I MOVIMENTI FEDERALISTI
Ernesto Rossi, economista, storico e giornalista d’inchiesta, è qui ritratto in una fotografia risalente agli anni dell’esilio svizzero a Ginevra (Archivio privato della famiglia Rossi, Firenze). di Piero S. Gragliadi | I movimenti federalisti fanno la loro comparsa, in tutta l’Europa, negli anni della Resistenza al nazi-fascismo e delle lotte nazionali di liberazione. Mentre precedentemente le idee federaliste – tranne poche eccezioni – si trovavano strette nella dimensione nazionale della lotta politica, che non ne permetteva lo sviluppo autonomo, durante gli anni che vanno dal 1940 al 1945 esse acquistano una fisionomia più definita e orientata principalmente verso la dimensione internazionale (federalismo europeo) e verso quella interna (federalismo infranazionale). Questi due aspetti del federalismo si trovano talvolta accoppiati in alcune formazioni politiche, e talvolta elaborati indipendentemente, ma tutti i movimenti che si sono definiti “federalisti” hanno finito per confrontarsi con le due facce del federalismo. Non si riscontra d’altronde un’omogeneità sul piano dei riferimenti ideali: i modelli preesistenti sono principalmente l’esperienza anglosassone del federalismo, che trova negli Stati Uniti d’America la sua realizzazione più solida sul piano istituzionale; nonché il pensiero federalista francese (da Proudhon in poi), più attento alla dimensione “sociale” e che porterà alla nascita anche di una corrente federalista detta “integrale” (Alexandre Marc, Denis De Rougemont). L’idea fondamentale del federalismo (la cessione di parte della sovranità delle istanze inferiori ad una istanza superiore, in determinate materie, nel rispetto delle rispettive sfere di autonomia) trova quindi un’applicazione diversificata, a seconda che si parli di federalismo applicato ai rapporti tra gli stati e di federalismo applicato all’interno dello stato. La problematica della riduzione del potere statale per ridare vigore alle “autonomie primarie” (comuni e regioni e, in Italia, anche le provincie) è stata affrontata in vario modo dalla grande maggioranza dei movimenti di sinistra che si opposero ai totalitarismi, ma non venne considerata invece dal movimento comunista internazionale. Dopo il tentativo di Trotskij, nei primi anni Venti, di immettere nel dibattito comunista internazionale la parola d’ordine degli “Stati Uniti d’Europa”, in funzione della rivoluzione antiimperialista europea, l’opposizione di Lenin e poi quella, ben più determinata, di Stalin, eliminò ogni traccia di dibattito sul federalismo tra le file dei partiti comunisti. Molto più attivo il dibattito invece nel seno del movimento libertario e anarchico, dove esso fiorì sin dagli anni Ottanta dell’Ottocento in una prospettiva istituzionale per poi affievolirsi e riprendere vigore con il sorgere dei totalitarismi. Il caso italiano, in questo senso, è particolarmente indicativo della ricerca di una sintesi tra i due aspetti del federalismo ora sottolineati, ricerca spesso alimentata dalla polemica contro il centralismo statale caratteristico prima del regno sabaudo e poi del fascismo. Non mancarono ad esempio motivi federalistici all’interno della stampa del movimento socialista italiano prima dell’avvento del fascismo (Filippo Turati, Claudio Treves, Ugo Guido Mondolfo su “Critica sociale”), intesi sempre in funzione della lotta contro il centralismo fascista e per la pace tra gli stati europei; e su un piano più maturo si posero il movimento socialista liberale di Carlo Rosselli e di Gaetano Salvemini, “Giustizia e Libertà”, che recuperava anche motivi polemici contro il centralismo statale avanzati già alla fine dell’Ottocento da Gaetano Salvemini, e il movimento “Libérer et Fédérer” animato dal veneto Silvio Trentin e attivo nelle file della Resistenza francese. Nel caso di Trentin, che elaborò anche un disegno costituzionale per una repubblica federale da applicarsi all’Italia e alla Francia, si cercava di contemperare il controllo pubblico dell’economia con il rispetto delle “autonomie primarie”, costituite dalle formazioni “naturali” del vivere sociale (famiglia, comune, consigli di fabbrica, cooperative agricole) che erano depositarie dell’autogestione e dell’autocontrollo dell’economia. Nondimeno, ancora notevole è il peso attribuito da Trentin allo “stato”, seppure federale, che egli immagina, in un difficile tentativo di sintesi tra attività regolatrice del “centro” e libertà di iniziativa delle autonomie primarie. La scomparsa di Trentin prima della fine del conflitto ha impedito ulteriori sviluppi del suo pensiero, che attingeva spunti e suggestioni anche dalle posizioni del movimento di Carlo Rosselli “Giustizia e Libertà”. In particolare “Giustizia e Libertà” mostrò di essere in grado di effettuare una sintesi felice tra polemica contro il centralismo burocratico fascista e la richiesta degli “Stati Uniti d’Europa” come modello per la ricostruzione europea; tali posizioni vennero espresse in particolare dalle pagine del settimanale “Giustizia e Libertà”, edito a Parigi, e sui “Quaderni di Giustizia e Libertà”, che ebbero una limitata diffusione anche in Italia, in articoli comparsi tra il 1931 e il 1936. Bisognava però attendere il 1941 perché l’idea federalista trovasse una sua definizione teoricamente coerente e un movimento espressamente ispirato ad essa. Nella primavera di quell’anno infatti comparve il documento fondamentale del federalismo europeo, il Manifesto di Ventotene, scritto materialmente da Eugenio Colorni (1909-1944) Ernesto Rossi (1897-1967) e Altiero Spinelli (1907-1986), due antifascisti confinati dal fascismo sull’isola di Ventotene, che avevano già scontato lunghe pene detentive (Spinelli venne arrestato nel 1927, Rossi nel 1930). Alla base del documento stava una riflessione sui limiti dell’organizzazione dell’Europa in stati nazionali sovrani e sulle conseguenze del protezionismo economico tra gli stati. Tale riflessione, maturata sulla base di letture di autori anglosassoni e tedeschi (in particolare l’economista britannico Lionel Robbins, e gli altri autori del gruppo Federal Union, attivo a Londra sin dagli anni Trenta; nonché Philip Henry Wicksteed, Arthur Cecil Pigou, Ludwig von Mises, Friedrich Meinecke), trasse spunto dalla lettura delle riflessioni di Luigi Einaudi, fatte all’indomani della fine del primo conflitto mondiale, sull’impossibilità di far sorgere una “Società delle Nazioni” in Europa tra stati rimasti formalmente sovrani. Il documento scritto nella primavera del 1941, segnava un cambiamento notevole nel panorama del pensiero europeista in Europa: per la prima volta l’idea della federazione europea diveniva un valore prioritario della lotta politica, non un elemento accessorio di visioni politiche più generali. Solo attraverso l’abbattimento del mito della sovranità statale assoluta poteva essere possibile raggiungere la giustizia sociale e la libertà politica. Altri punti che Spinelli e Rossi sottolineavano erano il superamento della dicotomia marxista tra borghesia e proletariato, individuando le forze “progressiste” in quelle favorevoli all’unificazione europea, e quelle …