UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA
SCUOLA DI DOTTORATO Humane Litterae
DIPARTIMENTO Scienza della Storia e della Documentazione Storica
CORSO DI DOTTORATO STUDI STORICI E DOCUMENTARI
(ETÀ MEDIEVALE, MODERNA, CONTEMPORANEA) CICLO XXVI
La questione della politica estera nel dibattito interno al Partito socialista unificato. Dal progetto di unificazione alla nuova scissione: 1964 – 1969
M-STO/04
Tesi di dottorato di: Eleonora Pasini Matr. n. R09045
ANNO ACCADEMICO 2012-2013
CAPITOLO TERZO
3.1 La guerra del Vietnam
La guerra del Vietnam rappresentò la questione di politica estera più delicata che il Partito socialista italiano dovette affrontare durante gli anni di governo di centro-sinistra. Il Psi, divenuto partito di governo, si trovò costretto a seguire le linee di politica estera stabilite dalla maggioranza e, quindi, ad accettare le decisioni adottate di fronte a tale crisi internazionale che spesso non condivideva191.
La difficoltà maggiore per il Psi era rappresentata, infatti, dalla difficile conciliazione dei tradizionali principi del patrimonio socialista in politica internazionale come l’antimperialismo, il neutralismo ed il pacifismo con una politica estera, quella italiana, condizionata da una precisa scelta di campo vincolata ad una alleanza politica e militare. Tale profondo conflitto non fu sempre facile da accettare soprattutto per alcuni dirigenti della sinistra socialista interna al partito che, in alcune occasioni, si rifiutarono di seguire, inerti, le risoluzioni espresse dal governo. Conciliare le differenti posizioni che sorsero all’interno del Psi in merito alla questione del Vietnam non sarebbe risultato semplice, e le difficoltà aumentarono ulteriormente in seguito all’unificazione con il Partito socialdemocratico italiano.
Il Psdi, infatti, fedele alfiere dell’atlantismo, se di certo non appoggiava l’intervento americano, neanche lo condannava, “comprendendo” il suo operato. In seguito all’unificazione queste due opposte visioni si trovarono costrette a convivere all’interno dello stesso partito. Il Partito socialista unificato racchiudeva, infatti, l’anima socialista e quella socialdemocratica portatrici di diversi e difficilmente conciliabili patrimoni ideologici relativi alla politica internazionale. Tale aspetto emerse in modo chiaro nei confronti del conflitto vietnamita che rappresentò la crisi internazionale più grave di tutti gli anni Sessanta.
La lotta di liberazione del popolo vietnamita, fino alla metà del 1964, restò limitata a scontri interni e ristretti che vedevano i vietcong in lotta per unificare il Paese e per liberarlo dai governi filoccidentali appoggiati prima dai francesi ed, in seguito, dagli americani. I socialisti vedevano con favore tale lotta considerando i vietnamiti mossi da uno spirito di libertà ed indipendenza. La situazione cambiò radicalmente nell’agosto del 1964. In seguito al cosidetto incidente del golfo del Tonchino l’impegno americano in Indocina si fece più massiccio e determinato. L’amministrazione Johnson decise, infatti, di affiancare all’esercito sudvietnamita truppe americane con lo scopo di annientare i guerriglieri vietcong ed i loro alleati nordvietnamiti192. Iniziò così una sanguinosa guerra che avrebbe segnato la storia per lunghi anni.
L’aggravarsi del conflitto suscitò una profonda preoccupazione al livello internazionale. L’importanza di tale avvenimento fu prontamente colta da Pietro Nenni che sull’ “Avanti!” scrisse: “Quanti oggi nel mondo, ripensando agli avvenimenti di 50 anni or sono, si domanderanno se l’episodio del golfo del Tonchino non sia per essere per l’Asia ciò che Sarajevo fu per l’Europa? Non deve esserlo. Non lo sarà. Ma a condizione che la guerra alla guerra sia il supremo impegno di tutti i popoli”193. Il timore di una estensione del conflitto fu subito presente all’interno del Partito socialista italiano che, preoccupato per una evoluzione negativa che portasse allo scontro tra le due superpotenze, auspicava una conclusione immediata della guerra. Il presidente dei senatori socialisti Paolo Vittorelli, parlando al Senato l’8 agosto, si fece interprete di tale preoccupazione chiedendo al governo di “favorire ogni iniziativa che possa contribuire, nell’ambito dell’ONU, ad una sistemazione pacifica di tale tensione”194.
Differente fu, invece, l’atteggiamento che adottò il Psdi. Mario Tanassi, intervenendo nel dibattito alla Camera, non affrontò in modo specifico la crisi in Indocina, inserendo la questione in un discorso più ampio riguardante le linee generali della politica estera italiana. Il segretario del Psdi dopo aver dichiarato che “un nuovo equilibrio il mondo dovrà pure trovarlo, ma dobbiamo stare attenti, in quanto nell’evoluzione di questo nuovo equilibrio ad un livello più alto, un incidente (come purtroppo sta accadendo in questi giorni nel Vietnam) potrebbe farci perdere tutto”, tenne a ribadire la validità e la fedeltà indiscussa all’Alleanza Atlantica che “resta l’insostituibile pilastro di sostegno della sicurezza e della pace nel mondo”195. Tanassi aggiunse, inoltre, che “l’esistenza dell’Alleanza atlantica ha avuto e continua ad avere un ruolo essenziale nel processo distensivo dei rapporti internazionali. Se questa alleanza non fosse esistita, non saremmo qui riuniti a discutere dei problemi della distensione”196. Lo stesso giorno il settimanale del Psdi, “Socialismo Democratico”, in un articolo dal titolo significativo: Senza scelta, riportò la notizia dell’incidente. Nel testo, dopo una descrizione dettagliata degli avvenimenti, veniva affermato:
“La realtà è che gli americani ben difficilmente avrebbero potuto agire diversamente. Da dieci anni sono coinvolti nel Vietnam in una situazione che ha chiesto a loro soldi, uomini, pazienza in misura sempre più crescente, senza offrire in cambio altro che caos perdita di prestigio e anche perdita di influenza. Ciononostante non hanno voluto allargare il conflitto al Vietnam del Nord, pur sapendo che proprio da lì scoccavano le frecce che colpivano i loro fianchi. Hanno reagito solo quando la provocazione è diventata follia, come giustamente ha detto Stevenson; quando occorreva dare ai Vietcong, a Ho Chi Minh, a Mao Tze Tung, agli americani tutti, agli alleati ed ai nemici, la prova di fatto che oltre ai limiti segnati dalle leggi e dalla morale internazionali non si poteva andare. E’ stata una zampata, probabilmente isolata di una tigre che i cinesi ritenevano “di carta”; essa sul momento ha provocato molto rumore e minacciato gravi pericoli, ma –considerata in prospettiva- può essere stato solo un gesto positivo anche se rischioso a favore della pace. Gli sviluppi che la questione ha preso al consiglio di Sicurezza lo lasciano sperare”197.
Sin dal principio fu, quindi, chiaro l’atteggiamento del Psdi nei confronti del conflitto: i socialdemocratici ribadivano, attraverso le proprie dichiarazioni, indiscussa solidarietà alla politica degli Stati Uniti in nome della tradizionale fede nell’atlantismo.
L’intensificarsi del conflitto rese, invece, più delicata la condizione del Psi e complicò la posizione dei socialisti al governo. I bombardamenti aerei sul Nord del Vietnam, iniziati i primi mesi del 1965, e la notizia dell’utilizzo di gas tossici da parte delle truppe americane suscitarono una reazione molto forte nei socialisti italiani, mettendo a dura prova l’unità della maggioranza al governo. I socialisti non potevano, infatti, rimanere indifferenti di fronte alla grave evoluzione della crisi internazionale in nome di quei principi, primo fra tutti l’antimperialismo, che, davanti alla crisi vietnamita, era stati ignorati. Le proteste e le condanne all’operato degli Stati Uniti risultarono, però, ancora una volta attenuate. I socialisti evitarono, anche in questa grave occasione, di pronunciare dure critiche e di formulare giudizi che avrebbero potuto creare attriti con gli altri partiti di governo.
