di Silvano Veronese* – Vice Presidente Socialismo XXI |
In una situazione di perdurante stagnazione dell’economia reale nazionale, dopo l’annuncio della fusione FCA-Peugeot (che la stampa francese definisce invece come acquisto da parte della Casa francese di quella italo-americana) che potrebbe riservare amare sorprese per la sopravvivenza di qualche stabilimento in Italia della ex-Fiat, è ri-scoppiata in questi giorni la “grana” dell’ILVA, che assume i connotati del dramma per l’economia tarantina e del Mezzogiorno più in generale ma anche, con buona pace degli “autonomisti” leghisti lombardo-veneti-emiliani, di un serio colpo alle prospettive dell’industria italiana.
La comunicazione di recesso da parte di Arcelor-Mittal (affittuari in attesa di divenire proprietari del centro siderurgico ILVA) è certamente un fatto di estrema gravità di cui –a giudizio di alcuni esperti giuridici– mancherebbero persino i presupposti legali. Esso è motivato dalla compagnia franco-indiana dalla decisione governativa di togliere “lo scudo penale” per le responsabilità manageriali (risalenti a precedenti gestioni) per inquinamento e danni ambientali. Tra l’altro, in contrasto –secondo Arcelor-Mittal– con il contratto sottoscritto al Ministero dello Sviluppo Economico l’anno scorso.
In realtà, a molti la motivazione puo’ apparire un alibi per sfilarsi da un “affare” che la società franco-indiana sperava potesse garantirle risultati positivi che non maturano -anche per la crisi di mercato del settore-. Ma, bisogna dire con franchezza che i comportamenti del precedente governo gialloverde continuati con la recente scelta dell’attuale esecutivo (sempre a presenza antindustrialista del M5S) hanno dato –con la loro inaffidabilità– un serio pretesto ad Ancelor Mittal per sfilarsi da ILVA.
Certamente fin dalla sua costruzione (a metà degli anni ’60) FINSIDER ed ITALSIDER, cioè la proprietà ed il gestore statale del grande impianto siderurgico tarantino, non hanno mai pensato di dotare la più grande acciaieria d’Europa con il suoi altoforni di un moderno ed efficace sistema di disinquinamento e di tutela ambientale dentro e fuori il Centro siderurgico, in particolare per il quartiere popolare adiacente di Tamburi.
Purtroppo a quei tempi, ma anche negli anni immediatamente successivi mancavano una cultura ed una sensibilità di tutela ambientale e di protezione della salute dei cittadini, veniva trascurata l’esigenza di uno sviluppo ecocompatibile da parte di tutti, politici, aziende, amministratori locali ed anche di cittadini disoccupati per i quali ad una Azienda -che garantiva (come nel 1980)- in un Mezzogiorno disastrato – una occupazione a ben 43.000 lavoratori tra diretti ed “indotto” – non si chiedeva altro, ad esempio un piano di investimento in risanamento ambientale e di bonifica continua del sito come è stato invece giustamente chiesto ad Ancelor Mittal con l’accordo in sede ministeriale dell’anno scorso.
Per questo obiettivo, che Ancelor Mittal sta attuando, ma non ancora completato, la società franco-indiana ha stanziato 1.200 mld nel quadro di un investimento complessivo di 4 miliardi.
Italsider, prima della dismissione dell’impianto ai privati e costoro, in particolare Emilio Riva, hanno fatto poco o niente in materia e sono essi i responsabili delle morti e dei malati causati dall’inquinamento del quartiere Tamburi ed anche di vari operai interni. Non mi sembra che queste morti possano essere penalmente addossabili ad Anceler Mittal, salvo che il programma di risanamento ambientale -per il quale si è impegnata contrattualmente- non proceda.
Questo dramma non puo’ essere argomento di campagna elettorale, anche perché le responsabilità sono plurime e non solo recenti. Il Governo verifichi con puntualità ed immediatezza le reali intenzioni del gruppo siderurgico franco-indiano e decida –sulla base del contratto firmato in sede ministeriale l’anno scorso– di imporre al gruppo la continuità dell’impegno produttivo (ovviamente accelerando gli investimenti di risanamento e bonifica dell’impianto) oppure, diversamente, impegni i commissari a ricercare una soluzione imprenditoriale alternativa che non puo’ –però – essere affidata a imprese –come è stato nel caso di Riva, del tutto inadeguate a gestire con profitto ed impegno sociale un impianto di quelle dimensioni.
Chi pensa, invece, che l’alternativa possa essere la chiusura dell’impianto per surrogarlo con improbabili attività sostitutive, purtroppo anche nel recentissimo passato vi sono state anche responsabilità a livello istituzionali che profetizzavano queste scemenze, va messo a tacere o ricoverato in clinica. Un Paese che si considera una grande realtà manifatturiera non puo’ permettersi di desertificare quel poco che rimane di produttivo nel Mezzogiorno, in questo caso la piu’ grande acciaieria d’Europa!
La ricerca del massimo sviluppo produttivo e dell’occupazione non vanno disgiunti da un impegno serio e di scelte concrete di tutela ambientale: come dimostrano certe soluzioni di eccellenza sono perfettamente compatibili. Servono solo investimenti e volontà politiche.
*Silvano Veronese – già Segretario Nazionale Metalmeccanici
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