Brevi note tra teoria e politica * di Jacopo Perazzoli | Introduzione Con la fine del «secolo breve» non soltanto sono spariti i partiti storici della sinistra italiana, ma è progressivamente andata scomparendo dalla discussione pubblica una grande tematica che ne aveva contrassegnato i dibattiti teorici, programmatici e politici praticamente fin dalla loro fondazione: la questione meridionale. Una simile tendenza affondava le sue radici negli anni Ottanta del Novecento, quando, da un lato, il Psi non colse la necessità di cambiare la sua impostazione e, dall’altro, il Pci iniziò a delegare alle procure la lotta alla mafia, impoverendo la propria politica sul terreno sociale e sul modo d’essere nelle istituzioni, a partire dalle Regioni. Ancor peggio è andata a partire dal 1992, e quindi con la fine delle organizzazioni politiche tradizionali, quando i problemi dell’Italia meridionale sono stati sostanzialmente sminuiti ad una semplice eliminazione della criminalità organizzata, senza più prestare attenzione ai caratteri di riforma sociale2. Al di là del fatto che si parli di questione meridionale al singolare, oppure al plurale come fatto recentemente anche da Sabino Cassese3, la scarsa considerazione dei problemi del Mezzogiorno nella visione dell’establishment politico nazionale è confermata da come l’alto tasso di disoccupazione in questa porzione del Paese, che nel 2014 ha toccato quota 20,7%4, non abbia suscitato grandi reazioni nella classe dirigente nazionale5. A ben vedere, però, proprio in parallelo alla perdita di centralità delle difficoltà dell’Italia del Sud all’interno della visione politico-programmatica dei partiti, si è registrata una nuova attenzione nei confronti delle condizioni del Sud Italia da parte del ceto intellettuale. Similmente a quanto avvenuto negli anni Cinquanta, quando aveva preso piede un fecondo dibattito tra gli studiosi di ispirazione marxista di «Cronache meridionali» e quelli d’orientamento liberal-democratico di «Nord e Sud», negli anni Ottanta la discussione attorno ai destini del Mezzogiorno riprese con le medesime modalità con cui si era sviluppata trent’anni prima. Anche in questo caso, da un lato potevano essere individuati gli intellettuali figli della tradizione marxista, raccolti attorno alla rivista «Meridiana», e dall’altro quelli riconducibili all’imprinting liberal-democratico, il cui esponente di punta è ancora oggi Giuseppe Galasso, l’unico superstite del gruppo di «Nord e Sud»6. Provare a valutare in chiave storica, e dunque ampliando il discorso già vivo sul piano della discussione squisitamente intellettuale, la situazione di attuale arretratezza dell’Italia del Sud deve essere un esercizio propedeutico anche per fare luce su quelle figure che nel corso della loro vicenda politica ed intellettuale hanno provato ad individuare e a fornire delle soluzioni volte a superare il divario tra la parte centro- settentrionale e quella meridionale del Paese. Tra queste una personalità che merita di essere ripresa in analisi è sicuramente quella di Tommaso Fiore (Altamura, 1884 – Bari, 1973), insegnante liceale ed universitario, fine studioso, oltre che esponente di diversi soggetti politici, quali l’Associazione nazionale dei combattenti, il Partito socialista unitario, il movimento liberalsocialista, il Partito d’azione e il Partito socialista italiano7. In ottica storiografica, ciò significa perseguire l’obiettivo, dichiaratamente ambizioso, di provare ad ampliare il panorama degli studi dedicati a Fiore sul piano intellettuale e politico, così da iniziare a colmare quel vuoto, rilevato per esempio da Franco Martina e Santi Fedele8, relativamente alle indagini in grado di approfondire le svariate sfaccettature della lunga vicenda fioriana. Un passaggio della biografia di Fiore obiettivamente poco sviscerato è quello del suo rapporto intellettuale, ma anche politico, con Carlo Rosselli. Anche se gli studiosi più attenti del meridionalista pugliese hanno toccato quel periodo all’interno dei loro lavori9, vi è soltanto un contributo organico allo scambio tra i due10, Tommaso Fiore e Carlo Rosselli di Domenico Fazio, pubblicato nel volume Meridionalismo democratico e socialismo, che raccoglie gli interventi del primo convegno dedicato a Fiore, organizzato nel 1978 a Bari dalla sezione pugliese dell’Istituto Gramsci e dall’Istituto socialista di studi storici11. Certo, come ammesso dallo stesso Fazio, ciò è sicuramente dipeso dalle poche fonti primarie all’epoca disponibili, ma oggi, grazie soprattutto al lavoro di Domenico Zucàro e di Cosima Nassisi12, che hanno pubblicato il carteggio Fiore-Rosselli del 1926, si deve giocoforza tornare su quella particolare partentesi del socialismo e del meridionalismo italiano. Questo saggio ha provato a non limitare l’indagine al rapporto epistolare tra i due, che non sarebbe tuttavia comprensibile qualora non si considerasse la collaborazione di Fiore con la «Rivoluzione Liberale» di Piero Gobetti, ma ha cercato di confrontare i rispettivi scritti apparsi su «Il Quarto Stato» che spaziarono dalla ridefinizione del pensiero socialista all’individuazione delle modalità con cui risolvere l’atavica arretratezza del Mezzogiorno: non si dimentichi che fu proprio Rosselli a considerare centrale questo tema nel dibattito politico e programmatico del Psu-Psli degli anni Venti. D’altra parte, una comparazione così concepita suona ipotizzabile sulla base di un fatto da più parti appurato: tanto Fiore quanto Rosselli, a cavallo tra il delitto Matteotti e l’approvazione delle leggi fascistissime, avevano visto in un socialismo rinnovato in senso liberale non soltanto la soluzione ai travagli della stessa area socialista, ma anche le modalità con cui indebolire il regime fascista attraverso un’alleanza in cui gli interessi dei contadini fossero saldati con quelli della piccola e media borghesia. Tuttavia restringere l’analisi al triennio 1924-1926 non permetterebbe di cogliere la lungimiranza di quella stagione di elaborazione politica e culturale. Proprio per questa ragione si è tentato anche di fare luce su quei concetti di Fiore che, emersi nei mesi della sua collaborazione con «Il Quarto Stato», sono poi riapparsi nella sua riflessione teorico-politica degli anni a cavallo tra la Seconda guerra mondiale e l’avvio della vicenda repubblicana come il più classico dei fiumi carsici. Tommaso Fiore, il primo dopoguerra e il passaggio da Gobetti a Rosselli Similmente a quanto avvenuto a molte altre figure politiche di spessore – da Guido Dorso a Piero Gobetti, da Carlo Rosselli ad Antonio Gramsci –, la Grande guerra funzionò su Fiore come un catalizzatore di energie. Analizzando il significato che l’intellettuale pugliese diede al primo conflitto mondiale – cui prese parte dal 1916, anno in cui partì volontario per l’Isonzo, al 1917, quando venne catturato dopo la …
Leggi tutto “TOMMASO FIORE E CARLO ROSSELLI, TRA QUESTIONE MERIDIONALE E REDIFINIZIONE DEL SOCIALISMO”