In seguito alle dichiarazioni di Aldo Moro, che al Senato espresse “una doverosa comprensione per la posizione e la responsabilità degli Stati Uniti”, Vittorelli si limitò ad affermare che “la risposta del governo sebbene non così chiara e decisa come i socialisti avrebbero voluto, è ispirata dallo stesso desiderio di pace che muove la battaglia del Psi”198. Non ci fu, dunque, una decisa disapprovazione dell’azione americana. Nei socialisti prevaleva la volontà di non mettere a rischio la loro presenza al governo. Tale atteggiamento fu confermato, inoltre, dal contenuto intervento pronunciato il 12 marzo del 1965 alla Camera dal presidente dei deputati socialisti Mauro Ferri che affermò:
“Anche per la politica internazionale diamo piena fiducia all’opera che dovrà svolgere il governo. L’accusa che il governo non avrebbe preso alcuna iniziativa in rapporto alla situazione in Vietnam, ignora in realtà che la politica estera di ogni Paese è condizionata dalle sue dimensioni. L’Italia, che non appartiene al novero delle super-potenze, non può con un colpo di mano trasformare lo sfondo in cui siamo costretti a muoverci. Essa deve invece ispirarsi con la massima coerenza ad alcuni principi: dobbiamo cioè opporci a qualsiasi forma di estremismo, alle impennate isteriche che possano mettere in pericolo la pace: e, insieme, dove esistono situazioni di ingiustizia, lavorare pazientemente perché ad esse si sostituiscano situazioni eque. Per il Vietnam, per quanto l’Italia non abbia né interessi, né diretti impegni politici nel settore, il governo deve sostenere ogni valida iniziativa per risolvere pacificamente attraverso il negoziato l’attuale pericolosa situazione. Il Psi ritiene che si debba dare ogni appoggio alle responsabili iniziative del segretario dell’ONU, e incoraggiare la propensione al negoziato delle due massime potenze mondiali USA URSS cui incombe particolare responsabilità”199.
La cautela e la discrezione contenute nelle dichiarazioni ufficiali pronunciate dai membri del Psi furono colte e criticate fortemente dai comunisti italiani che iniziarono a pubblicare sul loro quotidiano, “l’Unità” articoli nei quali si criticava l’atteggiamento inerte dei socialisti, rei di aver abbandonato i tradizionali principi del loro patrimonio ideologico pur di rimanere al governo. Le pesanti accuse formulate dai comunisti furono prontamente respinte in un articolo pubblicato sull’“Avanti!” nel quale non solo si rifiutavano tali giudizi non ritenendoli corretti ma si tentava di dare una certa giustificazione o meglio spiegazione dell’atteggiamento assunto davanti alla tragedia del Vietnam.
“Quando si fa la politica delle chiacchiere o della propaganda generica accusano certi redattori dell’Unità che i quali partono in quarta a coprire di insulti i socialisti accusati di non saper scegliere ‘fra imperialismo e popoli oppressi’ proprio mentre i socialisti avendo ripetutamente e pubblicamente manifestato il loro dissenso dalle azioni di guerra degli USA secondo la loro influenza per far arrivare al governo degli USA una informazione più esatta sull’orientamento dell’opinione italiana per il Vietnam. Ma all’’Unità’ piace sputare sentenze e buttar giù giudizi netti: ‘La parte giusta, con il permesso di certi socialisti sbagliati, oggi è dalla parte di chi nelle giungle del Vietnam spara non come oppressore ma come partigiano della Resistenza’. Bene. Ma ci dica anche l’Unità quale era la parte giusta quando si sparava a Berlino e a Budapest. Ci dica da che parte stanno i comunisti italiani, se con la bomba atomica cinese o contro la bomba atomica cinese; se con la politica di potenza della Cina o contro la politica di potenza della Cina; se sono per la coesistenza pacifica o per la strategia della guerra fredda o per l’ultimo pastrocchio di Mosca che mette insieme tutte e due le posizioni come se il fuoco potesse stare insieme con l’acqua, a pace con la guerra e così via. Interrogativi di questo genere se ne possono fare cento a carico dei comunisti. Intonando il ‘tu da che parte stai’, l’Unità ha proprio sbagliato musica. E’ un ritornello che i comunisti sono destinati a sentirsi nelle orecchie per anni e non avranno né mani né cera per tapparsele”200.
La complessa posizione dei socialisti italiani si prestava facilmente ad accuse di ambiguità. Il conflitto in Vietnam aveva provocato nei dirigenti socialisti profondo tormento. Non potendo pronunciare una chiara condanna contro l’imperialismo americano, né esprimere la propria solidarietà con il popolo vietnamita in guerra per la propria libertà, le dichiarazioni dei socialisti italiani si limitavano, così, alla ricerca di una soluzione negoziata del conflitto che portasse al più presto ad una pace definitiva. Tale atteggiamento fu confermato da un comunicato ufficiale della Direzione del partito riunita il 24 marzo del 1965. Durante un ampio dibattito riguardante la difficile situazione vietnamita, aggravatasi in seguito ai bombardamenti americani, i socialisti approvarono all’unanimità un documento nel quale veniva riaffermata la propria posizione volta alla ricerca della pace.
“La Direzione del Psi esprime la sua profonda preoccupazione di fronte all’incalzare delle azioni di guerra nel sud est asiatico che hanno avuto come più recente -ma non come sola- manifestazione il ricorso all’uso di gas anche se dichiarati non letali da parte dell’aviazione americana. Il fatto che nella lotta di liberazione del popolo vietnamita da antiche e recenti oppressioni, interne ed esterne, vi siano inseriti contrasti di potenze non può in alcuna misura oscurare la natura autonoma di tale lotta che il popolo vietnamita conduce da decenni. L’avvicendarsi di governi screditati e privi di qualsiasi base popolare, ma sostenuti esclusivamente da forze militariste, è una decisa dimostrazione che l’intervento armato non ha alcuna rapporto con la presunta salvaguardia della libertà della democrazia. La Direzione mentre riafferma energicamente la totale estraneità dell’Italia ad ogni impegno diretto od indiretto negli avvenimenti nel sud est asiatico e mentre respinge ogni interpretazione estensiva dagli obblighi dell’Alleanza atlantica come quella data dal segretario generale della NATO auspica che il governo italiano pur con le cautele rivolte a non compromettere le delicate consultazioni in corso per riannodare le fila di una trattativa che ponga fine alla guerra guerreggiata, faccia pieno uso della sua autorità in tutte le sedi per associarsi concretamente e positivamente a tali iniziative di pace ed esprimere la propria riprovazione per il ricorso ad azioni e a metodi di guerra che, inammissibili e del tutto impropri , anche ai fini dichiarati da chi li adopera che rischiano di accelerare il meccanismo già pericolosamente in azione, di minaccia alla pace nel mondo”201.
I deputati socialisti, inoltre, proprio sulla base di tale documento il giorno seguente presentarono in Parlamento un’interrogazione formulata per conoscere la valutazione del governo sulla situazione nel Vietnam e per porre in termini concreti il problema dell’iniziativa italiana per una soluzione del conflitto. In essa si chiedeva a Fanfani di “conoscere quale azione abbia svolto o intenda svolgere al fine di appoggiare ogni responsabile iniziativa tendente a rendere possibile la ripresa di negoziati per porre fine al conflitto nel Sud-Est asiatico […] ed in quali modi abbia espresso o intenda esprimere la preoccupazione e il turbamento dell’opinione pubblica italiana di fronte all’impiego da parte americana di gas”202. Anche al Senato Vittorelli intervenne “per sapere se non ritenga opportuno di dover manifestare la profonda preoccupazione dell’opinione pubblica italiana di fronte all’incalzare delle azioni di guerra”203.
La risposta del Ministro degli esteri Fanfani che affermò: “il governo continuerà a incoraggiare il governo degli Stati Uniti a ricercare in tutte le sedi l’occasione e i modi più idonei a raggiungere gli obiettivi di espansione della libertà, di progresso giusto, di pace sicura, dei quali tante volte ed a prezzo di tanti sacrifici il popolo americano generosamente ha sostenuto la validità”204, non soddisfece Vittorelli. Il dirigente socialista ribadì che proprio in relazione al problema del Vietnam e alle connesse iniziative del Psi fosse stata operata “una speculazione politica mirante a contestare il diritto dei socialisti di esprimere in piena libertà il loro punto di vista sull’argomento, in coerenza con la loro tradizionale solidarietà con il movimento di liberazione dei popoli coloniali”. Proseguì affermando che “la presenza dell’Italia nella Nato non è per nulla preclusiva dell’assunzione, da parte sua, di posizioni proprie e autonome specie sui problemi come quello vietnamita che esulano dall’ambito geografico dell’alleanza, né è preclusiva del diritto e del dovere dell’Italia di esprimere la sua protesta nei confronti delle potenze alleate quando e quante volte il loro comportamento offenda la coscienza di un Paese libero e democratico”. Il dirigente socialista, concludendo il suo intervento, aggiunse che “contestare questo diritto e dovere, appare del resto tanto più assurdo se si consideri che anche esponenti politici americani hanno liberamente espresso le loro valutazioni critiche in proposito”205.
