Il Rione Tamburi di Taranto
di Onofrio Introna |Già Presidente del Consiglio reglionale della Puglia
L’Ilva deve vivere. Non solo Taranto, non solo la Puglia, l’intero sistema Paese non può permettersi di perdere 1,4 per cento del Pil, di fare a meno di oltre un miliardo di investimenti, di mettere un pesante segno negativo davanti all’esportazione di acciaio all’estero. Ma l’Ilva non può continuare ad uccidere: deve modernizzare i suoi impianti, renderli “sterili”, non inquinanti, realizzando auspicabilmente un processo di decarbonizzazione e conversione delle fonti energetiche.
È’ chiaro che lo switch off verso una produzione sostenibile, ecocompatibile, non può essere immediato e nemmeno breve, ma il primo passo va fatto in quella direzione obbligata. È altrettanto chiaro, inoltre, che i tempi di una bonifica importante come quella che dovrà rimuovere gli agenti patogeni diffusi nell’ambiente in decenni di pesante inquinamento dei territori e delle acque • il Mar Piccolo. soprattutto, coni suoi un tempo fiorenti allevamenti di mitili • non si conciliano col diritto alla vita e alla salute dei cittadini del quartiere Tamburi. Tra le proposte avanzate, alquanto saggia mi è sembrata quella lanciata dalle pagine de “La Gazzetta del Mezzogiorno” dal prof. Umberto Ruggiero, già rettore del Politecnico di Bari, fatta propria e rilanciata con autorevolezza dal direttore del quotidiano, Giuseppe De Tomaso.
Si fonda opportunamente sul sacrosanto e democratico rispetto delle decisioni dei cittadini. Che siano per primi gli abitanti del quartiere Tamburi a beneficiare di un quanto mal opportuno programma di esodo volontario e indennizzato dal rione, il più avvelenato dal colosso siderurgico. Via dai Tamburi ed anche presto, ma non si faccia l’errore fatale di trapiantarli in un nuovo quartiere periferico dove ghettizzare le già sofferenti famiglie dei Tamburi. Si dia loro invece la facoltà di scegliere l’abitazione, nelle tante case sfitte o da recuperare della città vecchia e del centro abitato. L’intervento avrebbe carattere prioritario e non sfugge a nessuno che dovrà trovare l’attenzione del Governo nazionale e della multinazionale che gestisce l’azienda.
Per l’Arcelor Mittal o per chi continuerà l’attivitàproduttiva dell’llva dovrà prevedere l’opzione tra i primi punti del piano di risanamento ambientale. Effettivamente, restituire aria pulita, salute e futuro ai tarantini non può che passare dallo “svuotamento” dei Tamburi, col trasferimento per libera scelta dei residenti in altre abitazioni. Abbattendo le costruzioni malsane e rimuovendo dal terreno ogni sostanza tossica, si potrà così bonificare l’ampia area, al momento oggettivamente invivibile, trasformandola in un grande polmone verde, una cerniera ambientalmente risanata tra l’Ilva e il centro abitato. La proposta ha incontrato il favore del presidente dell’Anca Bari, l’architetto Beppe Fragasso: giusto risarcire l’esodo dall’area inquinata e poi acciaio sì, ma senza bruciare carbone. E potrebbe saldarsi alla nuova strategia di sviluppo per il futuro dell’economia tarantina, condivisa da Comune e Provincia di Taranto, Camera di commercio e Autorità Portuale, che provano insieme a costruire un nuovo modello di sviluppo, che consenta alla Città di affrancarsi dalla monocultura siderurgica.
È infatti il momento di unire tutte forze, per pensare al domani e metter intanto in sicurezza il territorio, le imprese, i lavoratori e i tarantini tutti. Ma il sogno di un Parco dei Tamburi deve subito diventare realtà: lo “rigiriamo a chi di dovere”, come ha fatto il direttore De Tomaso, perché le immagini del quartiere avvolto da fumi e polveri del siderurgico possano diventare al più presto un triste ma lontano ricordo.
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