialista e del segretario continuavano, dunque, a coesistere rappresentando un limite per la chiarezza e la trasparenza interna al partito. Nenni e De Martino confermarono le proprie tesi rinunciando a modificarle o a sfumarne alcuni tratti, intenzione attestata anche dal continuo scambio di lettere avvenuto tra i due sino al giorno  precedente  il  congresso. “Caro De Martino, è troppo tardi perché io possa discutere con te della relazione. Da questo punto di vista il metodo con cui siamo arrivati al congresso è stato certamente sbagliato. Non ho letto della tua relazione che la parte che riguarda l’unificazione e il centro-sinistra. Poco da dire sulla seconda. La prima non pecca nella impostazione ma nella formulazione troppo reticente, con troppe riserve, con troppo pessimismo, laddove c’è bisogno di uno scossone. […] Non dubito della lealtà del tuo sforzo per tenere unita la maggioranza, l’appoggerò non dicendo nulla che rischi di comprometterla, temo che il risultato, se non nelle quattro giornate del Congresso, ma subito dopo non corrisponda alle tue e mie speranze. Temo addirittura che il Congresso possa manifestare delle divergenze difficili da conciliare”. “Caro Nenni, mi rincresce profondamente che tu non abbia trovato soddisfacente la parte relativa all’unificazione. Ma non ho fatto altro che ripetere quanto è scritto nelle tesi e più volte detto davanti al Partito, semmai con qualche attenuazione. Vi sono momenti nei quali sentiamo che sono in giuoco valori fondamentali e questo è uno di quelli. Non posso quindi modificare: mi sembrerebbe di ingannare me stesso e la mia coscienza. Anche io so che il Congresso ha problemi difficili; speriamo di superarli. Io farò il possibile”49. Nelle lettere emergono chiaramente le difficoltà ed i dubbi che ancora tormentavano i due leader socialisti, nonostante il congresso fosse alle porte. Si esprimevano, inoltre, serie preoccupazioni sui problemi che  sarebbero  emersi durante l’assise socialista legati soprattutto alla questione dell’unificazione. Il 10 novembre del 1965 si riunì a Roma il XXXVI  congresso del Psi. Al  centro del dibattito congressuale si poneva lo spinoso tema dell’unificazione, affrontato ed interpretato in modi profondamente diversi all’interno del partito socialista. Il segretario del partito De Martino nella sua lunga relazione mantenne le posizioni già espresse nelle Tesi e riguardo il “problema della  unificazione  di tutte  le forze socialiste” ribadì: “Molte delle ragioni ideali e politiche, che provocarono la rottura del 1947, sono cadute. Si tratta dunque ora di precisare i termini politici del processo, e di avviarlo con convinzione ma anche con la coscienza degli ostacoli esistenti, con prudenza, con realismo, non compiendo alcun passo, che distacchi il partito dalla coscienza che i militanti e le masse hanno del problema stesso. Perciò il Congresso commetterebbe un grave errore, se appunto non tenesse nel massimo conto il giudizio che è stato manifestato nei dibattiti di base. Che è giunto a conclusioni non diverse a quelle indicate nelle tesi. In queste si affermava che il problema deve essere affrontato con la coscienza delle diversità tuttora esistenti tra il nostro Partito e quello socialdemocratico, diversità derivanti dalla differente esperienza storica e dalla composizione sociale dei due partiti. Si respingeva altresì la tendenza a considerarlo in modo strumentale e propagandistico o troppo sommario ed affrettato e principalmente si respingeva l’unificazione come il puro trasferimento del Partito Socialista Italiano sul terreno della socialdemocrazia”. De Martino parlando, inoltre, della socialdemocrazia mise in risalto la mancata “revisione dei suoi orientamenti per quanto riguarda una politica rivolta a realizzare più avanzate conquiste socialiste” rispetto a quella avviata, invece, dal Partito socialista italiano e riaffermò la volontà di coinvolgere nel progetto di unificazione “tutte le forze socialiste”. “Si poneva in rilievo che il Partito socialista ha proceduto ad una coraggiosa revisione dei suoi indirizzi politici ed ha dimostrato in modo incontestabile la sua autonomia ed il suo impegno democratico, mentre la socialdemocrazia, pur superando il centrismo e pur iniziando una più positiva collaborazione con il Psi, non ha ancora proceduto ad una revisione di pari importanza dei suoi orientamenti per quanto riguarda una politica rivolta a realizzare più avanzate conquiste socialiste. Infine le tesi respingevano il processo limitato ai vertici e ristretto soltanto ai due partiti, ed indicavano la necessità di estenderlo a tutte le forze socialiste, collegandolo ad un periodo di comuni lotte quotidiane”. Il segretario del Psi, affrontato poi il tema della Costituente socialista considerata una base per “la creazione di un grande partito unificato”, indicava due punti fondamentali “come mezzi per superare le diversità ed i contrasti ancora esistenti”. Uno è quello dell’azione politica, cioè di un periodo di lotte comuni che veda associate le forze che sono chiamate a partecipare all’unificazione, un periodo di lotte, nel corso del quale si manifesti chiaramente la volontà dei partiti di imprimere un carattere fortemente socialista al nuovo partito e quindi fare di esso un forte mezzo di azione delle masse lavoratrici. L’altro punto riguarda il dibattito, i contatti fra gli organismi dei partiti fra di loro e con le altre forze interessate all’unificazione. […] Nessun dibattito, per quanto penetrante ed elevato, nessuna carta per precisa ed appagante che sia, può …