L’azione dei socialisti italiani era, quindi, volta a spingere il governo italiano ad impegnarsi in azioni diplomatiche più concrete per favorire la pace. Tale atteggiamento fu più volte ribadito dai dirigenti socialisti anche nelle sedi ufficiali poiché era giudicato l’unico gesto che potesse essere accettato senza difficoltà anche dagli altri partiti di maggioranza al governo.
La prudenza e la discrezione adottate dai socialisti italiani riguardo al conflitto vietnamita non convincevano, però, gli Stati Uniti che proprio dal marzo del 1965 iniziarono a tenere sotto controllo l’atteggiamento del Psi. Il timore del Dipartimento di Stato americano era nato dalle dichiarazioni contenute nel documento approvato il 24 marzo dalla Direzione del Psi, interpretate come una condanna dell’azione americana. David Klein, mandato in Italia per osservare e studiare le posizioni dei partiti italiani in relazione al conflitto vietnamita, inviò alla Casa Bianca un rapporto dettagliato nel quale in relazione a tale aspetto era affermato che “innanzitutto bisogna sottolineare che il primo ministro Moro ha preso posizione diverse volte, nel mese di febbraio e di marzo, sostenendo chiaramente la politica americana. Il Partito socialista che è membro della coalizione di governo, ha denunciato l’azione americana in Vietnam, soprattutto dopo l’utilizzo di gas letali. Ma queste posizioni sono state assunte con documenti del partito e non con prese di posizione del governo”206.
Il testo si rivela molto significativo ed estremamente interessante per approfondire, un aspetto fondamentale adottato dal Partito socialista italiano in relazione alla crisi vietnamita. Nel documento era colto e sottolineato il differente atteggiamento adottato dai socialisti italiani nel differenziare, anche se in modo sottile, le dichiarazioni ufficiali, pronunciate di fronte al governo da quelle espresse durante le riunioni di partito. Tale peculiare atteggiamento era dovuto alla difficile posizione in cui si trovava il Psi, nel quale alcuni dirigenti, con l’aggravarsi del conflitto, iniziavano ad essere insofferenti e critici verso la passività del partito. Al memorandum di Klein era allegata, inoltre, una lettera dell’ambasciatore americano a Roma, Frederick Reinhardt contenente anch’essa dichiarazioni interessanti relative alle prese di posizione socialiste. Nel testo si affermava che “il Psi, membro del governo, ha approvato il 24 marzo una risoluzione che sostiene la lotta del popolo vietnamita, chiede la fine delle ostilità, ma non mette in discussione – in modo esplicito – l’appartenenza alla Nato. La posizione del Psi si potrà evolvere, ma è preoccupante. La presa di posizione unanime e chiaramente antiamericana non poteva essere assunta senza il consenso del vicepremier. Questo conferma la presenza di tendenze neutraliste che sostengono i movimenti di liberazione all’interno del Psi. E’ molto inquietante il paragone che Nenni […] ha proposto tra i Vietcong e i movimenti di resistenza che nella seconda guerra mondiale hanno lottato contro il nazismo”207.
I testi dei documenti giudicavano, dunque, inaffidabile il partito di Nenni che, nonostante facesse oramai parte del governo, non dava garanzie sufficienti al Dipartimento di Stato americano. La crisi vietnamita, per i membri del Dipartimento di Stato, sembrava aver rimesso in discussione la collocazione internazionale del socialismo italiano e la sua politica estera.
E’ interessante e bizzarro rilevare come le critiche rivolte alla posizione dei socialisti in merito al conflitto vietnamita provenivano sia dai sostenitori dell’atlantismo e dagli stessi Stati Uniti, sia dai dirigenti comunisti e da alcuni membri della sinistra del partito socialista stesso che lo attaccavano perché giudicato poco critico nei confronti degli Stati Uniti e dell’imperialismo da essi rappresentato.
L’azione del Psi proseguiva, quindi, su due binari differenti uno ufficiale, secondo il quale il Psi ribadiva la volontà di ricercare una soluzione negoziata del conflitto per evitare che assumesse carattere globale e l’altro riservato all’ambito del partito nel quale la posizione socialista risultava più articolata e complessa. Il partito risultava, così, quasi ingabbiato nelle logiche di potere e fortemente condizionato da esse.
All’interno del Psi i dirigenti della sinistra, primo fra tutti Lombardi, non si trovarono d’accordo sulla linea adottata dal partito che, in nome della stabilità del governo, aveva sacrificato i principi socialisti. Risultò, dunque, molto difficile trovare una conciliazione tra le differenti posizioni presenti all’interno del partito in relazione alla guerra del Vietnam che si presentava come un elemento di rottura tra i membri del Psi. Nenni e De Martino, consapevoli di tale situazione, cercavano di fare il possibile per attenuare le polemiche sorte all’interno del partito. Il segretario del Psi si rendeva bene conto di quanto incidesse in modo negativo tale atteggiamento troppo prudente e reticente adottato sul Vietnam ed al Comitato centrale del 7 aprile del 1965, cercò, quindi, di farsi interprete dei malumori interni al partito che, in parte condivideva, come del resto anche lo stesso Nenni.
De Martino pronunciò, infatti, un discorso nuovo ed importante nel quale, seppur si ribadiva l’adesione all’Alleanza atlantica, era affermato di non voler restare “indifferente alla sorte del popolo vietnamita”.
“Nella politica internazionale, pure accettando lealmente gli obblighi derivanti dall’alleanza atlantica e dimostrandolo nei fatti, il partito socialista non si è mai allontanato dalle sue caratteristiche di partito della pace. In occasioni di gravi crisi internazionali come quella di Cuba nel 1962 e quella odierna del Vietnam il partito ha rifiutato la sua identificazione con una delle grandi potenze in lotta, ha espresso la propria solidarietà per i popoli duramente provati dall’intrecciarsi nei loro storici problemi di emancipazione e di indipendenza degli interessi delle grandi potenze e ha sempre insistito più sulla necessità del negoziato che sulla ricerca di responsabilità. […] Il partito non può essere indifferente alla sorte del popolo vietnamita il quale si batte da vari decenni .[…]Era quindi giusto che questo sentimento profondo, il quale deriva dalle nostre intime convinzioni ideali e dalla nostra storia di partito venisse pubblicamente espresso”208.
I concetti espressi alla riunione del Comitato centrale furono ribaditi dal segretario del Psi durante il dibattito alla Camera sulla politica estera svoltosi il 14 maggio del 1965. De Martino, intervenendo nella discussione, riportò il pensiero di tutto il partito richiamandosi ai principi ideali e tradizionali del socialismo indicati in tre punti: “non intervento negli affari interni di altri popoli, solidarietà con i popoli oppressi e lotta ad ogni forma di colonialismo”. Il segretario affermò, inoltre, che “a questi principi il Psi ha sempre ispirato la sua azione”, ribadendo che già in precedenza il congresso socialista stesso, deliberando sulla politica estera, aveva dichiarato che “senza venir meno ai principi dell’internazionalismo, del pacifismo, del neutralismo i quali hanno sempre avuto per scopo di assicurare la pace, di non rimettere in discussione l’adesione italiana alla NATO e agli obblighi che ne derivano, ma esige nel contempo un’azione intesa a coordinare tutti gli sforzi, dentro e fuori dei blocchi, per risolvere i problemi fondamentali della pace”209.
Tale intervento fu molto apprezzato da Nenni che, nei suoi Diari, lo commentò in modo dettagliato. “Ottimo l’intervento di De Martino, centrato bene, quadrato, responsabile. Ha detto di non voler mettere in discussione l’alleanza atlantica, ma il suo modo di applicazione; di non voler creare difficoltà al governo ma di ubbidire a un dovere di coerenza e a una preoccupazione che è di tutti i democratici. Ha solidamente impostato il problema della democrazia che si difende validamente soltanto impiegando mezzi democratici”210.
Differente fu, invece, il commento riportato da Nenni riguardo gli altri interventi pronunciati alla Camera alla quale seguiva un’acuta ed obiettiva considerazione. “Il dibattito di ieri non è stato brillante. L’atlantismo che per noi è un dato di fatto, torna ad essere per la Dc un dogma. […] Una rottura oggi sul piano della politica estera avrebbe conseguenze interne di incalcolabile portata. Noi saremmo ricacciati nelle braccia dei comunisti e i Dc nelle braccia della destra”211. Nel leader socialista, il timore delle conseguenze di una possibile rottura con la Dc prevaleva sulla delusione di una politica estera che poco rappresentava lo spirito socialista. La decisione politica di voler partecipare ai governi di centro-sinistra non poteva, dunque, essere rimessa in discussione anche di fronte a contrasti profondi sulle linee di politica estera stabilite dal governo.
Nenni ribadì questa sua preoccupazione anche in un colloquio avuto nel luglio del 1965 con il diplomatico americano Averell Harriman giunto in Italia dopo un viaggio a Mosca. Il leader socialista riferì al suo interlocutore il disagio e la forte preoccupazione dei socialisti italiani per la situazione vietnamita. “Ho fatto presente al signor Harriman le difficoltà che il conflitto del Vietnam crea in Europa, crea in Italia, crea in me”212, confessando, inoltre, che “se la guerra dovesse aggravarsi ed estendersi, noi dovremo prendere una posizione conforme ai nostri principi”213.
Una nuova posizione più vicina alla tradizione socialista Nenni non riuscì ad esprimerla neanche al congresso del partito, organizzato nel novembre del 1965. Nell’assise socialista il conflitto vietnamita fu la questione di politica estera posta al centro del dibattito. Gli interventi pronunciati dai dirigenti socialisti non diedero, però, un contributo nuovo alla questione ma ribadirono la posizione assunta sino a quel momento dal Psi di fronte alla guerra del Vietnam, come del resto risultò dal testo della mozione finale approvata dalla maggioranza. “Il Psi di fronte al deterioramento in atto della politica della distensione e della coesistenza pacifica domanda un sempre maggiore impegno per una soluzione negoziata fuori di ogni condizione pregiudiziale che non sia quella della sospensione del fuoco dei conflitti in corso a cominciare da quello che insanguina il Vietnam: ribadisce l’esigenza dell’universalizzazione dell’ONU con l’ammissione della Cina malgrado le difficoltà che essa stessa suscita”214.
Il tema dell’ammissione della Cina all’Onu era considerato di fondamentale importanza e costituiva uno dei punti più importanti per la politica internazionale socialista. L’obiettivo dei socialisti era, dunque, quello di inserire la Cina nella dinamiche della distensione cercando di farla uscire da un isolamento forzato dovuto anche all’esclusione dall’ONU. Secondo i socialisti se tale progetto fosse riuscito ci sarebbe stata una svolta radicale nello sviluppo del conflitto vietnamita. Tale questione era giudicata, infatti, indispensabile per risolvere o almeno migliorare la crisi del Vietnam. I socialisti, con in testa Nenni, si impegnarono fortemente per attuare tale progetto anche dopo la profonda delusione provocata dal voto contrario espresso dell’Italia all’ONU sulla questione dell’ammissione della Cina215.
Per un paradosso della storia il leader socialista si trovò, così, ad essere vicepresidente di un governo che non appoggiò anzi si oppose a tale disegno. Nenni uscì ancora una volta sconfitto su una questione di politica estera ritenuta un cardine della linea internazionale socialista e che avrebbe rappresentato una delle battaglie principali per le quali si batterà il Nenni ministro degli Esteri.
Nel dicembre del 1965 la situazione in Vietnam divenne drammatica a causa dei bombardamenti americani su Hanoi ed Haiphong che suscitarono in Italia un’ondata di proteste e disapprovazione e che resero più difficile l’avvio dei negoziati di pace. I socialisti reagirono alla nuova tragica fase della crisi vietnamita con un documento formulato dalla Direzione del partito il 17 dicembre del 1965. Nella risoluzione il Psi manifestava la propria solidarietà “con tutte le forze di pace mobilitate per la fine della guerra nel Vietnam. Esso reclama la cessazione del fuoco come premessa necessaria e incondizionata per riunire la conferenza della pace”. Riferendosi, inoltre, al Patto atlantico era affermato che “l’alleanza atlantica ha puro carattere difensivo e che la sua sfera di efficacia è geograficamente delimitata, considera che l’Italia e in genere l’Europa hanno un solo obbligo, quello di intervenire nella maniera più efficace per la fine delle ostilità e per aiutare il Vietnam a ritrovare la pienezza del suo diritto all’indipendenza sulla base dei punti fissati dalla conferenza di Ginevra”216. Nel documento i socialisti, anche se chiedevano la cessazione del fuoco, non si dissociarono apertamente dall’azione americana ma riconfermarono la linea seguita sino a quel momento volta alla ricerca di una soluzione negoziata del conflitto.
Tale posizione non era condivisa da tutto il partito, i dirigenti della sinistra, infatti, ritenevano poco incisiva la presa di posizione socialista davanti ad un’azione così grave compiuta dagli Stati Uniti. La posizione critica di Lombardi nasceva dal desiderio di non voler abbandonare i principi della tradizione socialista che, a suo giudizio, si stavano rinnegando per seguire le direttive adottate dal governo in merito al conflitto vietnamita. Il dirigente della sinistra, proprio in nome di quel patrimonio ideologico, iniziò a distaccarsi dall’atteggiamento assunto dalla maggioranza del Psi di fronte alla guerra in Vietnam che, invece, lo stava rinnegando. Lombardi individuava in tale posizione una rinuncia ad una condanna dell’imperialismo americano in nome di equilibri politici interni ed internazionali ai quali si rifiutava di sottostare.
Alla fine del 1965 il conflitto vietnamita ebbe forti ripercussioni nella politica interna italiana, facendo scoppiare una crisi nel governo Moro. Il 28 dicembre il ministro degli Esteri, Amintore Fanfani rassegnò le proprie dimissioni a causa di una intervista rilasciata dal sindaco di Firenze, Giorgio La Pira, a “Il Borghese” sulla crisi del Vietnam. Il dirigente democristiano, sostenuto dallo stesso Fanfani, aveva compiuto un viaggio ad Hanoi con l’obiettivo di aprire un canale diplomatico con Ho Chi Minh. Tale iniziativa, che si rivelò un fallimento, non solo suscitò le critiche dell’amministrazione statunitense ma costrinse alle dimissioni Fanfani. Il Ministero degli esteri fu assunto ad interim dal Presidente del consiglio Aldo Moro che lo riaffidò allo stesso Fanfani nel marzo del 1966.
Il 1966 iniziò, dunque, con una crisi interna al governo di centro-sinistra causata proprio dal conflitto vietnamita che continuava a rappresentare una questione molto delicata per i partiti della maggioranza. Differenti erano, infatti, le posizioni adottate dalla Dc e dal Psi in relazione alla crisi vietnamita ma grande distanza su tale tema era presente anche nei due partiti socialisti al governo. Il Partito socialdemocratico, anche di fronte all’aggravarsi del conflitto, continuava a dimostrare solidarietà e comprensione per la politica americana mentre il Psi si trovava costretto ad appoggiare una politica, quella decisa dal governo, contraria ai propri principi. Significativi al riguardo sono i due discorsi tenuti alla Camera nel marzo del 1966 dal segretario del Psdi, Mario Tanassi, e dal segretario del Psi, Francesco De Martino riguardanti il Vietnam.
Tanassi intervenendo nel dibattito affermò:
“Comprendiamo la posizione degli Stati Uniti e sappiamo che nel difendere l’indipendenza del Sud del Vietnam essi difendono la libertà di tutti. Allo stesso tempo, tuttavia, appoggiamo, quando ciò è possibile, ogni sforzo onesto e realistico diretto a raggiungere il componimento pacifico del conflitto. Gli Stati Uniti sono oggi costretti a percorrere una difficile strada tra due abissi: la capitolazione e la guerra totale. Ipotesi parimenti inammissibili perché la prima sarebbe un incoraggiamento agli estremisti cinesi e la seconda un rischio mortale per tutta l’umanità. Non possiamo quindi che approvare pienamente gli sforzi che l’America e con essa tutti gli uomini di buona volontà stanno oggi facendo per esaudire le speranze di coloro che credono nell’uomo e riportare la pace in un paese tanto straziato dalla guerra”217.
Il segretario del Psdi riconfermava, quindi, la comprensione per la posizione degli Stati Uniti che, combattendo nel Vietnam, stavano “difendendo la libertà di tutti”. Tanassi affermava, inoltre, “di approvare pienamente” gli sforzi degli Stati Uniti volti alla ricerca della pace. La posizione ufficiale dei socialdemocratici era, dunque, racchiusa in queste dichiarazioni che si differenziavano in maniera evidente dalla posizione del Psi. I socialisti italiani, infatti, criticarono fortemente il discorso di Tanassi giudicato inopportuno soprattutto in vista dell’unificazione dei due partiti. Nenni espresse il suo disappunto in una pagina dei Diari affermando: “Tanassi ha avuto una nota stonata a proposito del Vietnam individuando nella sciagurata guerra, in cui gli americani si sono lasciati prendere con leggerezza, una difesa della libertà per tutti”218.
Nella stessa seduta intervenne anche De Martino che tenne a ribadire e difendere la posizione dei socialisti italiani in merito al conflitto vietnamita davanti agli attacchi pronunciati alla Camera provenienti sia da destra che da sinistra. Le dichiarazioni del segretario del Psi, nonostante fossero volte a stemperare le polemiche sorte con la Dc intorno al grave conflitto, mostravano in modo chiaro la differenza di impostazione e di interpretazione della questione vietnamita rispetto al Psdi.
“Siamo stati spesso accusati nel corso di quei dibattiti di fare un doppio gioco, di sostenere cioè le posizioni di governo fedele su certi impegni e poi, come partito, di sostenere posizioni diverse. Ho avuto modo di dire altre volte che la posizione dei socialisti, specie per quanto riguarda il Vietnam, trovava tanta larga rispondenza in posizioni analoghe che esistono all’interno di partiti di governo, naturalmente socialisti, del mondo occidentale. […] Non posso che ribadire quelle posizioni e riaffermare anche la nostra grave preoccupazione perché fino ad ora non si è trovato il modo di porre termine al conflitto e di ricercare la via del negoziato”219.
De Martino proseguiva ribadendo i principi seguiti dal suo partito sin dal principio della crisi vietnamita.
“Su questo grave fatto abbiamo sempre ispirato la nostra concezione politica a due idee fondamentali. In primo luogo la simpatia, naturale in un Partito socialista, per i popoli che si battono per la loro liberazione nazionale: in secondo luogo non abbiamo subordinato una linea realistica ad accertare da quale parte sta la ragione o il torto, ma abbiamo sempre sostenuto la necessità di un incontro che tenga conto dei fattori che sono nel gioco e che non consideri soltanto la responsabilità americana, ma anche la responsabilità di grandi potenze del mondo comunista e in ispecie della Cina popolare. Abbiamo sostenuto apertamente queste idee e non abbiamo mai tratto da ciò una divisione profonda con la politica del governo che si è ispirata a criteri di distensione e che ha sempre cercato di dare il suo appoggio ad un negoziato”220.
De Martino, nell’esporre la posizione socialista, sempre volta alla ricerca di un negoziato, non espresse giudizi fortemente critici né contro la politica formulata dal governo, né sull’operato degli Stati Uniti. Il segretario del Psi cercò, però, al contempo di ribadire il sostegno dei socialisti “ai popoli che si battono per la loro liberazione nazionale” un aspetto considerato fondamentale nella questione del Vietnam. Il tono moderato ed equilibrato delle parole pronunciate da De Martino rispecchiava il desiderio di attenuare le differenze, sebbene fossero palesi, tra la politica socialista e quella del governo. Un atteggiamento che suscitava molto malcontento all’interno del Partito socialista italiano che si trovava ora costretto non solo ad accettare la posizione del governo ma anche a giustificare, con l’avvicinarsi dell’unificazione, anche quella socialdemocratica. Alla luce di tale prospettiva il discorso del segretario socialista assumeva un carattere diverso. In un momento in cui si prospettava in modo sempre più concreto l’ipotesi dell’unificazione, pronunciare tali parole aveva un peso determinante.
Si sarebbe rivelato molto complicato, dunque, elaborare una comune politica estera quando su una questione così importante come quella del Vietnam le differenze risultavano nette.
Alla fine di giugno la situazione in Vietnam si aggravò ulteriormente a causa dell’intensificarsi dei bombardamenti americani su Hanoi ed Haiphong. I socialisti italiani non potevano rimanere inerti di fronte a questa nuova tragedia. La presa di posizione, in questa occasione, si fece, quindi, più critica. Vittorelli, in un acceso discorso alla Camera, espresse la nuova e più decisa posizione socialista. Il presidente dei senatori socialisti affermò che “i socialisti non possono tacere davanti al nuovo passo compiuto dagli Stati Uniti nella ‘scalata’ della guerra nel Vietnam. Noi deploriamo senza riserve il bombardamento di Hanoi e di Haiphong” ed aggiunse che “non vi è alcuna ragione di ordine militare che possa giustificare né sul piano politico né su quello giuridico, né tanto meno su quello morale e umano, l’azione compiuta dai bombardieri americani”. Il dirigente socialista proseguì ribadendo “la volontà di presentare un’interrogazione per dissociare pubblicamente ogni responsabilità italiana, così come è già stato fatto dal governo britannico”221. Nel dibattito alla Camera intervenne anche Fernando Santi che deplorò l’intervento americano definendolo un “un gesto delittuoso, di estrema gravità che dimostra la necessità di riportare la pace nel Vietnam assicurando al popolo vietnamita la piena libertà di decisione circa il proprio destino”222.
In questa occasione fu, quindi, “senza riserve” la deplorazione socialista all’operato americano. La nuova ondata di bombardamenti spingeva, inoltre, il Psi a richiedere una dissociazione pubblica del governo italiano da ogni responsabilità portando come esempio l’atteggiamento tenuto dal governo britannico di fronte al tragico episodio. Le dichiarazioni del primo ministro britannico Harold Wilson furono riportate alla lettera dal quotidiano socialista.
“Il governo di sua maestà ha appreso con disappunto che gli aerei degli Stati Uniti hanno attaccato obiettivi situati nelle aree popolate di Hanoi e Haiphong. E’ difficile, per il governo britannico che non è coinvolto nella guerra del Vietnam, riuscire a valutare esattamente l’importanza di ogni azione che gli Stati Uniti ritengono necessaria in questo conflitto. Nondimeno noi abbiamo messo in chiaro più volte che non possiamo sostenere l’estensione dei bombardamenti a certe aree. Il governo non può che dissociarsi da un’azione di questo genere, anche se confida che le forze statunitensi prendano ogni precauzione per evitare stragi di civili. Noi crediamo che ogni applicazione della forma debba essere giudicata non unicamente in termini di necessità militari, ma anche in termini di addizionata sofferenza della popolazione innocente: crediamo pure che debba essere effettuata, presto, un’iniziativa tendente a trovare una soluzione negoziata del conflitto”223.
Sin dall’inizio della crisi vietnamita i laburisti inglesi, con alla testa il proprio segretario Wilson, si impegnarono per trovare una soluzione negoziata al conflitto, rifiutando di sostenere la politica aggressiva americana224. Tale posizione fu pienamente condivisa dai socialisti italiani che individuavano nella politica adottata dal Labour Party la linea più giusta ma soprattutto quella che più rispettava la tradizione socialista. Il Partito socialista italiano, per tutta la durata del conflitto, individuò nel partito di Wilson un alleato con il quale impegnarsi per favorire un negoziato di pace. Tale proposito venne confermato da Nenni in seguito all’incontro avuto con Wilson durante il suo viaggio a Londra organizzato alla fine di luglio. Nel colloquio con il primo ministro britannico venne affrontato il tema del Vietnam che trovò concordi i due leader socialisti225.
Nel mese di luglio l’attenzione si concentrò, dunque, sull’escalation della guerra in Vietnam, questione che continuava a dividere profondamente i partiti politici italiani. Il Pci, che sin dall’inizio del conflitto si era scagliato contro l’intervento americano, condannò apertamente l’azione militare, proseguendo al contempo l’attacco ai partiti di governo. Il Psdi cercò di difendersi da tali accuse in un articolo pubblicato sul proprio settimanale “Socialismo Democratico”.
“Come tutti i popoli civili del mondo, il popolo italiano desidera che la pace torni nel Vietnam. Questi sentimenti non sono patrimonio esclusivo dei comunisti i quali, strumentalizzando per precisi fini politici il conflitto vietnamita, mirano a dividere ideologicamente il mondo in amanti della pace (chi è dalla loro parte) e in nemici della pace (chi non è dalla loro parte). Non è soltanto per l’assurdo manicheismo di questo ragionamento che i comunisti sono nel torto, ma anche per la distorsione della realtà politica dei fatti. I bombardamenti di Hanoi e di Haiphong, nella loro tragica realtà, sono soltanto uno degli aspetti della guerra nel Vietnam. Il punto di fondo della sanguinosa vicenda è la continuazione della guerra. Ne deriva che la questione da porre è questa: gli Stati Uniti vogliono o non vogliono porre fine al conflitto nel Sud Est Asiatico? La risposta all’interrogativo è data dalle molteplici e articolate iniziative di pace americana (e non soltanto americana) che sono state respinte dal Governo di Hanoi su sollecitazione o imposizione cinese”226.
La posizione dei socialdemocratici non mutò, dunque, neanche in seguito all’intensificarsi della guerra. Nell’articolo non solo non erano condannati i bombardamenti americani definiti solo “uno degli aspetti della guerra del Vietnam” ma si cercava di sottolineare l’impegno degli Stati Uniti volto alla ricerca della pace a differenza di quello di Hanoi giudicato ostile e restio al negoziato. L’atteggiamento dei socialdemocratici di fronte al conflitto vietnamita fu precisato dal segretario del Psdi, Mario Tanassi durante una conferenza stampa nell’ottobre del 1966. Ad un giornalista de “l’Unità” che chiedeva “come si comporterebbe il partito davanti ad un’ulteriore estensione del conflitto del Vietnam, ad una ulteriore estensione dei bombardamenti e dell’aggressione americana nel Vietnam, per la quale, mi pare, almeno lei personalmente ha avuto parole di comprensione, esattamente come quelle dell’onorevole Moro”, Tanassi rispondeva:
“Noi abbiamo detto che per il Vietnam e per quella zona tormentata del mondo abbiamo la stessa angoscia, almeno la stessa angoscia, che hanno tutti i democratici e che mostra di avere il Partito comunista. Il problema non è di avere minor comprensione o minor preoccupazione dei comunisti o dei non comunisti sul problema del Vietnam. Il problema è più grosso: è il problema dell’equilibrio delle forze nel mondo, è una situazione difficile, che non è riuscita a risolvere neppure l’Unione Sovietica. […] La verità è che c’è una situazione terribile, di cui paga il prezzo più alto, più doloroso, più atroce il popolo vietnamita. Ma dopo il popolo vietnamita chi paga un prezzo di sangue è il popolo americano. Noi neghiamo che l’America abbia un interesse imperialistico in quella zona del mondo; neghiamo che gli Stati Uniti, con tutti i loro aspetti positivi e negativi abbiano fatto una politica imperialista. Non l’hanno fatta in Europa quando sono venuti due volte e se ne sono andati; non l’hanno fatta nel Mediterraneo”227.
Il segretario del Psdi proseguiva su tale linea ribadendo “quindi noi neghiamo che l’America abbia un interesse imperialistico nel Sud Est asiatico. Si tratta perciò di creare le condizioni per riportare la pace, e non di fare della propaganda. La condizione per la pace nel Vietnam è il negoziato, come riconoscono tutti, perché non è possibile chiedere di risolvere il problema del Vietnam con il ritiro preventivo delle truppe americane, cioè dando in partenza la vittoria assoluta e completa al Vietnam del nord e al Vietcong”. Tanassi affermava inoltre la necessità di “sedersi intorno ad un tavolo e trattare sulla base delle condizioni di Ginevra, anche con la partecipazione del Vietcong. La possibilità di un negoziato c’è. Immaginare che la guerra del Vietnam finisca con la vittoria militare dell’uno o dell’altro è un errore. C’è solo il negoziato, e perciò si deve lavorare per il negoziato, come l’Italia ha sempre fatto e in modo anche concreto”. La risposta del segretario del Psdi si concludeva con una dichiarazione netta. “La nostra posizione è molto chiara. Noi siamo dei socialisti; siamo per la pace, per la vera pace nel mondo, ma non per la pace stalinista, per la pace autentica”228.
La posizione dei socialdemocratici, contenuta nella risposta di Tanassi, differiva in modo evidente da quella socialista. La negazione, ribadita più volte dal segretario del Psdi, di riconoscere nell’operato americano in Vietnam una forma della politica imperialistica degli Stati Uniti era l’aspetto più evidente di tale differenza. I socialdemocratici si dimostrarono ancora una volta fedeli sostenitori della politica atlantica, identificando negli Stati Uniti il pilastro principale della propria politica estera. Un’interpretazione inaccettabile per alcuni dirigenti della sinistra interna al Psi che proprio in quel momento iniziavano ad associare alla critica al conflitto vietnamita quella rivolta all’Alleanza atlantica.
L’intervista pubblicata nell’ottobre del 1966 assume, inoltre, un carattere alquanto significativo poiché rilasciata poco prima del congresso dell’unificazione che avrebbe dovuto sancire l’avvenuta unione dell’anima socialista con quella socialdemocratica su tutte le questioni, compresa quella di politica estera.
Il 30 ottobre del 1966 si svolse il congresso di unificazione nel quale non solo fu ignorato il tema della guerra in Indocina ma non fu mai neanche pronunciata la parola: Vietnam. Un atteggiamento singolare dato che la guerra del Vietnam rappresentava la crisi internazionale più grave di quegli anni. Questo episodio era un chiaro segno della evidente differenza presente tra le due anime del partito. La polemica, che sarebbe potuta sorgere intorno a tale delicata questione, fu solo rimandata; sarebbe, infatti, emersa in tutta la sua gravita di lì a poco.
Durante tutto il 1967 proseguirono, facendosi più insistenti, le pressioni dei socialisti per la cessazione dei bombardamenti e per la ricerca di un negoziato di pace. Accanto a tali richieste si intensificarono, inoltre, le critiche nei confronti dell’intervento americano da parte dei dirigenti della sinistra socialista che, giudicando poco efficace l’atteggiamento del proprio partito, iniziarono a prendere le distanze da tale posizione. La polemica iniziata da tempo da Lombardi sulla questione del Vietnam veniva ora collegata al rinnovo del Patto atlantico.
L’avvicinarsi del ventesimo anniversario della fondazione della Nato, che poneva le premesse giuridiche per un eventuale ritiro dall’organizzazione, era colto a pretesto dai dirigenti della sinistra per chiedere l’uscita dell’Italia dall’Alleanza, un gesto che, secondo Lombardi avrebbe influito in modo più deciso sulla crisi vietnamita. La delicata questione venne affrontata in una riunione della Direzione del partito il 20 settembre del 1967. Durante il dibattito lo scontro si fece duro ed emersero in modo evidente le differenze che erano ancora presenti nel Psu anche su questo importante tema, soprattutto tra gli ex socialdemocratici, “filoamericani” fermi sostenitori del Patto e gli esponenti di sinistra del vecchio Psi. Al termine dell’accesa discussione la Direzione del partito approvò un ordine del giorno, con il voto contrario degli esponenti della sinistra, nel quale si ribadiva la necessità di trovare una soluzione negoziata dei conflitti in Vietnam ed in Medio Oriente e nella parte relativa alla revisione dell’Alleanza atlantica veniva affermato:
“In armonia con la sua costante azione per la pace e nella consapevolezza dei rischi inerenti ad ogni alterazione unilaterale dell’equilibrio sul quale la pace del mondo si regge, sia pure in modo precario, la Costituente socialista ha collocato l’accettazione, da parte del partito, dei vincoli e degli obblighi inerenti alla adesione italiana al Patto atlantico, nella loro interpretazione difensiva e geograficamente delimitata. Codesta accettazione non contrasta con gli obiettivi generali e supremi dei socialisti che rimangono quelli della messa al bando delle guerre e del superamento dei blocchi militari. Se non esistono ancora le condizioni di tale superamento l’impegno di ogni socialista e di ogni democratico è di crearle. […] A questo deve concorrere un aggiornamento ed un adeguamento del Patto atlantico alle mutate condizioni del mondo, caratterizzate dalla crescente tendenza alla liquidazione della guerra fredda. A questo infine deve concorrere un rinnovato impegno di lotta per la esclusione dei regimi militari e fascisti dagli organismi internazionali e comunitari dei quali l’Italia fa parte. La parola d’ordine del Partito è una sola: tutto per la pace, tutti per la pace”229.
Lombardi, che si oppose alle dichiarazioni espresse dalla Direzione del suo partito, illustrò la propria posizione in un lungo ed approfondito articolo pubblicato pochi giorni dopo sulla rivista “L’Astrolabio”. Secondo Lombardi, prima di affrontare la questione del rinnovo, occorreva chiarire la natura del Patto che avrebbe dovuto essere “democratico e non aggressivo” si chiedeva, infatti, “che senso ha, io mi domando, parlare di patto democratico quando fanno parte dell’alleanza due governi fascisti? Parlare della NATO come strumento di pace quando la potenza egemone dell’alleanza è impegnata in una guerra brutale di aggressione?”230. Collegato a questo tema, secondo il dirigente della sinistra, vi era la questione del Vietnam che non rappresentava un “tragico errore della politica americana, è solo il punto più caldo di questa linea di tensione che si chiama anche Cuba, San Domingo, Bolivia. Il fatto che questa linea calda non passi oggi attraverso l’Europa ci può rassicurare solo fino ad un certo punto”. Lombardi ribadiva, dunque, la necessità di sapere se “quello che abbiamo firmato è un Patto democratico e difensivo o se invece è soltanto un anello della cintura di sicurezza americana, se la logica atlantica è la logica della distensione o se è la logica della politica di potenza”. Il dirigente della sinistra affrontava, poi, il punto centrale della polemica.
“L’unico modo che abbiamo di influire seriamente sulla politica americana è quello di porre chiaramente l’alternativa dell’uscita dalla NATO, tutto il resto è fumo” ribadendo che “questo sarebbe un modo politico concreto per far pesare la nostra opposizione alla guerra e sarebbe anche una grossa carta nelle mani dell’opposizione democratica che non condivide la linea di Johnson. Il resto è fumo”231. Proseguiva sulla questione dichiarando:
“Un discorso serio sulla revisione del Patto atlantico, che impegni le forze politiche e l’opinione pubblica europea, può costituire un avvio concreto per il superaneto della logica dei blocchi. Ecco perché non c’è contraddizione tra una politica volta al superamento dei blocchi (e quando parlo di superamento dei blocchi penso a qualcosa che potrebbe anche avvenire nei prossimi anni, non aspetto, come ha detto Tanassi, il governo mondiale), tra questa politica e la richiesta di una revisione radicale della NATO non c’è contraddizione. Si tratta a ben guardare della stesa cosa, di due momenti dello stesso processo”. […] Tutto ciò lo capisco è molto difficile è tuttavia questo il terreno su cui dobbiamo batterci. Ma perché un discorso revisionista possa produrre i suoi effetti occorre avere un’alternativa, bisogna far capire che se certe condizioni non vengono accettate si è disposti a denunciare l’Alleanza. Altrimenti il revisionismo diventa un alibi”232.
Nel mese di ottobre la polemica di Lombardi si fece più profonda, sino a giungere ad uno scontro aperto con Pietro Nenni. La polemica sorta tra i due leader socialisti riguardava la posizione adottata sul Vietnam dal congresso del Labour Party di Scarborough nel quale Wilson espresse la richiesta di una cessazione incondizionata, totale e permanente dei bombardamenti, invitando il governo inglese a dissociare ogni responsabilità da Washington. “At the 1967 annual conference a resolution was narrowly adopted calling on the government to ‘dissociate itself completely’ from U.S. policy in Vietnam, to persuade the United States to end its bombing of North Vietnam ‘immediately, permanently and unconditionally,’ and to strive for a peace settlement based on the 1954 Geneva Agreement”233.
Lombardi, che appoggiò la posizione espressa dai laburisti inglesi avendola proposta, più volte, all’interno del Psu, non trovando traccia dell’importante evento sull’“Avanti!”, addossò la responsabilità dell’accaduto su Nenni al quale inviò una lettera dal contenuto fortemente polemico.
“Ho appreso che il congresso laburista di Scarborough aveva adottato sul tema della guerra nel Vietnam una risoluzione di grandissima importanza richiedente la dissociazione del governo britannico dalla politica vietnamita degli Usa e reclamante l’abbandono incondizionato e permanente dei bombardamenti americani sul Vietnam del Nord. E’ quest’ultima (cioè l’incondizionabilità della cessazione dei bombardamenti) la premessa necessaria, come tu ben sai, per qualunque trattativa di pace: è stata questa perciò, come pure tu ben sai, la posizione che insieme ai compagni della sinistra mi sono sforzato di far adottare dalla Direzione del nostro partito, senza peraltro riuscirvi anche e principalmente per la tua opposizione. Comprenderai dunque l’interesse e l’ansietà con cui ho ricercato stamane sul quotidiano del partito la conferma e il testo esatto della risoluzione e la valutazione politica che se ne sarebbe fatta; comprenderai ancora di più la mia stupefazione nel non aver trovato sull’‘Avanti!’ nulla, assolutamente nulla, della richiesta di cessazione dei bombardamenti e la mozione sulla politica estera relegata in settima pagina e riassunta pudicamente con l’espressione ‘del favore dei delegati per la riduzione del bilancio militare e per la dissociazione delle responsabilità inglesi dalla politica che gli americani stanno attuando nel Sud-Est asiatico’”234.
Lombardi proseguiva il suo pesante attacco accusando direttamente il giornale del suo partito.
“Mai, ritengo, il giornale del partito si è abbassato all’inganno, all’occultamento deliberato come certissimamente è stato oggi, di fatti e notizie di fondamentale importanza per l’informazione e la presa di coscienza dei lettori. Penso tu sia d’accordo che il caso meriti una urgentissima riunione della Direzione del Psi la quale accenni non già la realtà e la volontarietà, per me indiscutibili, del fatto, ma a chi comporta (Direttore? Segreteria? Presidente del Partito?) la responsabilità di un comportamento che presuppone, tra l’altro, un totale disprezzo dell’intelligenza dei lettori”235.
La risposta dell’“Avanti!” non si fece attendere ed il giorno successivo venne pubblicata una replica altrettanto dura.
“Il compagno Lombardi ha diffuso ieri alle agenzie di stampa una lettera da lui indirizzata al compagno Nenni per lamentare ‘l’inganno cosciente’, ‘l’occultamento deliberato’ che l’‘Avanti!’ avrebbe fatto del voto del congresso laburista per la dissociazione del governo britannico dalla politica vietnamita degli stati Uniti e per l’abbandono incondizionato dei bombardamenti americani sul Vietnam del nord. Non correremo dietro alle parole grosse di Lombardi. Se il nostro autorevole compagno ci avesse soltanto telefonato, avrebbe potuto apprendere che la notizia della presa di posizione dei laburisti sulla politica estera era stata data da noi in prima pagina in tutte le edizioni e in pagina interna, ma con titolo a molte colonne, nelle edizioni di Milano e di Roma, sostituita dall’intervento del delegato italiano all’ONU a favore della pace nel Vietnam. Lombardi avrebbe anche potuto apprendere che il testo della mozione non è stato diffuso fino a ieri da nessuna agenzia di stampa o altro mezzo di informazione. E avremmo anche potuto ricordare al compagno Lombardi le mille difficoltà tecniche tra le quali si svolge il nostro lavoro, difficoltà che egli dovrebbe ben conoscere e che spesso ci costringono a dare in modo impreciso o generico notizie, quale la presa di posizione laburista sul Vietnam, che trovano fervido consenso in tutti i socialisti e non in Lombardi soltanto, come egli si ostina a credere”236.
Il 12 ottobre del 1967 Nenni si recò a Zurigo al Consiglio generale dell’Internazionale socialista. Nel suo discorso, pronunciato di fronte ai delegati dei partiti dell’organizzazione, il Presidente del Psu, affrontò anche il tema del conflitto vietnamita. Nenni, per la prima volta, sostenne una nuova posizione ponendo come condizione preliminare per dare avvio ai negoziati “la fine dei bombardamenti americani e la riunione attorno allo stesso tavolo degli stati interessati a ricercare una soluzione”237. Tale proposta, che in parte riprendeva le richieste della sinistra interna al Psu, era stata pronunciata sulla scia delle dichiarazioni espresse poco tempo prima dal primo ministro inglese Wilson. I socialisti italiani continuavano, infatti, a guardare al Labour Party come ad un riferimento per la propria politica estera e per la questione vietnamita in primo luogo. L’Internazionale socialista recepì la proposta di Nenni e la inserì nella risoluzione finale adottata dai partiti dell’organizzazione sul Vietnam.
“Il conflitto nel Vietnam non può e non deve essere risolto con la forza delle armi richiamandosi alla deliberazione del congresso di Stoccolma, la conferenza domanda alle parti impegnate nella guerra di intraprendere quello che è in loro potere al fine di addivenire ad un regolamento pacifico mediante negoziati. L’Internazionale socialista appoggia lo spirito delle proposte del segretario generale dell’ONU di aprire la strada a negoziati di pace, mediante la cessazione immediata dei bombardamenti sul Nord Vietnam, seguita da un negoziato di cessate il fuoco tra le parti, compreso il Fronte di liberazione nazionale. Il consiglio generale lancia un appello al governo del Nord Vietnam perché indichi che esso è pronto a iniziare negoziati di pace insieme alle altre parti impegnate nel conflitto. L’Internazionale socialista sottolinea che la pace nel Vietnam deve comportare l’indipendenza nazionale e la giustizia sociale per il popolo, che vive nella miseria e nella sofferenza e che è la principale vittima della guerra nel Vietnam”.
Il 1968 si aprì con l’offensiva del Tet organizzata dall’esercito rivoluzionario e nordvietnamita che, non portando a svolte decisive, si rivelò una tragedia. Proseguirono, infatti, i bombardamenti e le rappresaglie che spingevano l’opinione pubblica europea ed americana a manifestare per le strade per la fine della guerra.
La crisi vietnamita ebbe, però, una svolta inattesa quando il 31 marzo il presidente degli Stati Uniti Johnson annunciò in un suo lungo discorso alla televisione la sospensione dei bombardamenti insieme alla rinuncia a presentare la propria candidatura alle elezioni presidenziali il novembre successivo. Pochi giorni dopo le importanti dichiarazioni del presidente degli Stati Uniti, Hanoi aderì alla proposta dei colloqui di pace che iniziarono il 13 maggio a Parigi. Il negoziato che si sarebbe rivelato difficile e complicato non portò ad una cessazione dei bombardamenti e dei combattimenti. I socialisti italiani, che seguirono con attenzione lo sviluppo degli avvenimenti in Indocina, rimasero profondamente delusi dall’andamento incerto dei negoziati e dal prolungarsi del conflitto. La crisi vietnamita continuava, inoltre, a presentare un punto di discordia all’interno del Psu rispecchiata nelle differenti posizioni espresse dalle correnti presenti all’interno del partito. Per la prima volta, in alcune delle mozioni presentate nel luglio del 1968, le dichiarazioni si fecero più ferme. Oltre alla posizione della corrente di “Sinistra Socialista” che ribadì la linea sostenuta da Lombardi sin dal principio della guerra, parlando di “aggressione americana” e quella di “Impegno Socialista” che condannava l’intervento, anche la corrente di “Riscossa Socialista” si pronunciò in tal senso. Nella mozione presentata da De Martino era espressa “la riprovazione per l’intervento americano nel Vietnam” e veniva chiesta, inoltre, “la sospensione incondizionata dei bombardamenti come primo passo per aprire la via ad una soluzione negoziata che garantisca l’indipendenza del Vietnam e il suo diritto all’autodecisione”. Tali importanti prese di posizione segnarono una netta svolta rispetto all’atteggiamento adottato dai membri del partito sino a quel momento.
Le polemiche e gli scontri che avevano portato alla formazione di ben cinque correnti interne al Partito socialista unificato avevano permesso ai leader di tali formazioni di esprimere più liberamente le proprie posizioni su temi che, in precedenza, erano stati condizionati da precise e calcolate scelte adottate per non creare attriti non solo all’interno del governo ma anche all’interno dello stesso partito.
L’ingresso del Psi al governo condizionò, quindi, l’atteggiamento dei socialisti italiani di fronte alla guerra del Vietnam inducendoli a rinunciare ad esprimere giudizi troppo rigidi e critici. I dirigenti del Psi evitarono, infatti, di condannare apertamente l’imperialismo americano e l’intervento degli Stati Uniti, non volendo provocare contrasti insanabili in seno alla maggioranza. L’aggravarsi del conflitto ebbe rilevanti conseguenze anche all’interno del Partito socialista italiano nel quale i dirigenti della sinistra premevano per una condanna netta dell’intervento americano in nome del principio socialista dell’antimperialismo.
La posizione socialista divenne, inoltre, più delicata in seguito all’unificazione con il Psdi. All’interno del Partito socialista unificato si trovarono costretti a convivere due partiti che sin dall’inizio del conflitto avevano adottato una diversa o meglio opposta posizione.
Note:
191. F. Gozzano, Il Psi e le grandi crisi: il Vietnam, in A. Benzoni, R. Gritti, A. Landolfi (a cura di), La dimensione internazionale del socialismo italiano. 100 anni di politica estera del PSI, Edizioni Associate, Roma, 1993, pp. 313-322.
192. M. K. Hall, La guerra del Vietnam, il Mulino, Bologna 2003, pp. 25-30. Il 2 agosto alcune navi nord vietnamite attaccarono il cacciatorpediniere Maddox e due giorni dopo sia il Maddox sia il C. Turner Joy riferirono, mentendo, di essere stati attaccati dal nemico durante una tempesta notturna. In seguito a tale scontrò il Congresso approvò la Risoluzione del golfo del Tonchino che autorizzava Johnson ad intervenire in Vietnam in modo più massiccio.
193. “Avanti!”, 4 agosto 1964.
194. “Avanti!”, 8 agosto 1964.
195. “Socialismo Democratico”, 9 agosto 1964.
196. Ibidem.
197. Senza scelta, “Socialismo Democratico”, 9 agosto 1964.
198. “Avanti!”, 12 febbraio 1965.
199. “Avanti!”, 13 marzo 1965.
200. E tu da che parte stai? “Avanti!” 14 marzo 1965
201 “Avanti!”, 25 marzo 1965.
202. “Avanti!”, 26 marzo 1965.
203. “Avanti!”, 27 marzo 1965.
204. Ibidem.
205. Ibidem.
206. U. Gentiloni Silveri, L’Italia e la nuova frontiera. Stati Uniti e centro-sinistra 1958-1965, Bologna, Il Mulino, 1998, pp. 286.
207. Ivi, p. 287.
208. “Avanti!”, 8 aprile 1965.
209. “Avanti!, 15 maggio 1965.
210. P. Nenni, Gli anni del centro-sinistra, cit., p. 484, 14 maggio 1965.
211. Ivi, p. 485, 15 maggio 1965.
212. Ivi, p. 513, 26 luglio 1965.
213. Ibidem.
214. “Avanti!”, 16 novembre 1965.
215. Il 17 novembre del 1965 Giacinto Bosco, rappresentante del governo italiano all’ONU, votò contro l’ammissione della Cina all’ONU seguendo le direttive degli Stati Uniti, contrariamente all’Inghilterra ed alla Francia che furono a favore.
216. “Avanti!”, 18 dicembre 1965.
217. “Socialismo Democratico”, 13 marzo 1966.
218. P. Nenni, Gli anni del centro-sinistra, cit., p. 610, 12 marzo 1966.
219. “Avanti”, 13 marzo 1966
220. Ibidem.
221. Vittorelli: nessuna giustificazione, “Avanti!”, 30 giugno 1966.
222. Ivi, 30 giugno 1966.
223. Alberto Piazza, Wilson si dissocia dagli americani, “Avanti!”, 30 giugno 1966.
224. Per la posizione del Labour Party in merito alla guerra del Vietnam si veda, Rhiannon Vickers, Harold Wilson, the British Labour Party and the War in Vietnam, in “Journal of Cold War Studies”, 2008, n. 2, pp.41-70. Per un quadro d’insieme sull’atteggiamento dei partiti di sinistra europei si veda D. Sassoon, Cento anni di socialismo: la sinistra nell’Europa occidentale del ventesimo secolo, Editori riuniti, Roma 2000, pp.400 e ss.
225. P. Nenni, Gli anni del centro sinistra, cit., pp. 654-661. Londra , 24-26 luglio1966.
226. “Socialismo Democratico”, 17 luglio 1966.
227. La democrazia socialista per un’Italia più giusta e più libera, “Socialismo Democratico”, 1 ottobre 1966.
228. Ibidem.
229. “Avanti!”, 21 settembre 1967.
230. Decisioni della Direzione socialista, “L’Astrolabio”, 24 settembre 1967, N. 38.
231. Ibidem.
232. Ibidem.
233. R. Vickers, Harold Wilson, the British Labour Party and the War in Vietnam, cit., p. 58.
234. Lettera di Riccardo Lombardi a Pietro Nenni, 5 ottobre 1967, in ACS, Nenni, Partito, b. 30. Fsc. 1518.
235. Ibidem.
236. A proposito di una lettera di Lombardi, “Avanti!”, 6 ottobre 1967.
237. “Avanti!”, 12 ottobre 1967.
E’ un progetto che nasce con l’intento “ambizioso” di far conoscere la storia del socialismo italiano (non solo) dei suoi protagonisti noti e meno noti alle nuove generazioni. Facciamo comunicazione politica e storica, ci piace molto il web e sappiamo come fare emergere un fatto, una storia, nel grande mare della rete.